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Giansenismo




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Giansenismo


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GIANSENISMO


Il giansenismo affonda le sue radici nella secolare polemica sulla Grazia e il libero arbitrio, riaccesa in campo cattolico dalla lotta contro il protestantesimo. Il radicale predestinazionismo dei protestanti favorì, di riflesso, nel cattolicesimo, durante la seconda metà del XVI sec., soprattutto per opera di teologi gesuiti, una tendenza ad accentuare la funzione della libertà umana nell'opera della salvezza: le più celebri e le più estreme di queste teorie furono enunciate dal Molina, che nel 1588, appoggiandosi all'autorità di san Tommaso, riassunse nella Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis le nuove posizioni, affermando che la Grazia sufficiente per fare il bene data da Dio a tutti gli uomini riceve la sua efficacia per l'assenso della libertà individuale, e che Dio predestina gli uomini alla salvezza in previsione dei loro futuri meriti, ch'egli conosce in precedenza grazie a un proprio particolare modo di conoscere, detto "scienza media". Le tesi di Molina furono largamente discusse, parallelamente a quelle contrapposte ispirantisi all'agostinismo rigido della disputa antipelagiana, e fiorenti soprattutto a Lovanio per opera di Baio, e già censurate dalla Santa Sede nel 1567: la soluzione del conflitto sulla Grazia, che vide un'infinita gamma di posizioni intermedie, venne anche rimessa, invano, a una congregazione detta de Auxiliis: il molinismo rischiò a sua volta di essere condannato nel 1607, ma, anche grazie alla crescente potenza della Compagnia di Gesù, le sue tesi teologiche, e altre a esse vicine, guadagnarono rapidamente terreno mentre si diffondevano tendenze lassiste nel campo morale. Alle une e alle altre volle reagire, radicalizzando il precedente agostinismo, il giansenismo, complesso sistematico di dottrine teologiche contenute nel capolavoro di Giansenio, l'Augustinus elaborato tra il 1628 e il 1636 e pubblicato postumo (1640). Il centro della dottrina giansenista della Grazia e del libero arbitrio era dato dall'assoluta distinzione tra lo stato precedente al peccato d'origine, nel quale Adamo era libero, in senso proprio, di peccare, avendo la sola Grazia sufficiente, e lo stato successivo al peccato originale, in cui l'uomo non può non peccare, essendo intrinsecamente corrotto: a trarlo da questo stato può intervenire soltanto la Grazia efficace, che ne determini infallibilmente la volontà verso il bene e che, senza alcun suo merito, ma soltanto come effetto di un amore invincibile (duplex delectatio) di Dio, porti l'uomo alla salvezza. La pubblicazione dell'opera, che per i suoi continui richiami ad Agostino e alla Chiesa primitiva e per il suo rigido predestinazionismo parve essere piuttosto vicina al protestantesimo che ai canoni del concilio di Trento (nonostante Giansenio rivendicasse la propria ortodossia e proclamasse di voler combattere gli errori protestanti), rinfocolò dovunque la disputa teologica.

In Francia le tesi di Giansenio furono difese da un suo amico personale, Du Vergier de Hauranne, abate di Saint-Cyran, direttore spirituale del monastero di Port-Royal, che era stato riformato da madre Angelica Arnauld. Avversario politico del Richelieu, Saint-Cyran fu imprigionato nel 1638, ma la lotta fu continuata dal discepolo Antoine Arnauld (il Grande Arnauld), appoggiato dai "solitari" di Port-Royal. Arnauld spostò prevalentemente la disputa sul piano morale e devozionale, esprimendo idee rigoriste contro la pratica della Comunione frequente (titolo di una sua opera apparsa nel 1643), conquistando numerosi seguaci. Ma a Roma si guardò con sempre maggiore sospetto al giansenismo: l'Augustinus subì una prima condanna generale con la bolla In eminenti (1642); poi con la bolla Cum occasione (1653) furono condannate cinque proposizioni fondamentali estratte dall'opera di Giansenio: in particolare si colpivano le proposizioni che apparivano inconciliabili con il libero arbitrio, e l'affermazione che Cristo non è morto per tutti ma solo per i pochi predestinati. I giansenisti reagirono negando che le cinque proposizioni condannate fossero veramente contenute nell'Augustinus: e di fronte a una nuova definizione papale (1654) che ribadiva la corrispondenza delle proposizioni alla lettera e allo spirito di Giansenio, i giansenisti ricorsero, con l'Arnauld e il Nicole, alla distinzione tra questioni di diritto (infallibilità del papa e della Chiesa nel giudicare di questioni dogmatiche e morali contenute nella Rivelazione) e questione di fatto (non infallibilità nel giudicare del vero senso delle parole di un autore); nelle questioni di fatto i giansenisti rifiutavano l'assenso interiore alla decisione della Chiesa, limitandosi a un silenzioso ossequio. In tal modo, com'era inevitabile, la disputa soteriologica divenne, allargandosi, disputa sui poteri del papa nella Chiesa; e i giansenisti non tardarono ad ammettere la possibilità di un appello al concilio contro le decisioni pontificie, avvicinandosi in tal modo ai conciliaristi gallicani. Nonostante l'intervento progiansenistico di Pascal con le sue Provinciali (1656), che attaccavano soprattutto il lassismo gesuitico, la situazione dei giansenisti si aggravò, specialmente in conseguenza della nuova condanna contenuta nella bolla Ad sanctam (1656). D'altra parte essi si attirarono l'ostilità di Mazzarino prima, e poi di Luigi XIV che, dopo aver vagheggiato l'idea di sfruttare il giansenismo per la creazione di una Chiesa nazionale, vi vide un pericolo per l'unità dello Stato (e per la sua politica di riavvicinamento a Roma). Nel 1664 le religiose di Port-Royal, ch'era diventato la vera roccaforte giansenistica, furono oggetto di dure misure vessatorie per aver rifiutato di firmare un formulario contro Giansenio. La tregua (1668-1679) della cosiddetta pace clementina, voluta da Clemente IX, fu per Port-Royal un periodo di fioritura e di calma: ma il giansenismo francese venne sempre più assumendo l'aspetto di una conventicola, di un partito religioso, la cui guida fu presa, dopo la morte di Arnauld (1694), dall'oratoriano Quesnel. Questi aveva pubblicato nel 1671 le sue Riflessioni morali, più volte riedite, che, nonostante la nuova condanna del giansenismo contenuta nella bolla Vineam Domini (1705), costituirono il testo preferito degli ambienti filogiansenisti ormai apertamente appoggiati dai gallicani, e difesi dall'autorità del cardinale Noailles. Ma la distruzione definitiva di Port-Royal per decreto reale (1710) e la condanna di 101 proposizioni tratte dalle Riflessioni morali di Quesnel da parte della bolla Unigenitus (1713) costituirono colpi durissimi alla sopravvivenza del giansenismo, almeno in Francia. Nel 1717 un gruppo numeroso del clero giansenista si appellò contro il papa a un concilio ecumenico ("appellanti", scomunicati da Clemente XI nel 1718). Nel 1724 si formò una Chiesa scismatica giansenista a Utrecht, senza però superare i confini dell'Olanda. In Francia, mentre il giansenismo dava luogo a fenomeni di fanatismo religioso ("convulsionari" del cimitero di Saint-Médard), sempre più stretto si faceva il suo collegamento con il gallicanesimo parlamentare prolungatosi sino alla Rivoluzione, quando molti giansenisti, come l'abate Grégoire, si mostrarono favorevoli alla costituzione civile del clero.

Una simile parabola, dal dibattito sui princìpi teologici al piano della lotta ecclesiastica, quando non addirittura nettamente politica, conobbe il giansenismo italiano, molto meno ricco di quello francese di ingegni teologici, ma caratterizzato da una fioritura di più esplicite esigenze riformistiche, anche in conseguenza della generale situazione di sordo o aperto conflitto dei principi illuminati della penisola con la Santa Sede. La precisa delineazione del giansenismo italiano è resa tanto più difficile dalla presenza nel Settecento di un vasto movimento di idee in ambito ecclesiastico a tendenza rigorista e di simpatie agostiniane, particolarmente attivo nel campo dell'erudizione storica, cui appartenevano uomini di indubbia ortodossia come il cardinale Noris e lo stesso Muratori. Proprio a Roma nella prima metà del Settecento si costituirono all'Archetto e presso l'Oratorio cenacoli di dotti prelati, cui partecipavano uomini destinati poi ad assumere atteggiamenti di aperta rottura con Roma. In effetti la seconda metà del secolo, con la seconda generazione giansenista, è il periodo in cui si verificò l'alleanza tra giansenismo e giurisdizionalismo, in concomitanza con gli indirizzi riformistici in campo ecclesiastico dei principi italiani e quando ormai il giansenismo aveva subito le definitive condanne da parte della Santa Sede. Tendenze politico- ecclesiastiche, che giunsero in certi casi a porre in discussione lo stesso potere temporale e in ogni caso si manifestarono in un senso favorevole all'organizzazione episcopalista della Chiesa, prevalsero in tal modo nettamente nei gruppi giansenisti lombardi (Tamburini, Zola, Guadagnini), che ebbero nell'università di Pavia il loro centro e in Giuseppe II il loro maggiore appoggio, e in quelli toscani, la cui attività guidata dal vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci e favorita dal granduca Pietro Leopoldo, culminò nel sinodo scismatico di Pistoia (1786), preludio alla formazione di una Chiesa nazionale di tipo episcopalista; anche nell'Italia meridionale gruppi giansenisti sostennero l'attività riformatrice e anticuriale del Tanucci. La bolla Auctorem fidei (1794), ultima condanna di 85 proposizioni gianseniste, ma molto più decisamente lo scoppio della Rivoluzione francese, che mutò completamente i termini della situazione politico-religiosa, contribuirono al sostanziale esaurimento del giansenismo, che, tra l'altro, conobbe profonde scissioni nel suo seno tra gli ecclesiastici favorevoli alle ideologie democratiche rivoluzionarie, sull'esempio del Grégoire, come il genovese Eustachio Degola, e quelli, più numerosi, rimasti fedeli all'assolutismo illuminato settecentesco. Nonostante i tentativi storiografici di scorgere nel giansenismo una delle fonti del liberalismo democratico ottocentesco, esso resta in realtà fenomeno certo importante nell'ambito religioso-ecclesiastico, ma strettamente limitato ai secc. XVII-XVIII e non poco anacronistico in molti suoi aspetti anche rispetto alle ideologie illuministiche. Residui di una concezione religiosa di stampo giansenistico restarono tuttavia, più o meno evidenti, e spesso riemergenti dopo lunghi periodi, nella letteratura italiana e francese, come dimostra il caso divenuto classico del cosiddetto "giansenismo" del Manzoni, che deve però essere fortemente limitato.


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