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L'idealizzazione dell'infinito




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L'IDEALIZZAZIONE DELL'INFINITO


Il primo a tracciare la via verso l'idealizzazione dell'infinito è, ancora una volta, Kant. Egli aveva inizialmente negato la conoscibilità diretta e razionale dell'infinito attraverso l'esperienza dei sensi, poiché quest'ultimo identificava un'entità che trascende i limiti dell'intelletto, non definibile cioè in modo oggettivo attraverso le intuizioni pure e le categorie trascendentali: una prospettiva che ha pesantemente condizionato l'indagine successiva, favorendo la nascita della concezione "oggettiva" dell'infinito, definito come un attributo dell'universo fisico. L'infinito, per sua stessa natura, va oltre le possibilità della ragione. Tuttavia la sua successiva Critica del giudizio offre l'idea di un infinito non più oggettivo, ma legato al soggetto, al singolo che diviene in grado di provare una sorta di "vertigine dell'infinito".

In primo luogo considera nuovamente il giudizio determinante, ovvero il giudizio sintetico a priori, espressione dell'intelletto e volto a determinare l'oggetto in termini razionali, necessari e universali; a esso contrappone però, come ulteriore componente costitutiva dell'uomo, il giudizio riflettente, nell'ambito del quale il soggetto riflette sulla realtà oggettiva quella che è la propria realtà interiore.

Il giudizio sul bello.

 
In questo modo egli è in grado in primo luogo di porre in accordo la prospettiva scientifica, che considera un cosmo regolato da rapporti necessari, con la dimostrazione della libertà che egli aveva dato nella Critica della ragion pratica; in particolare riconoscerà in tale giudizio l'esigenza dell'uomo di attribuire una finalità alle cose, oltre che una causa

Il sogno dell'architetto - Thomas Cole

 
. Arriverà però a dire come nel giudizio riflettente si esprima anche l'ideale artistico della bellezza assoluta: espressione non più dell'oggetto, ma del soggetto, che la proietta sulla realtà. Tuttavia la bellezza è ancora un'ideale che rientra nell'oggettivazione attuata dalla razionalità: è infatti dotata di forma, si esprime attraverso un'armonia definita da canoni precisi e universali e accomuna nella sua definizione tutti gli individui.

Il monaco sul mare - Caspar David Friedrich

 

.e la sensazione di sublime

 
Le cose cambiano però quando Kant contrappone al giudizio sul bello il giudizio sul sublime: una sensazione non più di armonia nella bellezza, ma piuttosto di smarrimento, di incapacità della ragione di comprendere e determinare ciò che la prevalica per la smisuratezza dell'imponenza o della potenza. Il sublime esprime il limite che la ragione incontra nella sua opera di definizione razionale del tutto, l'esistenza di qualche cosa che supera le sue capacità di concezione: è un'intuizione fulminea, e l'uomo si scopre incapacitato non solo a rivelare in essa un significato oggettivo, ma anche a concepire interiormente, e consapevolmente, qualcosa che si avvicini a essa. La bellezza era precisamente definibile poiché esprimeva l'esistenza di un'armonia tra l'oggetto sensibile e la sensazione interiore suscitata da esso; il sublime esprime invece una disarmonia tra queste due componenti, è l'immagine di un soggetto che si trova smarrito e sopraffatto nel constatare che, nella sua esperienza sensibile, esiste qualcosa che sfugga alla determinazione dell'intelletto.

Nel sublime non esiste più alcuna universalità: in esso il soggetto si trova isolato di fronte a ciò che appare senza forma, davanti a un continuo divenire di percezioni e sensazioni che sfugge alle possibilità della razionalità e che comunica una sensazione di illimitatezza, di infinito. È lo stesso Kant, quindi, ad affermare come l'infinito, impossibile da definire razionalmente, possa in realtà essere intuito, "sentito" dal soggetto quando egli si trova di fronte a ciò che trascende le sue capacità di definizione. Il sublime si identifica con una vera e propria "vertigine dell'infinito", sensazione che è contemporaneamente turbamento di fronte all'essere sopraffatti da ciò che trascende le capacità di definizione ed esaltazione nel rendersi conto di poter intuire e concepire l'infinito: una doppia valenza che getta le basi per la fine della cultura centralizzata sulla ragione illuminista e offre all'uomo quella che, dal nascente Romanticismo, sarà considerata la vera via verso l'ottenimento dell'infinito.

L'INFINITO NELLA NATURA

Il Romanticismo pone infatti al centro della sua concezione proprio il sublime: un sentimento per la prima volta considerato superiore al bello, in virtù dell'incapacità dell'uomo di darne una definizione razionale e della sua tendenza, anzi, a esserne soverchiato e in qualche modo turbato. Nucleo centrale del pensiero romantico è l'insofferenza che l'uomo prova nei confronti della limitatezza della sua esperienza e la sua aspirazione a trovare la realtà autentica, l'Assoluto che rappresenta il suo livello più alto: è un nuovo pensiero che si pone in aperta polemica con l'impostazione razionalistica della cultura illuminista e con la sua idea dell'impossibilità di conoscere e di accedere a ciò che sia altro dal fenomeno. Il Romanticismo cambia il punto di vista, sostenendo come l'impossibilità di concepire l'infinito sia tale per la ragione, ma non per il sentimento: si tratta di una concezione rivoluzionaria, l'affermazione cioè di come il sentimento sia superiore alla ragione e possa aprire la strada verso la conoscenza dell'assoluto.

La grandezza della natura: la via privilegiata per l'Assoluto

 

La natura romantica

 
La sensazione del sublime è ancora una volta fondamentale nel portare l'uomo a realizzare la superiorità del sentimento. Solamente attraverso il sublime egli si scopre come essere superiore alla pura razionalità ed aspirazione all'oggettivazione della realtà, come portatore dell'idea di infinito: un'idea che si manifesta proprio nel momento in cui l'uomo prova emozioni intense e totalizzanti, emozioni che vengono ad esprimere il raggiungimento, l'intuizione o meglio la sensazione immediata dell'Assoluto che si manifesta nella realtà. L'infinito provato dall'uomo attraverso il sentimento diviene quindi intuizione dell'Assoluto. È un assoluto che si esprime, oltre che nel sentimento, attraverso il lavoro creativo dell'uomo, ovvero attraverso le opere d'arte, o ancora nella fede religiosa; ma soprattutto si identifica con la potenza e l'immensità che l'uomo avverte nell'elemento naturale, è l'idea della fragilità e dell'insignificanza di un uomo che si sente soverchiato dalla natura, coincide con una spiritualità che permea la natura stessa.

Paesaggio romantico - Thomas Cole

 
Che cosa è, dunque, l'infinito per i romantici? È ciò che va totalmente oltre la fisicità, la concretezza e la materialità della realtà fisica, esprime la presenza di un'entità che non può essere percepita o definita razionalmente ma solo intuita, colta in fugaci frammenti attraverso una visione "spirituale" della realtà. L'infinito romantico è la sensazione che ci sia qualcosa "oltre", un qualcosa che può essere l'idea del tutto, di una totalità di tutte le cose immanente al concreto, o può essere la trascendenza, l'evasione dalla pura materialità verso una condizione di spiritualità e di idealizzazione. La vita è concepita dai romantici come una continua e strenua tensione verso l'Assoluto, in cui l'uomo rappresenta la realizzazione di un'identità tra finito e infinito: un infinito che non è più l'Essere metafisico, espressione di somma ragione e percepito come conoscenza, ma che appare ora irrazionale, dinamico, in perenne divenire, espresso attraverso l'impeto del sentimento. Un infinito che assume anche un significato estetico nella totalità della natura. Fondamentale per il suo raggiungimento diviene quindi il rapporto intimo e autentico con la Natura: diventare cioè uno con il tutto, trovare il vero rapporto con l'infinito con una natura che diviene espressione del tutto, forza vitale e organica, diretta emanazione dell'Assoluto.

L'idea che la natura sia la via privilegiata per l'Assoluto viene espressa da molti pensatori appartenenti al Romanticismo: in particolare per Goethe, il quale considera la natura come "abito della divinità", e ritiene come non si possa arrivare all'Assoluto se non per la natura stessa, e per Schelling, che vede la natura come vita, come immenso organismo vivente. Nell'evoluzione del Romanticismo, tuttavia, sempre nuove vie si affermeranno come aperture verso l'Assoluto: la poesia, l'arte idealizzata, la religione, addirittura la matematica con Novalis, che vede nell'infinito attuale matematico un'emanazione di una "potenza d'infinito" dell'uomo, in totale identità con l'infinito divino. L'esito a cui si giunge con Hegel richiama addirittura la razionalità, e la ragione diviene un mezzo attraverso cui dare definizione dell'infinito: la sua filosofia vede infatti nell'Assoluto il fine ultimo al quale perviene il processo dialettico di sintesi degli opposti, processo che caratterizza ogni aspetto della realtà e si manifesta nel pensiero e nella natura. Il finito viene ricompreso nell'infinito, e l'identità tra finito e infinito si realizza proprio nella necessità del processo dialettico: ciò definisce un panlogismo hegeliano, pervaso da un'idea di pieno ottimismo.

L'ARTE ROMANTICA: LA NATURA COME ESPRESSIONE DELL'ASSOLUTO

Composizione naturale - Thomas Cole

 
In realtà l'ottimismo finale della filosofia di Hegel non è assolutamente comune nel panorama del pensiero romantico: nella concezione di una vita come perenne spingersi oltre per accedere all'assoluto è infatti dominante un senso di nostalgia dell'infinito, la frustrazione che inevitabilmente accompagna nell'uomo lo stupore della capacità di concepire l'infinito. L'uomo, lo stesso che è in grado di realizzare un identità tra il finito e l'Assoluto, appare ora come un'entità problematica e in conflitto, incapace di porre in accordo la sua natura finita con l'aspirazione all'infinito. È un sentimento di piccolezza dell'uomo di fronte all'elemento naturale che viene pienamente trasmesso, ancora maggiormente che dai pensatori, dagli esponenti della pittura romantica, in particolare Inglesi e Tedeschi. Nei quadri di artisti come Thomas Cole, Caspar David Friedrich e William Turner si può infatti trovare una perfetta rappresentazione dell'ideale romantico della natura.


È una natura che può apparire di volta in volta sotto forma di entità armoniosa o di potenza distruttiva, ma nella quale è sempre possibile riscontrare la doppia valenza di entità dotata di un proprio spirito, di fronte alla quale l'uomo appare infinitamente piccolo, e di identità con la finitezza stessa dell'uomo, che di fronte a essa è egli stesso in grado di avvertire l'infinito. Si tratta di una natura primordiale e arcaica, rappresentata come un luogo possente e smisurato nell'immensità dei suoi elementi, sia come dimensioni che come potenza: le figure umane rappresentate assumono un valore eroico e tragico nella loro solitudine di fronte all'autentica visione dell'infinito, ne sono insieme attratti e intimoriti. Essi assumono in questo i tratti dell'autentico eroe romantico: un viandante solitario, separato dal mondo e allo stesso tempo separato dalla natura, proiettato verso l'Assoluto ma comunque vincolato alla sua natura umana.

Tempesta di neve - William Turner

 

La nave degli schiavi - William Turner

 

Il naufragio del Minotauro - William Turner

 

Mattino sul Riesengebirge - Caspar David Friedrich

 

Il naufragio della speranza - Caspar David                                                          Friedrich

 
In Friedrich, in particolare, si assiste a una piena spiritualizzazione della natura: i paesaggi rappresentati sono interiorizzati, elevati a simbolo di una solitudine di cui l'uomo ha bisogno affinché possa aspirare all'infinito e all'Assoluto in un percorso unicamente individuale e solitario di fronte alla natura. Sono sentimenti evocati attraverso paesaggi struggenti, attraversati da nebbie e nuvole che quasi enfatizzano la loro infinita vastità: in essa Friedrich inserisce uomini in atteggiamenti contemplativi, quasi schiacciati dalla grandiosità dei paesaggi. Si possono vedere tali caratteri specialmente ne "Il monaco sul mare", ne "Mattino sul Riesengebirge", o ne "Il naufragio della speranza": quest'ultimo trasmette l'immagine di una natura asperrima e surreale, di un'infinità che va anche oltre il rapporto con la natura concreta.

Mattino sul Riesengebirge - Caspar David Friedrich

 
Diversa, e ancora più "romantica" è se si vuole la prospettiva di Turner, il quale riproduce non tanto il desiderio romantico di totale isolamento in una natura che si apre come manifestazione dell'Assoluto, ma piuttosto la sua potenza, che lo stesso Turner definisce suprema. Egli vede l'assoluto non più nella vastità, ma nella forza: i paesaggi si dissolvono nella luce e nei colori, e le terrificanti potenze delle forze naturali manifestano pienamente il senso di fragilità di un uomo impossibilitato a dominarla. La ricerca dell'infinito ha qui l'esito della rinuncia alla forma nella rappresentazione: l'obiettivo è la resa del perenne divenire della natura, unica e autentica espressione dell'Assoluto romantico.

LA POESIA DELL'INFINITO: GIACOMO LEOPARDI

Il manoscritto de "L'Infinito" - Giacomo Leopardi

 
L'aspirazione all'idea dell'infinito non si limita tuttavia unicamente all'arte pittorica. Anche la poesia del romanticismo pone infatti in primo piano la resa della suggestione dell'infinito e dell'aspirazione all'assoluto: una suggestione non più colta nell'imponenza della natura in sé contrapposta alla finitezza dell'uomo, ma nell'uomo stesso, nei moti che nella sua interiorità sono suscitati dal sublime e dalla sensazione di infinito. La poesia mira cioè a stabilire l'identità tra uomo e Assoluto ricercando l'infinito non solo esternamente all'uomo, ma anche nella sua interiorità, come parte costitutiva di cui egli stesso è portatore: una ricerca che esprime ancora maggiormente la volontà del distacco dalla limitata realtà dell'esperienza. A tale scopo Giacomo Leopardi può essere considerato il migliore interprete della poetica dell'infinito: esso, nella canzone "L'Infinito", non ha infatti i tratti di Assoluto metafisico, ma assume quelli di sensazione interiore, di un superamento delle barriere della fisicità che, ancor prima che nella natura, si realizza nell'animo del poeta.

Fin dai primi versi si avverte infatti come il poeta si trovi in uno spazio chiuso, limitato, che non permette alla vista di spingersi oltre a contemplare direttamente la natura: una natura che appare limitante, una sorta di prigione per un uomo che aspira invece a spingersi oltre le barriere della fisicità. Ma è proprio in questo che si realizza l'infinito. Il poeta rinuncia infatti al senso della vista, supera la barriera della siepe limitatrice, e nella mente diviene in grado di immaginare "interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete", di intuire cioè l'infinito nello spazio: ed ecco una prima sensazione di sublime, di vertigine, nell'immaginare l'immensità, sublime che si esprime nel "cor che si spaura". Il poeta si rende cioè conto della sua natura finita e avverte pienamente il turbamento dell'infinito; la sua mente, incapace di proseguire nell'immensità degli "interminati spazi", ritorna alla natura, e in particolare alla contemplazione dei suoni che la attraversano.

Tuttavia l'interiorità prende nuovamente il sopravvento: i suoni della natura, avvertiti dai sensi, suscitano l'idea di un infinito silenzio, di un continuo scorrere e divenire della natura, dell'eternità che si realizza attraverso l'eterno avvicendarsi, in un continuo processo di morte e rigenerazione, delle stagioni. Un'eternità che esprime l'intuizione dell'infinito temporale, ma che porta a una nuova e più profonda sensazione di indeterminatezza e di inadeguatezza del proprio animo in quello che diviene un diretto scrutare l'infinito. Il poeta, la sua forza e la sua immaginazione, tutto viene soggiogato dalla potenza dell'infinito: l'animo si perde, costretto a rinunciare alla propria singolarità e di divenire indefinizione di pensieri, "mare" in cui l'individuo naufraga nell'incapacità di definire e comprendere l'infinito. Tuttavia l'esito finale è proprio quello di una sintesi tra finito e infinito, attraverso la quale il singolo perde la propria determinazione, la propria finitezza, per divenire indeterminatezza nell'illimitato mare dell'infinito: e l'ultimo istante di consapevolezza, il "dolce naufragar", diviene somma e assoluta armonia che Leopardi avverte nell'indeterminarsi attraverso l'infinito.


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