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Autore molto importante in quanto con lui il liberalismo viene a coniugarsi con l'altro filone di pensiero che si suole denominare liberismo economico. Da Smith in poi, in effetti il liberalismo politico e il liberismo economico vanno spesso a braccetto.
Smith è vissuto nel XVIII sec., il '700, ed era di professione professore, insegnava filosofia in Scozia. E' molto importante in quanto aveva una serie di allievi che costituirono un vero e proprio gruppo di filosofi che incisero attivamente nella politica inglese del '700.
Siamo nel secolo della nascita dell'economia politica come scienza. Fino a questo momento i filosofi politici non è che avessero attribuito un grande peso all'economia. Nei trattati sullo Stato, fino al '700, non si trovano capitoli dove si parla di economia, al legame del potere politico con il potere economico. Si pensava che la ricchezza di una nazione dipendesse sostanzialmente o dalla potenza dell'esercito, oppure dall' estensione della nazione stessa sul territorio. Più una nazione era grande e più era ricca; più aveva un esercito potente e più era ricca. Si, tutto era legato al meccanismo delle tasse, ma non si era ancora sviluppata l'economia come scienza.
Smith vive nel
'700, che è il periodo della grande espansione commerciale e coloniale di vari
paesi europei, prima fra tutti l'Inghilterra, ma anche
Smith scrive un'opera che si intitola : "Ricerca sulle cause della Ricchezza delle nazioni".
Egli si pone la domanda : "quando una Nazione è ricca?, Quando riteniamo poter definire uno Stato Ricco?"
Secondo Smith, la ricchezza viene determinata da fattori economici, non determinata dall'esercito o dall'ampiezza geografica dello Stato. L'Olanda, per esempio era uno stato molto piccolo.
L'elemento sul quale i teorici della politica non avevano ancora riflettuto, era proprio il capitale, inteso come ricchezza mobile.
Per Smith, dunque, la ricchezza di una nazione deriva sostanzialmente dalla quantità di beni che circolano in quella stessa nazione. E la moneta anche è un bene. Quindi, maggiore è il numero di beni che ricolano in una nazione, e più questa nazione è ricca.
Come si fa allora ad aumentare il numero dei beni che circolano in una nazione
Ovviamente, aumentando la produzione. Per Smith, tutti gli uomini sono portato naturalmente al commercio, ad avviare rapporti economici con altri individui.
Egli infatti parla di "Homo Economicus", l'uomo economico che, anche prima di formare lo Stato, in quella che Smith chiama la società naturale, ha l'impulso a produrre e a mercanteggiare. E' un uomo che mira sostanzialmente al suo utile, al profitto. Questo concetto sarà molto importante per la sua teoria della "mano invisibile" per la quale è ancora oggi molto famoso.
Quindi, la ricchezza di una nazione dipende dalla circolazione dei beni. La quantità dei beni che circolano dipende dalla produzione. E, "come si fa ad aumentare la produzione di beni ?"
La produzione di beni di pende dal lavoro, ed in particolare dal principio della divisione del lavoro.
Nei paesi dove, l'industria si basa sul principio della divisione del lavoro, ci sarà una produzione dei beni più elevata, e di conseguenza una ricchezza maggiore. Egli fa l'esempio della fabbrica di spilli: "io ho visitato una fabbrica di spilli, e ho visto, come, nelle fabbriche lo stesso individuo, segue tutte le fasi di produzione dello spillo, alla fine della giornata si produrranno non più di una certa quantità di spilli. In quelle fabbriche in cui, ciascuna fase di produzione è affidata ad una persona diversa, alla fine si producono centinaia di spilli in più rispetto alla fabbrica precedente."
Secondo lui, quindi, il principio della divisione del lavoro porta ad un produzione maggiore di beni che possono essere venduti, aumentando quindi la ricchezza stessa della nazione.
Come anche Locke, Smith si sofferma molto sulla descrizione della nascita dell'evoluzione dei rapporti economici fra gli individui.
Così come Locke, anche lui parte dal baratto, lo scambio di merce su merce. Sappiamo che il baratto aveva degli inconvenienti, gli stessi che aveva già citato Locke, l'indivisibilità, deteriorabilità, e quindi anche Smith dice che si è voluta creare quella che lui chiama "l'equivalente generale" : la moneta.
E' più o meno la stessa descrizione che fa Locke. Dopodichè, si sofferma sul tema del "valore delle merci". Smith è interessato a scoprire cosa è i valore delle merci e come si crea il valore di una merce.
Quando si parla di valore di un bene, dice Smith, se ne parla in due accezioni:
valore di scambio di una merce;
valore d'uso di una merce
Valore di Scambio di una merce è il potere che una merce ha di acquistare altri beni. L'attitudine che una merce ha ad acquisire una certe quantità di un altro bene;
Valore d'uso, è invece, il potere che una merce ha a soddisfare un determinato bisogno.
Ovviamente, valore di scambio e valore d'uso sono differenti a seconda dei beni. L'acqua ha un altissimo valore d'uso e un bassissimo valore di scambi, non ci compriamo niente, viceversa un diamante ha un basso valore d'uso e un altissimo valore di scambio.
Quale è la misura di un valore di scambio di una merce ?
Da cosa dipende questo potere di scambio di acquistare altre merci
Secondo Smith, all'inizio, nelle società poco civilizzate, la misura del valore di una merce era data esclusivamente dalla quantità di lavoro necessaria a produrre quella determinata merce. In una società di cacciatori, fa l'esempio Smith, se un cacciatore impiegava due ore per cacciare un castoro, e un'ora per cacciare un cervo, determinando un cambio di un castoro contro due cervi.
Ovviamente questo non è più così nelle società dove c'è la moneta e il lavoro come minimo comune denominatore del valore di scambio di una merce, si è trasformata nel prezzo. Infatti, quello che è importante per capire la quantità di un bene che noi possiamo comprare, è il suo prezzo. Il prezzo che deriva da vari fattori: i costi di produzione, il lavoro per produrlo, etc. etc., su questo Smith spende numerose pagine del suo testo.
Ciò che è interessante nelle sua analisi da un punto di vista politico è la distinzione che egli fa tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo.
Lavoro produttivo, è quel lavoro attraverso il quale si produce un bene, o una quantità di beni che possono essere rivenduti, accrescendo il valore del bene prodotto. Il lavoro produttivo aumenta quindi in un certo senso il valore del bene stesso in quanto rivendendolo si fa un ulteriore guadagno;
Lavoro improduttivo è invece quel lavoro che non produce nulla, si esaurisce con il lavoro stesso.
C'è un tipo di lavoro che aggiunge valore al bene lavorato, e un altro che invece non ha lo stesso effetto.
Così, il lavoro di un operaio aggiunge al valore dei materiali che egli lavora il valore del suo lavoro, al contrario, il lavoro del servitore, che pulisce in casa, non aggiunge nulla, si esaurisce da solo.
L'operaio produce un bene che poi venendo venduto produce un ulteriore valore.
Ci sono molte persone in società che svolgono un lavoro improduttivo. Smith, comunque lo considera molto utile, non è che lui lo denigra, vuole unicamente fare una distinzione.
Per esempio, tutti i servizi pubblici, secondo Smith, sono di per sé tutti improduttivi, come anche i militari. Tutti questi lavori, normalmente a carico dello Stato, sono pagati con la produttività degli altri lavori dei cittadini.
Questo discorso porta Smith a descrivere il principio della mano invisibile, per il quale Smith conserva un ruolo importante nella storia. Il principio è spesso anche citato dai nostri politici.
Principio della "Mano invisibile".
E' un principio per il quale, all'interno di uno stato, di una società, gli individui, non sapendolo e non volendolo, cercando semplicemente il loro tornaconto, il loro interesse individuale, realizzano invece il bene della collettività, l'interesse di tutti.
La mano invisibile spinge i cittadini, gli appartenenti ad una società, a trovare il bene della società stessa, pur non accorgendosene. Ciascun uomo, essendo un "uomo economico", tende a migliorare se stesso, e, soprattutto, secondo Smith da buon scozzese, è un miglioramento economico suo e della sua famiglia. Quindi, se ognuno determina un aumento della propria ricchezza, si determina un aumento della ricchezza della nazione, dello Stato.
Smith spenderà molte pagine del suo testo, diversi grafici e diverse equazioni per spiegare il suo concetto. E' chiaro che è una visione molto ottimistica, abbastanza grossolana, una visione del '700.
Comunque, in certi casi è possibile che dal benessere individuale, partendo dagli egoismi individuali, si può realizzare il benessere collettivo. Servono naturalmente dei correttivi.
Chi potrebbe dare i correttivi? Potrebbe essere lo Stato, lo Stato che però, secondo Smith, non deve assolutamente intromettersi nel libero svolgimento delle attività economiche degli individui. Questa è la concezione del liberismo economico di Smith. La mano invisibile si attiva unicamente se ci sono determinate condizioni, prima fra tutte che lo Stato non si intrometta nelle attività commerciali nei cittadini. Oggi diremmo non si intrometta nella politica economica dei cittadini.
Secondo Smith, quindi, lo Stato ha un altro compito, e non rivolgersi al libero commercio. Lo Stato deve esistere, e quali sono i compiti dello Stato secondo lui e secondo tutta la scuola liberale e liberista ?
Molto pochi.
Lo stato sostanzialmente serve proprio a garantire la libertà di commercio dei cittadini; e quindi l'individuo-imprenditore, l'uomo economico, cosa cerca dallo Stato? Cerca sicuramente protezione della sua azienda. Cerca la giustizia, vuole un tribunale al quale appellarsi nel caso di ingiustizia. Vuole essere protetto dalle invasioni straniere, e quindi vuole un esercito. Vuole che esistano dei servizi, quelle che lui chiama opere pubbliche: ospedali, ponti, scuole, etc. etc.
Quindi per la scuola liberale-liberista che nasce proprio nel XVIII secolo, lo Stato dovrebbe avere pochissimi ministeri, è la dottrina del cosiddetto "stato minimo", ancora presente in alcuni testi di economia politica.
Smith non è comunque fautore di un liberismo sfrenato e senza regole, come alcuni affermano.
Smith non va letto sotto una sola ottica, a noi interessa l'ampio spettro.
Uno come Smith, a cui sta a cuore l'economia, è chiaramente molto attento al problema delle tasse.
Le tasse.
Anche nel '700 era un grosso problema, quasi tutte le rivoluzioni avute nel '600 e che si avranno anche nell'epoca di Smith e successivamente, come motivazione avevano sempre alla base il problema delle tasse eccessive: la rivoluzione americana, la rivoluzione francese. Il problema era quello di chi pagava troppe tasse e chi non pagava affatto.
Smith afferma che dovrebbero essere quanto più proporzionali al reddito, alla necessità, e soprattutto devono essere fatte "certe e non arbitrarie". Se lo Stato mette troppe tasse di cui non si capisce l'utilità, l'uomo tenderà ad evaderle. Lo Stato dovrebbe subito spiegare al popolo il significato e il motivo di quella nuova tassa o perché l'ha aumentata, cercando di incidere su quella parte del reddito particolare dei cittadini che dai cittadini stessi è più facilmente trasferibile allo stato.
Il tempo del pagamento, il modo del pagamento, la somma da pagare, tutto questo dovrebbe essere chiaro e semplice per il contribuente e per ogni altra persona. L'incertezza dell'imposta incoraggia l'evasione e la corruzione, come anche un'imposta irrazionale.
Per Smith, quindi, sarebbe meglio, invece che mettere tante tasse basse, metterne solo alcune, ma importanti anche per i cittadini, magari elevandole un poco di più.
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