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ITALIANO
L'ETA' POSTUNITARIA
1 LE STRUTTURE POLITICHE, ECONOMICHE E SOCIALI DELL'ITALIA POSTUNITARIA
Con l'unificazione dell'Italia si affermò una monarchia costituzionale in cui dirigeva lo statuto Albertino del 1848 questo stato però era accentratore. A tutta l'Italia venne estesa la legislazione Albertina. Questo provocò forti disagi, dovuti dalla differenza dei vari staterelli prima dell'unificazione. Un altro problema sorgeva dal fatto che gli aventi diritto al voto erano solamente il 2% della popolazione, in prevalenza ricchi politici e proprietari terrieri. Dopo l'unificazione quindi di Italia si presentava in Europa come una nazione fortemente arretrata rispetto a Francia e Germania e Inghilterra in cui era in corso la rivoluzione industriale. In Italia il progresso fu ostacolato dal governo di destra che riteneva l'Italia povera di materie prime non in grado di poter progredire, inoltre pensava che con l'industria si sarebbe creato un proletariato di fabbrica che avrebbe potuto generare tensioni a livello sociale. La destra operò scelte a proprio vantaggio favorendo il libero scambiamo e applicando le tariffe doganali per favorire l'esportazione di prodotti agricoli e l'importazione dai paesi stranieri. Questa politica non favorì l'ascesa del processo industriale ma ne ebbe effetti disastrosi sulle industrie del mezzogiorno, che furono spazzate dalla concorrenza internazionale. Il governo di destra postunitario quindi non stimolò il processo industriale, le poche attività esistenti erano di modesta consistenza oltre che arretrate sul piano tecnico e organizzativo legate a metodi di agricoli. La mancanza di imprenditoria spingeva l'industriale ad accontentarsi del mercato locale. In questo periodo infatti la quota di partecipazione dell'industria scende dal 20 al 17%. La politica libero scambista invece incrementa lo sviluppo dei prodotti e delle esportazioni agricole. L'agricoltura in Italia però rimase fortemente arretrata specie nel centro sud. Per trovare alcune aziende bisogna arrivare fino al centro nord nelle zone della Val Padana. Un settore molto attivo dell'economia e dato dalla creazione di strade, ferrovie, ponti, porti, opere pubbliche di cui lo Stato aveva fortemente bisogno. La costruzione delle sopra citate affidate a società private crebbero una fitta speculazione che coinvolse anche le banche. Una svolta si ebbe quando la sinistra salì al potere. Questa si interessò delle problematiche di più gruppi sociali, cosa che la destra aveva fatto solo per le classi abbienti. In questo nuovo governo gli imprenditori industriali ebbero una posizione di spicco. Gli industriali auspicavano all'istituzione di un protezionismo doganale per tutelare i propri interessi. Questo fu realizzato due anni dopo l'ascesa al potere con l'inasprimento delle tasse doganali. Prendendo esempio dalla Prussia il governo spinse per la corsa agli armamenti, questo comportò il potenziamento dell'industria siderurgica. Con l'avvento dell'industrializzazione ci fu una crisi agraria determinata dall'arrivo dai mercati europei di grano americano a buon mercato che fece crollare i prezzi, spazzando via la concorrenza dei sistemi arretrati presenti in Italia. Questo provocò fame miseria ed emigrazione, ma stimolò allo stesso tempo l'esigenza di modernizzazione e la concentrazione capitalistica nelle campagne, spingendo i latifondisti a volere il protezionismo e ad allearsi con gli industriali. Questo provocò grave impoverimento del mezzogiorno che rimase indietro rispetto a l'industrializzazione avvenuta nel Nord. Si designa quindi la questione meridionale dovuta dall'enorme differenza economica e civile e tra nord a sud. Nonostante l'industrializzazione l'Italia rimase fino al governo Giolitti un paese fondamentalmente agricolo, dove l'aristocrazia terriera godeva di grande prestigio sociale che la borghesia affermata prendeva da esempio. I più colpiti dalla crisi agraria furono i ceti medi colpiti dalla concentrazione capitalistica nelle campagne. Parallelamente alla crisi del ceto medio si va a designare un nuovo ceto sociale, quello impiegatizio, che non è altro che il medio borghese impiegato. I ceti popolari sono composti prevalentemente da contadini e operai, che dato lo scarso sviluppo industriale sono in minoranza seppure in progressiva espansione. Le condizioni già disastrose dei ceti popolari dell'Italia preunitaria si aggravarono ulteriormente dopo l'unificazione. A ciò si aggiunse la pesantissima pressione fiscale imposta dal nuovo Stato per sanare il deficit del bilancio. Tale pressione si abbatté soprattutto sui ceti inferiori tramite imposte indirette, una su tutte la 'tassa sul macinato', che generò forti tensioni sociali. Alle tasse si affiancò anche la leva militare obbligatoria che durava cinque anni e sottraeva braccia valide al lavoro agricolo e alle altre attività da cui contadini traevano beneficio. Oltre che alla fame i contadini erano afflitti da malattie dovute alla denutrizione allo scarso igiene e alla mancanza di assistenza medica. Questi dunque nonostante la creazione di uno Stato moderno è unitario continuavano a vivere nelle stesse condizioni prima dell'unità, rimanendo totalmente estranei al nuovo Stato. Nonostante l'unificazione quindi l'Italia si presentava come una nazione unita dal punto di vista geografico, ma divisa dal punto di vista sociale. Tale disagio favorì l'emigrazione all'estero dei "poveri" in cerca di lavoro.
2 LE IDEOLOGIE
Nonostante i limiti e ritardi mostrati, l'Italia postunitaria credeva in uno sviluppo industriale ed economico che si sarebbe verificato con l'andar del tempo. Soprattutto chi prima dell'unificazione viveva in condizioni pessime. Di fronte all'idea di una modernizzazione economica e sociale si possono individuare tre principali atteggiamenti:
Il primo atteggiamento che diviene corrente di pensiero per tutti gli stadi sociali prende il nome di positivismo. Questa corrente è caratterizzata da tre elementi: materialismo, determinismo, e evoluzionismo. Questi tre elementi hanno come base in Italia il piano economico e sociale, la speranza di un possibile sbocco del capitalismo industriale, provocando inevitabilmente cambiamenti nei modi di vita e di pensare. Tali cambiamenti portano a importanti scoperte scientifiche, alla diffusione dell'istruzione ritenuta necessaria per un possibile sviluppo. Con i positivismo cresce e si diffonde in tutta Europa un clima di fiducia sulle potenzialità dell'uomo. Viene infatti vista con grande apprezzamento la figura dello scienziato, del medico, dell'ingegnere,
del capitano d'industria, ma anche del maestro considerata essenziale per la diffusione della cultura.
L'esaltazione positivista per la scienza poggia su alcune solide convinzioni:
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