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TRA COMUNISMO E DEMOCRAZIA: VARIANTI CONCETTUALI DELLA TRANSIZIONE
La nuova ondata di
ideologizzazione degli anni '60 si è mossa lungo cinque grandi direttrici di
sviluppo: la critica della democrazia, l'autoritarismo, il nazionalismo, il
socialismo, il comunismo.
In questo periodo alcuni parlano nuovamente di "senilità delle utopie" e di
"fine dell'era ideologia". Le esperienze storiche dei conflitti della moderna
società rivelano un bisogno di grandi idee e di certezze pseudoreligiose.
Il romanticismo delle teorie terzomondiste ha lasciato dietro di sé l'amara realtà della "dittatura evolutiva": un vero e proprio vuoto ideologico, attraversato da movimenti nazionalisti e socialisti.
L'impressione che anche il comunismo sia ideologico è in fase di disgregazione e va perdendo credibilità.
Il problema della distensione europea sta nella decadenza interna dell'Oriente. Ciò che determina il mondo orientale è la spinta alla modernizzazione.
In realtà assistiamo alla nascita di nuovi fronti ideologici, di Weltanschauungen ecologiche.
La sostanza interna dell'idea edmocratica è matura per affrontare le esigenze complesse di società sviluppate così differenti tra loro? Il comunismo come ideologia ormai classica è realmente al tramonto o si sta soltanto trasformando?
Tuttavia la diagnosi attuale non fa pensare ad una generalizzazione inarrestabile di una concezione non dittatoriale della politica. Non c'è dubbio che è il leninismo, oggi come ieri, a rappresentare il biglietto da visita del comunismo. La sua forza è sempre consistita nel "ricavare risposte concrete dalla manipolazione dialettica di una serie di astrazione".
Si da all'ansia di
emancipazione una dimensione mondiale, facendola apparire contrapposta alla
mera politica di potenza: ecco dov'è la forza d'uro del comunismo leninista.
Il leninismo è servito a fondare una morale "rivoluzionaria" che vedeva nella
lotta di classe e nella vittoria del proletariato la vera via della redenzione
dell'umanità. In base alla visione di Marx, ciascuno potrebbe vivere secondo le
sue capacità e bisogni, e al posto dello Stat osubentra una "associazione nella
quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di
tutti".
Ma nessuna rivoluzione comunista ha esaudito questa auspicabile quanto vaga promessa.
Se la fede danatica ha potuto essere trapiantata per tanto tempo ciò è dipeso dalla lotta "antifascista" che rinnovò la situazione rivoluzionaria nei paesi in via di sviluppo. Ma un'altra causa fu l'instabilità e la debolezza del pluralismo occidentale; la rinascita della democrazia sembrava soltanto un epilogo.
La ricetta leninista era quindi sopravvissuta agli "invecchiamenti" ideologici del culto di Stalin e di Mao. Un altro elemento è la flessibilità tattico-strategica che accompagna la dottrina della rivoluzioen e della dittatura. La dottrina della "coesistenza pacifica" è uno strumento efficace per far rientrare tutto entro lo schema ideologico comunista. La dialettica dei progressi e dei fallimenti non ha limiti preciso: solo il punto d'arrivo (comunista) è e resta certo.
In tal modo ogni socialismo può giustificare tutto facendo appello a Lenin. La "teologia della rivoluzione" insieme alla "teologia della liberazione" vuole fare da ponte: in tal modo la fede comunista e fede cristiana non sono più inconciliabili, anzi la legittimità è anche religiosa.
Le contradizioni del comunismo leninista sono evidenti: come fede progressista tecnocratica è di fronte a tutti i problemi dell'industrializzazione di cui fa carica al capitalismo.
In URSS la speranza ottimistica in una democratizzazione dall'interno del sistema fu una speranza fallace. Il comunismo leninista è la versione più chiusa, più rigidamente tradizionale e al tempo stesso mitico-rivoluzionaria di un sistema di religione politica.
L'ideologia totalitaria marxista-leninista è tuttivia al di sopra di altre ideologie della dittatura: rappresenta il grande polo opposto all'idea di democrazia pluralistica. Anche il modello dell'URSS grazie alla sua ascesa "potente" da paese in via di sviluppo a potenza mondiale.
Mao Tse-tung invece
sostenne l'alleanza tra l'esercito e il popolo (contadino). La via cinese
divenne il modello delle lotte di liberazione del Terzo mondo, Cuba e Vietnam:
rivoluzione agraria e strategia della guerriglia.
Le modificazioni del comunismo assunsero tre forme: una è il "titoismo",
jugoslava di Josip Broz, detto Tito, che creò una variante a carattere
nazionale e autogestionala. La seconda è il "comunismo riformista" contro lo
stalinismo nel 1956 in Ungheria e Polonia, nel 1968 in Cecoslovacchia, per
l'affermazione di un "comunismo dal volto umano" ovvero democratico
(sostenitori: Kolakowski, Nagy, Lukacs, Hegedus, Dubcek, Sik, Kosik, Vakulik).
I loro sforzi ebbero allora scarso successo, anche se la loro azione ha avuto
effetti protratti nel tempo (movimento sindacale indipendente "Solidarietà" in
Polonia). La terza variante, l' "eurocomunismo": limitata ai paesi neolatini
Italia, Spagna e Francia, esso ha sostenuto la conciliabilità tra comunismo e
democrazia occidentale, tra comunismo e pluralismo.
In realtà in queste varianti la fede ideologica e gli obiettivi di fondo non vengono mai messi in dubbio.
Dagli anni '70 in poi la grande idea che ha acquistato peso specifico al livello mondiale è stata quella dei diritti umani. Due punti emergono: la ripercussione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki 1973-6); il rafforzamento della componente "diritti umani" nella politica estera americana.
Nei paesi del terzo mondo le semplici transizioni evolutive hanno portuto ovunque la dittatura autoritaria come forma normale.
Una pietra miliare l'opera imponente di Linz: sulla scia di questa ci si è sforzati di comprendere anche il processo opposto, ossia la possibile transizione dai sistemi autoritari a quelli democratici. Non esiste una regola per questa trasformazione. Tuttavia la loro capacità di adeguamento è aumentata, vi è anche un orientamento sui valori democratici; certo le influenze del marxismo hanno ancora il loro peso e la presenza sovietico-cubana pesa molto.
Ciò naturalmente non vuol dire che assisteremo a transiozioni automatiche da regimi autoritari a regimi democratici.
Di frnte all'esigenza di sviluppare forme autonome, intermedie tra democrazia "capitalistica" e dittatura "socialista".
O' Donnell ha messo in luce i tentativi in parte riusciti del Brasile e dell'Argentina di raggiungere un grado di modernizzazione percorrendo la strada del "regime burocratico-autoritario". Qualcosa di analogo forse anche per la Nigeria. Anche Venezuela e Messico sono tra i Paesi più avvantaggiati. Con il ritorno della Grecia, Portogallo e Spagna alla democrazia, gli anni '70 hanno aperto una prospettiva di transizione.
Venezuela, Perù, Messico, Egitto, Turchia e Filippine sono paesi semiautoritari in via di sviluppo e con problemi interni specifici.
La forza di attrazione del pensiero democratico dipende oltretutto essenzialmente da fattori extrapolitici.
Si delineano cinque grandi sfere tematiche riguardo agli sviluppi ideologici negli anni '60 e '70:
Teorie della violenza e del terrorismo, come punto di vecchi e nuovi modelli di rivoluzione
Nazionalismo classico.
Vecchie teorie dell'imperialismo, come dibattito sull'indipendenza economica.
Ruolo dei modelli di valore etico-culturali ed ecclesiastico-religiosi.
Collocazione nell'ambito del perdurante conflitto Est-Ovest. Tra un vuoto si fanno strada negli anni '80 alcune tendenze che mirano a una revisione dei concetti politici classici. Grazie alla comunicazione e interdipendenza questo mondo è diventato più piccolo e apparentemente anche più controllabile
Anche il vecchio problema tra progresso e guerra è diventato purtroppo quanto mai attuale.
Dopo le guerre dell'
1800 si cominciarono a vedere le possibilità di una moderna guerra di
sterminio.
La convinzione che la religione del progresso e la civiltà industriale moderna
fossero incompatibili con a guerra si rivelò un'illusione.
Progresso attraverso la pace o attraverso la violenza: questo era il problema
che venne posto a tutti i futuri teorici della politica, ma che riguardava
anche l'economia.
L'ascesa del Terzo mondo dipendeva ora anche dal confronto ideologico-militare tra Primo e Secondo mondo.
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