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L'Estetismo




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L'Estetismo

L'Estetismo è un movimento artistico ma soprattutto letterario della seconda metà dell'800. Rappresenta una tendenza del Decadentismo autonomamente sviluppatasi grazie a figure come Walter Pater e John Ruskin, che trova il suo massimo splendore grazie alle opere di Oscar Wilde. Questo movimento è tuttavia riscontrabile anche in vari studi di filosofi o studiosi che ne intendono dare una definizione etimologicamente esatta.

Il principio fondamentale dell'Estetismo - 'l'arte per il gusto dell'arte', 'art for art's sake'- consiste nel vedere l'Arte come rappresentazione di sé stessa, possedente una vita indipendente proprio come il Pensiero, che procede solo per le sue vie. Essa non ha alcun rapporto con l'epoca in cui si sviluppa, anzi è spesso contraria ad essa e l'unica storia che la concerne è la storia del suo stesso progresso. Un'altra dottrina molto importante per gli esteti afferma che tutta la cattiva arte trae origine dal ritorno alla vita e alla natura e dal loro innalzamento al rango di ideali; nel momento in cui l'Arte rinuncia alla fantasia per la realtà, rinuncia a se stessa.

Come si può ben comprendere, dunque, il realismo è visto dagli esteti come un totale fallimento.
È la vita ad imitare l'arte, come spesso ci ricorda Wilde nel suo saggio La decadenza della Menzogna: ciò non deriva solo dall'istinto imitativo della vita ma anche dal fatto che il fine cosciente della vita è quello di trovare espressione - e che l'arte è l'espressione stessa -. Da questo consegue anche che la Natura stessa si modifica a immagine dell'arte. Gli unici effetti che essa può mostrarci sono quelli visibili grazie alla poesia, o nei dipinti e nelle manifestazioni artistiche.

L'Estetismo presenta anche un continuo invito a godere della giovinezza fuggente, un edonismo nuovo in cui l'esaltazione del piacere è morbosamente collegata alla corruzione della decadenza e in cui la bellezza è intesa come manifestazione del genio ma superiore, al contempo, al genio stesso.

La figura dell'Esteta è stata consacrata dall'Andrea Sperelli di Gabriele D'Annunzio, oltre che dal Dorian Gray del già citato Wilde. È l'artista che vuol trasformare la sua vita in opera d'arte, sostituendo alle leggi morali le leggi del bello e andando continuamente alla ricerca di piaceri raffinati, impossibili per una persona comune anche attraverso l'utilizzo di alcool e droghe che distorcano le percezioni. L'Esteta ha infatti orrore della vita comune, dei ceti inferiori, della volgarità borghese, di una società dominata dall'interesse materiale e dal profitto, e si isola in una Torre d'avorio, in una sdegnosa solitudine circondato solo da Arte e Bellezza.








Oscar Wilde: life and works

Oscar Wilde was born in Dublin in 1854. In Oxford, he became a disciple of Walter Pater. In 1881 Wilde edited Poems, and was engaged for a tour in the United States. The tour was a personal success for Wilde, who made himself known for his irony. On his return in Europe in 1883, he married Constance Lloyd who bore him two children, but he soon became tired for his marriage. In the late 1880s Wilde's literary talent was revealed by a series of short stories, The Canterville Ghost, The Happy Prince and Other Tales, and the novel The picture of Dorian Gray(1891). After his first and only novel he developed an interest in drama. In the 1890she produced a series of plays like A Woman of no importance and The Importance of Being Ernest. In 1891 he met the young and good-looking Lord Alfred Douglas, whose nickname was "Bosie", and with whom Wilde dared to have a homosexual affair. Wilde was sent to prison for homosexual offences. In prison he wrote De Profundis a long letter to Bosie. When he was released, he was a broken man; his wife refused to see him and he went on exile in France, where he lived his last years in poverty. He died in 1900.


The picture of Dorian Gray


Dorian Gray is a young man whose beauty fascinates an artist, Basil Hallward, who decides to paint him. While the young man's desires are satisfied, including that of eternal youth, the signs of age and the experience appear on the portrait. Dorian lives only for pleasure. When the painter sees the corrupted image of the portrait, Dorian kills him. Later Dorian wants to free himself of the portrait and stubs it, but he mysteriously kills himself. In the very moment of death the picture returns to its original purity, and Dorian's face become "withered, wrinkled, and loathsome"


L'impressionismo: contesto storico


Nell'ultimo trentennio del XIX secolo, in Francia l'uscita di scena di Napoleone III ha portato alla nascita della Terza Repubblica. Intanto, a Parigi, la nuova borghesia, allettata da facili profitti e dall'espansionismo coloniale, instaura una politica di difesa degli interessi di classe. In città si consolida inoltre l'aspetto festoso, arricchendosi di teatri, musei, ristoranti, casinò e soprattutto i caffè, ma anche di contraddizioni e di miseria, che maturano i presupposti per la più grande novità artistica del secolo: l'impressionismo, che immortala Parigi nei suoi aspetti più vari e fantasiosi. Essi contribuiscono a costruire il mito della belle epoque. L'impressionismo ritrae non più la realtà come appare (anche se il confronto è sempre con una realtà precisa e oggettiva). Gli impressionisti dipingono appunto le impressioni del soggetto che vuole cogliere l'impressione di un attimo, autonomamente diverso rispetto a quello immediatamente precedente e a quello successivo. In questo clima si forgia la vena artistica di uno dei più grandi pittori (e scultori) dell'epoca: Edgar Degas.


Edgar Degas: ispirazione e isolamento



  Edgar Degas fu una delle figure centrali e più feconde dell'Impressionismo, ma dal punto di vista sociale e artistico si distinse dagli altri appartenenti al movimento. Nato in una famiglia agiata e amante dell'arte non conobbe le difficoltà incontrate agli inizi da Monet e Renoir; inoltre, si mostrò poco interessato al paesaggio, tema prediletto dagli impressionisti, e preferì le scene d'interno, soprattutto con figure di ballerine, lavandaie e donne al bagno, mentre nella pittura all'aperto i soggetti più ripetuti furono le corse dei cavalli. Negli ultimi anni, tuttavia, i problemi di vista da cui era affetto si aggravarono, portandolo quasi alla cecità. Degas fu consacrato fra i geni artistici dell'Ottocento, ma trascorse gli anni della vecchiaia in cupa solitudine.Uno dei suoi temi prediletti era quello delle ballerine. Tra le sue opere più famose ricordiamo "Lezione di ballo", un olio su tela realizzato tra il 1873 e il 1875. Esso contiene in se già tutti i temi della maturità artistica di Degas. Vi è raffigurato il momento in cui la ballerina sta provando dei passi di danza sotto l'occhio vigile del maestro mentre le altre ragazze, disposte in semicircolo, osservano a loro volta attendendo il loro turno di prova. Il taglio imposto è di tipo fotografico e alcune figure risultano uscire dall'inquadratura. Ciò suggerirebbe una pittura di getto, ma in realtà, i tre anni impiegati per terminare l'opera, stanno a testimoniare come il dipinto sia il frutto di un difficile e mediato lavoro in atelier. I gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva. Quella con il fiocco giallo, seduta sul pianoforte, si sta grattando la schiena, quella di spalle con il fiocco rosso tra i capelli invece, sta facendosi aria con un ventaglio. L'ambiente ricorda quello di una classe scolastica quando, sul finire della lezione, l'atmosfera si fa più rilassata e informale. Degas ricostruisce l'atmosfera della sala con garbo e raffinatezza, inserendo le sue fanciulle in una luce morbida che ne ingentilisce ulteriormente le già eleganti movenze. Degas predilige la rappresentazione di ambienti interni parigini. Ne costituisce un esempio L'assenzio, forse il più celebre tra i suoi dipinti. L'opera è ambientata all'interno del Cafè Nouvelle-Athènes

L'Assenzio

 
che, insieme al Cafè Guerbois, era uno dei luoghi di ritrovo prediletti degli Impressionisti. La composizione è volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il senso di una visione improvvisa e casuale. Si noti la prospettiva obliqua secondo cui sono disposti i tavolini, quasi come se  l'artista volesse introdurci nel locale seguendo il loro allineamento. Il punto di vista è alto e decentrato. I due personaggi recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta di periferia, e un barbone dall'aria burbera e trasandata. Dinnanzi alla donna vi è il bicchiere verdastro dell'assenzio che dà il titolo al dipinto. Davanti al barbone sta invece il calice di vino. Entrambi i personaggi hanno uno sguardo perso nel vuoto, come se stessero seguendo il filo invisibile dei loro pensieri. Pur essendo seduti accanto sono fra loro lontanissimi, quasi a simboleggiare la solitudine. L'atmosfera del locale è pesante come lo stato d'animo dei due avventori, imprigionati in uno spazio squallido e angusto, di cui l'artista ci offre una descrizione realistica.


Estetismo e uso politico dei simboli

L'importanza della dimensione estetica per veicolare messaggi politici e creare una condivisione del messaggio ideologico fu immediatamente compresa dai regimi dittatoriali novecenteschi, primo tra tutti il fascismo, che si ispirò alla simbologia creata da Gabriele D'annunzio durante le sue avventure politiche e militari.


Il Fascismo: contesto storico

Dopo la fondazione di uno stato unitario (1860) e dopo aver stabilito a Roma la nuova capitale (1870), la giovane Italia cerca di conquistare un ruolo più adeguato nello scenario europeo internazionale. L'Ottocento si chiude per l'Italia sotto il segno di una violenta reazione autoritaria contro una tensione sociale crescente, che culmina con l'attentato mortale contro il re Umberto I (1900).

All'inizio del nuovo secolo, l'impulso economico va rafforzandosi e anche l'Italia si trova a vivere la propria tardiva "rivoluzione industriale", benché in prevalenza circoscritta alle zone del "triangolo industriale" (Milano, Torino, Genova). Molto importante è la progressiva estensione territoriale delle ferrovie, che in quegli anni vengono definitivamente nazionalizzate (1905). Contemporaneamente però, la carenza di infrastrutture e lo svantaggio economico del centro-sud, sono all'origine di una grande ondata di emigrazione. Tra il 1900 e il 1915, più di mezzo milione di abitanti all'anno si reca negli Stati Uniti e in Argentina per cercare migliori condizioni lavorative e fortuna. Si assiste inoltre a  un cambiamento della scena politica. Il Governo , sempre stato espressione di un ristretto gruppo di ricchi proprietari terrieri, permette anche al ceto popolare di assumere un ruolo politico meno marginale. Artefice di questa evoluzione è Giovanni Giolitti che, cercando di costruire un paese moderno e unitario, allarga la base sociale e democratica, fino a coinvolgere nella politica le masse lavoratrici, organizzate legalmente in partiti politici e nei sindacati. Nell'agosto 1914 scoppia la prima guerra mondiale, che vede un Italia inizialmente neutrale. Sotto l'impulso di forti interessi economici da parte dei gruppi nazionalisti, nel 1915 anche l'Italia entra in guerra.

La guerra si concluderà nel 1918, dopo aver provocato 10 milioni di caduti, di cui 680 000 italiani. Con la vittoria, l'Italia ottiene il Trentino e L'Alto Adige, territorio nel quale la popolazione era in prevalenza di nazionalità austriaca e tedesca. Dopo la guerra la situazione economica appare subito molto difficile e la conseguente tensione sociale è all'origine di una serie di agitazioni contadine e operaie che culminano nell'occupazione delle fabbriche torinesi (1920).

In questo clima di conflitto, nel marzo 1919 Benito Mussolini fonda il movimento politico dei Fasci di combattimento e, nel 1921, il partito fascista.

Al 1919 risale la "questione di Fiume", una città proclamata italiana in seguito ad un plebiscito, ma non appartenente al paese perché non inclusa nel Trattato di Londra del 1915. Nasce così il mito della "vittoria mutilata", utilizzato dalla propaganda nazionalista contro il governo liberale, accusato di non far valere i diritti della nazione. Il poeta Gabriele D'annunzio guidò un gruppo di circa 2.600 ribelli dell'esercito - i Granatieri di Sardegna - da Ronchi, presso Monfalcone, a Fiume. La città fu occupata il 12 settembre . Nel tardo pomeriggio D'Annunzio proclamò l'annessione al Regno d'Italia della città.

Il governo guidato da Nitti tentò di trattare la resa dei legionari e l'abbandono della città che nel frattempo, secondo il Trattato di Rapallo del , era stata dichiarata città-stato indipendente. Giovanni Giolitti, subentrato a Nitti, nel mese di dicembre ordinò lo sgombero della città. L'attacco che fu portato dall'esercito italiano alla Reggenza Italiana del Carnaro provocò alcune decine di morti fra difensori ed attaccanti. Francesi e inglesi preferirono evitare che l'azione finisse in un bagno di sangue. Nei giorni successivi all'occupazione, D'Annunzio ricevette il plauso di Benito Mussolini. Il governo italiano rimproverò invece il vate, affidando a Badoglio il compito di risolvere la situazione. Ma Badoglio, grande amico di D'Annunzio, sì limitò ad impedire che i viveri per i volontari italiani entrassero in città, inconveniente che risolse Mussolini lanciando una grande raccolta fondi sul giornale di cui era direttore, Il Popolo d'Italia; in pochi giorni raccolse due milioni di lire, che inviò a d'Annunzio. Secondo altre fonti, quei soldi a D'Annunzio non arrivarono mai, ma furono intascati da Mussolini per usi politici, come poi egli stesso ammise.

L'avventura fiumana ebbe termine nel dicembre del 1920, con il Natale di sangue.

La politica dannunziana a Fiume, passò su posizioni più radicali: se l'obiettivo di partenza era il ricongiungimento di Fiume all'Italia, adesso l'obiettivo dichiarato era quello di fondare uno stato libero fondato su valori assolutamente diversi e contrastanti rispetto a quelli su cui era fondato il regno d'Italia. La Reggenza Italiana del Carnaro fu presa militarmente dall'esercito italiano.

Fiume verrà annessa a tutti gli effetti allo stato italiano solo nel 1924, dunque già in era fascista, e come nel resto d'Italia fu soggetta ad una politica di italianizzazione che comportò una progressiva restrizione dei diritti della minoranza croata.

Per giungere al potere Mussolini seppe sfruttare il vuoto politico lasciato dalla classe dirigente, sia le contraddizioni del movimento socialista. Riuscì a dar voce al malessere e al risentimento dei ceti medi nei confronti dello stato e delle agitazioni operaie. Abbandonò le venature anticlericali per venire incontro alla base politica del partito, che era monarchica e cattolica; operò in modo tale da riscuotere le simpatie del nuovo pontefice Pio XI, mentre fece crescere il consenso al fascismo presso gli ambienti vicini alla corona e presso le alte gerarchie militari. Venne potenziata l'organizzazione delle squadre d'azione, e si intensificarono le spedizioni punitive contro sedi di partito e di giornali.

Le campagne divennero il teatro di queste azioni: nell'immediato dopoguerra si era verificato uno spostamento della proprietà dai grandi proprietari terrieri ai piccoli e medi agricoltori, fortemente indebitati per raggiungere l'obiettivo di possedere un terreno. I ceti proprietari guardavano con ansia le lotte dei braccianti. A questo punto si inserì il movimento fascista, facendosi paladino della proprietà e organizzando squadre armate finanziate dagli agrari per distruggere le sedi dei sindacati, delle leghe, delle cooperative rosse e bianche ( di ispirazione socialista e cattolica).

Il partito liberale, il movimento sindacale e socialista sottovalutarono la gravità della situazione. Quando se ne accorsero era ormai troppo tardi: lo "sciopero legalitario" promosso nell'agosto 1922 dall'Alleanza del lavoro, non riuscì a impedire la violenza delle squadre fasciste che continuarono incontrastate.

Dopo la caduta del governo Giolitti, si susseguirono rapidamente il Governo Bonomi e due ministeri di Luigi Facta. Questi si rivelarono logorati e inconcludenti.

In seguito alla marcia su Roma, il 28 Ottobre 1922, il re Vittorio Emanuele III affidò a Mussolini il compito di formare il nuovo governo.


Il programma del fascismo

'Il popolo d'Italia' pubblica il programma ufficiale dei Fasci di combattimento, che può essere considerato a tutti gli effetti il manifesto programmatico del fascismo delle origini. Dal punto di vista economico-sociale, esso prevede alcuni punti fondamentali: l'abolizione del Senato e l'istituzione di un Consiglio nazionale tecnico del lavoro, le otto ore effettive, i minimi di paga, la partecipazione dei lavoratori al funzionamento tecnico delle industrie, l'assicurazione d'invalidità e vecchiaia, l'obbligo dei proprietari di coltivare le terre e il passaggio di quelle non coltivate a cooperative contadine, la messa in valore delle energie e delle riserve naturali, lo sviluppo della scuola di stato, la riforma della burocrazia, una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo che espropri parzialmente tutte le ricchezze, il sequestro dei beni delle congregazioni religiose, la revisione dei contratti di guerra con relativo sequestro dell'ottantacinque per cento dei profitti.




 


Il simbolismo fascista


IL FASCIO LITTORIO DEL FASCISMO

Il fascio littorio era costituito da un fascio di verghe legate con nastri tricolori con inserita all'interno una scure. Come nell'antica Roma simboleggiava il volere italiano alla dominazione dei vecchi territori appartenuti un tempo all'impero romano. Significava anche l'unità del popolo italiano in un periodo in cui tensioni sociali divideva il paese tra nord e sud. Durante il ventennio di governo fascista molte costruzioni pubbliche ed opere d'arte (come ad esempio il Vittoriano a Roma) si ispirarono allo stile romano senza far mancare però il fascio che veniva scolpito sui muri.




LA V MAIUSCOLA

Dopo la creazione dell'alleanza tripartita tra Italia Germania e Giappone si cercò un simbolo che potesse far capire alla gente la potenza dei tre stati. Questo simbolo divenne la V perché era l'iniziale della parola "vittoria" ed anche perché simboleggiava i tre vertici con l'Italia naturalmente al centro.



L'AQUILA

L'aquila romana era un altro simbolo ripreso dal  fascismo rappresentata soprattutto con le ali aperte. Anche questo simbolo che si rifaceva chiaramente alla civiltà romana era manifestazione di grandezza e di ricordo delle vittorie di Roma antica. Capitava spesso che l'aquila tenesse il fascio nei suoi artigli come si poteva vedere all'epoca nella bandiera della repubblica sociale di Salò. Anche il nazismo come spesso capitò prese questo e molti altri simboli per comunicare l'unione del popolo italiano con quello tedesco, cosa che però non avvenne mai neanche in principio.



LA CROCE CELTICA

Un altro simbolo, forse quello più rappresentativo oggi, è la Croce celtica, che però non ha niente a che fare con l'antica Roma, anzi veniva usato in antichità proprio da quei popoli che gli antichi romani consideravano barbari e quindi nemici. È costituito da una croce circondata da un cerchio. Nelle popolazioni germaniche simboleggiava il sole e quindi era sacro. La Celtica è continuamente presente nella Tradizione Europea: dalle grotte sui Pirenei Francesi 10000 anni prima di Cristo, al ponte Milvio come buon auspicio per la battaglia dell'Imperatore Costantino, dalla cerimonia d'incoronazione di Carlo Magno, alla Cristianità Irlandese. Dal Paganesimo al Cristianesimo, la Croce Celtica raffigura i Quattro Elementi (croce: Acqua, Aria, Terra, Fuoco; cerchio: lo Spirito, cioè il Quinto Elemento), il punto d'incontro tra il mondo terreno (asse orizzontale della croce) e quello divino (asse verticale) nell'infinità dell'universo (il cerchio). I movimenti neo-fascisti hanno deciso di riprendere in uso questo simbolo aggiungendo però come nel caso del movimento sociale fiamma tricolore una fiamma dai colori italiani che arde sullo sfondo della croce celtica.


Gabriele D'Annunzio: vita e opere

Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da famiglia borghese. Compie gli studi liceali presso Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana. Nel 1882 compone il Canto Novo e Terra Vergine. Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Assediato dai creditori, per alcuni anni è costretto ad abbandonare Roma per rifugiarsi a Napoli. Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900). Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, si rifugia in Francia. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, dove muore nel 1938.

Il piacere

Così come un secolo prima Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo aveva diffuso in Italia la corrente e la sensibilità romantica, Il piacere e il suo protagonista Andrea Sperelli introducono nella cultura italiana di fine Ottocento la tendenza decadente e l'Estetismo. Valore assoluto de Il Piacere è l'arte, che è un programma estetico ed un modello di vita, a cui Andrea Sperelli subordina tutto il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale (è il tipico dandy, formatosi nell'alta cultura e votato all'edonismo). È, insomma, la realizzazione di un'elevazione sociale e di quel processo psicologico che affina i sensi e le sensazioni: "bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte Tuttavia per D'Annunzio - messo da parte l'atteggiamento patologicamente affinato, l'autosuggestione decadente e la tendenza alla spettacolarizzazione - l'accostamento tra arte e bellezza, arte e vita è una risposta, energica ed eloquente, verso la massificazione dell'arte. Il Piacere è l'agonia dell'ideale aristocratico di bellezza. Racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica, infettata dall'edonismo, vicina al proprio annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quella della bellezza. Il protagonista del romanzo è un esteta - come il Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde che, seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale, vive la sua vita come un'opera d'arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, evidente nella sadica sovrapposizione delle due donne, corruzione che fa parte di quella necessità ideologica e psicologica del dandy, cagionata anche dalla Roma corrotta e lussuriosa. Anche se Andrea Sperelli la vive non senza un'intima sofferenza, dovuta alla degradazione di quella forza morale, della sua personalità, perché le massime paterne presumono uno spirito forte, che domini le proprie debolezze. Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più profonda. Infatti, ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. È forse per questa infanzia che Andrea passa da una storia all'altra. Andrea diventa una figura intermedia tra il superuomo e l'inetto, che ha perso il dominio di sé, la propria genuinità, la facoltà di agire senza ambivalenze e di godere a pieno i piaceri agognati. Perciò la sua eccezionalità ha anche un secondo risvolto negativo: è sempre e comunque destinato al fallimento, soprattutto in amore, prima con Elena Muti, poi con Maria Ferres. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e crepuscolare, segue l'ideologia dannunziana, non solo per quello che concerne l'estetismo, ma soprattutto perché denuncia la crisi dei valori e degli ideali aristocratici a causa della violenza del mondo borghese.

Trama:

La vicenda narrata ne 'Il piacere' è ambientata in una Roma di lusso. Protagonista è il conte Andrea Sperelli, la cui massima è "bisogna fare questa vita come si fa un'opera d'arte". Poeta, pittore e musicista dilettante, ma soprattutto raffinato artefice di piacere, Andrea trascorre le sue giornate tra occupazioni mondane, circondandosi di persone eleganti e di oggetti preziosi, lontano dal 'grigio diluvio democratico". Andrea è però tormentato dal ricordo di Elena Muti, una donna con la quale aveva intrecciato una relazione complicata e sensuale, bruscamente troncata dall'improvvisa partenza della donna da Roma. Dopo un breve periodo di isolamento, Andrea si tuffa in una serie di nuove avventure, finché non è ferito da un rivale geloso durante un duello. Si abbandona allora ad una convalescenza "purificatrice" nella villa di una ricca cugina. Qui conosce una creatura casta e sensibile, Maria Ferres, moglie di un ministro. Per lei si illude di nutrire un amore spirituale, ma presto il loro rapporto si intorbida, ed Andrea cerca nel contatto con lei nient'altro che riprodurre le sensazioni già provate con Elena, sovrapponendo le immagini delle due donne. Quando, al culmine di un amplesso, Andrea si lascia sfuggire il nome dell'antica amante, Maria fugge inorridita.

I romanzi del superuomo

Le vergini delle rocce (1895) è il primo romanzo del superomismo e viene definito come «manifesto politico del superuomo». D'Annunzio abbandonò la figura dell'esteta dedito solo ed esclusivamente alla ricerca del Bello in sé, per cercare adesso una concreta azione eroica e violenta, sdegnosa della democrazia e della mediocre borghesia ma, non trovando spazio per l'eroismo, si rifugia nell'utopia della ricerca della «perfetta opera d'arte». Neanche in questo intento riuscirà, perché la donna fatale, Violante Montaga, si ucciderà determinando la sconfitta del protagonista stesso.

Il fuoco (1900) richiama molto del romanzo precedente:il protagonista Stelio Effrena vagheggia un'opera d'arte totale, come rito capace di ridestare nelle profondità della stirpe italiana le energie. Compare la protagonista femminile, Foscarina Perdita (altro nome 'parlante'), che non è altro che Eleonora Duse. E' nevrotica, ossessionata dalla fuga del tempo, quindi dalla perdita della propria bellezza e dalla paura di perdere l'amante.

Rimane senza una conclusione positiva, perché l'opera d'arte totale non riuscirà a comporla.

Il romanzo Forse che sì, forse che no è del 1910 e l'anno precedente era uscito a Parigi Il manifesto del movimento futurista di Marinetti che esaltava il mito della macchina e della velocità.

Attratto dalla macchina (aerei, sommergibili, ), il protagonista Paolo Tarsis è l'ennesima personificazione del Superuomo, in cui permane la mistica dell'audacia e della «bella morte».

La vicenda si intreccia con i grovigli di una femminilità ambigua e felina, incarnata dall'eccessiva fémme fatale, Isabella Inghirami.












Nietzsche e il superuomo


Nietzsche è forse il miglior interprete della fine di un mondo e del bisogno di rinnovamento di tutta un'epoca: profeta insieme della decadenza e della rinascita, dà origine alle interpretazioni più discordi, che si tradurranno nelle influenze più diverse. Volta a volta materialista o antipositivista, esistenzialista o profeta del nazismo, il filosofo condivide tutte le ambiguità delle avanguardie intellettuali e artistiche borghesi del primo novecento e non a caso diverrà oggetto, in Italia, dell'interpretazione estetizzante di Gabriele D'Annunzio esercitando un indiscutibile fascino sui futuristi. Nietzsche divenne così il filosofo della crisi, il fondatore d'un modo di pensare nuovo. L'uomo è una corda tesa sull'abisso tra la scimmia e il superuomo, ossia tra materialità, piccolezza e l'oltre-uomo, ossia la tensione all'infinito, che può diventare quello che guida". Si diventa così esprimendo ciascuno di noi la volontà di potenza, ossia ciascuno di noi cerca di fare di se stesso il massimo, fare coincidere volontà e potenza. L'unico imperativo è "Divieni ciò che sei esprimi al massimo la tua natura" La nostra caratteristica è l'amor fati: significa essere inseriti nella legge dell'eterno ritorno, l'unica legge cosmologica:"Tutto ciò che è avvenuto avverrà, tutto ritorna". Quando Zaratustra, col nano sulle spalle che indica la pesantezza della quotidianità, si ferma sulla porta con su scritto "attimo", con l'eternità dietro e davanti, nota l'aquila che vola e il serpente che striscia piedi, entrambi in senso circolare, che rappresentano la metafora dell'eterno ritorno. In Nietzsche non c'è nulla di storico. E' un eroe per la realizzazione della vita.

"Le virtù non sono quelle che vi hanno insegnato (sopportazione, tolleranza). La vera virtù è il contrasto,

l'affrontar". Ognuno di noi deve esaltare se stesso "guardatevi da coloro che vogliono insegnarvi la virtù, il rispetto sociale e delle leggi.

Lo Stato è la più grande menzogna. Alla fine quindi non si salva proprio niente. Ciascuno deve realizzare la propria volontà di potenza, deve tendere ad essere il super-uomo.

Zaratustra scese in piazza perché era giunto al tramonto, era pieno, e doveva dare agli altri. Nietzsche rappresenta la fine dell'etica tradizionale dei valori.

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