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Costruzione di un odello interpretativo




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Costruzione di un odello interpretativo


A conclusione del percorso di riflessione intorno al tema della risocializzazione[1] dei detenuti, condotto in questo elaborato di tesi, proporrò un modello interpretativo di tale fenomeno, che vede il comporsi integrato di tutte le sue componenti.

Anzitutto proporrò una definizione di risocializzazione e da questa individuerò gli attori (o agenti) di tale processo; da qui delineerò il modello ideale del loro mutuo interagire ai fini del buon esito del processo. Mi concentrerò, poi, sull'attore di risocializzazione che considero il più importante fra quelli da me individuati (più importante nel senso che il suo buon funzionamento, ritengo, influenza anche quello degli altri due), di cui descriverò le variabili necessarie perché possa essere un credibile agente di rieducazione.


E' bene chiarire che per risocializzazione intendo l'esito di quel processo di recupero, operato dal carcere, mediante il quale un uomo escluso dalla società per la sua inadeguatezza (detenuto) venga da essa riaccolto come cittadino abile. Da questa definizione è possibile cogliere quali siano i tre attori della risocializzazione, cioè: il detenuto, il carcere, la società. Ad ognuno di essi è affidata una funzione (Tabella 1) per concorrere in modo idoneo al processo del quale fanno parte; a tale funzione essi possono rispondere in modo positivo (adempiendole) o negativo (non adempiendole), determinando così le sorti del percorso di risocializzazione (nel primo caso), oppure di emarginazione (nel secondo caso). L'emarginazione è l'ovvia conseguenza del fallimento del processo di risocializzazione, poiché le due alternative che si presentano ad un individuo civilizzato, sono quelle di essere o dentro o fuori dalla società civile, quindi, o cittadini o emarginati.


Attori (o agenti)

della risocializzazione

Funzione che l'attore è chiamato

ad adempiere

Il carcere

Deve promuovere attività a scopo rieducativo

Il detenuto

Deve aderire con disponibilità mentale alle iniziative a scopo rieducativo promosse dal carcere

La società

Deve riammettere nel proprio tessuto civile gli ex detenuti in modo attivo

Tabella 1: I tre attori di risocializzazione con indicazione delle rispettive funzioni.


Per far sì che il processo di risocializzazione abbia luogo, occorre che tutti e tre i soggetti portino a termine la loro funzione, diversamente, sarà il "trionfo" dell'emarginazione sociale dei detenuti. Per capire tale necessità basta mettere in evidenza come le funzioni dei tre attori siano legate tra loro, e come l'esito negativo di anche solo una di esse provochi il fallimento dell'intero processo. Di seguito ho proposto tale lettura attraverso un diagramma di flusso, strumento dotato di chiaro impatto visivo, per mettere in evidenza cosa avviene se uno, due o tutti gli attori del processo oggetto di interesse vengono meno al loro compito. Tale diagramma (Figura 1) rappresenta il fulcro del "mio" modello interpretativo, nel senso che mette in evidenza i legami che intercorrono tra le varie funzioni del processo di risocializzazione, e sottolinea come solo una strada sia percorribile per intraprendere con successo tale percorso e quindi quello dell'avvenuto recupero del detenuto.


Il processo di risocializzazione per avere esito positivo, deve portare il soggetto dalla "casella A" alla "casella B" passando attraverso alcuni "filtri" che sono gli esiti (positivi o negativi) delle funzioni dei tre attori di risocializzazione.

Il primo di questi "filtri" è il carcere, poiché, se esso viene meno al suo compito di promuovere rieducazione (costringendo ad una pena fine a se stessa), ha come esito soggetti non rieducati, che torneranno in società, e poi, a causa della loro reiterata inadeguatezza, nuovamente alla "casella A". Ammettendo che invece il carcere promuova rieducazione, adempiendo alla sua funzione (pena a scopo rieducativo), c'è la possibilità che riesca a formare soggetti rieducati. Ho detto "possibilità", perché a questo livello agisce l'insopprimibile "libertà decisionale" del singolo detenuto (secondo filtro), che può decidere di aderire alle iniziative proposte dal carcere (contribuendo alla sua rieducazione), oppure no (contribuendo al fallimento della sua rieducazione). In quest'ultimo caso il soggetto tornerà comunque nella "casella A", perché non si sarà arricchito di quegli strumenti utili al vivere sociale.

I soggetti che grazie alle proposte del carcere e grazie alla propria disponibilità a migliorare sono riusciti nell'opera della propria rieducazione, devono attraversare l'ultimo filtro, cioè la società.

E' infatti la società che con il suo accettare o meno i soggetti recuperati, determina il loro reinserimento attivo nel tessuto sociale "casella B", oppure il loro vivere ai margini di esso "casella A".

In sintesi, si è potuto notare che, se anche uno solo dei tre attori della risocializzazione non adempie alla funzione che è chiamato a svolgere, si determina l'inesorabile circolo vizioso di emarginazione (che parte dalla casella A e torna alla casella A), dunque l'unica possibilità di poter percorrere fino alla fine il circolo virtuoso di risocializzazione (dalla casella A alla casella B) è quello del contemporaneo adempimento delle tre funzioni.

Fino qui si è stabilito quali siano gli attori della risocializzazione e quali le funzioni ad essi legati, ma non si è stabilito se esiste un modo per influenzare l'esito positivo di tali funzioni, e dunque, del processo di risocializzazione.

Nel "mio" modello, come ho anticipato all'inizio, al centro dell'attenzione c'è il carcere, poiché ritengo che solo con la buona riuscita del suo compito (promuovere rieducazione), si possa influenzare l'esito positivo del compito degli altri due attori della risocializzazione.

Mi spiego, la società civile abbasserà le sue difese nei confronti degli ex detenuti, ed adempirà alla sua funzione di reinserimento, solo quando avrà la "certezza" che dal carcere escono uomini veramente recuperati da poter inserire, senza correre rischi, nel proprio tessuto civile; i detenuti, da parte loro, cominceranno a credere nelle potenzialità rieducative del carcere solo quando vedranno che "i loro colleghi" usciti di prigione avranno davvero la possibilità di essere riaccolti dalla società, saranno, così, stimolati ad adempiere alla loro funzione di partecipazione alle attività promosse dal carcere.

Dunque da potenziare è l'immagine del carcere come "agenzia di rieducazione".

A questo proposito indico alcune variabili che, come ho potuto constatare dall'analisi condotta all'interno di S. Vittore, si rendono indispensabili perché il carcere possa promuovere reale rieducazione:

a)     appoggio della direzione penitenziaria,

b)     dotazioni strutturali,

c)     risorse umane,

d)     piano pedagogico orientato al recupero integrale del detenuto.


a) Per appoggio della direzione penitenziaria si intende la disponibilità di un direttore a promuovere e a non intralciare le diverse attività formative che vengono spesso proposte dai volontari e che altrettanto spesso rappresentano per i detenuti i migliori espedienti di rieducazione. Questo può avvenire solo se il direttore crede fermamente nel dovere del carcere di recuperare i detenuti attraverso la rieducazione, altrimenti egli si limiterà ad ammettere solo le attività espressamente indicate dalla circolare ministeriale[2] che stabilisce le linee guida del piano pedagogico di ogni istituto penitenziario.

Questo limiterebbe enormemente la portata rieducativa di un carcere.


b) Per dotazioni strutturali si intendono sia gli spazi fisici (aule) dove poter svolgere attività educative, sia la strumentazione ad esse necessarie (es. computer, registratori, videocamere).

In mancanza di tali supporti le attività possono risultare molto rallentate e non al passo con i tempi.


c) Per risorse umane si intende il personale adibito alle attività rieducative (psicologi, professori, educatori), sia esso formato da elementi dello staff penitenziario o da volontari.

Se la presenza di tale personale è insufficiente, molte attività non potranno partire, con la conseguente esclusione di gran parte dei detenuti dalle attività formative.


d) Per piano pedagogico orientato al recupero integrale del detenuto, si intende una proposta formativa che si componga di un corpo di attività mirate alla rieducazione dei diversi aspetti della personalità del recluso.

Nello specifico tali attività dovrebbero consentire al detenuto di: riflettere sul suo passato per comprendere le motivazioni dei propri errori (aspetto emotivo e morale), ottenere una preparazione scolastica e professionale (aspetto culturale), mantenere i contatti con la società esterna (aspetto relazionale).

Quest'ultimo obiettivo è fondamentale anche ai fini di una sensibilizzazione della società esterna rispetto il tema del carcere, sensibilizzazione che può anche facilitare l'esito positivo della funzione della società, ossia l'accettazione dei detenuti come elementi da reinserire in modo attivo nel proprio tessuto sociale.

Un'abilità che i detenuti dovrebbero inoltre acquisire durante la detenzione è la capacità di utilizzare le tecnologie della comunicazione, poiché la padronanza di tali strumenti è fondamentale in vista del reinserimento (anche lavorativo) una volta scontata la pena dal momento che devono ormai far parte del bagaglio culturale di base di ogni persona che voglia interagire con la società.

Se quest'ultima variabile non viene osservata il carcere rischia di proporre attività disorganiche che lascerebbero inespressa qualche dimensione del detenuto, con il risultato di una rieducazione solo parziale.


In conclusione si può affermare che un carcere che voglia essere credibile, sia agli occhi della società sia agli occhi dei detenuti, come "agenzia di rieducazione", non può fare a meno di tenere contemporaneamente sotto controllo tutte queste variabili.


San Vittore e il modello interpretativo a confronto

Una volta proposto il modello del carcere come "motore di risocializzazione"[3], voglio provare a mettere "sotto esame" il caso di S. Vittore confrontandolo con esso (Tabella 2).

In sostanza voglio verificare se la Casa Circondariale milanese tiene sotto controllo le variabili prima descritte, così, nella tabella che segue, in corrispondenza di ognuna di queste variabili riporterò la situazione che caratterizza S. Vittore.


Variabili

San Vittore

a) Appoggio della direzione penitenziaria

La Casa Circondariale milanese gode del totale appoggio del suo Direttore, il Dottor Pagano[4], che consente l'avvio di ogni iniziativa, a scopo rieducativo, che le risorse dell'istituto penitenziario consentono.

b) Dotazioni strutturali

Dal momento che quando la Casa Circondariale milanese è stata costruita (1879) non esisteva la pena a scopo rieducativo, non è stata strutturalmente pensata con spazi appositi per lo svolgimento di attività formative. Si può quindi dire che a questo livello S. Vittore paga un po' le conseguenze di essere un edificio vecchio. Comunque i responsabili dell'area pedagogica cercano di sfruttare al meglio i pochi spazi disponibili. Per quanto riguarda gli strumenti, non si può certo dire che S. Vittore sia all'avanguardia, ma a questa mancanza suppliscono i volontari che cercano di supportare i propri progetti con il massimo delle attrezzature possibili (Per avere un'idea delle dotazioni strutturali presenti a S. Vittore si veda Capitolo I pp. 40-41).

c) Risorse umane

L'insufficienza del personale adibito alla rieducazione dei detenuti è un grosso problema che affligge la Casa Circondariale milanese, infatti ci sono soltanto 21 operatori adibiti all'area educativa su una popolazione detenuta di circa 1500 unità. A questa carenza S. Vittore riesce a supplire grazie alla presenza massiccia del fenomeno del volontariato (491 volontari).

(Se si vuole avere un'idea più completa delle risorse umane presenti a S. Vittore si veda capitolo I pp. 39-40).

d) Piano pedagogico orientato al recupero integrale del detenuto

Il piano pedagogico della Casa Circondariale milanese è molto ben strutturato, pone infatti attenzione, nella moltitudine di progetti proposti, alle differenze di competenze ed interessi dei detenuti. Oltre alle attività previste dal piano pedagogico, a S. Vittore vengono promosse molte altre attività proposte dai volontari. (Per vedere come è strutturato il piano pedagogico di S. Vittore si veda Capitolo 1, pp. 41-49).

Tabella 2: S. Vittore a confronto con le quattro variabili individuate affinché il carcere possa promuovere rieducazione.


Credo di poter concludere che S. Vittore da questo "esame", che lo metteva a confronto con il modello ideale da me proposto, risulti promosso, poiché sebbene abbia delle oggettive difficoltà da affrontare, è sicuramente un carcere nel quale la funzione "promozione di attività a scopo educativo" viene assolta sfruttando al massimo le "poche" risorse a disposizione.


Adesso voglio verificare quali dimensioni della personalità del detenuto concorrono a rieducare i due progetti che ho analizzato in questo elaborato di tesi, il sito che ospita il Net Magazine di S. Vittore e l'audiolibro "Il lupo racconta". Per farlo li metterò a confronto con le dimensioni della personalità che una rieducazione integrale del detenuto deve sviluppare (Tabella 3), dimensioni già citate nella descrizione della variabile "d".


Dimensione relazionale

Grazie al sito i detenuti hanno la possibilità di aprire un canale comunicativo con l'esterno. Questo gli dà modo di non limitare la loro comunicazione a quella che avviene all'interno del carcere, che si caratterizza per essere ripetitiva.

In tale progetto i detenuti hanno scritto sotto forma di fiaba parte della loro storia di vita e lo hanno fatto pensando di rivolgersi ai propri figli. Questo li ha portati a studiare un linguaggio che fosse adatto e li ha virtualmente posti in contatto dialogico con essi.

Tabella 3: I due progetti de "Il lupo racconta" e del sito a confronto con le dimensioni della personalità del detenuto che una rieducazione integrale deve sviluppare.

Dimensione culturale

Per partecipare all'attività redazionale il detenuto ha dovuto partecipare ad un corso di italiano, ad un corso di giornalismo e ad un corso di web publishing.

Per partecipare a tale progetto i detenuti hanno seguito un corso di scrittura creativa, ed anche degli incontri con uno psicoterapeuta che li ha aiutati nella "ricostruzione" del proprio passato.

Dimensione emotiva e morale

Il "successo di pubblico" che ha ottenuto il sito, contribuisce a creare nei detenuti la consapevolezza che qualcuno si interessa del carcere e di quello che loro hanno da dire Questo favorisce la loro disponibilità a mettersi in discussione per migliorare, poiché gli dà la sensazione che i loro cambiamenti, testimoniati anche da ciò che scrivono sul sito, vengano apprezzati.

A questo progetto fa da sfondo il lavoro autobiografico, che come si è visto nel capitolo III di questo elaborato di tesi, presenta grandi potenzialità pedagogiche, in particolare quella di favorire la "costruzione dell'io". "Costruzione" importante per un detenuto che sta lavorando alla propria rieducazione, perché favorisce la comprensione del presente.

Variabili

Progetti

www.ildue.it

Primo sito del carcere che ospita il Net Magazine creato da un gruppo di detenuti di S. Vittore.

"Il lupo racconta": audiolibro che raccoglie brani autobiografici scritti ed interpretati da un gruppo di detenuti.



Dalla lettura di tale tabella risulta evidente che anche i progetti da me analizzati in questo elaborato di tesi, sono da promuovere perché in possesso di quei requisiti grazie ai quali si può sostenere che concorrano ad una rieducazione integrale del detenuto. Lo stesso gruppo di detenuti che ha partecipato ai due progetti sopra analizzati, è attualmente impegnato in un altro progetto che merita di essere almeno menzionato, e cioè una versione particolare del gioco dell'oca dal titolo "Kriminal mouse". E' un libro-gioco formato da un tabellone in cartoncino (nel quale sono rappresentate circa cinquanta caselle con vignette, ognuna delle quali rappresenta un momento della vita del detenuto) e da un libro (che raccoglie racconti autobiografici dei detenuti in riferimento ad ogni casella del tabellone). Le regole sono molto simili a quelle del gioco dell'oca da tutti conosciuto.

Non posso essere più precisa nella descrizione di tale progetto perché è ancora in fase di "costruzione", ma già si delinea un suo "vantaggio" rispetto agli altri due progetti: è già stata pensata la sua "strategia di diffusione". Da settembre, infatti, questo gioco verrà portato nelle scuole superiori (che diventeranno in questa prospettiva il canale di contatto tra carcere e società), grazie al lavoro di alcuni educatori che se ne faranno carico, con lo scopo di far conoscere-giocando il carcere ai giovani. L'obiettivo di questa operazione è duplice: da un lato si vuol far conoscere il carcere a scopo preventivo (il messaggio arriverà chiaro, come nel caso de "Il lupo racconta"; e suonerà pressappoco così: "il crimine non vale la pena"), e dall'altro si vogliono sensibilizzare i giovani sul carcere e sulle sue problematiche.

Ritengo molto interessante la scelta di rivolgersi ai giovani, poiché essi sono la società di domani, quella stessa società che oggi si cerca disperatamente di sensibilizzare sul tema del carcere. Questa strategia potrà quindi avere come risultato una sensibilizzazione sociale a partire dal basso e questo forse "domani" darà i suoi frutti.


Questo elaborato di tesi si era aperto con la volontà di verificare se i precetti costituzionali, relativi alla pena a scopo rieducativo, contenuti nell'articolo 27, stessero diventando le linee guida nel trattamento dei detenuti. Inoltre si sottolineava il fatto che entrambi i progetti promossi a S. Vittore e da me analizzati, si avvalevano del supporto delle tecnologie della comunicazione, così mi ero riproposta di individuare quali potessero essere i vantaggi che tali tecnologie avrebbero apportato ai due progetti.

Adesso che sono giunta alla conclusione del lavoro di riflessione e di analisi che ha visto il carcere di S. Vittore ed alcune delle sue iniziative come protagonisti, credo di poter dare "risposta" agli "interrogativi" sopra citati, attorno ai quali si è svolto il presente lavoro.

Per quanto riguarda il primo aspetto è utile ripercorrere mentalmente la descrizione del piano pedagogico della Casa Circondariale milanese, per convincersi del fatto che S. Vittore possa essere considerato l'emblema del sistema carcerario in trasformazione verso una detenzione dal volto più umano. Questo è sufficiente per poter sostenere che il sistema penitenziario ha intrapreso, anche se lentamente, la strada del rinnovamento, che vede nei precetti dell'articolo 27 le sue linee guida.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, posso in conclusione affermare che l'utilizzo delle tecnologie della comunicazione come supporto per i due progetti da me analizzati, abbia contribuito ad ampliare le loro potenzialità rieducativo-risocializzanti (comunicative quelle del sito, e di sensibilizzazione quelle dell'audiolibro). Ad esempio, quando il giornale di San Vittore ha iniziato ad essere pubblicato on line, sfruttando l'enorme potenzialità divulgativa di Internet, ha sicuramente raggiunto una fascia di pubblico più ampia; e il lettore de "Il lupo racconta" ha potuto sicuramente immedesimarsi maggiormente nelle storie di vita dei detenuti, avendo la possibilità non solo di leggerle ma anche di ascoltarle dalla viva dei suoi autori, grazie alla presenza dell'audio cd (tale immedesimazione è utile per favorire il processo di sensibilizzazione).

Tali tecnologie, secondo me, sono particolarmente utili proprio nel caso in cui progetti promossi in carcere vogliano arrivare alla società esterna, perché hanno la possibilità di far raggiungere ai detenuti, anche se solo virtualmente (attraverso pagine scritte veicolate da Internet, o attraverso la loro voce veicolata da un audio cd), luoghi e persone a cui la loro condizione di reclusione non consentirebbe di pervenire. Dunque tali tecnologie fungono da prolungamento del corpo e della mente dei detenuti, prolungamento che può ampliarsi indefinitamente.

Un altro vantaggio delle tecnologie è quello di rendere le varie attività a cui fanno da supporto, più accattivanti sia per i detenuti, che ne sono gli autori, sia per la società libera, che ne è il destinatario, favorendo nei primi l'interesse per la partecipazione e nella seconda per l'ascolto.


In conclusione voglio solo aggiungere l'auspicio che la disponibilità al trattamento rieducativo dei detenuti, che fa di S. Vittore un carcere all'avanguardia per la promozione dei recuperi sociali, diventi un modello seguito da molti altri istituti penitenziari. Questo affinché il sistema carcerario riesca, nel più breve tempo possibile, a trasformarsi in credibile "agenzia di risocializzazione"; atto utile e dovuto non solo ai detenuti ma all'intera società che ha il diritto di vedere reintrodotti nel proprio tessuto civile soggetti davvero riabilitati che non rappresentino una minaccia.



Mi sono riferita in particolare alla risocializzazione, perché è l'esito di tutto il generale processo di recupero del detenuto che si esplica attraverso la sua integrale rieducazione.

Circolare n. 3593, del 09.10.2003, relativa all' "Osservazione e trattamento intramurale", emanata dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Definisco il carcere "motore di risocializzazione" perché ritengo che tale processo abbia proprio nella funzione educativa del carcere il suo punto di avvio.

Il dottor Pagano non è più direttore della Casa Circondariale milanese (che dirigeva dal 1989) dalla fine di maggio 2004, poiché è stato nominato Provveditore regionale per le carceri.

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