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LE DECISIONI DI BUSH E GREENSPAN[1]
Alla riapertura della Borsa il 17 settembre si temeva un crollo dei titoli che effettivamente c'è stato solo in parte.
Tra le più importanti e significative iniziative per evitare i crolli nella Borsa di Wall Street, troviamo le facilitazioni per i buy back (riacquisto di azioni proprie): le autorità di Borsa di New York hanno infatti reso meno rigorose le norme sul riacquisto di azioni proprie da parte delle società.
Programmi di buy back in grande stile sono stati annunciati da molte società, come Pepsi e Intel, che hanno ottenuto in un colpo solo l'allentamento delle regole e la possibilità di ricomprare azioni proprie più facilmente e senza alcuna restrizione. Questo allentamento di regole sui buy back è una delle manifestazioni del ruolo attivo che lo Stato intendeva giocare nella gestione della crisi economica in atto.
In effetti, l'attentato alle Twin Towers ha fatto il miracolo: ha trasformato i più convinti sostenitori del liberismo, della deregulation, della necessità di lasciare assoluta libertà agli "spiriti animali" del capitale, in entusiasti sostenitori del ruolo dello Stato nell'economia, del deficit spending, dei sussidi alle imprese.
Per avere una riprova di questo, è sufficiente considerare le misure per il rilancio dell'economia assunte dalla Federal Reserve e dal governo americano:
a) i tassi di interesse sono stati portati ai minimi storici;
b) sono state rilanciate le spese militari, stanziando fondi per la difesa;
c) sono stati stanziati cospicui incentivi diretti alle imprese: la sola aviazione civile ha ricevuto aiuti per 15 miliardi di dollari;
d) sono state decise riduzioni delle tasse per 100 miliardi di dollari;
Una parte molto minore della manovra è andata a rimborsi delle tasse sui redditi più bassi, sussidi di disoccupazione e assistenza sanitaria. Si tratta, come è chiaro, di briciole.
Va notato che questo aspetto della manovra è stato criticato anche dall'Economist, che ne ha visto i limiti ai fini del rilancio della domanda, mettendo in rilievo che "è più facile che vengano spesi [in consumi] i tagli delle tasse per i meno abbienti che i trasferimenti verso i ricchi, in quanto questi ultimi tendono a tesaurizzare una quota maggiore" delle tasse risparmiate. Non solo: i tagli sono "troppo focalizzati sulle imposte pagate dalle imprese".
Il governo americano ha dichiarato la sua intenzione di dare nuovo impulso al processo di liberalizzazione dei commerci mondiali. Il Presidente americano, G.W. Bush, ha sostenuto che "lo scopo dei terroristi era quello di ottenere "il collasso dei mercati mondiali ma i mercati hanno dimostrato la loro resistenza e forza di fondo". Ha voluto "assicurare agli amici e informare i nemici che l'avanzata del commercio e della libertà continuerà".
L'11 settembre sembra quindi aver ridato fiato all'economia statunitense e non è una tesi paradossale. Anzi molti analisti finanziari la propongono alla luce del sole. Il comunicato stampa dell'ANSA seguente ne dà conferma:
"Senza l'11 settembre i mercati finanziari sarebbero oggi in una situazione di grande logoramento psicologico, di sfilacciamento lento, di speranza zero, una sindrome di tipo 'giapponese' con indici azionari al di sotto dei livelli attuali.
Il gap tra l'andamento prevedibile per il 2002 e quello che avremmo avuto senza le Twin Towers è destinato a crescere. Infatti le misure prese all'indomani degli attentati (taglio dei tassi, politiche fiscali, misure di sostegno alle industrie) erano già state decise ma "sarebbero state prese gradualmente, alla spicciolata, con riluttanza e in extremis"."
[ANSA:
Dalla lettura di questo articolo, pubblicato da una delle più importanti agenzie d'informazione internazionali, è chiaro che l'attentato, presumibilmente organizzato da Bin Laden, non abbia arrecato gravi danni all'economia americana e mondiale, al contrario, sembra che l'economia abbia subito una scossa capace di allontanare la recessione.
Il problema è però un altro: la serie di misure economiche prese da Bush & C. sono bastate ad allontanare o quantomeno a mitigare la crisi che era in atto? Di dubbi ce ne sono stati tanti.
Dubbioso è risultato anche l'Economist, scettico di fronte ai pronostici di una rapida ripresa economica formulati dagli analisti. La causa è sempre la stessa: ci si trovava in una crisi di sovrapproduzione che aveva raggiunto se non superato quella del '29 e che era ben lontana dall'essere risolta.
Inoltre la crisi, come nel '29, aveva coinvolto tutto il mondo e in definitiva - è ancora l'Economist che parla - "la ragione più importante per pensare che le previsioni degli analisti sull'economia americana siano troppo ottimistiche consiste nel fatto che questa crisi non trova le sue radici nel terrorismo, ma negli squilibri economici e finanziari creatisi negli ultimi anni".[2]
Ma allora che si fa? La risposta americana è sotto i nostri occhi, e consiste nel gigantesco piano di riarmo messo in opera nei mesi successivi all'attentato e nell'attacco all'Afghanistan e all'Iraq.
Ancora una volta, per risolvere i suoi problemi il capitalismo ricorre alla guerra.
Alan Greenspan,
economista statunitense d'origine ebraica e Segretario del Comitato dei
Governatori della Federal Reserve negli Stati Uniti. È considerato l'autorità
chiave e il principale attore della politica nazionale USA in materia economica
e monetaria. Per 18 anni a capo della Federal Reserve, lascia l'incarico al
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