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Giuseppe ungaretti




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GIUSEPPE UNGARETTI

n    
8 febbraio: Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto da Antonio Ungaretti e Maria Lunardini entrambi lucchesi. Nella città natale trascorre l'infanzia e i primi anni della giovinezza.

n    
Muore il padre. Il piccolo Giuseppe viene allevato dalla madre, da una balia sudanese e da Anna, un'anziana croata, adorabile narratrice di favole.

n    
Frequenta l'Ecole Suisse Jacot, dove viene a contatto per la prima volta con la letteratura europea. Lì conosce Mohammed Sceab.

n    
Inizia gli studi all'Istituto don Bosco, un collegio dove aveva studiato anche Marinetti.

n    
Frequenta la Baracca rossa, un ritrovo internazionale di anarchici, che ha il fervente organizzatore in Enrico Pea, versiliese, trasferito a lavorare in Egitto.

n     Si trasferisce in Italia, 'la Terra Promessa', con l'intenzione di compiere studi di diritto a Parigi per poi tornare in Egitto. A poche settimane di distanza si reca a Parigi, raggiunto poi da Mohammed Sceab, morto suicida dopo qualche mese. Si iscrive alla facoltà di lettere della Sorbona e prende alloggio in un alberghetto in rue Des Carmes.

n     Frequenta i maggiori caffè letterari di Parigi, diventa amico di Apollinaire, al quale si lega di profondo affetto. E' in contatto con il gruppo fiorentino che, staccatosi dalla Voce, ha dato vita a Lacerba. Nell'estate l'amico Mohammed Sceab si toglie la vita.

n     Rientra in Italia per prendere un titolo di studio: l'abilitazione all'insegnamento della lingua francese. Darà l'esame a Torino con Farinelli, ma si prepara in Versilia. Pea è rientrato con la famiglia in patria, ragione per cui Ungaretti è in quella zona. Si sposta poi a Milano dedicandosi all'insegnamento della lingua francese in una scuola secondaria e scrive le sue prime poesie: faranno parte della sezione Ultime che apre L'Allegria.

n     Pubblica le prime liriche su Lacerba nel febbraio, in aprile, in maggio. Viene richiamato e inviato sul fronte del Carso e su quello francese dello Champagne. La prima poesia dal fronte (del Porto Sepolto) è datata 22 dicembre 1915.

n     Trascorre l'intero anno tra prima linea e retrovie; scrive tutto il Porto Sepolto, che viene pubblicato presso una tipografia di Udine. Curatore degli ottanta esemplari è 'il gentile Ettore Serra', giovane tenente.

n     Il suo reggimento viene trasferito in Francia: va spesso in licenza a Parigi; cura anche la pubblicazione di un giornale per i soldati.

n     Resta a Parigi, lavora come giornalista, prenderà a collaborare al Popolo d'Italia. Pubblica con Vallecchi, a cura di Ettore Serra, l'edizione provvisoria della raccolta Allegria di Naufragi (quella definitiva uscirà da Preda nel 1931) che comprende il Porto Sepolto, e i versi del '17, '18 e '19, oltre alla sezione Ultime). Compone il saggio sul Petrarca Verso un'arte nuova classica. Sposa Jeanne Dupoix.

n     Torna a Roma, e su incarico del Ministero degli Esteri, si dedica alla stesura del bollettino informativo quotidiano. Collabora alle riviste La Ronda, Tribuna, Commerce. La moglie nel frattempo insegna francese.

n     La difficile condizione economica lo induce a trasferirsi a Marino nei Castelli Romani. Pubblica a La Spezia, con il titolo Il Porto Sepolto, una nuova edizione de L'Allegria; include le liriche composte tra il 1919 e il 1922 e la prima parte del Sentimento del Tempo. La prefazione è di Benito Mussolini.

n     Nasce la prima figlia, Anna Maria. Seguita a frequentare il caffè Aragno; collabora alla rivista Commerce, di cui è redattore.

n     Muore la madre.

n     E' l'anno della Pietà, della piena conversione alla religione cattolica, dopo un periodo passato a Subiaco, nella settimana di Pasqua. Ungaretti ha quarant'anni.

n     Termina la collaborazione con il Ministro degli Esteri. Nasce il secondo figlio, Antonio.

n     Esce L'Allegria, edizioni Preda. La raccolta (poesie tra il 1914 e il 1919) acquista il suo titolo definitivo.

n     Con il premio del Gondoliere assegnato a Venezia, la sua poesia ha il primo riconoscimento ufficiale.

n     Pubblica con Vallecchi, nei Quaderni di Novissima, Sentimento del Tempo, con un saggio di Gargiulo. Numerosi in questi anni i viaggi in Francia, Belgio, Olanda, Spagna, e le collaborazioni giornalistiche, in particolare con il quotidiano La Gazzetta del Popolo e la rivista Mesures.

n     Esce a Praga il suo primo volume di poesie tradotte.

n    
Dà alle stampe il volume Quaderno di traduzioni che comprende testi di Gòngora, Blake, Eliot, Rilke, Esenin. Il pen Club lo invita a tenere una serie di lezioni in Sud America. In Brasile gli viene assegnata la cattedra di Letteratura Italiana presso l'Università di San Paolo, che terrà fino al 1942. Esce l'edizione compiuta del Sentimento del Tempo, da novissima (poesie tra il 1919 e il 1935).

n     Muore il fratello Costantino, per il quale scrive le liriche Se tu mio fratello e Tutto ho perduto, aperse successivamente in francese in Vie d'un homme.

n     Esce a Parigi, pubblicata da Gallimard, Vie d'un homme. Muore in Brasile, per un attacco di appendicite malcurato, il figlio Antonietto, di nove anni.

n     Rientra in patria, dopo l'entrata in guerra del Brasile contro l'Asse. E' nominato Accademico d'Italia; gli viene conferito un insegnamento universitario a Roma per 'chiara fama'. Mondadori inizia la pubblicazione delle sue opere sotto il titolo generale Vita d'un uomo.

n     Pubblica, presso l'editore Documento, la traduzione di 22 sonetti di Shakespeare.

n     De Robertis raccoglie le Poesie disperse e cura il primo apparato delle varianti per Allegria e Sentimento.

n     Esce nella collana Lo Specchio di Mondadori la traduzione 40 sonetti di Shakespeare già pubblicata nel 1942 dalla casa editrice Mondadori.

n     E' sottoposto a procedimenti di 'epurazione' presso l'Associazione degli scrittori: nessun addebito da muovergli. Viene iniziato anche un procedimento per l'abolizione della cattedra di 'chiara fama'(avuta anche da De Robertis): dopo una lotta tra il Consiglio Superiore e il Ministro Gonella (favorevole alla permanenza in cattedra dei due maestri), sentite le rispettive Facoltà l'insegnamento è confermato. Pubblica con Mondadori Il Dolore ( poesie tra il 1937 e il 1946).

n     Appare da Mondadori il volume di traduzioni Da Gòngora a Mallarmé.

n     Gli viene consegnato da Alcide De Gasperi il premio Roma; escono il volume di prosa Il povero nella città e alcuni abbozzi di La Terra Promessa. La rivista Inventario pubblica il suo saggio Ragioni di una poesia.

n     Esce la nuova raccolta di poesie alla quale, con abbozzi, aveva cominciato a lavorare fin dal 1935: La Terra Promessa. Esce anche la traduzione della Fedra di Racine.

n     Da Schwarz appare Un Grido e Paesaggi, con illustrazioni di Giorgio Morandi.

n     Lucca celebra i settant'anni del poeta, assegnandogli la cittadinanza onoraria. La rivista Letteratura gli dedica un numero d'omaggio di 370 pagine. Muore Jeanne, la 'devota, tollerante, paziente' compagna, alla quale dedica l'epicedio 'Per sempre'.

n     Leone Piccioni cura il volume Il Taccuino del Vecchio, pubblicato da Mondadori con prefazione di Jean Paulhan e testimonianze critiche di Pound, Spitzer, Moore, Eliot. Con Fautrier e Paulhan compie una specie di giro del mondo in aereo, con lunga sosta in Giappone. Ungaretti riceve il premio Montefeltro.

n     Escono le prose di viaggio del Deserto e dopo, che riprendono e ampliano quelle del Povero nella città. Vi raccoglie anche traduzioni della poesia brasiliana.

n     E' eletto presidente della Comunità europea degli scrittori. Nasce la nipote Annina.

n     Tiene, come visiting professor, presso la Columbia University, una serie di lezioni e stringe amicizia con letterati e pittori beats del Village newyorkese.

n     Esce da Mondadori il volume Visioni di William Blake, traduzione delle opere del poeta inglese.

n     Torna sulla tomba di Antonietto in Brasile, dove nella primavera conosce Bruna Bianco.

n     In occasione degli ottant'anni riceve solenni onoranze da parte del governo italiano: a Palazzo Chigi è festeggiato dal presidente del Consiglio Moro e da Montale e Quasimodo, con tanti amici attorno. Escono due edizioni rare: Dialogo, con una combustione di Burri, piccola raccolta di poesie d'amore (Bruna Bianco - Giuseppe Ungaretti); e Morte delle stagioni, illustrata da Manzù, che raccoglie unite le stagioni della Terra Promessa, del Taccuino del Vecchio e gli ultimi versi fino al '66.

n     Esce, in suo onore, un numero unico di L'Herne. Presso Gallimard esce la raccolta di saggi Innocence et mémoire, tradotta da Philippe Jaccottet. Viaggia negli Stati Uniti, in Svezia, in Germania. Nel settembre esce il volume mondadoriano che comprende Tutte le poesie, con note, saggi, apparati delle varianti, a cura di Leone Piccioni, alla dodicesima edizione nel 1988.

n     Nella notte tra il 31 dicembre '69 e il primo gennaio '70 scrive l'ultima poesia L'impietrito e il velluto. Torna negli Stati Uniti per ricevere un premio all'Università di Oklahoma. A New York s'ammala e viene ricoverato in clinica. Rientra in Italia e si stabilisce per curarsi a Salsomaggiore. Muore d'improvviso a Milano la notte tra l'1 e il 2 giugno.




La giovinezza e la prima formazione



Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto l'8 febbraio 1888. La sua famiglia, di origine contadina, aveva lasciato la Lucchesia per seguire Antonio Ungaretti, il capofamiglia, il quale aveva trovato lavoro come sterratore presso il canale di Suez. Nel 1890, tuttavia, alla tenera età di due anni, Giuseppe rimase orfano del padre assieme al fratello, Costantino, di otto anni più grande di lui. Fu costretta ad occuparsi dei figli la sola madre, una donna energica, molto religiosa, che gestiva alla periferia della città, dove la famiglia viveva, un forno di proprietà del marito. A quell'epoca era presente in famiglia anche Anna, una vecchia croata. Le vicende fantasiose e le notizie esotiche, sulla base dei suoi trascorsi avventurosi, che ella raccontava si impressero definitivamente nella memoria del futuro poeta. L'abitazione degli Ungaretti si trovava ai limiti del deserto e la sensibilità di Giuseppe fu segnata per sempre dai silenzi, dai suoni misteriosi, dai colori di quel paesaggio favoloso e primitivo. A questa prima immagine se ne aggiunse nella fantasia un'altra, quella dell'Italia lontana. Ad alimentarla contribuirono i discorsi che se ne facevano in famiglia e i racconti di perseguitati politici e fuoriusciti italiani ai quali la madre offriva generosa ospitalità. La sua istruzione scolastica iniziò in un collegio di religiosi, l'Istituto don Bosco, e proseguì all'Ecole Suisse Jacot, dove compì gli studi liceali. Qui conobbe Mohammed Sceab, un giovane arabo di cui divenne amico fraterno. In questa scuola, grazie all'interessamento dei suoi insegnanti, poté avvicinarsi alla conoscenza della letteratura europea. Lesse ed amò, tra gli altri, Baudelaire, Mallarmè, Lafourge ed in particolare Giacomo Leopardi. La sua fu una formazione dilettantesca, al di fuori degli schemi culturali ed accademici tradizionali. Attraverso l'amico Sceab conobbe Enrico Pea, uno scrittore toscano, originario della Versilia. Costui, anarchico convinto, oltre a svolgere delle promiscue attività commerciali, teneva delle riunioni di affiliati e simpatizzanti sopra un deposito di legname, nella cosiddetta 'Baracca rossa'. Da queste riunioni nascevano spesso clamorose dimostrazioni pubbliche, che si concludevano talvolta col fermo e con l'arresto dei partecipanti. Ungaretti simpatizzò e prese parte a queste attività, sia di persona, sia attraverso la redazione di articoli, novelle e scritti diversi che venivano pubblicati sui fogli di propaganda anarchica. Nel frattempo venne a conoscenza dell'esistenza della rivista 'La voce', nata nel 1908 a Firenze, vi si abbonò e ne divenne corrispondente per l'Egitto, legandosi di amicizia epistolare con i suoi redattori.

L'esperienza francese

Nel 1912, a ventiquattro anni, Ungaretti lasciò l'Egitto con l'intenzione ufficiale di continuare a studiare diritto, come era nei desideri della madre, in Europa. Dopo un viaggio per mare, approdò a Brindisi e vide per la prima volta materializzarsi davanti ai suoi occhi quella terra degli avi, l'Italia, di cui aveva tanto sentito parlare nel corso dell'infanzia. Fu accolto a Firenze dagli amici de 'La voce'; da qui, con una lettera di presentazione dell'allora direttore della rivista, Prezzolini, per gli ambienti culturali parigini, proseguì alla volta della capitale francese. A Parigi prese alloggio in un piccolo albergo e si iscrisse alla


Facoltà di Lettere della Sorbona. Dopo poche settimane lo raggiunse il suo caro amico Mohammed Sceab, il quale, tuttavia, incapace di adattarsi al modo di vivere europeo, sentendosi sradicato, di lì a poco si tolse la vita. A lui il poeta dedicherà una commossa poesia dal titolo In memoria. Presso la Sorbona Ungaretti frequentò abbastanza regolarmente i corsi universitari, ma non tralasciò di seguire quelli tenuti presso il Collége de France da Henri Bergson, il filosofo francese che, con la sua teoria della coscienza come memoria e del tempo come realtà interiore da percepirsi attraverso l'intuizione, affascinò un'intera generazione di giovani e influenzò profondamente la cultura e la poesia del Novecento. All'epoca, poco prima della Grande guerra, Parigi era la capitale della cultura europea, la città verso cui naturalmente convenivano intellettuali ed artisti di tutta Europa e nella quale venivano elaborate e promosse le teorie artistico-letterarie più avanzate ed avanguardistiche. Proprio dalla capitale francese, nell'intento di sprovincializzare la nostra cultura, Filippo Tommaso Marinetti aveva lanciato dalle colonne di 'Le figaro' l'idea di una rivoluzione futurista. I caffè e i luoghi di incontro della città erano il mezzo migliore per entrare in contatto con la cultura più moderna, non accademica, non legata ai giochi di potere culturale delle università. Ungaretti frequentò assiduamente e conobbe alcuni dei rappresentanti più significativi della cultura del tempo, come Apollinaire, con cui strinse amicizia. Si può dire, quindi, che la sua prima formazione culturale fu senz'altro francese, in una lingua che egli padroneggiava benissimo, ancor meglio dell'italiano, e nella quale pubblicherà qualche anno più tardi alcune delle sue prime poesie, sotto il titolo di La Guerre, nel 1919. A Parigi incontrò e frequentò anche Soffici e il gruppo futurista della rivista 'Lacerba', i cui redattori mantenevano contatti costanti con l'ambiente culturale parigino. Proprio su questa rivista, per interessamento di Palazzeschi, apparvero nel 1915 i suoi primi versi, scritti nel 1914-1915. Pur profondamente influenzato dalla esperienza francese, dal gusto crepuscolare del primo Palazzeschi, Ungaretti ha ormai scoperto definitivamente la sua vocazione poetica. Nel 1914 egli tornò in Italia, in Versilia, quando in Europa era già scoppiata la Prima guerra mondiale e l'opinione pubblica del nostro paese era divisa tra neutralisti ed interventisti. Ungaretti credeva ingenuamente nella guerra, in una vittoria popolare, e partecipò alla campagna a fianco degli interventisti, ai comizi, alle dimostrazioni di molti suoi amici toscani. Nel corso di una di esse venne addirittura arrestato. Rilasciato, si trasferì a Milano dove, conseguita l'abilitazione all'insegnamento della lingua francese, insegnò in una scuola secondaria in attesa di essere chiamato alle armi. Nel corso di questi avvenimenti conobbe Mussolini, il quale aveva da poco lasciato 'L'Avanti!', giornale socialista, per fondare 'Il Popolo d'Italia'. Nel maggio 1915 l'Italia entrò in guerra contro l'Austria-Ungheria e la Germania. Ungaretti venne chiamato al fronte. Sembrò destinato in un primo momento a restare in un ospedale militare, poi, come soldato semplice, venne inviato sul fronte del Carso.


La tragica esperienza della vita di trincea trasformò profondamente la sua idea della guerra e la stessa poesia. Attraverso versi carichi di intenso dolore per l'orrore della violenza bellica, si scoprì essere fragile, uomo nudo di fronte alla morte e si sentì spinto ad attaccarsi alla vita, al bisogno di spezzare con l'umanità dei sentimenti e la forza della poesia il silenzio che circonda la vita umana. Egli espresse ciò nella forma inedita dei versi franti, in cui le parole sono separate da lunghe pause, dallo spazio bianco della pagina nella totale assenza di punteggiatura, sotto la forma esteriore di un diario di trincea. Nasceva un modo nuovo di fare poesia, già maturo all'atto stesso del suo apparire. Per tutto il 1916 egli restò al fronte e nel corso di quello stesso anno Ettore Serra, un tenente suo amico amante della poesia, curò a Udine la pubblicazione delle prime liriche nate da questa esperienza sotto il titolo del Porto Sepolto. Si trattava di una edizione di soli ottanta esemplari, quanto bastava all'autore per far conoscere le sue liriche agli amici presso cui si recava in occasione delle licenze dal fronte. Successivamente quel nucleo poetico iniziale si accrebbe di nuove liriche, fino a formare una raccolta che, nel 1919, a guerra finita, ancora Ettore Serra farà pubblicare col titolo Allegria di Naufragi presso l'editore Vallecchi di Firenze. Nel 1918 Ungaretti venne trasferito sul fronte francese. Nel corso delle licenze poté così recarsi a trovare i suoi vecchi amici o allacciare nuovi rapporti. La guerra ebbe finalmente termine. Proprio in occasione dell'armistizio, nel novembre del 1918, recatosi a casa di Apollinaire, per portargli in dono dei sigari toscani, lo trovò morto da poco. Nel 1919, egli, l'anarchico, il ribelle senza patria, sposò una giovane donna francese, Jeanne Dupoix, la quale gli starà a fianco per tutta la vita, fino al giorno della morte, avvenuta nel 1958. La coppia avrà due figli: Ninon, nel '25, e Antonietto, nel '30. Nel 1920 si stabilirono definitivamente in Italia.

Il ritorno in Italia



Le condizioni economiche di Ungaretti furono per diversi anni difficili. Per questo motivo egli accettò un incarico, che conservò per dieci anni, presso il Ministero degli Esteri. Il suo lavoro consisteva nello scegliere e tradurre dei ritagli della stampa francese per il bollettino informativo del Ministero. La vita in città, inoltre, era troppo cara ed egli si stabilì con la moglie a Marino, un paesino sui colli laziali,, un po' fuori Roma, immerso ancora in una natura vergine ed incontaminata. Contemporaneamente, sul piano degli interessi letterali, Ungaretti entrò in rapporto con i redattori de 'La ronda' e ne divenne collaboratore. Il paesaggio laziale, la natura sotto un sole luminoso, priva quasi di ogni traccia umana, divennero i protagonisti di una nuova stagione poetica, la quale andrà a formare la prima parte della sua seconda raccolta di poesie. Al tempo stesso egli aveva iniziato il recupero-confronto con la tradizione letteraria italiana, della quale, per formazione, conosceva poco e in maniera frammentaria, per procedere al riassorbimento nella sua poesia della voce della nostra tradizione lirica. Nel 1923 apparve a La Spezia, con prefazione di Benito Mussolini, una nuova edizione del Porto Sepolto. Si trattava, in realtà, di una riedizione di Allegria di Naufragi del '19, con l'aggiunta della sezione Prime, comprendente liriche scritte tra il '19 ed il '22, che in un secondo tempo egli riterrà più opportuno includere nella raccolta successiva, come prologo ad una stagione poetica profondamente diversa da quella bellica. Poi, nel 1928, in occasione di una visita a Subiaco, una cittadina a settanta chilometri da Roma, presso un amico benedettino, trovò sfogo alle inquietudini esistenziali emerse nelle liriche di questi anni, accostandosi, sia pure a suo modo, alla religione cristiana. Si tratta di un cristianesimo inquieto, che fa passare in secondo piano le tematiche affrontate nelle liriche dei primi anni venti, per interrogarsi sulle contraddizioni profonde insite nell'animo umano, tra aspirazione all'assoluto e coscienza del peccato legato al perseguimento di fini terrestri, fallaci. Nacquero gli Inni e tra questi La pietà. Nel 1929, dopo tanti anni, rivide la madre, giunta a Roma in occasione del Giubileo Sacerdotale del Papa, la quale morirà l'anno dopo. In ricordo di lei Ungaretti scrisse la lirica La madre, caratterizzata da un commosso accento cristiano. Tutte queste poesie, infine, già edite sparsamente su riviste, vennero raccolte e pubblicate nel 1933 presso Vallecchi, col titolo Sentimento del tempo: Dopo la pubblicazione della sua seconda raccolta, il poeta aveva in mente un nuovo progetto, un'opera letteraria che si potesse eventualmente rappresentare in forma di melodramma, con cori e musica, e che voleva essere la continuazione ideale di Sentimento. Il titolo dell'opera, La Terra promessa, alludeva all'Italia come meta del viaggio di Enea, le cui vicende di Ungaretti intendeva riscrivere poeticamente, caricandole di significato simbolico ed esistenziale, secondo un uso della mitologia già sperimentato nella seconda raccolta. Nei primi anni '30 Ungaretti collaborò alla 'Gazzetta del Popolo' e per conto di questo quotidiano torinese viaggiò in Francia, Olanda, Svizzera, Corsica e persino in Egitto, ricavandone articoli e scritti in prosa che nel 1961 pubblicherà con il titolo Il deserto e dopo. Contemporaneamente lavorò assiduamente alla traduzione di opere di Blake, Saint-John Perse, Shakespeare, Gongora. Si trattò di una frequentazione di autori la cui conoscenza contribuì negli anni successivi all'acquisizione di un linguaggio concettistico e barocco. Il Quaderno di traduzioni che raccoglie questo lavoro uscì nel 1936 da Novissima. La sua fama presso i poeti della generazione più recente divenne sempre più ampia. Egli venne riconosciuto come uno dei padri, se non il più significativo rappresentante, della lirica moderna, novecentesca. Anche la critica cominciò ad occuparsi di lui, rompendo la tiepida accoglienza riservata alle diverse edizioni della sua prima raccolta. A ciò contribuì la seconda edizione di Sentimento, pubblicata nel '36, ancora presso Novissima, ed in cui vennero incluse le liriche scritte dal 1919 al 1935.

Gli anni brasiliani

Nello stesso anno, inaspettatamente, in occasione di un viaggio in Argentina, il Pen Club lo invitò ad accettare la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo. Le sue condizioni economiche sempre precarie ed il clima antifrancese che vigeva in Italia a causa delle sanzioni economiche sancite dalle potenze europee contro il nostro paese e in risposta all'aggressione all'Etiopia, e di cui la moglie soffriva in particolar modo, lo indussero ad accettare. Gli anni brasiliani gli lasciarono il ricordo di una natura smisurata nelle forme e nei colori, ma sul piano poetico diedero scarsi frutti. Il progetto de La Terra Promessa venne accantonato e, con l'eccezione della lirica Tutto ho perduto, dedicata al fratello morto nel '37, non scrisse più. Il suo impegno maggiore era assorbito dalle lezioni di letteratura italiana, nelle quali andò accostandosi con grande originalità interpretativa ad alcuni tra i nostri maggiori scrittori.


Nel '39, improvvisa, giunse la morte del figlio Antonietto di soli nove anni, a causa di una appendicite mal curata. Ungaretti non sapeva darsi pace. Il dolore vivo di questa tragedia familiare gli fece scrivere Gridasti:Soffoco. Si tratta di una poesia molto privata che egli non si sentirà di rendere pubblica prima del '52, quando verrà inclusa in Un grido e paesaggi. In quello stesso anno si abbatté sull'Europa la bufera di una nuova guerra mondiale. Nel 1940 anche l'Italia vi prese parte ed un paio di anni dopo il Brasile si schierò contro l'Asse Roma-Berlino. La famiglia Ungaretti fu costretta a scegliere tra l'internamento in un campo di concentramento ed il ritorno in Patria. Nel 1942 ritornarono a Roma, dove, a mitigare parzialmente la forza degli eventi sfavorevoli, sopraggiunse la nomina di Ungaretti alla cattedra di Letteratura Italiana moderna e contemporanea presso l'Università, senza concorso, 'per chiara fama'. Egli visse nella Roma occupata dai nazisti i periodi più bui della guerra, tra fame e persecuzioni. Tra l'altro ospitò in casa sua una donna ebrea. Ritornò allora a scrivere per esprimere il dolore ancora vivo per la morte del figlio in Giorno per giorno e la sua partecipazione a quello collettivo in Roma occupata. Alla ricerca metafisica, atemporale di emblemi e valori assoluti della condizione umana di Sentimento si sostituì la viva partecipazione dell'autore al dramma privato e storico. Nel 1942 iniziò l'edizione definitiva dell'Allegria la pubblicazione di tutte le sue opere presenti e future presso Mondadori sotto il titolo complessivo Vita d'un uomo. Questo titolo evidenzia la volontà di stabilire una coincidenza profonda tra la propria vicenda biografica e le scansioni delle diverse stagioni della produzione lirica.


La natura del poeta non è scindibile, secondo questa idea, da quella dell'uomo e viceversa: la poesia,anzi è ciò che delle vicende biografiche coglie il senso, il significato umano più vero e profondo. Già da tempo Ungaretti aveva posto di nuovo mano alle sue liriche più remote, apportandovi varianti linguistiche continue, atte a 'distillare' quelle esperienze e renderle, le une rispetto alle altre, parte organica di un più generale itinerario poetico-esistenziale. Nel '43 toccò a Sentimento del tempo uscire in edizione ormai definitiva. Nel '45, inoltre, De Robertis pubblicò Poesie disperse, quelle cioè che Ungaretti aveva ritenuto non dovessero far parte delle precedenti raccolte, o le varianti edite di quelle già pubblicate, ovvero l'insieme delle diversità testuali riscontrabili nel confronto tra le diverse edizioni. La fama di Ungaretti era, dunque, in via di consolidamento e la sua poesia divenne oggetto sempre più frequente di studio e di analisi. Ciò nonostante, a causa dell'attribuzione senza concorso della cattedra universitaria, finita la guerra, nel clima generale di epurazione, egli si vide prima espulso, poi riammesso all'insegnamento.

Il dopoguerra e gli ultimi anni



Il dopoguerra, ricco di speranze e di illusioni, fu caratterizzato da una rinnovata attenzione degli intellettuali per la realtà ed i problemi sociali, secondo un movimento culturale detto Neorealismo. Nel 1947 Ungaretti pubblicò Il Dolore, riunendo sotto questo titolo Giorno per giorno, Roma occupata e le altre liriche scritte negli anni della guerra. Da un po' di tempo aveva ripreso il lavoro attorno a La terra promessa del lontano '35, con in più l'esperienza umana espressa nella terza raccolta e l'acquisizione di un nuovo stile, una specie di barocco linguistico, maturato all'ombra delle prose e delle traduzioni. In maniera volutamente frammentaria, abbandonata l'idea della forma melodrammatica, questa quarta raccolta uscì nel 1950. Nel 1952 fu la volta di Un grido e paesaggi, che raccoglie, oltre a Gridasti: Soffoco, un originale Monologhetto scritto per la Rai in occasione del capodanno 1951 sul mese di febbraio e poesie diverse di minore importanza. Ma l'attività prevalente in questi primi anni '50 fu quella dell'insegnamento. Leopardi, Petrarca, il Manzoni degli Inni sacri, i Crepuscolari furono oggetto di una originale rilettura da parte del poeta, intento ad auscultarne gli echi linguistici e musicali più riposti. Nel '58, infine si ritirò dall'insegnamento, a 70 anni. Nello stesso anno morì la moglie. Nel '60 uscì Il taccuino del vecchio, con Gli ultimi cori per la Terra promessa e la poesia Per sempre, dedicata alla moglie, a chiusura della raccolta. All'epoca la sua fama aveva valicato da tempo i confini degli addetti ai valori e raggiunto un pubblico più vasto. Gli vennero dedicati numeri speciali di riviste letterarie, come quello di 'Letteratura', in occasione del suo settantesimo compleanno; premi letterari, interviste. Rimasto solo, per vincere la solitudine, riprese a viaggiare. Nel '64 fu negli Stati Uniti, presso la Columbia University, dove tenne un ciclo di lezioni. Sembrava si fosse chiusa per sempre la sua stagione poetica. Ormai considerato il grande vecchio della letteratura italiana, non scrisse più nulla per diversi anni, a parte quattro frammenti poetici, Apocalissi del '61, Poi, nel '66, in occasione di un viaggio in Brasile, incontrò una giovane poetessa, Bruna Bianco. Ne nacquero delle poesie d'amore: nove liriche che in edizione semiprivata saranno pubblicate nel '68 col titolo Dialogo, assieme ai Proverbi. Seguiranno, infine, i tre frammenti di Nuove, del '69, le sue ultime poesie. L'ultima di queste, L'impietrito e il velluto, fu scritta a capodanno del '70 e dedicata a Dunja, una ragazza croata che lo accompagnò negli ultimi mesi di vita e nella cui immagine risplendeva per il poeta il ricordo di Anna, la vecchia croata compagna delle sue fantasie infantili di ottant'anni prima. Sempre nel 1969 uscì l'edizione definitiva e completa delle sue poesie, Vita d'un uomo: tutte le poesie, a cura di Leone Piccioni. Nel 1970, nel corso di un ulteriore viaggio negli Stati Uniti, si ammalò. Tornato in Italia per curarsi, morì a Milano tra l'1 e il 2 giugno 1970.





Opere in versi

Il Porto Sepolto, a cura di Ettore Serra, Udine, Stabilimento tipografico friulano, 1916

La Guerre Parigi, Etablissements Lux, 1919

Allegria di Naufragi Firenze, Vallecchi, 1919

Il Porto Sepolto, con Presentazione di Benito Mussolini, a cura di Ettore Serra, La Spezia, Stamperia Apuana, 1923

L'Allegria, Milano, Preda 1931

Sentimento del Tempo, con saggio di Alfredo Gargiulo, Firenze, Vallecchi, 1933

L'Allegria, Roma, Novissima, 1936

Sentimento del Tempo, con saggio di Alfredo Gargiulo, Firenze, Vallecchi, 1936

Vita d'un uomo: L'Allegria, Milano, Mondadori, 1942; 1946; 1949; 1954; 1957; 1962; 1963; 1966; 1968

Vita d'un uomo: Sentimento del Tempo, con saggio di Alfredo Gargiulo, Milano, Mondadori, 1943; 1946; 1949; 1954; 1959; 1961; 1963; 1966;

Frammenti per la Terra Promessa, con Litografia di Pericle Fazzini, Roma, Concilium Lithographicum, 1945

Vita d'un uomo: Poesie disperse, con apparato critico delle varianti di tutte le poesie e saggio Giuseppe De Robertis, Milano, Mondadori, 1945; 1954; 1959; 1964; 1968

Derniers Jours, 1919, a cura di Enrico Falqui, Milano, Garzanti, 1947

Vita d'un uomo: Il Dolore ( 1937-1946 ), Milano, Mondadori, 1947; 1949; 1952; 1956; 1959; 1961; 1963; 1966

La Terra Promessa, con apparato critico delle varianti e saggio di Leone Piccioni, Milano, Mondadori, 1950

Gridasti: Soffoco, con disegni di Lèo Maillet, Milano, Fiumara, 1951

Un Grido e Paesaggi, con saggio di Piero Bigongiari e disegni di Giorgio Morandi, Milano, Schwart, 1952

Vita d'un uomo: La Terra Promessa (Frammenti), con apparato critico delle varianti e saggio di Leone Piccioni, Milano, Mondadori, 1954; 1959; 1963; 1967

Vita d'un uomo: Un Grido e Paesaggi, con saggio di Piero Bigongiari, Milano, Mondadori, 1954; 1962; 1968

Il Taccuino del Vecchio, con testimonianze di amici stranieri del poeta raccolte a cura di Leone Piccioni e con uno scritto introduttivo di Jean Paulhan, Milano, Mondadori, 1960

Vita d'un uomo: Il Taccuino del Vecchio, Milano, Mondadori, 1961; 1964;

75° compleanno: Il Taccuino del Vecchio, Apocalissi, Milano, Le Noci, 1963

Apocalissi e Sedici traduzioni, Ancona, Bucciarelli, 1965

Ungaretti: Poesie, a cura di Elio Filippo Accrocca, Milano, Nuova Accademia, 1964

Il Carso non è più un inferno, a cura di Vanni Scheiwiller, Milano, Scheiwiller, 1966

Morte delle Stagioni: La Terra Promessa, Il Taccuino del Vecchio, Apocalissi, a cura di Leone Piccioni, Torino, Fògola, 1967

Dialogo ( Bruna Bianco-Giuseppe Ungaretti ), con nota di Leone Piccioni, Torino, Fògola, 1968

Allegria di Ungaretti, a cura di Annalisa Cima, con tre poesie inedite, Milano, Scheiwiller, 1969

Il Dolore, con xilografia di Pasquale Santoro, Roma, 1969

Croazia segreta, con studio di Leone Piccioni, Roma, Grafica Romero, 1969

L'impietrito e il velluto, Roma, Grafica Romero, 1970

Tutte le poesie, unitamente a prefazioni, varianti e frammenti, sono raccolte in Vita d'un uomo: Tutte le poesie, a cura di Leone Piccioni, Milano, Mondadori, 1969; il volume è uscito nel 1970 in edizione aggiornata con inserimento di alcune ultime composizioni; ed è giunto nel 1974 alla settima edizione.

Il titolo Vita d'un uomo accompagna tutte le raccolte poetiche ungarettiane uscite presso Mondadori si da quando, nel 1942, l'editore iniziò la pubblicazione dei primi volumi per arrivareall'Opera omnia. Per cui sia nelle sillogi parziali precedenti il 1942, sia in quelle composte o edite successivamente, una volta entrate nello schema mondadoriano, fu riportata dinanzi al titolo singolo la dicitura Vita d'un uomo. Il suo significato è quello di sottolineare la stretta connessione esistente fra la vita e l'opera in Ungaretti; tali legami, per altro perfettamente leggibili, sono confermati anche da Ungaretti stesso:

Quelle mie poesie sono ciò che saranno tutte le mie poesie che verranno dopo, cioè poesie che hanno fondamento in uno stato psicologico strettamente dipendente dalla mia biografia: non conosco sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza diretta.

Tale soprattitolo appare per altro su molti libri di traduzioni ed è stato usato anche per l'edizione postuma della raccolta di Saggi e interventi.

Una caratteristica del poetare ungarettiano è il continuo ritornare sul lavoro compiuto: lo testimoniano le quasi trecento pagine dedicate in Vita d'un uomo all'Apparato critico delle varianti. In tali revisioni spesso alcune liriche sono state trasferite da una raccolta all'altra.

Opere in prosa

Il povero nella città, Milano, edizioni della Meridiana, 1949

Il Deserto e dopo, Milano, Mondadori, 1961; 1969

Viaggetto in Etruria, Roma, ALUT, 1965

Una vasta scelta di scritti ungarettiani in prosa ( specialmente saggi e critiche ), raccolta e curata da Luciano Rebay e Mario Diacono è stata pubblicata in G. Ungaretti, Vita d'un uomo: Saggi e interventi, Milano, Mondadori, 1974.

Traduzioni

Traduzioni, Roma, Novissima, 1936

XXII Sonetti di Shakespeare scelti e tradotti da Giuseppe Ungaretti, Roma, Documento, 1944

Vita d'un uomo: Quaranta sonetti di Shakespeare tradotti, Milano, Mondadori, 1946

L'Après-Midi et le Monologue d'un Faune di Mallarmé, tradotti da Giuseppe Ungaretti con litografie originali di Carlo Carrà, Milano, Il Balcone, 1947

Vita d'un uomo: Fedra di Jean Racine, Milano, Mondadori, 1950

Pàu Brasil ( in Il deserto e dopo , Milano, Mondadori, 1961

Finestra nel caos di Murilo Mendes, Milano, Scheiwiller, 1961

Vita d'un uomo: Visioni di William Blake, Milano, Mondadori, 1965

Saint-John Perse: Anabase, seguita dalle traduzioni di T. S. Eliot e Giuseppe Ungaretti, Verona, Le Rame, 1967

Altre traduzioni sono apparse in periodici.

Le opere di Ungaretti sono state tradotte anch'esse in varie lingue a cominciare dal 1934. Traduzioni di singole poesie e prose sono apparse in riviste un po' dovunque.

Lettere

Lettere dal fronte a Gherardo Marone ( 1916-1918 ), Milano, Mondadori, 1978



A RIPOSOA RIPOSO

da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO



Chi mi accompagnerà pei campi


Il sole si semina in diamanti

di gocciole d'acqua

sull'erba flessuosa


Resto docile

all'inclinazione

dell'universo sereno


Si dilatano le montagne

in sorsi d'ombra lilla

e vogano col cielo


Su alla volta lieve

l'incanto si è troncato


E piombo in me


E m'oscuro in un mio nido



Versa, il 27 aprile 1916


da L'ALLEGRIA - IL POAGONIA

da L'ALLEGRIA - da ULTIME


Morire come le allodole assetate

sul miraggio


O come la quaglia

passato il mare

nei primi cespugli

perchè di volare

non ha più voglia


Ma non vivere di lamento

come un cardellino accecato



Milano 1914/1915


Potrebbe essere la prima poesia del nuovo corso ungarettiano: c'è un programma di vita: si può morire perchè si segue un 'miraggio', una utopia, un'ambizione di vita, oppure si può morire anche per stanchezza dopo aver fatto il proprio dovere nella vita, ma non si può rinunciare alla libertà, non si può rinunciare all'impegno, non si può vivere in gabbia, come 'un cardellino accecato'.



RTALLEGRIA DI NAUFRAGI

da L'ALLEGRIA - da NAUFRAGI



E subito riprende

il viaggio

come

dopo il naufragio

un superstite

lupo di mare



Versa, il 14 febbraio 1917


E' una notazione autobiografica emozionante: anche Ungaretti dopo quelli che parevano i naufragi della sua vita, subito riparte, 'subito riprende / il viaggio'.



O SEPOLTO

AMARO ACCORDO

da IL DOLORE - da IL TEMPO E' MUTO


Oppure in un meriggio d'un ottobre

Dagli armoniosi colli

In mezzo a dense discendenti nuvole

I cavalli dei Dioscuri,

Alle cui zampe estatico

S'era fermato un bimbo,

Sopra i flutti spiccavano


(Per un amaro accordo dei ricordi

Verso ombre di banani

E di giganti erranti

Tartarughe entro blocchi

D'enormi acque impassibili:

Sotto altro ordine d'astri

Tra insoliti gabbiani)


Volo sino alla piana dove il bimbo

Frugando nella sabbia,

Dalla luce dei fulmini infiammata

La trasparenza delle care dita

Bagnate dalla pioggia contro vento,

Ghermiva tutti e quattro gli elementi.


Ma la morte è incolore e senza sensi

E, ignara d'ogni legge, come sempre,

Già lo sfiorava

Coi denti impudichi.



Chi mi accompagnerà pei campi


Il sole si semina in diamanti

di gocciole d'acqua

sull'erba flessuosa


Resto docile

all'inclinazione

dell'universo sereno


Si dilatano le montagne

in sorsi d'ombra lilla

e vogano col cielo


Su alla volta lieve

l'incanto si è troncato


E piombo in me


E m'oscuro in un mio nido



Versa, il 27 aprile 1916




APOCALISSI

Roma, 3 gennaio / 23 giugno 1961


Da una finestra trapelando, luce

Il fastigio dell'albero segnala

Privo di foglie.




Se unico subitaneo l'urlo squarcia °

L'alba, riapparso il nostro specchio solito,

Sarà perchè del vivere trascorse

Un'altra notte all'uomo

Che d'ignorarlo supplica

Mentre l'addenta di saperlo l'ansia?




Di continuo ti muovono pensieri,

Palpito, cui, struggendoli, dai moto.




La verità, per crescita di buio

Più a volare vicino s'alza l'uomo,

Si va facendo la frattura fonda.




°o a scelta: Se d'improvviso l'urlo squarcia unico

Ungaretti aveva l'abitudine, dopo la mezzanotte della fine dell'anno, di segnare qualcosa nell'agenda dell'anno nuovo. Questa volta, dopo una pausa abbastanza lunga, nascono i frammenti dell'Apocalissi. Il quarto si riferisce in particolare alla passeggiata lunare degli astronauti. Quasimodo aveva scritto sull'Unità che quella conquista scientifica rappresentava la morte di Dio. Ungaretti, quasi rispondendo indirettamente, ci dice che nessuna scoperta scientifica riuscirà mai a svelare il mistero: il mistero, anzi, si infittisce.



AUGURI PER IL PROPRIO COMPLEANNO

da IL SENTIMENTO DEL TEMPO - da L'AMORE



Dolce declina il sole.

Dal giorno si distacca

Un cielo troppo chiaro.

Dirama solitudine


Come da gran distanza

Un muoversi di voci.

Offesa se lusinga,

Quest'ora ha l'arte strana.


Non è primo apparire

Dell'autunno già libero?

Con non altro mistero


Corre infatti a dorarsi

Il bel tempo che toglie

Il dono di follia.


Eppure, eppure griderei:

Veloce gioventù dei sensi

Che all'oscuro mi tieni di me stesso

E consenti le immagini all'eterno,


Non mi lasciare, resta, sofferenza!





E' una presa di congedo dalla giovinezza, l'avviarsi alla maturità o alla vecchiaia. C'è il pensiero un po' utopistico che la vecchiaia porti serietà e tranquillità e che alla giovinezza corrisponda, invece, tumulto e sofferenza. Ma per un momento Ungaretti invoca che la giovinezza possa ancora durare a costo di tumulti, a costo di sofferenze: 'Non mi lasciare, resta, sofferenza'.



MATTINA

da L'ALLEGRIA - da NAUFRAGI



M'illumino

d'immenso



Santa Maria La Longa, il 26 gennaio 1917

Poesia celebre, ma celebre anche per l'ironia che alcuni stupidi lettori, e perfino giornali umoristici, davano alla brevità di questi versi. Ungaretti usava mandare in quel periodo le sue poesie, su cartoline postali, per lo più a Papini e spesso a Soffici. A Papini mandò questa versione:

' M'illumino
d'immenso
con un breve
moto di sguardi '



La versione spedita a Papini

Siamo in guerra, siamo in trincea e siamo verso Trieste in una mattina di sole; all'improvviso i soldati ed anche Ungaretti vedono la distesa infinita del mare. E s'illuminano 'd'immenso'.





SCOPERTA DELLA DONNA

da L'ALLEGRIA - da PRIME



Ora la donna mi apparve senza più veli, in un pudore naturale.

Da quel tempo i suoi gesti, liberi, sorgenti in una solennità

feconda, mi consacrano all'unica dolcezza reale.

In tale confidenza passo senza stanchezza.

In quest'ora può farsi notte, la chiarezza lunare avrà le ombre

più nude.



Parigi - Milano, 1919



SAN MARTINO DEL CARSO

da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato


Valloncello dell'Albero Isolato, il 27 agosto 1926


Ungaretti sul Carso



'Il nome di Ermetismo è usato, talora impropriamente, per designare un certo tipo di lirica - e poi anche di critica - italiana novecentesca, di non immediata accessibilità per il lettore.' (S. Ramat)
La definizione divenne di uso corrente dal 1936 quando uscì un celebre saggio di Francesco Flora, La poesia ermetica, che, sottolineando la 'dipendenza' da modelli francesi (soprattutto Mallarmè e Valéry) approdava ad un complessivo giudizio negativo o comunque restrittivo. L'aggettivo ermetico sottolinea appunto l'impossibilità di comprensione da parte del lettore, ove questi non possegga la 'chiave' per penetrare entro i significati nascosti. Gran parte del giudizio del Flora era tuttavia limitata dalla ancora incompleta conoscenza di tutto il materiale poetico venuto in luce negli anni successivi.

Secondo G. Alfonso Pellegrinetti la poetica dei cosiddetti ermetici si può così articolare:

ripetizione del vocabolo che diviene talvolta ossessiva come in molte liriche dei vociani e dei futuristi:tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è - nel cuore della sera c'è - sempre una piaga rossa languente (Campana)

uso della parola con significato particolare al poeta che l'adopera e che l'arricchisce con la memoria della pienezza dei suoi significati infondendole peso, estendendone e rendendone profonde le prospettive (Ungaretti). La parola isola ad esempio, per Ungaretti è legata al suono di uno sciacquio d'approdo e all'immagine di un albero, di un gregge, di un pastore. Amore nel Bertocchi ha il significato di intimità domestica, di scoperta interiore, di religiosità tutta personale;

uso frequente di trasposizioni analogiche, per effetto delle quali il poeta abolisce nella similitudine il termine intermedio per dare all'immagine una efficacia più immediata;

contrazione della sintassi che produce varie interpretazioni di una stessa frase tutte accettabili (ambivalenze o polisenso);

abolizione totale o parziale della punteggiatura;

nuovo valore dato alle pause che si fanno grevi di significati;

ogni poeta cerca e trova un suo ritmo personale, che è sillabico in Ungaretti, vibrante in Quasimodo, cadenzato in Montale, ecc.

L'Ermetismo si esplica principalmente nella poesia che si venne diffondendo in Italia a partire dagli anni della prima guerra mondiale e che traeva le sue origini da alcuni poeti decadenti francesi, Mallarmè in particolare, ma anche Valéry e Rimbaud. Si usa ripetere che la caratteristica di questa poesia è la sua oscurità, ma ciò non è esatto: l'oscurità c'è, ma è la conseguenza delle sue premesse, non è la premessa stessa. La caratteristica assoluta è invece l'essenzialità: per ottenere questo risultato il poeta rifiuta tutte le forme tradizionali del linguaggio, soprattutto quelle forme poetiche consacrate alla tradizione; a questo rifiuto il poeta accompagna anche quello dei sentimenti ormai convenzionali della poesia e accetta di esprimere solo quei sentimenti intimi e gelosi che appartengono esclusivamente al suo mondo interiore.Con questo il poeta vuole partecipare agli altri i propri sentimenti e vuole che gli altri li afferrino con la stessa immediatezza con cui egli li prova, e perciò rifiuta tutti gli espedienti retorici, le definizioni abusate, la mancanza di sincerità prodotta da una forma elaborata: il sentimento deve scaturire 'nudo' e deve imporsi grazie alla sua stessa forza, e non mediante la 'bellezza' dell'espressione. Pertanto questa poesia pur cosi scarna, è sofferta, spesso dolorosa, ma evocatrice e comunicativa. Dote necessaria è dunque la sincerità dell'ispirazione, che impegna il poeta nel compito difficile di riuscire a trasmettere le vibrazioni più riposte dell'animo, i turbamenti passeggeri ma profondi, il mistero dell'inconscio, e tutto ciò va detto trovando quelle poche parole, talora quell'unica parola che riesca a trasmettere da sola tutta la gamma di sensazioni provate. Ecco che la poesia ermetica mette a punto u nuovo linguaggio, che rifiuta il sonoro costrutto carducciano, la sensibilità morbida del Pascoli, la trionfante retorica dannunziana e la dimessa semplicità artificiosa dei crepuscolari: solo Leopardi è riuscito a lasciare versi che possano richiamare la medesima essenzialità, la medesima poesia pura.
Va detto tuttavia che la parola, per quanto inserita in tutta la sua scarna essenzialità, non dà luogo ad un discorso povero; anzi essa si carica di tutta una serie di significati allusivi e di valori simbolici che vanno molto al di là del suo significato lessicale. Inoltre le parole valgono anche per il loro valore fonetico, non nel senso della musicalità convenzionale, già dimostrata nella Pioggia nel pineto di D'Annunzio o nella onomatopea pascoliana, ma nel senso di una armonia che nell'animo umano legge sensazioni diverse e pensieri inaspettati. Viene esaltata in questa poetica l'analogia, il passaggio non 'logico' fra parola e parola, ma 'sovralogico': la ragione non lega le parole, ma è con la sensibilità, l'istinto che si trova una chiave interpretativa.
La poetica ermetica è stata accusata di egocentrismo, di esaltare i problemi individuali, e di trascurare i problemi reali dell'esistenza, di essere estranea alla vita del proprio tempo, ma non è una accusa ben fondata se si guarda bene. Certo, essa può sorvolare sugli avvenimenti della cronaca quotidiana, ma non ignora i problemi più vasti e universali. La poesia di Ungaretti nasce dal contatto con la tragedia immensa della guerra, e dalla guerra trae la sua dolorosa riscoperta della vita. Né si può dimenticare che tutta la poesia di Quasimodo trae ispirazione dal Sud, dalla propria terra siciliana, aspra e ingrata, evocata col cuore dell'emigrato, gonfio di malinconia e lacerato dalla nostalgia. Da questi due esempi si può dire che cade l'accusa di individualismo di fronte alla sensibilità da essi dimostrata nei confronti di problemi che purtroppo hanno riguardato intere comunità.



Stéphane Mallarmé è un poeta francese nato a Parigi nel 1842 e morto a Valvins nel 1898. Tra i massimi rappresentanti del simbolismo, insieme con Paul Verlaine e Arthur Rimbaud, Mallarmé, che fu il vero maestro di Paul Valéry, è considerato uno dei padri della poesia moderna. Uomo modesto, schivo, ebbe un'infanzia difficile. Di origine piccolo-borghese, rimase orfano di padre a cinque anni e la sua tristezza venne accentuandosi alla morte precoce della sorellina Maria. Studiò, senza eccellere, al collegio di Anteuil dove, nel 1860, ottenne il baccalauréat. Dovette subito cercarsi un impiego e lo trovò all'ufficio del registro di Sens. Cercò rimedio alla delusione del lavoro nella lettura di di Baudelaire che influì grandemente su di lui, tanto che i suoi versi risentirono subito del contrasto fra realtà e sogno, in un'ispirazione decadente. Si vedano a questo proposito Angoisse, Brise marine e Le guignon, scritti tra il 1862 e il 1865. Ancora più di Baudelaire lo affascinò la lettura di Edgar A. Poe. Per meglio comprenderlo (e divenne poi il traduttore più acuto e sensibile delle sue liriche) volle approfondire lo studio dell'inglese recandosi in Inghilterra (1862). Come Poe, M. pensava che compito della poesia fosse esprimere il bello in assoluto, per arrivare alla radice delle cose e capire il loro significato, la loro ragione di essere. Intanto il soggiorno inglese si rivelava sempre più difficile. M. doveva lottare con le difficoltà economiche e con lo scoramento che solo l'affetto di Marie Gerhard, un'istitutrice tedesca conosciuta a Sens, riusciva ad attenuare. Sposò la ragazza un anno dopo il ritorno in Francia dedicandole un affetto tenero, non mai appassionato. Ottenuta la cattedra d'inglese al liceo di Tourron, per trent'anni insegnò senza gusto e senza passione, passando a Besançon (1866), ad Avignone (1867) e infine a Parigi (1871). Insegnare per lui era sottrarre tempo alla poesia, al gusto, all'amore della libertà, che celebra nei suoi versi affrancati anche dalla sintassi.
La sua poesia esprime con vigore il sogno della purezza e del distacco dal mondo: l'opera poetica è miracolosa come la creazione, ma al termine d'una faticosa ascesa non v'è che il nulla, la pagina bianca, il silenzio. Nel 1864 cominciò a scrivere il poema Hérodiade (che ultimò nel 1869) e scrisse all'amico Cazalis «la mia poesia non dipinge la cosa, ma l'effetto ch'essa produce». Due anni dopo, il "Parnasse contemporain" pubblicò alcune sue liriche accanto alle poesie di Baudelaire, Gautier, Lecomte de l'Isle e altri. Si dedicò intanto alla composizione di un monologo, il cui protagonista era un fauno, che il famoso attore Coquelin rifiutò. Giunto a Parigi M. frequentò poeti come Verlaine e artisti come Degas e Rodin e ottenne la direzione della rivista La dernière mode. Nel 1876 non riuscì a pubblicare, se non a sue spese, la definitiva versione dell'Après-midi d'un faune (Pomeriggio di un fauno*), rifiutato dal terzo "Parnasse contemporain" perché troppo arduo. Nel poemetto, i pensieri d'un fauno in un pomeriggio assolato lampeggiano come giochi fantastici, eco di desideri riaffioranti da lontananze arcane. Huysmans, nel suo romanzo À rebours (1884), lo rivelò infine al mondo intero come uno dei poeti più significativi di Francia. Nella sua casa di rue de Rome ogni martedì si davano intanto convegno i poeti e gli artisti più famosi di Francia: Whistler, Wilde, Régnier, Mirbeau, Maeterlinck, Gide, Valéry e altri. Verlaine lo elogiò nel suo Poètes maudits. M., nonostante i molti contatti, i moltissimi impegni, che letteralmente lo distruggevano, continuava a sentirsi solo: il clima culturale della Terza Repubblica non poté che accentuare questa sua desolante solitudine. Nel 1887 raccolse nel volume Poésies i suoi versi. L'anno dopo pubblicò l'insuperata traduzione delle liriche di E. A. Poe e nel 1898 l'edizione definitiva delle Poésies. Documento estremo della sua concezione poetica e del simbolismo fu Un coup de dés (1897; Un colpo di dadi), scritto per iniziati del suo mondo poetico. Qui anche la composizione tipografica rende ardua la lettura, da farsi, diceva M., come una partitura musicale. M. morì mentre ancora ritoccava Hérodiade. Tutta una generazione di poeti raccolse la sua eredità, che, come quella di Baudelaire e di Verlaine, di Rimbaud e di Valéry, attraverso Samain, Moréas, Réquier, Guérin, sarebbe giunta fino a noi nei canti di Apollinaire, di Ungaretti e di tanti altri che dal delirio della fantasia concretarono immagini di folgorante poesia.





a_rivist.htm - Lavocea_rivist.htm - Lavoce



Uno degli aspetti caratteristici dei primi anni del Novecento è il nascere di un buon numero di riviste, che videro la collaborazione della maggior parte degli intellettuali del tempo. Erano giovani spesso inquieti, polemici, talvolta anche per il puro gusto di far polemica. Scrivevano spesso su più di una rivista e i loro articoli erano aspettati con ansia dagli studenti del tempo, che costituivano la maggior parte del pubblico a cui le riviste erano destinate. Relativamente a quei tempi, le riviste avevano una grande circolazione e servivano ai giovani come mezzo di chiarificazione ideologica. Vi scrivevano intellettuali di varie tendenze: dagli antipositivisti Papini e Prezzolini, ai socialisti come Salvemini, ai cattolici come Borsi. Questa fu la prima volta che persone così diverse poterono scrivere nelle stesse pagine, evidentemente perché queste riviste non avevano lo scopo di un intrattenimento di massa, come molte di quelle odierne, e non appartenevano neppure al settore delle riviste di cultura troppo specialistica, che non avrebbe mai potuto avere una grande diffusione.
La rivista serviva quindi per diffondere un dibattito culturale e politico sulla passata cultura positivista, sul dannunzianesimo imperante, sul vigente regime parlamentare liberale. Nata su queste basi, si comprende come alla rivista si avvicinassero molti degli intellettuali del tempo, polemici, inquieti, smaliziati, in maggior parte convinti che il vero uomo di cultura è quello che non sta al servizio del potere, ma che sa sempre vedere cosa c'è al di là della semplice apparenza. Emblematico, in questo senso, è l'articolo del Prezzolini: 'La società degli apoti'. Gli apoti sono appunto coloro che non la bevono, gli intellettuali scomodi, che trovano sempre il vero movente, nascosto dietro l'affermazione convincente.
Quindi questo tipo di intellettuale trova voce nelle riviste del primo Novecento proprio perché esse offrono la possibilità a tutti di parlare. E' certo comunque che uomini come Papini e Prezzolini non fanno che distruggere, sia da un punto di vista culturale, con il loro antipositivismo, sia da un punto di vista politico , con la loro opposizione al regime parlamentare di Giolitti. Distruggono sempre senza costruire niente, anche se sono importanti per fare capire al potere che la sua cattiva coscienza è sempre pronta a parlare.
Son questi gli anni in cui si diffonde anche la teoria di Pareto, alimentata dalla sfiducia in una qualsiasi fede politica, molto sconfortante, ma per molti aspetti vicina alla realtà. E' soprattutto questa atmosfera che i giovani studenti del tempo respiravano nelle pagine del Leonardo, della Voce e delle altre riviste. Il cui merito consiste nell'aver suscitato un dibattito all'interno di quella che sarebbe stata la futura classe dirigente, che si formò proprio in questo ambiente.
I giovani del tempo ebbero una certa apertura mentale dall'opera di queste riviste che, anche se davano poco di costruttivo, almeno non avevano lo scopo di un condizionamento al servizio di qualcosa o di qualcuno.

LACERBA

Fondata a Firenze da G. Papini e A. Soffici il 1 gennaio 1913, col titolo ripreso da poemetto dottrinale trecentesco di Cecco d'Ascoli, da cui era tratto il motto della testata: 'qui non si canta al modo delle rane'. L'ultimo numero esce il 22 maggio 1915.
La rivista fu la palestra del futurismo in arte, mentre in politica si schierò su posizioni di nazionalismo acceso (e talvolta volutamente becero). Scrisse Papini: 'La mia adesione al Futurismo è stata appunto determinata dalla persuasione dell'importanza nazionale di questo movimento che solo può salvare l'Italia dal mandarinismo tradizionalista che vorrebbe reciderne ogni nervo'; 'Io sono futurista perché il Futurismo significa Italia un'Italia più grande'.
Significativa la violenza di alcune pagine, il cui contenuto aggressivo è comprensibile fin dal titolo: Bestemmia contro la democrazia di I. Tavolato e Amiamo la guerra! di G. Papini.

COLLABORATORI: Aldo Palazzeschi, Italo Tavolato, Filippo Tommaso Marinetti e tutti gli artisti futuristi(Umberto Boccioni, Antonio Sant'Elia, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini, ).

SOLARIA

Fra le riviste pubblicate fra le due guerre vi è Solaria, fondata a Firenze nel gennaio 1926 da Alberto Carocci, a cui si affiancò nel 1929 Giansiro Ferrata. Diretta dal 1930 al 1933 da Alessandro Bonsanti, vide quindi il ritorno alla direzione del Carocci. Nel 1936 escono con due anni di ritardo gli ultimi due numeri, datati al 1934.
La rivista non si presentò con un programma preciso; essa 'ebbe senza dubbio l'ambizione di raccogliere il meglio della cultura borghese' (G. Luti), tenendo presente l'appello all'europeismo de Il Baretti e il richiamo all'attenzione formale, operato da La ronda. Perciò la rivista, pur aprendosi alla letteratura straniera (Proust e Kafka, per esempio), non trascurò gli italiani: a lei si deve la scoperta di Svevo, Montale e Saba, con grande libertà delle scelte e dalle 'mode' ufficiali, che presto questa impostaione divenne una vera e propria opposizione al trionfante fascismo.
Per questa possibilità di parlare liberamente, offerta ai giovani intellettuali dell'epoca, la rivista risultò senz'altro la più prestigiosa del ventennio. Da ricordare, tra i collaboratori, la presenza di Giuseppe Ungaretti.

PRIMATO

Tra le riviste ufficiali del regime ricordiamo Primato, fondata a Roma il 1 marzo 1940 da G. Bottai, conclusa nel 1943.
Il programma bottaniano di apertura ai 'giovani' riuscì a raccogliere tutte le migliori forze intellettuali, che presto, deluse dal tragico epilogo del regime, approderanno a diversi lidi ideologici.

COLLABORATORI: Ungaretti, Quasimodo, Montale, Montanelli, Guttuso, Penna, Pratolini, Gatto, Brancati, Luzi, Longanesi, Bilenchi, Bernari, Alvaro, Valeri, Spini,

LA VOCE

La Voce è una rivista politica e letteraria italiana, pubblicata a Firenze dal dicembre 1908 al dicembre 1916, diretta da G.Prezzolini, che ne era stato il fondatore, dal 1908 al 1914 e, per un breve periodo (aprile-ottobre 1912), da G.Papini; nel 1914 il periodico da settimanale divenne quindicinale e, nel 1915, assunse un carattere esclusivamente politico; ma già dal 1913 usciva parallelamente una Voce letteraria, la cui direzione, nel dicembre 1914, fu assunta da G. De Robertis. Intento della rivista e del movimento neoromantico da essa promosso era quello di rinnovare la cultura italiana reagendo al positivismo in filosofia e al dannunzianesimo in letteratura. Ma su questa piattaforma comune vennero a incontrarsi, e a scontrarsi, gli indirizzi di pensiero e di arte più eterogenei, come è testimoniato dai nomi dei maggiori collaboratori: B. Croce, G. Gentile, G. Salvemini, G. Amendola, G.Papini, S. Slataper, E. Cecchi, G. Boine, R. Serra. Il primo periodo della rivista (1908-11) fu il più fecondo, grazie soprattutto alla presa di coscienza, a opera di Salvemini e di Amendola, della questione meridionale e degli altri più importanti problemi del Paese. La seconda V., diretta da De Robertis, promosse il gusto del "frammento" e pose le basi della "poesia pura": il suo disimpegno politico fu motivato dalla legittima sfiducia nei riguardi di una cultura che distruggeva se stessa nella follia della guerra.





Questa sezione contiene una breve descrizione di alcuni personaggi importanti nella vita del poeta:

Guillaime Apollinaire

William Blake

Giovanni Papini

Enrico Pea

Giuseppe Prezzolini

Ardengo Soffici

GUILLAUME APOLLINAIRE

Guillaume Apollinaire è lo pseudonimo del poeta e scrittore francese Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky nato a Roma nel 1880 e morto a Parigi nel 1918. Figlio naturale di una polacca e di un ufficiale pontificio, imparò il francese a scuola (a Monaco, Nizza, Cannes). Intorno ai vent'anni, nelle pause della sua vita vagabonda (percorse, anche a piedi, Baviera, Renania, Boemia, Olanda), scrisse un primo romanzo (perduto) e i primi versi, Rhénanes, nati da una delusione amorosa e inclusi nell'importante raccolta Alcools* (1913). A partire dal 1903 non ci fu a Parigi movimento d'avanguardia di cui non fosse protagonista. In arte si fece acceso sostenitore di una pittura "concettuale", che prese il nome di "cubismo"; in poesia, di una totale libertà formale e di nuovi contenuti, frutto di una profonda indagine nell'inconscio. A. gettava insomma le basi teoriche della poesia moderna. In tal senso funge da manifesto La jolie rousse di Calligrammes (1918; Calligrammi*), che è la sua seconda grande raccolta. Non meno interessanti appaiono le prose poetiche dell'Enchanteur pourrissant (1909; Il mago putrescente), le bizzarre novelle dell'Hérésiarque et Cie (1910; L'eresiarca e compagnia), il saggio sulla Poésie symboliste (1909) e Méditations esthétiques. Les peintres cubistes (Meditazioni estetiche. I pittori cubisti), del 1913, anno in cui aderì al futurismo di Marinetti. Allo scoppio della guerra, A. si arruolò volontario, guadagnandosi al fronte il grado di sous-lieutenant, ma riportò una ferita al capo, in seguito alla quale subì due trapanazioni al cranio. In guerra scrisse le poesie di Case d'Armons (La capanna di Armons) e, di nuovo a Parigi, le novelle rabelaisiane del Poète assassiné (1916), il dramma grottesco Les mamelles de Tirésias (1917; Le mammelle di Tiresia*), che egli chiamò, per primo, "surrealista". Morì di spagnola poco dopo la pubblicazione di Calligrammes e del Flaneur des deux rives (Il vagabondo delle due rive). Postumi, furono pubblicati La femme assise (1920; La donna seduta), la raccolta poetica Ombre de mon amour (1947; Ombra del mio amore), Lettres à sa marraine (1955; Lettere alla madrina), le lettere di Tendre comme le souvenir (1956; Tenero come il ricordo) e Les diables amoureux (1965; I diavoli innamorati), prefazioni e note per la Bibliothèque des curieux (Biblioteca dei curiosi) e per il Catalogue de l'Enfer (Catalogo dell'Inferno) della Bibliothèque Nationale di Parigi. Figura ormai mitica della poesia del Novecento francese, A. riunisce in sé il fascino dell'innovatore e del grande poeta romantico e popolare, dall'ispirazione sincera e suggestiva, nella tradizione che va da Villon a Verlaine. A. svolse anche attività di critico d'arte, affiancando, con conferenze e articoli, poi raccolti in volume (il già citato Les peintres cubistes, 1913; Chroniques d'art, 1902-1918, 1960), l'opera d'avanguardia dei suoi amici pittori, dai fauves a Picasso e Braque, da Delaunay ai "futuristi", a Picabia e De Chirico.

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WILLIAM BLAKE


William Blake è un poeta, un incisore e un pittore inglese nato a Londra 1757 e morto nel 1827. Spirito ribelle, inquieto, visionario, è il più immediato precursore del romanticismo inglese. Subì l'influsso dello svedese E. Swedenborg e del tedesco J. Boehme, dai quali mutuò la concezione di una mistica corrispondenza tra il cosmo e l'uomo. Anche la Bibbia, nella traduzione di Lowth (1778), in prosa ritmica, ebbe un profondo influsso su B., in particolare sul suo stile. Nella sua prima opera, i Poetical Sketches (1783; Schizzi poetici), già si rivela una musa personale nel tono, fresco e gioioso, e nelle innovazioni metriche e tematiche. La libertà della prosodia si accompagna nei Songs of Innocence (1789; Canti dell'innocenza) a un'ineguagliata felicità poetica. A queste liriche si affiancano, contrastando per l'atmosfera cupa, greve di mistero e di senso del male, i Songs of Experience (1794; Canti dell'esperienza) che sono anche espressione di ribellione contro le leggi morali. Fra gli uni e gli altri Songs, a rivelare il mutamento che maturava nella visione del poeta, si registra Marriage of Heaven and Hell (1790; Matrimonio del Cielo e dell'Inferno), operetta in prosa, nella quale B. si sforza di trovare una sintesi armonica tra le antinomie della vita. Il poeta manifestò la propria simpatia per le rivoluzioni americana e francese, scrivendo le due "profezie" America (1793) e Europe (1794), sotto l'influsso di


Paine, Godwin e la Wollstonecraft; rivoluzioni che celebrò perché gli apparivano come episodi di cosmici sconvolgimenti che avrebbero condotto al trionfo finale della libertà e delle aspirazioni individuali. A queste opere seguirono i "libri profetici" The Book of Urizen (1794), The Book of Ahania (1795), The Book of Los (1795), Milton (1804), Jerusalem (1804): in essi si sprigionano le intuizioni morali e le visioni di Blake. Con The Four Zoas (1795-1804; I quattro Zoa) B., che aveva attribuito alle forze solitarie dell'uomo la capacità di liberarsi dalla tirannia della ragione e della legge morale, ritornò a vedere l'opera di Dio e di Satana interferire con le azioni degli uomini. La poesia di B. trovò i suoi primi ammiratori nei preraffaelliti e ha esercitato un influsso reale sulla letteratura letteratura del Novecento: su W. B. Yeats, D. Thomas, J. Joyce, A. Gide, G. Ungaretti e A. Ginsberg. Come artista, compì l'apprendistato di incisore presso J. Basire, poi continuò a studiare all'Accademia Reale, dove conobbe J. H. Mortimer e H. Füssli, le cui opere costituiscono il precedente del lato fantastico e visionario della sua arte. Ammiratore dell'arte gotica, B. ebbe vivo il culto di Michelangelo. Nel 1784 aprì una calcografia dove non solo stampava, ma illustrava opere proprie e altrui. Famose sono le illustrazioni all'acquerello per la Divina Commedia (Londra, Tate Gallery). Sono inoltre da ricordare, oltre al quadro I pellegrini di Canterbury (1809); le illustrazioni al Libro di Giobbe e ai Pensieri notturni di Young.

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GIOVANNI PAPINI


Giovanni Papini è un poeta, un narratore e un saggista italiano nato a Firenze nel 1881 e morto nel 1956. Giovanissimo, diede vita ad alcuni periodici con E. Allodoli (La Rivista, Sapientia, Il Giglio in cui appare evidente la sua abilità critica. Risale a quei primi anni l'amicizia di P. con G. Prezzolini, col quale nel 1903 fondò il Leonardo, con lo scopo di combattere l'accademismo e l'immobilismo della cultura ufficiale. La prima prova di narratore P. la diede coi due volumi di "racconti metafisici" Tragico quotidiano (1906) e Il pilota cieco (1907). Del 1912 è Un uomo finito, forse il suo capolavoro, in cui è racchiusa tutta una tematica di ribellioni e di dissidi «fra la grandezza dei propositi e la misura sempre più ridotta dei risultati» (C. Bo). In quel periodo, la produzione di P. divenne ricchissima: oltre a saggi sul pragmatismo, scrisse i racconti di Parole e sangue (1912) e di L'altra metà (1912); fondò con G. Amendola L'Anima, lasciò La Voce e fondò con Soffici Lacerba (1913), che divenne l'organo del futurismo italiano; pubblicò Cento pagine di poesia (1915) e le Stroncature (1916). Dopo la guerra, dalla quale fu esonerato a causa della forte miopia, si accostò al cattolicesimo e manifestò clamorosamente la sua conversione con la Storia di Cristo (1921), un libro di violenta polemica contro il materialismo contemporaneo, che ebbe grande successo in tutto il mondo. Seguirono il Dizionario dell'omo salvatico (1923) in collaborazione collaborazione con D. Giuliotti, i versi di Pane e vino (1926), Sant'Agostino (1929), le prose di Gog (1931), Dante vivo (1933). Dal 1935 P. mostrò chiaramente di accettare gli ideali del fascismo, un ritorno all'ordine che gli procurò la cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna, la nomina ad accademico d'Italia e la possibilità di creare l'Istituto di studi sul Rinascimento. Per queste e altre più compromettenti manifestazioni, alla fine del conflitto la fortuna di P. sembrò definitivamente tramontata, se non che nel 1946 con le Lettere di Celestino VI, nel 1949 con la Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo e poi con Il diavolo (1953) P. tornò improvvisamente alla ribalta, destando scalpore e interesse. Colpito da paralisi progressiva, continuò a lavorare, dettando alla nipote Anna forse le pagine migliori di tutta la sua vastissima produzione: le "schegge" apparse sul Corriere della Sera, poi riunite in La spia del mondo (1955) e La felicità dell'infelice (1956), e nel volume Le schegge (1971); pubblicati sempre postumi, Ilgiudizio universale (1957), La seconda nascita (1958), Diario (1962), Rapporto sugli uomini (1977).

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ENRICO PEA


Enrico Pea è uno scrittore italiano nato a Seravezza, Lucca, nel 1881 e morto a Forte dei Marmi nel 1958. Orfano di padre, visse un'infanzia di stenti. Imbarcatosi come mozzo, si stabilì ad Alessandria d'Egitto, dove fondò la "Baracca rossa" e dove conobbe Ungaretti, che esercitò un influsso decisivo sulla sua formazione letteraria. Ritornato in Italia, si stabilì a Viareggio, dove si dedicò a un'intensa attività di impresario teatrale. Le prime opere di P. (Fole, 1909; Montignoso, 1912; Lo spaventacchio, 1914), trasposizione lirica di vicende autobiografiche, conservano la grazia acerba delle pitture popolaresche, raggiungendo il miglior risultato con Moscardino (1922), rievocazione, in uno stile estroso, della sua infanzia e dell'iniziazione alla vita a opera del nonno, figura di patriarcale saggezza mista a sanguigna violenza, tra le più vive della narrativa contemporanea. Anche il romanzo successivo, Il volto santo (1924) ha come sfondo una Versilia primitiva, mentre nel Servitore del diavolo (1931) è rievocata l'esperienza movimentata dello scrittore in Egitto. La lirica esplosività di queste opere si attenua nello stile più pacato dei romanzi successivi (La figlioccia, 1931; Il forestiero, 1937; La maremmana, 1938), mentre diseguale è la restante produzione di P., che pur ha avuto esiti felici con i racconti de Il trenino dei sassi (1940), con le poesie di Arie bifolchine (1943) e con le memorie di Vita in Egitto (1949). Tra le sue ultime opere: Lisetta (1946), Malaria di guerra (1947), Zitina (1949), Peccati in piazza (1956).

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GIUSEPPE PREZZOLINI

Giuseppe Prezzolini è un critico, un saggista e un giornalista italiano nato a Perugia nel 1882 e morto a Lugano nel 1982. Autodidatta, attento ai più diversi richiami culturali e ideologici, si avvicinò a Parigi alla filosofia di Bergson e al pragmatismo. Nel 1903 fondò con G. Papini il Leonardo*, sul quale con lo pseudonimo di "Giuliano il Sofista" firmò fino al 1907 articoli di impronta bergsoniana. Nel 1906 pubblicò assieme a Papini il volume violentemente polemico La cultura italiana; al 1908 risale la sua adesione alla filosofia crociana e la fondazione de La Voce*, che P. diresse fino al 1914. Interventista allo scoppio della I guerra mondiale, ufficiale al fronte, aderì poi al fascismo. Nel 1931 si trasferì a New York dove diresse la Casa italiana della Columbia University. Della sua vasta opera improntata a evidente conservatorismo, si ricordano i volumi: Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1948 (1936-48), America in pantofole (1950), L'italiano inutile (1953), America con gli stivali (1954), L'Italia finisce, ecco quel che resta (1958), Dal mio terrazzo (1960), Quattro scoperte: Croce, Papini, Mussolini, Amendola (1963), Dio è un rischio (1969), Manifesto dei conservatori (1972), Diario 1900-1941 (1978), Diario 1942-1968 (1980).

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ARDENGO SOFFICI


Ardengo Sòffici è un pittore, un incisore e uno scrittore italiano nato a Rignano sull'Arno nel 1879 e morto a Vittoria Apuana, Forte dei Marmi, nel 1964. Dopo aver frequentato i corsi della Scuola libera di nudo all'Accademia di Firenze, si trasferì a Parigi (1899-1907), dove fu a contatto con gli ambienti letterari e artistici traendone interessanti e feconde esperienze per il suo futuro di pittore e di scrittore. Tornato a Firenze, prese parte al movimento vociano e poi a quello futurista, di cui figurò tra i più vivaci sostenitori sia come saggista sia come pittore, e fondò (1913) con Papini Lacerba. L'esperienza futurista, tuttavia, si concluse per S. già nel 1914, quando ripiegò su una pittura sensibile sia alla tradizione macchiaiola sia all'influenza dell'impressionismo. Successivamente, dopo il 1920, ripiegatosi su una concezione autoritaria in politica, la sua pittura divenne vivace espressione della cultura figurativa italiana quale andò configurandosi prima con Valori Plastici e poi con il Novecento. Al recupero di caratteri della tradizione del Quattrocento toscano, rivissuti da S. con senso plastico e spaziale moderno in tanti superbi paesaggi della Versilia, succedette poi una pittura inaridita nello stile e svuotata della vitalità intima del colore. In campo letterario, il gusto del frammento, di derivazione impressionistica e di contenuto autobiografico, caratterizza la sua prosa lirica e memorialistica, giocata sul filo di notazioni fulminee e incisive e ricca di momenti di felicità ariosa, anche se lontana dalla profondità morale di altri vociani (Ignoto toscano, 1909; Arlecchino, 1914; Giornale di bordo, 1915; Kobilek, 1918; La ritirata del Friuli, 1919).
Letteratura: le opere
L'opera critica di S., nella sua fase avanguardistica (A. Rimbaud, 1911; Scoperte e massacri, 1919; Statue e fantocci, 1919; Primi principi di un'estetica futurista, 1920) è contrassegnata da un vivace impegno per sbarazzare il campo dei vecchi valori, ma anche dal tentativo di razionalizzare il fatto creativo. Rispecchiando questa ambivalenza di posizioni, l'opera in versi di S. oscilla dall'audace sperimentalismo dei Chimismi lirici (1915) all'accademismo dell'Elegia dell'Ambra (1927) e di Marsia e Apollo (1938); sul piano narrativo, il tentativo di trasposizione in romanzo degli spunti autobiografici, Lemmonio Boreo (1912), approda a una soluzione rozza e provinciale della crisi degli intellettuali, prefigurando il vitalismo becero del primo fascismo squadristico. Il movente autobiografico, che è alla radice di tutta l'opera di S., predomina nettamente nell'Autoritratto di un artista italiano nel quadro del suo tempo (4 vol., 1951-55). Della sua opera critica si ricordano ancora Il caso Rosso e l'impressionismo (1909), Cubismo e Futurismo (1914), Giovanni Fattori (1921), Armando Spadini (1926), Ugo (1934), Trenta artisti moderni italiani e stranieri (1950).


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