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La formazione intellettuale e Sociale del movimento
L'ordine politico delle società sviluppate dell'Occidente e anche quello di alcuni paesi "satellite" dell'URSS venne scosso in modo simultaneo, negli anni 1967-69, da un movimento largamente spontaneo che aveva per protagonisti soprattutto i giovani, in particolare gli studenti, e nacque proprio all'interno delle università dove le tensioni che attraversavano il mondo accademico sia al suo interno, sia in rapporto al contesto sociale in cui si collocarono, risultarono immediatamente troppo evidenti. La rivolta giovanile si manifestò soprattutto sotto forma di ribellione violentemente critica nei confronti dell'ordine dominante.
In generale, si può sostenere che in contesti sociali dinamici, in cui lo sviluppo economico accresce le chance di mobilità, i sistemi educativi assumono tendenzialmente un ruolo di centrale importanza dato che costituiscono lo strumento primario nell'acquisizione dei requisiti di legittimazione di posizioni sociali di prestigio e potere. Ed è questa la situazione che si presentava in Europa occidentale negli anni Sessanta. Per questo l'istituzione più presa di mira dal movimento fu quella scolastica, attraversata proprio in quegli anni da una profonda crisi. Negli anni del dopoguerra, si verificò un massiccio aumento delle iscrizioni a tutti i livelli dell'istruzione, dalle elementari fino all'università, provocato da cause di ordine demografico, come il baby boom che si era protratto negli USA fino alla fine degli anni Cinquanta e in Europa fino a metà degli anni Sessanta, ma che aveva anche motivi di ordine culturale, sociale ed economico.
In ambito economico saranno i settori produttivi più dinamici ad avanzare le più esplicite richieste di incremento e aggiornamento della qualificazione professionale dei giovani a tutti i livelli, dalla scuola secondaria fino all'università. Nella prima metà degli anni sessanta le politiche scolastiche di paesi come la Francia, l'Italia e la Germania Federale avevano reagito all'aumentata domanda liberalizzando gli accessi (abolendo cioè il numero chiuso in un numero crescente di facoltà), oppure creando atenei in luoghi periferici. Queste misure avevano allo stesso tempo accolto le richieste d'innalzamento del livello di istruzione e contribuito ad acuire la tensione tra una popolazione studentesca in crescita e delle strutture accademiche sempre più inadeguate a soddisfare le nuove esigenze. Accanto agli impulsi provenienti dall'economia e dal mondo del lavoro, contribuivano ad accrescere la richiesta di alta formazione anche gli effetti sociali della crescita economica, in particolare la tendenza, da parte dei giovani degli strati sociali più bassi a perseguire obiettivi di ascesa sociale mediante l'istruzione. Aumentava quindi in maniera esponenziale l'aspirazione al diploma ed alla laurea, visti come titoli di accesso a posizioni privilegiate all'interno della società. Tale "massificazione" produceva immediatamente la svalutazione del titolo accademico, il quale sempre meno poteva essere utilizzato come strumento di selezione sociale. Le diverse tensioni che attraversavano il mondo universitario rimasero latenti per un certo periodo, mentre divennero manifeste nel momento in cui le componenti più penalizzate dalle trasformazioni in corso, cioè gli studenti di "recente formazione" e i livelli più bassi del personale accademico senza prospettive di carriera, iniziarono a rifiutare la situazione.
Non potendosi identificare in un sistema cui avevano avuto accesso al prezzo di un declassamento della posta in gioco, i nuovi protagonisti delle università insorgevano contro i meccanismi che erano alla base del sistema. Al centro delle proteste essi ponevano quella che giudicavano l'origine del problema, ovvero la subordinazione del sapere alle leggi del mercato, mettendo al contempo in discussione i rapporti gerarchici su cui si reggeva il tradizionale livello universitario.
Il mandato politico degli studenti
Sul piano politico va invece considerata la particolare attrazione esercitata, a cavallo tra anni cinquanta e sessanta, dalla nuova sinistra, un orientamento politico che, rigettava entrambi i modelli sociali dominanti, socialismo sovietico e capitalismo statunitense, e che identificava nei gruppi sociali marginali, nelle popolazioni del Terzo Mondo in lotta per l'indipendenza o nei giovani, i nuovi agenti del mutamento. L'espressione "nuova sinistra" venne tenuta a battesimo, nel 1960, da C. Wright Mills, uno dei maggiori sociologi americani e uno degli intellettuali che più influenzarono i movimenti giovanili. Gli elementi di novità nei movimenti giovanili erano molteplici e vari. In primo luogo era ritenuto estremamente importante il riferimento alle lotte dei popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo, dell'Asia e di Cuba. L'Unione Sovietica non veniva più assunta come stato-guida, ma come uno dei garanti, insieme agli USA, dell'ordine da abbattere. In secondo luogo, la nuova sinistra rifiutava la convinzione, comune a tutta la sinistra tradizionale, secondo cui l'evoluzione storica lavorava necessariamente in favore dell'emancipazione del proletariato e dei popoli oppressi. Il timore di una "razionalizzazione" capitalistica che integrasse i ceti proletari dei paesi avanzati nello sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo, sopprimendo ogni spazio reale di dissenso, rendeva la ribellione una necessità morale oltre che un compito politico. Infine, la nuova sinistra era assai diffidente nei confronti dell'organizzazione di tipo leninista e proponeva forme di agitazione e di aggregazione che valorizzassero la partecipazione di massa ai processi decisionali.
Il movimento per i diritti civili negli Usa
Negli Stati Uniti ebbe fondamentale importanza per le origini delle contestazioni il movimento "per i diritti civili", nato nelle università del Nord all'inizio degli anni sessanta, che si era dato come obiettivo essenziale la piena attuazione di quella democrazia americana promessa dalla costituzione, ma negata dalla società degli anni cinquanta attraverso la repressione nei confronti dei comunisti e della sinistra, il militarismo diffuso e la persistenza della segregazione razziale in particolare nel Sud. Proprio negli stati del Sud era venuto a formarsi un movimento nero per l'eguaglianza, diretto dai leader religiosi protestanti delle comunità di colore, che aveva ottenuto un importante successo politico nel 1959, quando la corte suprema americana aveva ordinato la fine della segregazione razziale nelle scuole.
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