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Le serie spettrali e la teoria di Bohr
Fin dai primi studi
sugli spettri luminosi, i fisici si accorsero che, nonostante l'apparente
disordine, esiste una certa regolarità nella distribuzione delle righe
spettrali degli elementi. Nel 1885 Johann Balmer fig.(6-b) scoprì che le lunghezze d'onda delle righe dello spettro
visibile dell'idrogeno potevano essere espresse mediante una semplice formula,
nella quale le successive lunghezze d'onda delle righe spettrali si ottengono
dando ad una variabile valori interi, dal numero
dove è la frequenza della riga spettrale e n è un numero intero maggiore di 2, c è la velocità della luce nel vuoto e
è una costante il cui valore è
.
Generalizzando e considerando anche le serie dell'ultravioletto e dell'infrarosso, le frequenze delle diverse onde elettromagnetiche emesse dall'idrogeno sono calcolabili mediante la formula:
dove m e n
sono numeri interi positivi con . Nel caso di m=2
si ritrova la serie di Balmer, con m=1
si identifica la serie di Lyman per l'ultravioletto, con m=3 la serie di Paschen e con m=4
la serie di Blackett per l'infrarosso. Ai tempi di Balmer non era affatto
chiaro perché a un determinato elemento dovesse corrispondere un ben preciso
spettro di emissione. Inoltre la questione divenne sempre più complessa quando,
sulla base dell'esperimento di Rutherford, fu proposto il modello atomico
planetario. Infatti in tal caso gli elettroni risentirebbero di
un'accelerazione centripeta , e quindi, secondo la teoria di Maxwell, una
carica accelerata emette sempre energia sotto forma di onde elettromagnetiche.
Ciò comporta due problemi:
l'emissione continua di energia dovrebbe portare gli elettroni ad
avvicinarsi sempre di più al nucleo, descrivendo una traiettoria a spirale, fino
a giungere su di esso in un intervallo di tempo dell'ordine di .
Durante il movimento a spirale, le onde elettromagnetiche emesse dovrebbero avere uno spettro continuo, cioè dovrebbero contenere tutte le frequenze comprese tra un valore minimo e uno massimo.
La prima di queste
due conclusioni è in palese contrasto con dati osservativi ovvi secondo cui gli
atomi, in primo luogo sono del tutto stabili e non collassano in e, in secondo luogo,
quando non sono "disturbati" non emettono onde elettromagnetiche. La seconda
deduzione non è in alcun modo compatibile con l'osservazione degli spettri di
emissione a righe, ben diversi da spettri continui. Siamo nuovamente di fronte
a una difficoltà delle teorie fisiche classiche, a dare una prima risposta a
questo problema fu il fisico danese Niels Bohr fig.(23-b). Bisognava o rinunciare al modello per salvaguardare i
principi della fisica classica o abbandonare la fisica classica e cercare in
altre teorie fisiche la giustificazione del modello: Bohr intraprese
quest'ultima strada. Lo scienziato di Copenaghen intravide la possibilità nello
stesso tempo di salvare la stabilità dell'atomo planetario di Rutherford e di
interpretare i fatti spettroscopici sulla base della teoria dei quanti, che a priori esclude la possibilità di un
emissione continua. Riportiamo qui di seguito le esatte parole di Bohr:
"Nella forma sotto la quale noi faremo uso in ciò che segue della teoria dei quanti, noi fonderemo le nostre considerazioni sul seguente postulato fondamentale: un sistema atomico che emette uno spettro continuo di righe nitide può prendere un certo numero di stati distinti, che chiameremo stati stazionari; il sistema può esistere in un tale stato almeno durante qualche tempo, senza emettere radiazione, l'emissione avendo luogo soltanto attraverso un processo di transizione completa tra due stati stazionari: e allora la radiazione si compone sempre di un treno d'onde armoniche semplici. Nella teoria la frequenza della radiazione emessa durante un processo di questa specie non è determinata direttamente dal movimento degli elettroni nell'atomo nella maniera che corrisponde alle idee della teoria classica dell'elettromagnetismo; la frequenza, invece, è semplicemente legata alla quantità totale di energia emessa durante il passaggio, essendo:
con ed
le energie possedute dalle orbite nei due stadi interessati
al processo."
In sostanza, dunque, l'elettrone rotante intorno al nucleo obbedisce a tutte le leggi meccaniche della fisica classica ma non alle leggi elettromagnetiche, nel senso che durante la rotazione non emette radiazione. Con la meccanica classica si può perciò trattare l'equilibrio dinamico del sistema in uno stato stazionario, e calcolare, noto il raggio dell'orbita, la velocità, la frequenza, l'energia potenziale, cinetica e totale dell'elettrone rotante:
secondo la previsione classica l'energia totale risulta:
A questo punto Bohr
introdusse una condizione di quantizzazione del raggio orbitale r, in modo tale che le orbite in cui è
presente l'elettrone siano solo quelle permesse dal determinato stato
energetico del sistema. Consideriamo un elettrone che percorre un orbita
descritta dal cammino orientato e definiamo un campo
vettoriale, associando ad ogni punto di
il vettore quantità di
moto
che l'elettrone
possiede in quel punto. Secondo Bohr sono permesse soltanto le orbite per le
quali vale la condizione di quantizzazione:
dove è la circuitazione di
lungo
, h è la costante
di Planck e n è un numero intero positivo
denominato numero quantico principale
dell'orbita. Possiamo esplicare la (169) dividendo
in M parti, di eguale
lunghezza e praticamente rettilinee, descritte dai vettori
:
Dal momento che il
vettore velocità istantanea di un punto materiale è sempre tangente alla
traiettoria che esso descrive, l'angolo tra i vettori
e
è sempre uguale a
zero. In tal modo la (170) si riduce a:
Questa condizione
di quantizzazione è generale ma noi, dal punto di vista matematico, siamo in
grado di trattare soltanto le orbite circolari descritte dall'elettrone attorno
al nucleo. In questo caso si ha una notevole semplificazione perché il modulo
della quantità di moto è costante e uguale al
prodotto
dove
è la massa
dell'elettrone e v la sua velocità.
Otteniamo così:
svolgendo il suddetto limite:
Siamo giunti in questo modo a quantizzare il momento angolare:
Applicando tale quantizzazione alle formule classiche sopra citate otteniamo il raggio delle orbite permesse:
e una nuova formula per l'energia posseduta da ciascuna orbita:
In conformità a
questi principi Bohr riuscì a dare una giustificazione dello spettro
discontinuo dell'atomo di idrogeno, infatti, secondo lui, un elettrone che
percorre un orbita permessa non irraggia. Tuttavia, poiché un gas attraversato
da corrente elettrica emette luce, dobbiamo chiederci come avvenga l'emissione
dei fotoni da parte degli atomi. Bohr postulò che un fotone è emesso
(irradiato) da un atomo, quando un suo elettrone passa da un orbita permessa di
energia maggiore ad un'altra orbita permessa di energia minore. Nel caso
dell'atomo di idrogeno il suo unico elettrone può ricevere energia
dall'esterno, per esempio mediante un urto, e passare (se vi è posto libero) a
un'orbita di numero quantico con energia
maggiore di quella
iniziale. In tale caso l'atomo si trova in uno stato eccitato, instabile. Così, dopo un intervallo di tempo che può
essere anche molto breve l'elettrone salta su un'orbita di numero quantico
(con
) la cui energia
è minore di
. La differenza di energia sarà dunque:
è liberata sottoforma di un fotone di frequenza:
Infine ponendo si ritrova la (165)
che è così ricavata partendo dalle ipotesi di Bohr.
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