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La Somalia
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Denominazione ufficiale: Jamhuuriyadda Dimoqraadiga Soomaaliya Superficie: 637 657 kmq Popolazione: 9.400.000 abitanti Densità: 12 ab./kmq Ordinamento: Repubblica Democratica Presidente: Vacant Primo ministro: Vacant Capitale: Mogadiscio Popolazione della capitale: 700.000 abitanti Lingue: somalo, arabo, inglese, italiano Religione: musulmana Moneta: scellino somalo Economia: prodotti agricoli, raffinerie di petrolio Risorse naturali: Uranio Anno d'indipendenza: 1960 Tasso di alfabetizzazione: 25% Tasso della natalità: 46/1000 Tasso di dissoccupazione: 25% Reddito medio pro-capite: 173 $ |
ASPETTI FISICI
Stato dell'Africa orientale, la Somalia
occupa l'estremità est del continente, denominata Corno d'Africa, che separa
l'oceano Indiano dal golfo di Aden. Confina a Nord Ovest col Gibuti, a Ovest
coll'Etiopia, a Sud Ovest col Kenya e si affaccia ad Est sull'oceano Indiano e
a Nord sul golfo di Aden. Il territorio, diretta prosecuzione orientale
dell'altopiano etiopico, è formato da un vasto tavolato, 600-800 mt, che scende
gradualmente verso una costa bassa, orlata di dune e, localmente, da lagune
costiere. Solo il margine settentrionale del paese è montuoso, con rilievi
fortemente erosi (m. Surud Ad, 2408 m) che scendono a picco su una costa
rocciosa.
A Sud, tra i fiumi Uebi Scebeli e Giuba
(gli unici perenni e di una certa importanza), si allarga una pianura
alluvionale, fertile e intensamente coltivata, chiamata Benadir. Il clima è
equatoriale nel tratto meridionale e subtropicale al Nord e nell'interno. Le
temperature sono elevate e le precipitazioni relativamente abbondanti solo al
Sud, con in media 500 mm annui, poiché i venti monsonici umidi si limitano a
lambire il paese. Alle foreste a galleria del Giuba e dell'Uebi Scebeli si
succedono, verso Nord, solo savane e aride steppe.
POPOLAZIONE E STATO
La popolazione è composta
in larga maggioranza da somali, generalmente pastori nomadi nella parte
centro-settentrionale del paese e contadini sedentari al Sud. La religione
musulmana, praticata dalla quasi totalità della popolazione, è un retaggio
della frequentazione delle coste somale da parte di mercanti arabi, fin dal VII
secolo. La densità di popolazione è complessivamente modesta e si accentua
solamente al Sud, in particolare tra Mogadiscio e Chisimaio e lungo le valli
dei due fiumi principali.
La repubblica democratica che ordina lo
stato, al cui capo vi è il presidente Vacant, che ne riveste anche la carica di
Primo Ministro, è stata gestita in base alla costituzione del 1979 dal comitato
centrale del Partito socialista rivoluzionario somalo, fino al crollo del
regime nel 1991. E' membro dell'ONU, dell'OUA ed è associata all'UE.
E' da notarsi che nella Somalia è
ancora presente la pena di morte, praticata con Fucilazione mediante plotone; i
reati capitali sono Omicidio, reati contro lo Stato, tradimento, spionaggio,
sovversione, sabotaggio, distribuzione di propaganda anti-statale, ammutinamento
e diserzione. Da notarsi il fatto che nell'aprile 1996 e' stata eseguita una
lapidazione: il condannato era accusato di stupro.
ECONOMIA
Per la scarsezza di risorse naturali e
le sfavorevoli condizioni climatiche, la Somalia è uno dei più poveri paesi del
mondo e perciò deve dipendere in misura notevole all'aiuto straniero.
L'economia si basa in prevalenza sull'allevamento nomade (notevole il numero di
caprini, ovini, cammelli e bovini) e sulla produzione agricola. Nelle zone
irrigate del Sud si pratica l'agricoltura di sussistenza (sorgo, mais, manioca,
legumi) e quella commerciale (banane, canna da zucchero, cotone), in
cooperative e in aziende di proprietà dello stato. Le foreste forniscono
legname, gomma arabica, incenso e mirra. Le risorse minerarie sono modeste e si
limitano all'estrazione di sale. L'industria può contare su un cementificio,
una raffineria e alcuni zuccherifici. Operano inoltre piccoli stabilimenti
alimentari (conservazione della carne, oleifici) e della pelle (concerie,
calzaturifici). La rete di comunicazioni interna è molto arretrata.
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La cattedrale di Mogadiscio |
STORIA
Nodo commerciale tra Africa e Asia sin
dall'antichità (testimonianze egizie della V dinastia), la Somalia fu
islamizzata, nel VII secolo, attraverso la fondazione di centri mercantili arabi
(Zeila, Mogadiscio, Brava). La fusione fra semiti e camiti portò alla
formazione del regno di Ifat (secolo XIV), che subì le influenze della vicina
civiltà abissina. L'intera regione fu conquistata dal regno cristiano dello
Scioa (1415) e si riprese con la formazione del regno di Adel (inizio secolo
XVI) e con l'avanzata dei turchi ottomani (1527). Frazionata in potentati
musulmani locali, formalmente dipendenti da Zanzibar (secolo XVIII), entrò
nelle mire coloniali europee in seguito all'apertura del canale di Suez (1869):
nel 1884 la Gran Bretagna occupò Zeila, Bulhar e Berbera (Somaliland),
mentre la Francia si impadronì del Gibuti; la maggior parte del paese divenne
colonia italiana (trattati con i sultani di Obbia e Migiurtinia, 1889; acquisto
dei porti del Benadir, 1892; accordi con la Gran Bretagna, 1905). Sconfitta la
rivolta (1899-1920) guidata da Mad Mullah, la Gran Bretagna rinunciò
all'Oltregiuba in favore dell'Italia (1925). Occupata dalla Gran Bretagna
(1941), fu assegnata dall'ONU in amministrazione fiduciaria all'Italia (1949)
con il compito di guidarne l'indipendenza, conseguita nel 1960. Sotto la spinta
della lega dei Giovani Somali, si formò un governo democratico, rovesciato dal
colpo di stato del generale M. Siad Barre (1969) che istituì un regime a
orientamento socialista e filosovietico. In seguito alla sconfitta nel
conflitto con l'Etiopia per il controllo dell'Ogaden (1977-78), Siad Barre,
sospese le relazioni diplomatiche con l'URSS (1978), portò il paese nell'orbita
occidentale. Dal 1980, nelle province settentrionali è rimasta attiva la
guerriglia antigovernativa, espressione di diversi movimenti di opposizione e
di diverse etnie, che il 27.1.1991, dopo violenti combattimenti, ha rovesciato
il governo e costretto Siad Barre alla fuga. Il governo provvisorio instaurato
non è riuscito a sedare la lotta tra le diverse fazioni che ha portato il paese
in uno stato di gravissima crisi. Il protrarsi della guerra civile e i suoi
devastanti effetti sulla popolazione hanno determinato nel dicembre 1992
l'intervento dell'ONU (operazione Restore Hope) al quale hanno preso
parte contingenti italiani (1993-94); tale intervento, concluso nel marzo 1995,
tuttavia non è riuscito a pacificare il paese.
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Francobollo di Mogadiscio, emesso per promuovere la campagna vaccinazioni. |
La
situazione politica in Somalia verso la fine del 1995 è molto instabile. Tale
Stato si è scisso in due nazioni nel 1991, la capitale, Mogadiscio, è divisa
geograficamente da una 'linea verde' di separazione che la taglia praticamente
a metà. Al suo interno, diversi 'clan' si spartiscono il potere della città; il
Nord, sebbene formalmente sotto il controllo di Ali Mahadi, è nelle mani dei
fondamentalisti islamici, i quali impongono la legge del Shari'a, mentre nel
Sud il Generale Aidid detiene il potere dell'altra metà di Mogadiscio.
Paradossalmente, dopo l'intervento dell'ONU, la situazione politica sembrerebbe
peggiorata. La Somalia ha oggi due Capi di Stato: nel Giugno del 1995 il Gen.
Aidid si è autoproclamato Presidente, affiancando il già Presidente ad interim
Ali Mahdi . I diversi partiti presenti in Somalia sono inoltre divisi al loro
interno: Aidid è stato infatti sfiduciato all'interno dell'USC-SNA (United
Somali Congress-Somali National Alliance) da Ali 'Atto', suo braccio
destro, spinto quest'ultimo da propositi di maggiore cooperazione con le
fazioni rivali.
Per comprendere la natura del conflitto
occorre considerare l'eredità storica e lo sviluppo della società tradizionale
Somala. La popolazione appartiene ad un unico gruppo etnico e condivide
un'unica religione. Non si può quindi parlare di lotte tribali, intendendo con
ciò lotte tra etnie completamente diverse; bisogna invece prendere in
considerazione i conflitti 'classisti' e 'clanici' presenti all'interno della
stessa nazione. La società 'clanica' non è in generale l'anticamera di una
società anarchica e, soprattutto, non sfocia quasi mai in un conflitto.
Infatti, sebbene l'organizzazione socio-politica Somala precoloniale sia
fortemente decentralizzata, esisteva, ed esiste ancora oggi, un efficiente
sistema di regolamentazione fra clan (guurti, o assemblee degli anziani, che
sono i legittimi rappresentanti di clan e sotto-clan).
Le radici della dissoluzione dello
Stato Somalo vanno ricercate nella storia più recente, considerando gli effetti
della dittatura del Gen. Siad Barre (1969-1991), della 'Guerra Fredda', della
gestione degli aiuti Italiani e dell'intervento internazionale. Lo Stato Somalo
ottenne l'indipendenza il 1 Luglio 1960. Nove anni dopo, e più precisamente
nell'Ottobre del 1969, la politica del paese venne stravolta dal colpo di Stato
che portò a capo del paese ('Repubblica Democratica Somala') il Generale Siad
Barre. La seconda metà degli anni sessanta vide l'esercito protagonista sulla
scena politica di tutto il continente Africano; le istituzioni politiche
tipicamente Occidentali lasciate in eredità dal colonialismo erano deboli e non
in grado di funzionare in modo democratico. In questo contesto, l'esercito
rappresentò l'unica fonte di potere proponibile per governare i diversi
Stati.
In Somalia la corruzione e
l'inefficienza del regime parlamentare creò un forte malcontento fra i cittadini, i
quali, accolsero con entusiasmo l'intervento delle forze armate nel paese. Uno
dei primi provvedimenti promossi dal nuovo regime instauratosi fu lo
smantellamento dell'impalcatura costituzionale della 'Prima Repubblica'
(1960-1969), sospendendo la costituzione, sciogliendo l'Assemblea Nazionale, la
Corte Suprema, il Governo ed abolendo la Lega della Gioventù Somala (SYL) e gli
altri partiti. Tutto il potere confluì nelle mani del 'Consiglio Supremo
Rivoluzionario' (SRC), presieduto dal Generale Barre, il quale assunse pian
piano un potere assoluto, ponendosi al vertice di tutte le principali
istituzioni. L'ideologia della nuova Repubblica era basata sul 'socialismo
scientifico' e proponeva una radicale trasformazione della società mettendo al
bando il clanismo ed il nepotismo per far posto al nazionalismo Somalo,
promuovendo un'equa distribuzione delle risorse. I comportamenti tribali
divennero un vero e proprio crimine. Dal punto di vista economico vennero
attuate politiche di espropriazione e di nazionalizzazione che portarono
l'intera economia nelle mani dello Stato, promotore di programmi di
pianificazione centralizzata. Lo stesso Stato intervenne anche nel campo
dell'educazione pubblica, con particolare interesse all'elaborazione di una
lingua Somala scritta in alfabeto latino ed alla diffusione dell'istruzione
primaria. Nonostante le radicali riforme effettuate già nei primi anni
settanta, lo sviluppo economico del paese non venne raggiunto. La 'nuova'
struttura economica ricalcava quella del periodo coloniale, basata
prevalentemente sull'esportazione del bestiame. Il settore agricolo conobbe
inoltre un forte ristagno a causa sia di un'eccessiva burocratizzazione delle
cooperative statali, che di una pesante tassazione inflitta ai contadini, i quali
furono così disincentivati a produrre.
Alla grave situazione economica,
peggiorata dalla siccità che colpì il paese nel 1974-1975, si sovrapposero
altri fattori che determinarono una diminuzione di consensi nei confronti del
regime. I militari, che inizialmente stimolarono la società civile alla
partecipazione politica, si trasformarono in veri e propri dittatori,
reprimendo chiunque si opponeva a Barre. Particolarmente drammatica fu
l'esecuzione nel Gennaio 1975 di dieci leader religiosi islamici a seguito
delle loro proteste contro le riforme governative in contrasto con la legge del
Shari'a. La politica del regime assunse, alla fine degli anni settanta, un
carattere 'pansomalo'. Nella storia politica di questa nazione, nacque il mito
della 'Grande Somalia'; progetto di riunire in un unico Stato i cinque
territori abitati da popolazioni Somale, l'ex British Somaliland (futura
Repubblica del Somaliland), l'ex Somalia Italiana (Benadir e Mijurtinia),
Gibuti (Afars ed Issas), l'Ogaden ed il 'Nothern Frontier District of Kenya'.
Simbolo emblematico del pansomalismo fu la bandiera nazionale: una stella
bianca a cinque punte su sfondo azzurro . Con il regime di Siad Barre, per la
prima volta, la Somalia indipendente si lanciò alla conquista di un territorio
ad essa adiacente: l'Ogaden, regione popolata da Somali Ogadeni (Darood),
concessa all'Etiopia in seguito alla convenzione italo-etiopica del 1908 .
Nella metà delgi anni settanta, Mogadiscio presentò la questione dell'Ogaden
all'Assemblea dell'Organizzazione dell'Africa Unita per poi desistere di fronte
all'opposizione della maggioranza degli Stati membri di quest'ultima. Forte fu
anche la protesta di molti paesi arabi, opposizione che vincolò notevolmente la
Somalia, in quanto membro della Lega degli Stati Arabi dal 1974. Nonostante
ciò, nel Luglio del 1977 l'esercito Somalo, sostenuto dal 'West Somali
Liberation Front' (WSLF) , invase l'Etiopia. L'intento di Barre era quello di
far confluire lo svolgimento del conflitto solamente in territorio Etiopico,
localizzando gli scontri soprattutto nella regione dell'Ogaden. I suoi calcoli
ad ogni modo si rivelarono errati e, nel 1977, la lotta armata ebbe
un'escalation e si estese a livello internazionale, il Corno d'Africa divenne
teatro di scontri tra l'Est e l'Ovest del mondo. Nel 1974 la Somalia stipulò un
trattato di amicizia con l'Unione Sovietica . Sull'altro fronte, con la presa
di potere del Colonnello Menghistu, l'Etiopia ruppe l'alleanza con gli Stati
Uniti. Contemporaneamente con la fine dei rapporti con Washington, l'Etiopia si
legò politicamente all'Unione Sovietica. La guerra quindi in un primo momento
avvenne all'interno della stessa area d'influenza delle superpotenze. Gli Stati
Uniti, non potendo rimanere passivi di fronte ad un eventuale supremazia
Sovietica nel Corno d'Africa, nel Luglio del 1977 autorizzarono la vendita di
armi per soli scopi difensivi allo Stato Somalo. L'America stessa, tuttavia,
con un secondo comunicato, dichiarò la propria volontà di difendere l'unità e
l'integrità territoriale dell'Etiopia, in linea con la politica del Presidente
Carter a favore dei diritti umani. Sfumata la speranza dell'appoggio
Statunitense, la Somalia perse il sostegno anche del suo alleato Sovietico, il
quale non condivise l'aggressione ai danni dell'Ogaden. A maggiore ragione,
l'URSS non potè approvare l'attacco all'Etiopia proprio nel momento in cui
questa sottraeva la propria influenza politica dal dominio Americano. Nel
Novembre del 1977 Barre interruppe definitivamente le relazioni con l'URSS, la quale
si concentrò militarmente in Etiopia. Nel Marzo del 1978 quest'ultimo Stato,
forte dell'aiuto del blocco comunista si reimpossessò dell'Ogaden, costringendo
i Somali al ritiro. Questa sconfitta militare e politica sancì il tramonto del
sogno 'pansomalo'. La Somalia si trovò in seguito al conflitto con l'Etiopia,
isolata dal mondo, senza più forti alleati. In questa situazione di crisi
iniziarono a costituirsi i primi fronti di opposizione militare contro il
regime di Barre. Il primo movimento che si costituì fu il 'Somali Salvation
Democratic Front' (SSDF), nel 1978, promosso dal clan 'mijurtini', seguito
dieci anni dopo dal 'Somali National Movement' (SNM), dominato dalla casata
degli 'Isaak'. La sconfitta dell'Ogaden ebbe gravissime ripercussioni sociali,
una massiccia ondata di profughi Ogadeni (del clan 'Darood') si riversò nelle
regioni Settentrionali della nazione, in territorio 'Isaak', provocando forti
tensioni nel paese, fomentate dallo stesso Barre. L'anarchia che si sviluppò in
tutto il paese testimonia la perdita di contatto fra il Governo ed il popolo:
lo scontro non fu più solo interclanico, ma anche intraclanico . La tensione
non accennò a diminuire nemmeno nel 1990 in seguito all'approvazione di una
nuova costituzione che introdusse un sistema multipartitico nel paese. Barre,
rinunciando alla carica di Presidente del partito unico e proponendosi come
Capo di Stato 'neutrale', sperò di recuperare legittimità e di mantenere il
potere. Ciò però non accadde. L'opposizione acquisì in questo periodo sempre
più forza e sempre più consensi. Il programma politico dei vari movimenti
contrapposti al Governo era basato unicamente sull'abbattimento del regime di
Barre. Lo scontro subì un'evoluzione quando nell'inverno del 1990 a Mogadiscio
il clan 'Hawiye' rivendicò il possesso della capitale iniziando una pulizia
etnica contro il clan 'Darood'. Gli 'Hawiye', popolazione storicamente
insediata nell'area di Mogadiscio, consideravano i 'Darood' doppiamente
invasori: essi non sono gli abitanti originari della capitale e soprattutto non
sono Somali, in quanto di origine Araba. Il 27 Gennaio 1991 Siad Barre fuggì
dalla capitale rifugiandosi nel Sud della Somalia, a Ghedo. Il regime venne
sostitiuto da una debole alleanza istituitasi fra i
diversi movimenti all'opposizione. La riappacificazione non si consolidò; al
contrario, la guerra civile venne ulteriormente alimentata dalla spaccatura
all'interno dell' 'United Somali Congress' (USC). La nomina a Presidente ad
interim di Ali Mahdi non solo non venne riconosciuta dal Generale Aidid, ma
questi a sua volta si fece eleggere Presidente da un congresso riunitosi
nell'Ogaden. Nonostante l'instaurazione di un Governo provvisorio, a Mogadiscio
scoppiò una furibonda lotta iterclanica per la detenzione del potere. Dal momento
in cui Ali Mahdi venne eletto Presidente provvisorio della Repubblica Somala,
ed il Generale Aidid si autoproclamò Presidente di Mogadiscio, incentrando
tutta l'attenzione politico-militare del paese nella capitale, il Nord
beneficiò di una larga autonomia amministrativa, la quale aiutò tale regione a
giungere ad una scissione con lo Stato Somalo. Il 17 Maggio 1991, il Presidente
del SNM proclamò la nullità dell'atto di unione del 1960 e costituì la
'Repubblica Indipendente del Somaliland', con Ahmed Ali Tur come Presidente.
Tale dichiarazione non fu però seguita da nessun riconoscimento internazionale.
La tendenza separatista 'Isaak' ha radici profonde, riscontrabili sin dalla
formazione del SNM nel 1981 . Gli obiettivi principali di tale partito erano il
rovesciamento del regime di Siad Barre e la separazione fra l'ex Somalia
Britannica e l'ex Somalia Italiana. In base alla conferenza di Burao , durante
la quale venne proclamata la Repubblica del Somaliland, al SNM venne affidata
la gestione dei due anni di transizione del nuovo Stato. In questo periodo il
Governo non fu però in grado di trovare una soluzione adeguata ai principali
problemi del paese: (a) la ricostruzione di una nuova amministrazione; (b) il
riconoscimento diplomatico internazionale; (c) il ritorno in patria dei
rifugiati in Etiopia; (d) la costituzione di un esercito nazionale. Questo
fallimento fu causato in gran parte dalle divisioni presenti all'interno dello
stesso SNM e dall'incapacità e dall'incompetenza del Presidente Tur, il cui
progetto politico si limitò alla costituzione di una federazione con il Sud
della Somalia e non alla proclamazione di uno Stato pienamente indipendente. In
particolare si rivelò molto difficile la creazione di un nuovo esercito. Il
Governo era fondamentalmente privo di sufficienti risorse, sia perché mancava
un efficace sistema di tassazione, sia perché non poteva fare affidamento sugli
aiuti esteri, non essendo stato riconosciuto internazionalmente. Nel corso del
1992 il Somaliland fu teatro di scontri fra sub-clan Isaak. Tali lotte
cessarono solamente grazie all'intervento degli elders. Quest'ultima fazione
giocò un forte ruolo politico; essi si inserirono nella guerra in qualità di
portatori di pace. Il potere derivò loro dall'autorità delegata dai vari clan
del Somaliland. I conflitti scoppiati nella regione incoraggiarono gli 'elders'
ad intervenire assumendo il ruolo di garanti del ripristino dell'ordine e del
processo di riconciliazione nazionale. Agli inizi del 1993 si riunì una
conferenza nazionale, durante la quale venne elaborata la struttura per un
'Governo Transitorio'. Quest'ultimo prevedeva: un 'Consiglio degli Elders', un'
'Assemblea Costituente' eletta dal popolo ed un 'Consiglio Esecutivo'. Il 5
Maggio 1993 venne eletto Presidente Ibrahim Egal. Questi era visto dalla
popolazione del Somaliland come una garanzia per la stabilità e la riuscita del
processo d'indipendenza date le capacità dimostrate durante la sua precedente
attività politica (Primo Ministro dello stesso Somaliland durante il Governo di
transizione e Primo Ministro dell'ultimo Governo civile della Repubblica
Somala, dal 1967 al 1969). Lo scopo principale del nuovo Governo era quello di
garantire la sicurezza del paese e di permettere una graduale ripresa
economica. La realizzazione di questa politica era legata alla posizione
assunta dalla Comunità Internazionale, ed in particolare all'offerta di aiuti
promossi dall'ONU. Quest'ultima organizzazione internazionale s'impegnò
direttamente sul campo in seguito all'inizio dell'operazione di peacekeeping
denominata 'United Nations Operation in Somalia' (ONUSOM).
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Un soldato francese delle Nazioni Unite |
L'ONUSOM si sentì legittimata ad intervenire liberamente nel territorio del Somaliland poiché considerò tale regione unicamente come la zona a Nord-Ovest della Somalia, e non come una nazione separata ed indipendente. La missione di peacekeeping intrapresa dalle Nazioni Unite fornì alla popolazione esclusivamente aiuti alimentari, quando il Somaliland, necessitava più che altro di aiuti tecnici, sia per sfruttare le risorse presenti nel territorio, che per creare nuove possibilità di lavoro per la popolazione. Cinque anni dopo la dichiarazione d'indipendenza il Somaliland si sta oggi gradualmente riprendendo dal caos e dalla distruzione causata dalla guerra civile. I colloqui di pace tra il Generale Aidid ed il Presidente Temporaneo della Somalia Mohamed, nonostante la mediazione dell'ONU, subirono un duro colpo nel 1992 e, più precisamente, il 14 Febbraio, in seguito agli scontri avvenuti nella capitale Mogadiscio. Approfittando di una momentanea situazione di cessate il fuoco, il Gentile. Aidid cercò di sorprendere le truppe rivali, scatenando una vera e propria battaglia cittadina. La reazione del Presidente fu violentissima. Ancora una volta il maggiore numero di vittime si contò tra la popolazione civile. Considerando il deterioramento della sitiazione militare in Somalia, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottò una Risoluzione atta ad imporre un embargo militare allo Stato. Nonostante gli sforzi compiuti dall'ONU, dall'OAU, dalla Lega Araba, dalla Conferenza Islamica e dallo stesso clan degli 'elders', il cessate il fuoco a Mogadiscio non venne quasi mai rispettato e le regole ed i provvedimenti Governativi Somali vennero lentamente tutti delegittimati. Il dispiegamento di 28 mila soldati Americani in Somalia effettuato il 3 Dicembre 1992 fu l'ultimo passo mosso dalla comunità internazionale per risolvere i problemi dello Stato Africano. Dopo sei giorni dal loro ingresso sul campo, i contingenti militari Statunitensi e Francesi liberarono la città di Baidoa . Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, adottando la Risoluzione 794 (1992), sancì la possibilità di usare la forza per assicurare la consegna degli aiuti umanitari. La stessa decisione diede vita ad una missione che iniziò effettivamente in data 9 Dicembre 1992 con il nome di 'Restore Hope'. Un anno dopo, i militari Statunitensi ('Unified Task Force, UNITAF), in seguito all'occupazione di Mogadiscio e di altre otto città del Centro-Sud, iniziarono il difficilissimo compito della distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione Somala. Il secondo obiettivo prestabilito dall'UNITAF era quello inerente all'arresto del Gen. Aidid. In base alla Risoluzione 837 (1993) adottata dal Consiglio di Sicurezza, egli doveva essere catturato in quanto ritenuto responsabile dell'uccisione di ventiquattro 'soldati della pace' Pakistani risultata durante il corso di uno scontro a fuoco con i caschi blu. Le parti sono oggi in uno stato di crisi politica, divise l'una dall'altra e divise anche al loro interno. L'SNF ha fallito nel Novembre del 1994 nel'intento di tenere unito il 'Governo Temporaneo'. I più recenti tentativi di instaurare nuovi processi di pace in Somalia, sono promossi dal ceto borghese, preoccupato per lo spaventoso crollo dell'economia e pronto a 'combattere' a sua volta per ristabilire la pace nel paese. Senza più aiuti dalle Nazioni Unite e soprattutto senza più la loro presenza sul campo, i rischi dello scoppio di una nuova guerra civile aumentano notevolmente. A Mogadiscio la sicurezza è instabile. Nonostante ciò, il Generale Aidid ha confermato e reso pubblica la sua intenzione di non volere più l'intervento dell'ONU in Somalia. Nel frattempo la figura di Osman Atto ed i suoi 'seguaci', sta guadagnando sempre più popolarità . Verso la fine del 1995, con l'abbandono della città di Baidoa da parte dei marines Americani si sono riaccesi alcuni tafferugli nella regione. Sia Aidid che il Presidente Mohamad rivendicano il possesso della città, e, lo spettro di ricadere nuovamente in una guerra civile, ricompare drammaticamente all'orizzonte.
USANZE
La vita del nomade nella boscaglia
Quando il bambino della boscaglia raggiunge l'età di sei anni, non viene mandato a scuola come i suoi coetanei in città, ma lo si addestra su come si alleva e si cura il bestiame.
Non appena raggiunge l'età di sette anni, il bimbo apprende, con l'aiuto dei genitori e dei fratelli maggiori, se ci sono, come si allevano gli animali (ovini, bovini, cammelli e equidi) e come ci si difende dalle bestie feroci e dal furti di animali. Dove c'è la scuola coranica, il bambino alla stessa età deve imparare il Corano. Analogamente la bambina viene istruita su come sorvegliare gli animali piccoli, ma per lei non è prevista la scuola coranica. Una volta resi esperti del loro ambiente, i ragazzi vengono addestrati all'uso dell'arma bianca (coltello e lancia) e alla lotta.
Ogni membro della società nomade vuole avere animali di sua proprietà. Ma ci si può chiedere come possa avvenire che un bambino, come spesso accade, diventi padrone di una grande quantità di bestiame. La risposta è che quando nasce, i genitori gli danno in dono, secondo l'uso tradizionale, una mucca, una capra o una cammella e il suo cordone ombelicale viene legato ad essa. Tutti gli animali che nasceranno da questa femmina e i figli dei figli apparterranno al bambino. Così, in qualche modo, con la nascita, il bambino dà inizio a un nuovo gregge.
Prima di dire chi sia il proprietario della capanna, dobbiamo parlare di chi la costruisce. Pochi giorni prima del matrimonio, i parenti della novella sposa raccolgono tutti i materiali con cui la capanna sarà costruita: stuoie, principalmente e i tronchi portanti e provvedono alla costruzione di essa. Né lo sposo invece, né la sua famiglia se ne occupano. Solo qualche volta il padre dello sposo se è un bravo scultore, o intagliatore, costruisce e incide recipienti in legno, ma null'altro che riguardi l'abitazione degli sposi è di sua competenza. La ragazza prima del matrimonio deve farsi la capanna anche in previsione del fatto che un giorno sarà madre e in essa nasceranno i suoi figli. Ma non cesserà mai il suo obbligo di provvedere ad essa anche negli anni successivi perché i primi materiali che sono stati usati per costruire possono usurarsi e vanno man mano cambiati e sostituiti con altri nuovi.
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Collane cerimoniali somale |
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APPELLO PER LA VERITA' E
LA GIUSTIZIA
Organizzato da: Lega Italiana per i
Diritti dei Popoli, Lavori in Corso, Dare Voce al Silenzio degli
Innocenti
ILARIA ALPI e MIRAN HROVATIN
Mogadiscio (Somalia) - 20 marzo 1994
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin partono
l'11 marzo 1994 dall'Italia, diretti in Somalia per un'inchiesta circa la
cooperazione italiana in quel paese, come testimoniano alcuni appunti trovati
in un cassetto della sua scrivania nella redazione del TG3 a Saxa Rubra.
Durante i primi due giorni si recano,
insieme ad altri giornalisti e accompagnati dal contingente italiano a visitare
ospedali gestiti da organizzazioni non governative italiane. Ma, come riportato
dalle dichiarazioni di Amedeo Ricucci, giornalista di Avvenimenti, Ilaria e
Hrovatin non si accontentano delle visite 'guidate' e vorrebbero
'capire come reagiva la Somalia 'profonda' al rientro dei principali
contingenti dell'Unosom italiani ed americani in testa', andando in giro e
parlando con la gente. Ilaria tenta, invano, con più di un giornalista, di
organizzare una intervista con il generale Aidid; chiede a Benni
(corrispondente dell'ANSA) e a Lasorella (giornalista del TG2) di recarsi con
lei a Bosaso, che non possono accompagnarla per altri impegni. Della partenza
di Ilaria e Miran per Bosaso era al corrente anche Giancarlo Marocchino, un
italiano residente a Mogadiscio, che svolge attività di autotrasportatore. Il
16 marzo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin partono per Bosaso con un aereo
dell'Unosom. A Bosaso la cooperazione italiana aveva gestito parecchi programmi
di aiuti umanitari e, sempre a Bosaso, erano attraccate due delle navi donate
dalla cooperazione italiana alla Somalia, in quel momento sequestrate da pirati
somali. Il capo dei sequestratari, Abdulamid Mohamed, in un'intervista di
Maurizio Torrealta del TG3, ha detto che le navi (la Faarax Omar e la Osman
Gedi Cusman) della compagnia Shifco erano state sequestrate perché pescavano
illegalmente nelle acque territoriali somale. Ilaria è la prima giornalista a
rendere noto questo sequestro. Con Miran tenta, invano, di intervistare i tre
marinai a bordo del peschereccio Faarax Omar; riesce, invece, a intervistare il
Sultano di Bosaso, Abdullay Moussa Bogor, che fa, tra l'altro, sorgere il
sospetto che le navi in questione fossero implicate nel traffico d'armi. Di
questa missione a Bosaso restano anche alcuni filmati e le interviste al
Direttore del porto, al Capo dei servizi sanitari, ad Africa 70, al
Rappresentante dell'ONU a Bosaso. Il 20 marzo alle ore 13.30 Ilaria alpi e
Miran Hrovatin ritornano da Bosaso a Mogadiscio con un aereo Unosom. Poco prima
delle 14 rientrano all'Hotel Shafi (Mogadiscio sud), depositano il materiale,
fanno la doccia e cambiano i vestiti. Ilaria Alpi, da vari giorni assente da
Mogadiscio, parla con gli inviati di AFP e AP per avere degli aggiornamenti
sulla situazione. Chiama con il satellitare la madre e la redazione del TG3,
chiede conferma del collegamento satellitare e concorda un pezzo per l'edizione
delle ore 19. Alle ore 14.45 circa Ilaria e Miran salgono in macchina: con loro
un solo uomo di scorta armato di kalashnikov. Miran Hrovatin è al fianco
dell'autista e Ilaria Alpi siede dietro l'autista, accanto alla scorta. Il 20
marzo 1994 alle ore 15 circa la giornalista Ilaria Alpi e l'operatore Miran
Hrovatin , in servizio in Somalia per il TG3, perdono la vita in un attentato.
La ricostruzione dei fatti
Alle ore 15 avviene l'attentato, sulla
cui dinamica le notizie sono discordanti. Nella primissima versione è detto che
Ilaria e Miran sarebbero stati inseguiti con una Land Rover blu con a bordo sei
somali i quali avrebbero bloccato la loro macchina, spalancato lo sportello
della loro automobile e quindi fatto fuoco. Da nuove indagini e dai dati
raccolti dalla Commissione di inchiesta, risulta invece che Ilaria e Miran
(alle ore 15 circa) siano arrivati all'Hotel Amana (Mogadiscio nord) [Ilaria
avrebbe preso un té al bar] e che solo all'uscita dall'albergo sia avvenuto
l'attentato. Da notizie successive si è saputo che oltre ai sei assalitori era
presente anche una settima persona con divisa della polizia somala.
Ufficialmente il susseguirsi degli eventi è documentato dalla relazione del
dottor Giovanni Porzio (giornalista di Panorama) in possesso del PM Andrea De
Gasperis: Porzio, avvertito dell'accaduto da Giancarlo Marocchino, in base a quanto
appreso racconta che 'il personale di sicurezza dell'Amana esce e spara di
corsa verso il commando somalo, che si dilegua. I guardiani si precipitano al
porto e chiedono soccorso ai caschi blu nigeriani senza successo. Ma non
desistono. Nuovo tentativo alla sede del Cisp. Questa volta via radio riescono
a mettersi in contatto con Marocchino: 'Hanno ammazzato due italiani
all'Amana!'. Il faccendiere italiano va immediatamente sul posto. Sono passati
venti minuti, forse qualcosa di più, dall'agguato'. Alle ore 15.30 circa,
Giancarlo Marocchino avverte i giornalisti Giovanni Porzio e Gabriella Simoni,
da lui alloggiati, pregandoli di portare una macchina e la scorta davanti
all'Hotel Amana. Alle 15.45 i due giornalisti sono sul posto dell'eccidio. Gli operatori
della televisione ABC filmano l'accaduto. Marocchino informa l'ambasciatore
italiano Mario Scialoja, alloggiato in un Compound dell'Unosom, il quale
dichiara di non poter intervenire perché privo di automezzo e della scorta. In
quel momento a Mogadiscio erano presenti circa 9000 caschi blu e proprio vicino
al luogo dell'attentato c'era una pattuglia di soldati italiani (come da
dichiarazione del colonnello Vezzalini capo di Stato Maggiore delle forze ONU a
Mogadiscio Unosom 2).Marocchino avverte anche il Comando militare italiano.
Dalla sua dichiarazione si apprende inoltre che il colonnello Cannarsa a cui
viene richiesto l'invio di aiuti militari, propone al Marocchino di caricare i
corpi in macchina e portarli all'aeroporto. Sempre secondo le dichiarazioni di
Marocchino, Ilaria Alpi è ancora viva, quindi egli decide di portarli al Porto
vecchio dove sarebbe atterrato un elicottero con a bordo un sanitario militare.
Alle ore 16 (50 minuti circa dopo
l'attentato) viene praticato un inutile tentativo di rianimazione. L'elicottero
porta Ilaria e Miran sulla nave Garibaldi; successivamente i loro corpi vengono
riportati a Mogadiscio in una camera mortuaria in attesa di rientrare in Italia
con mezzi militari e civili italiani.
Il giornalista Vittorio Lenzi, della
televisione svizzera di Lugano, recatosi sul posto dell'attentato, intervista
Giancarlo Marocchino di ritorno dal porto vecchio dove aveva trasportato i
corpi. Al giornalista Marocchino dichiara che Ilaria Alpi 'è andata dove
non doveva andare' e quando gli viene chiesto se si tratta di un delitto
politico, risponde che 'con il tempo lo si saprà'. Lenzi denuncia
l'assenza totale di autorità civili e militari, interroga la guardia del corpo
e, infine, recupera un proiettile estratto dal sedile della macchina che fa
pervenire ai genitori di Ilaria Alpi, i quali lo consegnano al PM De Gasperis
per perizia balistica.
Da tutto ciò si evince che non è stato
messo in atto nessun adeguato intervento sanitario immediato ricordando,
inoltre, che nessuno era a conoscenza dell'esatta entità delle ferite riportate
dai due giornalisti. La mancata presenza di autorità civili e forze militari
sul posto dell'agguato ha vanificato una regolamentare inchiesta: rilevamenti
balistici, misurazioni, eventuali reperti, foto e interviste a testimoni
oculari.
Interrogativi irrisolti
Quale è stato il ruolo di Giancarlo
Marocchino in Somalia? Il generale Carmine Fiore ha dichiarato che il
Marocchino è un personaggio che dispone di una forza armata personale di almeno
400 uomini e che ha reso grandi servizi al corpo di spedizione italiano in
Somalia.
Nell'ottobre 1993 fu però espulso dalla
Somalia dagli americani per sospetto traffico d'armi. Giunto in Italia fu
interrogato a Roma dal giudice Saviotti e, dopo una breve assenza, ricomparve
in Somalia. Come mai l'autorità giudiziaria non fu avvertita tempestivamente
dell'arrivo delle salme in Italia? Le salme giungono all'aeroporto di Ciampino
alle 2 di notte del 22 marzo. La salma di Ilaria Alpi viene trasferita prima
nella camera ardente allestita a Saxa Rubra per le onoranze funebri svoltesi
alle ore 14 del 22 marzo, poi al cimitero di Porta Nuova. È solo grazie
all'attenzione di un funzionario cimiteriale che viene richiesto l'intervento
del Magistrato e del medico legale, che possono così procedere al
riconoscimento della salma e al riscontro delle ferite riportate; se ciò non
fosse avvenuto, De Gasperis ha dichiarato che avrebbe dovuto richiedere la
riesumazione del corpo. Grazie all'esame della salma il PM De Gasperi ha potuto
dichiarare che si è trattato di una esecuzione premeditata, come già era
risultato dal rapporto Italfor. Anche il colonnello Shermake, della polizia
somala, preposto alle indagini sull'assassinio di Ilaria e Miran non ha dubbi
sulla volontarietà dell'esecuzione; le cause dell'assassinio, secondo Shermake,
sono da 'ricercarsi nell'ambito dell'attività giornalistica che Ilaria
Alpi stava svolgendo in Somalia indagine sui fondi Fai stanziati durante il
regime di Siad Barre dal governo Craxi'. Il generale Carmine Fiore,
all'epoca comandante del Contingente italiano in Somalia, è a conoscenza di
fatti ancora non noti? Il 20 maggio 1994 i genitori di Ilaria Alpi ricevono una
lettera del generale Carmine Fiore della Brigata Mecc. Legnano di stanza a
Bergamo. In questa lettera si dice che i corpi sono stati recuperati dai
carabinieri; che un carabiniere ha preparato i bagagli; che ai genitori è stato
consegnato l'elenco degli effetti personali di Ilaria. I genitori di Ilaria
Alpi segnalano, invece, che le affermazioni sopra citate non corrispondono a
verità. Infatti nessun carabiniere ha recuperato i corpi; nessun carabiniere si
è recato all'Hotel Shafi per preparare i bagagli; a loro non è stato consegnato
nessun inventario degli effetti personali di Ilaria. L'inventario è stato
inviato attraverso telefax solo il 19 maggio 1994, alle ore 17.33, dal Comando
Brigata Mecc. di Bergamo su richiesta del giornalista Maurizio Torrealta del
TG3. A preparare i bagagli di Ilaria e Miran sono stati Porzio e la Simoni, che
hanno anche filmato la scena
Chi ha tolto i sigilli al materiale di
Ilaria e Miran e ha avuto interesse a sottrarre alcuni documenti?
Dai filmati girati da Porzio e dalla
Simoni mentre preparavano i bagagli di Ilaria e Miran risulta che sul tavolo si
trovavano 5 block notes, di cui uno totalmente annotato. I block notes sono
stati messi in una borsa insieme agli effetti personali, e portati sulla nave
Garibaldi, dove secondo il racconto di Porzio 'alla presenza del generale
Fiore e del colonnello Cantone' è stato visionato il materiale girato e
gli appunti di Ilaria 'per reperire eventuali indizi. Poi il materiale è
stato inventariato e sigillato dal commissario di bordo in mia presenza'.
All'arrivo in Italia quel materiale non reca alcuna traccia dei sigilli. Dei 5
block notes (2 con appunti e 3 non scritti), dei fogli e fotocopie varie ai
genitori di Ilaria vengono restituiti solo 2 block notes, di cui uno non usato
e uno con pochi appunti; mancano totalmente i fogli e le fotocopie varie.
Allo stato attuale nessuno conosce lo
stato delle indagini espletate dal PM Andrea De Gasperis della Procura di Roma,
preposto alle indagini sull'omicidio di Ilaria e Miran.
Occorre segnalare il particolare
impegno della Commissione d'inchiesta 'sull'attivazione della politica di
cooperazione per i paesi in via di sviluppo' che ha già interrogato molti
personaggi a conoscenza dei fatti.
Dopo molte difficoltà e 'il freno
e gli ostacoli posti alla missione da parte del Ministero degli Esteri che non
ha messo a disposizione i propri mezzi', come dichiarato da un membro
della Commissione, una rappresentanza della stessa ha raggiunto Mogadiscio per
raccogliere ulteriori notizie attraverso l'interrogatorio di personaggi
italiani e somali presenti al momento dell'eccidio. Si rafforza l'idea che si è
trattato di un'esecuzione premeditata e mirata.
Capo della guerriglia somala svela al
Tg 3 un 'business' tra Merca e Gaeta
«Ilaria Alpi sapeva troppo» Traffico
d'armi dietro il delitto?
Roma Un testimone conferma al Tg3:
«Ilaria Alpi venne uccisa per un traffico d'armi italiano». Ma c'è di più: il
comandante di una nave italiana sequestrata in Somalia, Nazareno Fanesi,
avrebbe rivelato al suo sequestratore, Gear Abdullay, che la cronista e l'operatore
Miran Hrovatin furono uccisi perchè non si scoprisse la verità su armi portate
da «un gruppo italiano, come il Sisde o qualcosa del genere». I due dunque
furono uccisi perchè sapevano troppo. Gear Abdllay è un ometto piccolo ma
grintoso, con il pizzetto, capo di un gruppo di guerriglieri locali che avevano
sequestrato una delle navi di una flotta donata dalla cooperazione alla
Somalia.
Ilaria, prima di morire, stava
indagando proprio su quelle navi e sui loro misteriosi carichi, «come emerge dai
blocchetti di appunti superstiti (due sparirono nel nulla e le autorità
militari che si occuparono del trasferimento delle salme ne hanno sempre negato
l'esistenza)», ha detto ieri nell'editoriale al Tg3 il direttore Italo
Moretti.
«Nazareno Fanesi, il capitano della
nave sequestrata - ha confermato Gear Abdullay al microfono di Maurizio
Torrealta - ci disse che un gruppo italiano, come il Sisde o qualcosa del
genere, che svolgeva operazioni di intelligence insieme a Mohamed Schek Osman,
un ex ministro delle Finanze somalo, trafficavano in armi e le spedivano a
Merca da Gaeta e da altri paesi con la nave madre della flotta». Proprio a
protezione di quel traffico top secret sarebbero stati uccisi i due
giornalisti. A dirlo ad Abdulay sarebbe stato proprio Fanesi. Giacchè lo stesso
testimone ricorda di avere saputo delle indagini sulla morte della giornalista
mentre era a bordo della nave. «Mi disse - ricorda il testimone - che erano
stati uccisi perchè non si scoprisse la verità sul traffico di armi portate dal
gruppo italiano». Da Bosaso, dove il Tg3 ha ripercorso tutte le tappe
dell'ultima inchiesta di Ilaria Alpi giunge dunque una conferma alla tesi
sostenuta con vigore dal padre della ragazza.
Una conferma a questa tesi è arrivata
una settimana fa, quando i sette parlamentari della commissione d'inchiesta
sulla cooperazione italiana sono stati bloccati proprio mentre cercavano di
capire qualcosa sulla vicenda Alpi. Tra un rinvio e l'altro deputati e senatori
non sono riusciti a parlare con nessuno. Anzi, uno dei personaggi chiave,
l'imprenditore italiano Giancarlo Marocchino, che vive a Mogadiscio e può
contare su una scorta di 400 uomini (gli stessi che difesero Carmen Lasorella
durante l'agguato in cui perse la vita un operatore), dice di non potersi
muovere e non va ad Addis Abeba incontrare i parlamentari. Dopo aver denunciato
di essere stato vittima di un attentato e di un incendio, Marocchino, che
potrebbe sicuramente dire molto, anche sulla cooperazione italiana, si smarca.
Un altro mistero in terra d'Africa.
Etnicità ed impoverimento:
LA DIMENSIONE CULTURALE DEL SOTTOSVILUPPO Critica allo sviluppo ed al
sottosviluppo
CRITICA
ALLO SVILUPPO ED AL SOTTOSVILUPPO
Il concetto di sviluppo è uno dei
concetti fondamentali non soltanto della teoria economica sia nella versione
liberale sia nella versione marxista. Uno dei problemi fondamentali che notano
sin dall'inizio coloro che hanno la possibilità di lavorare a stretto contatto
con le popolazioni del terzo mondo è la difficoltà nel comunicare il concetto
di sviluppo, nel senso che per noi l'idea di sviluppo è talmente acquisita,
talmente impregnata nel nostro modo di vedere non solo l'economia ma la vita in
generale che riesce estremamente difficile capire come mai e perché il
sottosviluppo non viene compreso, perché i progetti di sviluppo non vengono
compresi da quelli che dovrebbero beneficiarne.
Si tratta allora di premettere a
qualsiasi analisi del sottosviluppo un ragionamento su cos'è lo sviluppo.
L'idea di sviluppo è una idea piuttosto recente ed è un idea che è legata allo
sviluppo del sistema capitalistico, cioè il processo di industrializzazione che
dalla fine del '700 fino ad oggi è venuto maturando in Europa, è intrinseca
all'idea di evoluzione, cioè all'idea che la società si evolve attraverso una
serie di stadi, teoria della modernizzazione.
Si legge la storia grosso modo in
questi termini: si dice c'era una volta il mondo primitivo che viene
raffigurato anche sui testi scolastici e nelle facoltà universitarie (in
particolare quelle economiche) come un periodo di stagnazione economica in cui
gli uomini a diverse latitudini e longitudini vivevano in condizione di estrema
povertà. Viene trasmessa un'idea di un lunghissimo periodo storico durante il
quale la gente viveva di caccia, di raccolta o di forme molto rudimentali di
agricoltura che mantenevano popolazioni ai bordi della miseria. L'idea che uno
si fa anche osservando i testi più semplici delle scuole elementari è quella di
una permanente lotta contro la possibilità di morire ed è quindi implicita, in
questa visione, l'idea di una difficoltà economica strutturale alla povertà
agricola, alla povertà del vivere nella società rurale.
L'evoluzione viene raffigurata come la
progressiva liberazione della società umana da questo tipo di vincolo e quindi
come la capacità di produrre maggiore energia e di svilupparsi. Bisogna fare
attenzione perché dal punto di vista squisitamente tecnologico non c'è dubbio che
esiste un evoluzione di tipo lineare, nel senso che per arrivare al computer
bisogna essere passati attraverso un processo di industrializzazione che
presuppone un processo di accumulazione, cioè esiste una linearità all'interno
dello sviluppo tecnologico che non consente di far dei salti, non si passa
dall'età del bronzo all'età dell'informatica in un colpo. E' necessario un
processo di sviluppo tecnologico lineare.
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Alcuni soldati somali |
Nella nostra
visione di sviluppo però l'evoluzione tecnologica è connessa ad una evoluzione
più generale, cioè si dice: siccome noi siamo riusciti a mettere in piedi una
società tecnologica altamente sviluppata ed altamente raffinata ciò implica
automaticamente che noi siamo più sviluppati anche da tutta una serie di punti
di vista che hanno poco a che vedere con lo sviluppo tecnologico. Per esempio
si è convinti che nel termine stesso di civile - civilizzato è implicito il
concetto che noi siamo riusciti ad evolversi anche da un punto di vista morale
etico, per cui è un assioma che per esempio la condizione dell'infanzia o della
donna è sicuramente più evoluta nelle nostre civiltà rispetto a quella delle
società extraeuropee. Questo è un assioma dal punto di vista dell'ideologia
dello sviluppo è un qualcosa di indiscusso, è qualcosa che l'antropologia dello
sviluppo mette in discussione nel senso che non è dimostrabile scientificamente
che l'evoluzione tecnologica implichi una evoluzione di tipo sociale e
culturale. Cioè non è vero che la crescita della capacità di trasformare il
mondo con strumenti equivale a una crescita culturale.
La rottura del paradigma dello sviluppo
fissa questo primo punto: non è detto che lo sviluppo tecnologico implichi uno
sviluppo sociale e culturale. Questo è un qualcosa di assolutamente
rivoluzionario rispetto al modo che comunemente si ha di concepire la vita ed è
qualcosa che mette in discussione il nostro stesso approccio al problema del
sottosviluppo perché se non è vero, come gli antropologi sostengono, che lo
sviluppo tecnologico implica lo sviluppo culturale, allora non è vero
specularmente che il sottosviluppo sia uguale al sottosviluppo sociale e
culturale.
Nell'idea di sviluppo è però implicita
un'altra tendenza che è la tendenza all'esportazione della nostra visione delle
cose, cioè siccome noi ci consideriamo comunque i più sviluppati
tecnologicamente, culturalmente, socialmente e moralmente ci sentiamo in dovere
di esportare il nostro sviluppo oltre frontiera verso coloro che sono
sottosviluppati. Anche nelle menti più pure dei cooperanti o dei volontari
questo dato è difficilmente discutibile, nel senso che è dato per scontato che
noi dobbiamo andare a portare sviluppo, gli antropologi dicono che questo non
deve essere dato per scontato, nel senso che nessuno ci ha chiamati, nessuno
tra le persone che sono state negli ultimi 20 anni a fare cooperazione allo
sviluppo nei paesi del terzo mondo in realtà è stato chiamato a fare
cooperazione allo sviluppo, ci è andato perché un movimento di pensiero, un
movimento culturale all'interno della sua società l'ha spinto in quella
direzione.
E' difficilmente dimostrabile che nelle
società del terzo mondo ci sia stata una richiesta a di cooperanti, di
volontari o di personale del ONU affinché fossero sviluppati dei progetti. Di
fatto è un movimento che è nato e cresciuto all'interno della nostra società
che volenti o nolenti è stato imposto, questo deve essere chiarito perché altrimenti
sembra che noi andiamo a fare progetti di sviluppo perché siamo stati chiamati.
Siamo chiamati in realtà solo ed
esclusivamente dalla nostra cultura dello sviluppo e la nostra cultura dello
sviluppo in realtà cozza con una cultura dello sviluppo che è diversa. Diversa
nel senso che noi partiamo dal presupposto che comunque è un bene che ci sia
una accumulazione materiale, è un bene che ci sia un progresso tecnologico e ci
ritroviamo ogni volta che andiamo a fare progetti di cooperazione di fronte al
fatto che molte società in maniera esplicita od un maniera tacita rifiutano
questo tipo di atteggiamento. Il fallimento di molti progetti di sviluppo in
realtà non è altro che questo, è il rifiuto nostro approccio allo
sviluppo.
C'è un mito, tutte le società dal punto
di vista antropologico si fondano su dei miti elaborati in forma semplice o
complessa, in forma religiosa o secolarizzata, però tutte le società si reggono
su di un mito culturale, il concetto dello sviluppo si fonda sul mito del progresso,
sull'idea che l'evoluzione tecnologica costituisca un bene di per se, un valore
morale.
Oggi questo viene messo fortemente in
discussione non solamente dalle persone che alla luce dell'esperienza operativa
nel terzo mondo arrivano a mettere in discussione questa idea, ma è messa in
discussione anche da tutta una serie di approcci teorici di antropologi, di
coloro che si avvicinano ecologicamente al problema dello sviluppo, da una
serie di docenti universitari. L'idea dell'eco-sviluppo contiene questa critica
fondamentale al mito del progresso.
Noi dovremmo dimostrare ogni volta che
affermiamo: il progresso è un bene; in realtà non dimostriamo nulla lo diamo
per assodato, su di una base di assiomi noi procediamo a ricostruire
cognitivamente il mondo. Diciamo: siccome esiste il progresso ed è un bene, è
necessario che sia un bene anche per gli altri e quindi ci dedichiamo ad
esportare il progresso. Questo è un approccio fortemente ideologico, nel senso
che non ha un fondamento scientifico.
Gli antropologi sostengono che l'idea
stessa di sottosviluppo è una idea altamente inefficace per spiegare i processi
storici che sono avvenuti nei paesi del terzo mondo. E' il nostro modo di
leggere la storia alla luce del mito, con cui noi la interpretiamo ed alla
fine, se guardiamo gli stessi risultati dei progetti di sviluppo delle campagne
di pianificazione per lo sviluppo sia su piccola che su grande scala, da parte
di ONG. o del ONU, di governi piccoli o grandi, ci ritroviamo con un cumulo di
fallimenti, quasi sempre i progetti di sviluppo si sono risolti in fallimenti.
Se il concetto di sottosviluppo non è sufficiente, perché non è
scientificamente capace di spiegare i processi storici e non è capace di
realizzare i progetti di sviluppo che si prefigge, si tratta di trovare delle
nuove categorie, cioè dei nuovi concetti che ci consentono di leggere le
situazioni del terzo mondo.
CONCETTO DI DESTRUTTURAZIONE
SOCIALE
Il concetto di destrutturazione trova
uno dei suoi primi teorici in un antropologo e storico Francese che si chiama
Nathan Wachtel (insegna alla scuola di alti studi di Parigi). Nathan Wachtel,
studiando in mondo andino e il processo di conquista da parte dei colonizzatori
spagnoli, sostiene che una volta arrivati i colonizzatori a contatto con le
popolazioni governate dall'impero Inca, si verificò un processo di
disorganizzazione sociale che non è stato solamente un processo di
disarticolazione della struttura politica, non soltanto i colonizzatori
spagnoli sono arrivati ed hanno smontato il governo esistente ed hanno
ricostruito un nuovo stato, ma è stato un processo di disarticolazione che ha
intaccato gli aspetti simbolici, religiosi, culturali e materiali della società
andina.
Che cosa significa? Per capirlo
dobbiamo vedere come era strutturata la società andina o come erano strutturate
le società imperiali che sono state colonizzate dagli iberici. Dobbiamo tenere
presente che tutte quelle società erano fortemente religiose, nel senso che la
struttura politica che era di tipo verticale con al suo punto massimo una
espressione politica con l'Inca che era una autorità politica ma anche
religiosa.
L'Inca, così come la maggior parte
delle grandi monarchie come quelle Azteche, Africane o Cinesi, era visto,
sentito, percepito dalle popolazioni come una autorità religiosa, quindi nella
struttura politica era disegnata anche la struttura del cosmo, era un modo non
solo di organizzare la società, di affermare delle regole, era anche un modo di
spiegare la vita in quanto tale, quindi di spiegare le origini della vita, le
sue ragioni ed il destino dell'uomo.
Nel momento in cui i colonizzatori
sconfiggono l'Inca e le truppe imperiali si impossessano del potere in modo
stabile ribaltano non solo la gerarchia sociale o politica, ma ribaltano anche
il sistema di significati che sottendevano quel tipo di organizzazione
politica. Di fatto quella gente si ritrova non solo senza sovrano, ma anche
senza un Dio e senza un significato sociale. E' una cosa di non facile
comprensione, è come se improvvisamente ci trovassimo svuotati delle mappe
cognitive con le quali analizziamo il mondo. Quindi la destrutturazione è un
fenomeno multifacetico, è un fenomeno che si estende a tutte le dimensioni
della vita sociale e che provoca una situazione sociologicamente definibile di
anomia, cioè di mancanza di regole.
La prima conseguenza di questo fenomeno
è un processo di perdita di stima nel proprio io culturale, cioè un processo di
svalutazione della propria società rispetto a quella che arriva ed è vincente e
di li un processo di subordinazione culturale rispetto al bianco vincente che
si protrae sino ai nostri giorni.
C'è un rapporto di passo verso l'alto,
inferiore superiore, suddito sovrano, che possiamo leggere nei rapporti
instaurati con qualsiasi persona soprattutto delle classi popolari del terzo
mondo. Questo tipo di processo culturale non è un processo che si esaurisce al
momento della sconfitta coloniale, è un processo culturale che si mantiene fino
ai nostri giorni.
Quindi si innesca la svalutazione della
fiducia nella propria cultura. Ma la destrutturazione è anche la
destrutturazione dei sistemi economici e apriamo una bella parentesi perché
conosciamo molto poco sulle modalità di funzionamento delle economie prima
dell'arrivo dei colonizzatori. Il meccanismo fondamentale che reggeva le
economie precoloniali era quello della reciprocità ed era di tre tipi:
La
reciprocità in senso letterale esiste all'interno della comunità, io do qualcosa
a te tu dai un qualcosa a me ed è un qualcosa che regola la vita economica per
cui non può esistere una regola di profitto e di sfruttamento all'interno della
comunità. Io non posso accumulare a danno tuo, cioè non posso accumulare sino
al punto in cui tu muori di fame, questo è qualcosa di assolutamente
inconcepibile all'interno delle economie tradizionali.
E' concepibile che fra comunità
diverse, il noi e gli stranieri esista un rapporto di furbizia, per me cerco di
avere dagli stranieri senza dare o dando il meno possibile. Ma la
caratteristica fondamentale di questo tipo di economia era un altro ed era,
come chiarisce bene Salis e tutta la scuola dell'economia sostantivista, il
fatto che l'economia era subordinata alla società, cioè esistevano una serie di
regole sociali, di compensazione, di reciprocità, il dare e l'avere, l'aiutarsi
mutamente che rendeva impossibile il fatto che qualcuno entrasse in una logica
di accumulazione a danno degli altri. Questa era la caratteristica fondamentale
delle economie tradizionali.
Il sistema di reciprocità non vigeva
solamente all'interno della piccola comunità, era una filosofia, una logica che
reggeva anche i sistemi imperiali che tenevano al loro interno diverse comunità
e che si strutturavano anche verticalmente, per esempio l'impero Inca.
L'apparato statale, che era un vero e proprio stato, attraverso i funzionari
prelevava delle corvé, delle prestazioni, in pratica dei beni alimentari perché
parliamo di economie agricole. Le prelevava, le immagazzinava ed in occasioni
rituali o di necessità le restituiva, per cui esisteva un circuito che andava
dal basso verso l'alto e dall'alto tornava verso il basso.
Ovviamente era in sistema che dava
possibilità alle elite di accumulare un enorme quantità di beni, le eccedenze
agricole che venivano accumulate all'interno dei magazzini reali erano immense,
però era un sistema che comunque garantiva al mondo contadino di non morire di
fame, nel senso che nei periodi di abbondanza avveniva il prelievo ed in alcune
occasioni ritualmente stabilite questi beni venivano ridistribuiti.
E' importante sottolineare anche un
altro fatto che in questo tipo di società vigeva il diritto d'uso non vigeva il
diritto di proprietà, può sembrare una sottigliezza terminologica ma è una
questione fonda mentale. Il diritto d'uso implica la possibilità da parte di
tutti noi di usare, un terreno, una piantagione e allo stesso tempo implica
l'impossibilità di cedere in maniera permanente e definitiva alcuni
appezzamenti del terreno, cioè non si possono vendere, quindi io posso anche
prestarli ad uno straniero ma la comunità ha comunque un diritto d'uso sulle
terre.
Ciò impedisce che qualcuno possa essere
espropriato della sua terra, la regola fondamentale che esisteva all'interno dei
sistemi tradizionali era quella che il capo villaggio, il consiglio degli
anziani oppure l'Inca distribuiva le terre ed erano assolutamente garantite a
tutti.
Se noi vogliamo leggerci un sistema di
sfruttamento lo possiamo fare nel senso che esisteva la possibilità per la
classe dominate di impossessarsi di una quota di produzione dei contadini, ma
c'era altresì una regola che impediva l'espropriazione delle terre. Questo è
fondamentale nel senso che fino a quando in una società contadina il lavoratore
ha acceso alla terra è virtualmente impossibile che ci sia una carestia,
soprattutto in un sistema di regole di questo tipo, per cui in mancanza di
raccolti da una parte si compensa con l'altra, in qualche modo esisteva la
possibilità di armonizzare gli squilibri interni.
Esisteva un'altra caratteristica
fondamentale: la produzione era finalizzata all'uso non allo scambio e vale la
pena di richiamare uno schema che è diventato famoso. In queste società
soprattutto quelle articolate a livello statale esistevano forme di utilizzo
della moneta, ma la logica era avere della merce che viene convertita in semi
di cacao (denaro in alcune civiltà andine) per avere più merce (M-D-M'), la
logica era quella dell'abbondanza materiale, avere molti beni di consumo, molto
per l'uso. Nella logica del capitale si inverte la logica, noi abbiamo il
denaro che viene invertito in merce per avere più denaro (D-M-D') sono due
logiche contrapposte ed erano caratteristiche la prima dei colonizzati la
seconda dei colonizzatori.
E' stato dimostrato che quasi tutte
quelle società, anche quelle in sistemi ecologici particolarmente difficili
erano in grado di produrre eccedenze agricole; la fame era una eccezione nelle
economie tradizionali, di fatto il sistema di reciprocità e le tecniche
impiegate, sia di produzione che di controllo demografico (caratteristico per
tutte le società, può apparire brutale ma l'infanticidio era molto diffuso,
soprattutto delle bambine), esisteva una stabilità tra la pressione demografica
e le risorse reperibili.
La destrutturazione che porta il
colonialismo scardina non solo gli aspetti simbolici o religiosi ma anche
questo sistema economico. Quindi il diritto d'uso viene sostituito dal diritto
di proprietà per cui i colonizzatori arrivano e si impossessano delle terre,
vengono emessi una serie di titoli reali da parte degli Spagnoli, o i mercanti
Inglesi recintano le aree; viene smantellato il sistema di reciprocità e viene
introdotto il sistema del lavoro salariato, ma soprattutto avviene che la
perdita della pratica agricola provoca un processo di impoverimento.
E' necessario evidenziare la differenza
che c'è tra povertà ed impoverimento. Esiste una corrente antropologica
statunitense, si chiama antropologia culturale, la quale teorizza che
l'evoluzione della società umana in senso lato è data da una capacità sempre
maggiore di consumare e produrre energia, noi società industriale produciamo e
consumiamo molta più energia di quanta ne produceva e consumava la società
tradizionale. Da questo punto di vista le società tradizionali erano povere,
nel senso che producevano poca energia ma ne consumavano poca, per cui il
rapporto era un rapporto al ribasso, oggi il rapporto è verso l'alto.
Nel sistema di povertà, in senso
energetico, noi non dobbiamo però immaginare un sistema di povertà culturale,
nel senso che la povertà dal punto di vista della produzione energetica non
implica povertà dal punto di vista della capacità espressiva. Un esempio è
l'isola di Bali dove esiste una effervescenza culturale di un popolo di
contadini che però è anche un popolo di attori, ballerini e pittori. Quindi un
sistema di povertà economica o tecnologica non implica altrettanta povertà del
punto di vista culturale.
L'impoverimento è invece un'altra cosa
e consiste nella perdita di conoscenze, in particolar modo di conoscenze
produttive, perché nel momento in cui arrivano i colonizzatori si prendono una
grossa fetta di terra.
Il contadino non aveva un sistema di
conoscenze articolate in libri, il suo sistema di conoscenze era molto spesso
estremamente raffinato perché dato dalla pratica ed in questa pratica nella
cultura dei campi, durante secoli, venivano accumulate conoscenze rispetto alla
quantità di specie vegetali, alla loro resa, alle modalità più idonee di
coltura, ma che erano possibili perché durante generazioni si era venuta
accumulando pratica e quindi conoscenza.
Nel momento in cui arriva la
colonizzazione questa gente perde il rapporto con la terra, non è più
lavoratrice diretta del suo terreno ma diventa operaio agricolo all'interno del
sistema di agro esportazione. Un esempio classico sono i vestiti di cotone
degli indios del Guatemala che sono molto belli, ma il cotone che coltivavano
nei loro appezzamenti di terra assieme ad altri prodotti per l'alimentazione
gli fu espropriato e da contadini e tessitori passarono a meri raccoglitori del
cotone da esportazione perdendo quindi le conoscenze tecniche per la
coltivazione e tessitura del cotone cosicché oggi si vestono di stracci,
abbiamo quindi gente che ha sofferto un impoverimento tecnico.
Il sottosviluppo non è altro che
l'impoverimento e si misura chiaramente nella tecnica, perché se non hai la
possibilità di produrre perdi le conoscenze e le capacità di essere
autosufficiente dal punto di vista economico. E' impoverimento anche da altri
punti di vista e qui c'è un esempio fondamentale quello delle tecniche di
controllo demografico.
A noi può piacere o non piacere il
sistema di controllo che era in vigore nelle società tradizionali, colpisce
ovviamente sentir parlare di infanticidio, ma è un dato di fatto che nel corso
di migliaia di anni quelle società avevano mantenuto un equilibrio. Nel momento
in cui prende piede il processo di impoverimento va ad intaccare anche i
sistemi di controllo demografico di vario tipo.
La colonizzazione impose una ideologia
della fertilità naturale, in America Latina oggi soprattutto nelle classi
popolari, potete sentire un ragionamento di questo tipo: perché fate cosi tanti
figli? perché così chiede Dio. Per cui la logica della fertilità naturale sta
nel fatto che viene accettato il destino che così ha voluto, evidentemente
denota la perdita di tutto il patrimonio di conoscenze rispetto al controllo
demografico e nel momento in cui si perdono queste conoscenze si perdono le
pratiche del controllo demografico il risultato è quello della fertilità
naturale. Anche l'effetto della riduzione della mortalità con le medicine non è
stato compensato dall'utilizzo di mezzi per il controllo delle nascite.
La destrutturazione è il concetto
chiave, la porta d'entrata per capire che cosa è accaduto nel terzo mondo da
quando il colonialismo ha cominciato a modificare gli assetti politici, sociali
e tecnici. Va osservata una cosa perché non è detto che sia stata la
colonizzazione in se ha provocare destrutturazione.
Sia nelle Filippine che in Centro
America si nota che molto spesso i colonizzatori non hanno rubato
immediatamente la terra, hanno conservato il diritto d'uso per i contadini,
hanno modificato l'assetto di proprietà, sono diventati loro i padroni delle
aree coltivabili, ma hanno lasciato che i contadini continuassero a praticare
l'agricoltura, continuassero ad avere il diritto d'uso della terra, si sono,
nella prima fase, sostituiti alla elite dominate che raccoglieva le eccedenze
produttive. Gli spagnoli per tre secoli si sono comportati come descritto, sono
state le oligarchie succedute agli spagnoli a destrutturare completamente la
società tradizionale.
Si noti la piramide demografica (in migliaia
di abitanti) del Nicaragua, dove possiamo notare che dall'inizio della
colonizzazione fino ai primi del '800 la crescita era stata molto contenuta,
poi al momento dell'indipendenza (1821) ha inizio la monocoltura del caffè e
del cotone si verifica una salita quasi verticale, proprio perché i contadini
avevano perso la proprietà d'uso sui terreni agricoli era iniziato il processo
di destrutturazione sopra descritto. Gli effetti della destrutturazione,
quindi, li misuriamo in molti aspetti della vita sociale è l'effetto principale
il detonatore che alla fine provoca tutti quei fenomeni che oggi sono
all'attenzione della cronaca (il bum demografico, l'emigrazione, lo smarrimento
culturale, la disistima,) è in questo processo di impoverimento.
RESISTENZE CULTURALI
Se noi ci limitassimo a questo però
avremmo un panorama piuttosto preoccupante, ma contemporaneamente ai processi
di destrutturazione gli antropologi sono venuti riscoprendo che ha avuto luogo
un processo di resistenza culturale per effetto di una legge fondamentale: nei
processi di mutamento prima e molto più velocemente mutano le situazioni
materiali, molto più difficilmente mutano gli assetti simbolici. E' molto più
facile che di fronte a una prevaricazione esterna io recepisca la parte
materiale piuttosto che la parte simbolica, se mi arriva un marziano e mi porta
una navicella è molto più probabile che io mi adatti alla navicella, ma mi
adatterò molto più lentamente
alla sua visione della vita, alla sua
filosofia.
Quindi il simbolico ha un ritmo
evolutivo più lento, ciò significa che in realtà i processi di impoverimento
tecnico e materiale non corrono alla stessa velocità dei processi di mutamento
simbolico. In realtà all'interno delle società colonizzate fin dall'inizio si è
manifestata una tendenza a resistere culturalmente, a conservare dei propri
patrimoni.
Come?
Sincretismo
Il sincretismo è un processo per il
quale una popolazione cerca prima di mascherare la conservazione del proprio
patrimonio culturale nascondendolo, per cui arrivavano i missionari dicendo:
adesso bisogna battezzarsi ed aderire a tutto quel processo che è la
cristianizzazione, ma all'interno del processo di conversione forzata la gente
aderiva ma allo stesso tempo di nascosto continuava a praticare i propri culti.
In un primo momento il sincretismo è il
tentativo di conservare la propria tradizione aderendo formalmente ha quella
che viene imposta, generalmente con la forza. Di fatto in un primo momento il
sincretismo è un tentativo di conservare la propria cultura sia quella locale
che quella importata dai paesi di origine se si era schiavi. Tutta la costa
atlantica dell'America Latina è popolata da neri che sono discendenti dei
naufraghi delle navi che li portavano come schiavi dall'Africa, in questa zona
si trovano i casi più clamorosi del sincretismo, anche se è diffuso in tutto il
mondo e non vale solo come opposizione al cristianesimo.
In un secondo momento il fatto che
queste due tradizioni coesistono e che in qualche modo l'adesione, che prima
era formale, diventa sempre più sostanziale, le due tradizioni si mescolano e
si arriva ad avere un prodotto che è effettivamente diverso sia dalla matrice
endogena, originaria della tradizione locale, sia dalla religione che viene
importata dai colonizzatori.
Per cui alla fine abbiamo una
rielaborazione tale che all'interno della messa i santi che vengono celebrati
sono della tradizione Cattolica Romana e santi della tradizione Africana. Esiste
anche un modo di concepire la divinità che è un qualcosa di nuovo.
Un esempio relativo al Nicaragua può
chiarire bene il concetto. Uno dei punti fondamentali del cattolicesimo è
l'escatologia, cioè pensare l'intervento di Dio come un intervento che avviene
dopo la morte, da cui l'idea del paradiso e della salvezza che si realizza dopo
la morte. Per effetto del sincretismo nella religione Cattolica l'intervento di
Dio è vissuto e auspicato durante la vita, è molto poco discusso e pensato il
fatto che Dio intervenga dopo la morte, è concepita la necessità ed il bisogno
di Dio durante la vita, per cui la frase ricorrente 'se dios chiere, se
dios nos da vida', per cui è un Dio a cui chiediamo un rapporto
adesso.
Anche dal punto di vista iconico all'interno
dei sincretismi troveremo visivamente la mescolanza. Il sincretismo ha il
terreno privilegiato di manifestazione nella religione, ma più in generale
nella cultura, per cui molto spesso noi siamo portati ad identificare il fatto
che un immigrato o una persona del terzo mondo acquisisca un elemento della
nostra estetica, i vestiti per esempio, come una identificazione totale con la
nostra cultura.
Ognuno interpreta il mondo con le
categorie di cui dispone, il colonizzato di fronte all'intervento esterno, di
fronte alla penetrazione di modelli di consumo occidentali, reinterpreta
continuamente, la parola chiave oggi nell'antropologia è reinterpretazione, si
reinterpreta tutto.
Per esempio la minestrina Maggi in
busta in Nicaragua è stata reinterpretata sulla base di strani meccanismi come
una sostanza medica, è diventata una vera e propria medicina. Il colonialismo,
l'imperialismo non hanno azzerato il patrimonio preesistente, sono stati
reinterpretati, per cui noi abbiamo dei mix culturali che sono dati dal fatto
che la tradizione precedente non c'è più; ma i modelli arrivati dall'occidente
non sono identici a quelli occidentali, sono il frutto di un incrocio con la
tradizione precedente.
Persistenza
Le persistenze possono avere degli effetti
devastanti, per esempio i sincretismi li collochiamo soprattutto nell'ambito
del simbolico della religione o della filosofia, la persistenza la collochiamo
nell'ambito di una serie di pratiche materiali.
Uno dei sistemi agricoli più diffusi
prima del colonialismo in particolar modo in America Latina era un sistema
conosciuto con il termine coltivazione in movimento, cioè si prende un pezzo di
foresta la si brucia, la cenere rimasta ha un potere fertilizzante, poi con una
asta si fanno dei buchi, si semina e nel giro di poco la terra produce.
Quindi l'area coltivata un anno non può
più essere coltivata per molti anni, dopo due o tre cicli deve essere
abbandonata, allora il gruppo si sposta e brucia un altro pezzo di bosco. Il
tempo tra un ciclo e l'altro consente la rigenerazione della foresta, in
periodo di maggese, pausa della coltivazione, consente la rinascita della
foresta.
Ovviamente si presuppone di avere vasti
terreni a disposizione, una pressione demografica limitata, nessun attrito con
altre società vicine o confinanti, insomma deve esistere un margine spaziale
sufficiente tra i gruppi. Fino a che esistono le sopraccitate condizioni quel
tipo di coltura può essere praticato, nel momento in cui queste popolazioni
perdono la terra e diventano stanziali non cambiano sistema di agricoltura,
c'è, quindi, una persistenza tecnica per cui loro continuano ad usare quel
sistema di coltivazione, ma non più all'interno di vasti spazi ma in aeree
sempre più piccole in cui non possono più migrare.
Quando si applica la coltivazione in
movimento in modo sedentario, cioè sempre sulla stessa terra, gli effetti sono
devastanti, il mancato maggese non consente la riproduzione della foresta, la
terra si impoverisce e a lungo andare il terreno non produce quasi più nulla.
Quindi questa gente si impoverisce e contemporaneamente i meccanismi che
abbiamo visto portare all'incremento demografico sono in azione per cui non
sono più gruppetti ma sono sempre più numerosi su terre che diventano sempre
più aride.
Entogenesi
Le persistenze come i sincretismi sono
una tendenza a conservare il proprio patrimonio culturale ma è soprattutto il
fenomeno dell'etnogenesi, cioè il fatto che le società del terzo mondo non si
omologano mai alle società occidentali e tutto questo insorgere di etnie,
etnicità, nuove identità culturali che cos'è se non il tentativo di recuperare
dal proprio passato una appartenenze che in qualche modo chiarisca la propria
identità, cioè che definisca che noi nonostante siamo stati colonizzati siamo
noi. Le etnicità che oggi in modo violento vengono alla luce sono in realtà il
tentativo di recuperare una identità etnica, tentativo che viene realizzato in
modo inaccettabile.
Il problema è che le nuove etnie non
sono le etnie precoloniali, sono le etnie che comunque sono passate attraverso
il cappio della colonizzazione ha cambiato le relazioni tra etnie. Il
colonialismo ha creato etnie, il caso della Somalia è classico perché non
esiste nessuna guerra etnica, perché i somali hanno tutti la stessa religione,
lo stesso patrimonio culturale, la stessa lingua eppure si ammazzano tra di
loro. Quelli che erano gruppi parentali che tradizionalmente erano in guerra,
ma una guerra con una determinata serie di regole, oggi grazie all'intervento
del colonialismo italiano sono diventati gruppi che si odiano mortalmente, ma
sono gruppi che sono stati trasformati dal colonialismo. Per cui la
rivendicazione della propria etnicità e del proprio essere culturalmente
autonomi di fatto non è pura, cioè non è un richiamare le origini precoloniali
ma è frutto dell'intervento del colonialismo.
Il colonialismo alterava i rapporti tra
etnie o gruppi parentali; un esempio classico sono stati gli Inglesi,
arrivavano e prendevano un gruppo etnico o parentale lo mettevano in posizione
di governo e gli altri li mettevano a lavorare nelle piantagioni, ovviamente
questo creava un rapporto di subordinazione per cui, in questo senso, tutte le
guerre etniche hanno una dimensione di classe, perché una etnia o un clan è
uscita dalla colonizzazione in posizione vincente ed altre etnie o clan in
posizioni subalterne.
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