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La Ballerina
Tesina di maturita
C'era una stella che danzava e sotto quella sono nata
... Mi piace pensare che sia cosi'
Molto rumore per nulla - W. Shakespeare
Ho scelto questo tema da sviluppare perché ho sempre amato la danza e volevo ritrovarla nelle discipline che mi hanno accompagnata nel mio percorso di studi.
Nella danza coesistono disciplina di regole molto precise e possibilità di dare libero spazio alla fantasia, all'arte, alla creatività.
La danza, come la vita, e' ricca di sensazioni di gioia, piena di armonia e ha un linguaggio universale, e' un sogno di felicità che si realizza ogni giorno, imparando, passo dopo passo, il difficile mestiere della ballerina .
Le poesie di un poeta, il quadro di un pittore, il pensiero di un filosofo, l'ordine delle costellazioni, il cammino dell' uomo verso la civiltà nascono sempre dall' equilibrio tra regole e fantasia.
Ecco perché amo ballare
ARTE
'Perchè dipingo la danza? E' il movimento della gente e delle cose che ci consola. Se le foglie degli alberi non si muovessero, gli alberi sarebbero infinitamente tristi e la loro tristezza sarebbe la nostra'. (Edgar Degas)
EDGARD DEGAS nacque a Parigi il 19 luglio 1834, era il primo di cinque fratelli di una famiglia facoltosa e dagli spiccati interessi artistici. Muore il 2 settembre 1917 all'età di 83 anni e venne sepolto a Montmartre.
La classe di danza è un dipinto ad olio su tela di cm 85 x 75 realizzato tra il ed il dal pittore francese Edgar Degas.
È conservato al Musée d'Orsay di Parigi.
È tra le prime opere del pittore a mostrare il tema delle ballerine : il dipinto ne raffigura un gruppo mentre assistono ad una lezione di danza impartita da un anziano maestro.
Come altrove in Degas, anche questa immagine coglie un attimo a caso dei mille possibili della lezione, per cui è possibile trovare espressioni naturali e spontanee, come il parlottio delle ragazze sullo sfondo o, maggiormente, la smorfia di fastidio della ragazza che si gratta la schiena in primo piano a sinistra. La scena di interno è resa spaziosa dalla visuale prospettica che sfonda verso destra, sottolineata dalle linee del parquet.
I colori, delicati, valorizzano i materiali : vengono rispettati la vaporosità del tulle e la delicatezza dei rasi, spezzando la fissità della luce degasiana.
Degas si recava spesso all'Opéra di Parigi non soltanto in veste di spettatore ma intrufolandosi anche dietro le quinte, nel foyer di danza, dove era stato introdotto da un suo amico musicista d'orchestra.
Si trattava ancora dell'edificio che sorgeva in rue Le Peletier e non del celebre teatro ideato da Garnier e che, di lì a poco, sarà inaugurato. Sin dagli inizi degli anni settanta del XIX secolo e fino alla morte dell'artista, le ballerine raffigurate alla sbarra, alle prove o a riposo diventano il soggetto preferito di Degas, ripreso con un quantità incredibile di varianti nei gesti e nelle posture, in molte sue tele.
Più che dalla passione per l'arte e dalle luci della ribalta, il suo interesse è catturato dal lungo lavoro di preparazione che sta alla base di ogni rappresentazione. In questa opera Degas raffigura la conclusione di una lezione: le allieve, del tutto esauste, si riposano: alcune si stiracchiano, altre si piegano per sistemarsi l'acconciatura, il costume da ballo, un orecchino, un nastro, prestando poca attenzione all'inflessibile insegnante che, in questo quadro, assume le sembianze di Jules Perrot, un vero maestro di ballo.
Degas ha osservato con attenzione i gesti più spontanei, naturali e abituali dei momenti di pausa in cui la concentrazione si allenta ed il corpo si rilassa, dopo lo sforzo di una estenuante lezione condotta con ferrea disciplina.
Come di consueto, Degas sceglie un angolo decentrato per inquadrare la scena e il forte scorcio è accentuato dalle linee oblique delle tavole del parquet. A tal proposito, Paul Valéry ha scritto: 'Degas è uno dei pochi pittori che abbiano riconosciuto al suolo l'importanza che esso merita. Alcuni pavimenti da lui raffigurati, rivestono grande importanza nella composizione'. Questa affermazione è particolarmente vera se riferita alle ballerine per le quali il parquet che rappresenta il loro principale strumento di lavoro, viene frequentemente pulito con un panno per scongiurare scivoloni e cadute. Si tratta dello stesso parquet sul quale il maestro picchia il bastone per dare il tempo.
ITALIANO
La danza è una poesia muta; la poesia è una danza parlata (Simonide)
PREFAZIONE A EVA - Giovanni Verga (1840-1922)
Eccovi una narrazione - sogno o storia poco importa - ma vera, com'è stata e come potrebbe essere, senza retorica e senza ipocrisie. Voi ci troverete qualcosa di voi, che vi appartiene, che è frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorché si avvicina vostra figlia - voi che non osate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lacerando i guanti nell'applaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga scintillare l'ardore dei vostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto - tanto meglio per voi, che rispettate ancora qualche cosa.
Però non maledite l'arte che è la manifestazione dei vostri gusti.
I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere; noi lasceremo il 'cancan' litografato sugli scatolini dei fiammiferi. Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni; l'arte allora era una civiltà, oggi è un lusso: anzi, un lusso da scioperati. La civiltà è il benessere; ed in fondo ad esso, quand'è esclusivo come oggi, non ci troverete altro, se avete il coraggio e la buona fede di seguire la logica, che il godimento materiale. In tutta la serietà di cui siamo invasi, e nell'antipatia per tutto ciò che non è positivo - mettiamo pure l'arte scioperata - non c'è infine che la tavola e la donna. Viviamo in un'atmosfera di banche e di imprese industriali, e la febbre dei piaceri è la esuberanza di tal vita.
Non accusate l'arte, che ha il solo torto di avere più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri. Non predicate la moralità, voi che ne avete soltanto per chiudere gli occhi sullo spettacolo delle miserie che create, - voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l'onore là dove voi non lasciate che la borsa, - voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleggiano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti, che l'arte raccoglie e che vi getta in faccia.
Eva (1873) Trama
E' questo uno dei primi romanzi di G. Verga, che nascono nel clima culturale della Scapigliatura milanese.
Eva, al pari dell'eroina di "Una peccatrice", è una donna bella e sensuale, destinata a causare un'infelice passione. Guadagna col suo lavoro di ballerina il lusso che è indispensabile cornice al suo fascino.
Un povero pittore, Enrico Lanti, si innamora di lei, ed essa, curiosa e conquistata dallo strano carattere dell'artista, lo ricambia, dividendosi tra lui e le sue attività professionali: soluzione che, al suo spregiudicato buon senso, sembra la migliore.
Però, quando lo vede tormentato dalla gelosia, giunge a dargli la gran prova d'amore di dividere con lui la miseria. Lungi dagli splendori tra cui Enrico l'ha conosciuta, Eva s'accorge presto d'aver perduto ogni fascino per l'amante, e allora lo lascia e torna alla sua vita equivoca.
Così Lanti soffre solo nella miseria, finché trova la sua strada e si conquista gloria e agiatezza in campo artistico, adeguandosi al gusto falso e volgare del pubblico.
Allora lo riprende la passione per Eva, e poiché non può riaverla, provoca il suo amante, si batte in duello e va a morire, povero e segnato dalla malattia, nel paese natale in Sicilia, dove l'attendono i genitori e la sorella.
In questo tipico romanzo 'di transizione' Verga giunse, forse involontariamente, a simboleggiare, nelle figure dei due protagonisti, il contrasto tra due mentalità e tra due opposte formule d'arte.
Il Lanti è l'artista, romantico, pieno di slanci ideali e fiducioso in un'idea di arte totalmente appagante che diviene l'unica ragione di vita; tesi questa sostenuta e condivisa dal movimento degli Scapigliati.
Eva è invece personaggio più legato al realismo prosaico della nuova società industriale, che sostiene e ostenta apertamente il valore del denaro, del divertimento, del lusso esibito, senza il pudore che una società contadina - come quella da cui proviene il Lanti - ha ancora per l'autenticità dei sentimenti.
Commento
La Prefazione ad Eva nasce dall'esperienza milanese, dall'impatto con la vita in una grande città moderna e dalla coscienza che l'arte ha perso, nella età industriale, il ruolo centrale e di protagonista che aveva sia nell'antichità sia nel periodo romantico. L'arte infatti appare come un lusso inutile: da qui la condanna dell'opinione pubblica che le preferisce piaceri materiali e volgari. La causa di tale isolamento dell'arte è dovuta al particolare momento storico economico che privilegiava la macchina allo spirito. La Prefazione si presenta come un "manifesto" di poetica e vi si dichiara l'intento di attenersi al "vero", senza retorica e senza ipocrisie.
I protagonisti sono un giovane siciliano Enrico Lanti e una ballerina di varietà, Eva, della quale si innamora. La loro storia ha un finale tragico perché Enrico subisce una doppia sconfitta: sia nell'amore che nell'arte. In Eva compare il tema della Ballerina in cui l'arte si presenta, nel mondo moderno, come artificio, esibizione pubblica e seduzione: la ballerina è un'artista, ma dipende completamente dai gusti e dal denaro del pubblico. Il suo destino è analogo a quello dello scrittore e del pittore.
Aldo Palazzeschi 1885 - 1974
Nella poetica di Palazzeschi occupa un posto centrale il problema dell'identità del poeta nella società di massa. Egli è consapevole che non è più possibile considerare il poeta come "portatore di verità e di valori" perché la funzione sociale dell'artista viene annullata dalla svalutazione dell'arte ridotta a merce. Proprio per questo il rapporto conflittuale tra poeta e pubblico è un tema ricorrente nei suoi testi.
CHI SONO ?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
<<follia>>.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
<<malinconia>>.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
<<nostalgia>>.
Son dunque che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
Palazzeschi in questa poesia propone per il poeta un ruolo di clown, di "saltimbanco" che offre se stesso al pubblico, trasformando in risata e in capriola la propria crisi esistenziale. L'autore propone una sfida verso l'ipocrita convenzionalismo borghese e, insieme, il recupero della dimensione giocosa e trasgressiva dell'arte.
COMARE COLETTA
« Saltella e balletta
comare Coletta !
Saltella e balletta ! »
Smagrita, ricurva, la piccola vecchia
girando le strade saltella e balletta.
Si ferma la gente a guardarla,
di rado taluno le getta denaro;
saltella più lesta la vecchia al tintinno,
ringrazia provandosi ancora
di reggere alla piroetta.
Talvolta ella cade fra il lazzo e le risa:
nessuno le porge la mano.
« Saltella e balletta
comare Coletta !
Saltella e balletta ! »
- La tua parrucchina, comare Coletta,
ti perde il capecchio !
- E il bel mazzolino, comare Coletta,
di fiori assai freschi !
- Ancora non hanno lasciato cadere
il vivo scarlatto.
- Ricordan quei fiori, comare Coletta,
gli antichi splendori ?
- Danzavi nel mezzo ai ripalchi,
n'è vero, comare Coletta ?
Danzavi vestita di luci, cosparsa di gemme,
E solo coperta di sguardi malefici, vero ?
- Ricordi le luci, le gemme ?
- Le vesti smaglianti ?
- Ricordi gli sguardi ?
- Ricordi il tuo sozzo peccato ?
- Vecchiaccia d'inferno,
tu sei maledetta.
« Saltella e balletta
comare Coletta !
Saltella e balletta ! »
Ricurva, sciancata,
provandosi ancora di reggere alla piroetta,
s'aggira per fame la vecchia fangosa;
trascina la logora veste pendente a brandelli,
le cade a pennecchi di capo il capecchio
fra il lazzo e le risa,
la rabbia le serra la bocca
di rughe ormai fossa bavosa.
E ancora un mazzetto
di fiori scarlatti
le ride sul petto.
« Saltella e balletta
comare Coletta !
Saltella e balletta »
Comare Coletta
E' una vecchia mendicante che un tempo ballava nei teatri, vestita di abiti luccicanti e vistosi e che ora saltella goffamente per chiedere l' elemosina.
Una folla di curiosi le si stringe intorno e la incita a continuare le sue piroette, divertendosi davanti alla rigidità dei suoi movimenti, ormai simili piu' a quelli di una marionetta, che a quelli di una ballerina.
La folla rappresenta l'ipocrita conformismo borghese, che da un lato si compiace davanti allo spettacolo offerto da Comare Coletta, dall' altro lo condanna come indecente espressione di una degradazione fisica e morale, originata dal "peccato" commesso in gioventù.
Il poeta si unisce al coro di disprezzo nei confronti della protagonista, espresso sia nel lessico ( balletta, vecchiaccia, maledetta ) , sia nel tema della degradazione dell'artista nella società di massa e nella perdita dei suoi valori.
LATINO - Satyricon, 36
[XXXVI] Haec ut dixit, ad symphoniam quattuor tripudiantes procurrerunt superioremque partem repositorii abstulerunt. Quo facto, videmus infra altitia et sumina leporemque in medio pinnis subornatum, ut Pegasus videretur. Notavimus etiam circa angulos repositorii Marsyas quattuor, ex quorum utriculis garum piperatum currebat super pisces, qui <tamquam> in euripo natabant. Damus omnes plausum a familia inceptum et res electissimas ridentes aggredimur. Non minus et Trimalchio eiusmodi methodio laetus: 'Carpe!', inquit. Processit statim scissor et ad symphoniam gesticulatus ita laceravit obsonium, ut putares essedarium hydraule cantante pugnare. Ingerebat nihilo minus Trimalchio lentissima voce: 'Carpe! Carpe!' Ego suspicatus ad aliquam urbanitatem totiens iteratam vocem pertinere, non erubui eum qui supra me accumbebat, hoc ipsum interrogare. At ille, qui saepius eiusmodi ludos spectaverat: 'Vides illum, inquit, qui obsonium carpit: Carpus vocatur.
Ita quotiescumque dicit 'Carpe', eodem verbo et vocat et imperat'.
Dopo la battuta di Trimalcione, quattro servi entrano ballando al ritmo di un'orchestra e scoperchiano il vassoio. E cosa ti vediamo dentro? Capponi, mammelle di scrofa e, al centro, una lepre con tanto di ali che sembrava un Pegaso. Agli angoli del vassoio notiamo anche quattro statuette di Marsia, che da piccoli otri innaffiavano di salsa piccante dei pesci che ci sguazzavano dentro come in un braccio di mare. Applaudiamo tutti unendoci ai servi e, nell'allegria generale, ci buttiamo su quel ben di dio. E Trimalcione, come noi al settimo cielo per quella nuova portata, urla: «Trincia!». Subito arriva un trinciatore che, muovendosi lui pure al ritmo dell'orchestra, taglia la carne così bene che lo avresti detto un gladiatore impegnato a combattere sul carro al suono dell'organo. Trimalcione, intanto, continuava a ripetere «Trincia! Trincia!» con la sua voce strascicata. E io, sospettando che quella parola ripetuta tante volte contenesse un qualche sottosenso spiritoso, non esitai a chiederlo al commensale seduto al mio fianco. Ma quello, che di sicuro aveva assistito già altre volte a pantomime del genere, mi spiega: «Lo vedi il servo che taglia le pietanze? Ebbene si chiama Trincia. Così, ogni volta che Trimalcione dice 'Trincia', con una parola sola lo chiama e gli dà un ordine».
PETRONIO
E' l'autore del Satyricon, descritto in questo modo da Tacito negli Annales. Fu proconsole in Bitinia al tempo di Nerone, del quale diventò il confidente. Cadde in disgrazia e si suicidò nel 66. Passò i suoi ultimi momenti banchettando e dedicandosi alla poesia. Decise di mandare a Nerone una lettera in cui lo denunciava apertamente per i crimini da lui commessi. Della sua opera principale rimangono incerti l'autore, la data di composizione, il titolo e il suo significato, l'estensione originaria e la trama. Si presume che doveva essere composto da 16 o più libri e ambientato negli anni 65-66 durante il principato di Nerone. Prende spunto dalle satire menippee, dal romanzo ellenistico, dalla fabula Milesia. Dell'opera possediamo completamente il quindicesimo libro e parzialmente il quattordicesimo e il sedicesimo. E' scritto in diversi livelli linguistici dalla lingua parlata a quella colta e sono presenti anche dei volgarismi nel linguaggio di alcune figure minori. Nel romanzo sono presenti numerose allusioni ad avvenimenti, personaggi, fatti economici, costumi propri dell'età neroniana. Si presenta come rovesciamento del romanzo greco: la tradizionale coppia di innamorati guidati da Eros è sostituita da una coppia omosessuale le cui peripezie sono causate dall'ira di Priapo, dio della fertilità e della sessualità. E' narrato in prima persona da uno dei due protagonisti, Encolpio e Gitone. La vicenda è ambientata inizialmente in una città greca, poi su una nave diretta a Taranto, infine a Crotone. La narrazione inizia con l'arrivo di Encolpio in una pinacoteca della città dopo che Ascilto si è impossessato di Gitone. Lì incontrano Eumolpo, un poeta che vive di espedienti, cinico e corrotto, e tutti e quattro si imbarcano su una nave che viene sbattuta a causa di un naufragio sulle coste di Crotone (colonia greca). Eumolpo in questa città si finge ricco e tutti gli sono vicini perché sperano che muoia presto, mentre Encolpio incontra una fanciulla, ma non riesce a dimostrarle la sua virilità a causa del Dio che lo tortura e ricorre alla magia per riaverla. Guarisce, nel frattempo muore Eumolpo. L'episodio più famoso e completo del romanzo è la cena di Trimalcione, un liberto ricchissimo e scarsamente acculturato, i cui ospiti durante il banchetto si dilettano raccontando storielle divertenti.
Le novelle non possono essere considerate parti narrative a sé stanti, ma la cornice alle vicende dei personaggi. Sono narrate dagli stessi protagonisti. In questo passo si nota la contrapposizione tra spazi aperti e spazi chiusi, perché questi ultimi sono insidiosi (per esempio si spaventano per un cane dipinto sulla parete della casa con la scritta 'cave canem').
Caratteristica principale dell'opera è il ritmo indiavolato delle vicende:
innumerevoli intrecci, scambi di persona, azione, peripezie. Sono riconosciute
come grandi doti di Petronio l'originalità e la complessità anche se l'aspetto
più particolare della sua poetica è la carica realistica: si sofferma a
descrivere luoghi fondamentali ed episodi di vita del mondo romano. L'autore
poi mostra di dominare complessivamente la materia, anche se c'è talvolta
esasperazione nel delineare il carattere dei personaggi.
INGLESE
William Wordsworth
I wandered lonely as a cloud
That floats on high o'er vales and hills,
When all at once I saw a crowd,
A host, of golden daffodils;
Beside the lake, beneath the trees,
Fluttering and dancing in the breeze.
Continuous
as the stars that shine
And twinkle on the milky way,
They stretched in never-ending line
Along the margin of a bay;
Ten thousand saw I at a glance,
Tossing their heads in sprightly dance.
The waves beside them danced; but they
Outdid the sparkling waves in glee;
A poet could not but be gay
In such a jocund company;
I gazed - and gazed - but little thought
What wealth the show to me had brought:
For oft, when on my couch I lie
In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils.
Vagavo da solo, come una nuvola
che fluttua alta su valli e colline,
quando d'un tratto vidi una folla,
una moltitudine di asfodeli dorati;
accanto al lago, sotto gli alberi,
ondeggiavano danzando nella brezza
Continui
come le stelle che brillano
e scintillano nella Via Lattea,
si stendevano in una linea senza fine
lungo il margine della baia;
diecimila ne vidi, ad un'occhiata,
agitare la testa in una danza gioiosa.
Danzavano
le onde lì accanto; ma loro
ne superavano in splendore lo sfavillio;
un poeta non poteva che esser felice,
in tale gaia compagnia.
Guardavo - e guardavo - senza ancora sapere
quale ricchezza mi avrebbe donato quella visione.
Poiché spesso,
sdraiato sul letto
con l'animo vuoto o pensoso,
li rivedo in un balenìo con quell'occhio interiore
che è la benedizione della solitudine;
e allora il mio cuore si colma di piacere
e danza insieme ai fiori.
Wordsworth, poeta inglese appartenente alla corrente del Romanticismo, paragona nella sua opera "I wardered lonley as cloud" il movimento di alcuni elementi della natura ad una danza.
In this poem,often known as "Daffodils" the poeti s wandering alone trough the countryside,when he is surprise by a field of golden daffodils "fluttering and dancing in the breeze". The flowers which follow a bright and lively movement.
In Wordsworth's landscape not only the daffodils but the waves and the poet'heart are dancing.
The poet doesn't create the poem the same moment that he is admiring the landscape but when he remembers it when he is back home. Every day when he is sad he remembers this beautiful to fell better and to convey his joy to the reader.
Wordsworth sees the natural elements dancing in delighted movements.
Così parlò Zarathustra è stato definito un poema in prosa ed ha la forma del racconto allegorico, ricco di metafore e suddiviso in episodi o quadri che si presentano come parabole. Il modello più vicino, sia per il tema che per la forma, è il Vangelo: il tono è profetico e il motivo di fondo è l'annuncio. Del Vangelo, volutamente Nietzsche riprende alcuni motivi, sia stilistici ('In verità vi dico ' come premessa dell'enunciazione delle tesi più significative), sia strutturali (l'esposizione delle caratteristiche del superuomo modulate sul Discorso delle beatitudini, la richiesta di miracoli che viene fatta a Zarathustra) invertendone però le tesi di fondo: Zarathustra rifiuta di operare miracoli e le sue 'beatitudini' sono l'esaltazione di una morale diametralmente opposta a quella cristiana.
E' costituito da quattro parti, pubblicate tra il 1883 e il 1885. Aveva progettato di scrivere un'opera sull'"Uomo Superiore" ossia su come arrivare, nel mondo odierno dominato dalla plebe e dall'ideale di uguaglianza, a una nuova nobiltà. E' questo lo sfondo sul quale viene elaborata la teoria del "Super Uomo", in connessione con il tema della morte di Dio. Il personaggio a cui Nietzsche affida questi temi è Zarathustra, l'antico riformatore della religione persiana.
Lo Zarathustra si apre con una Prefazione nella quale il profeta annuncia il superuomo alla folla, senza essere capito. Decide allora di parlare solo per pochi, di cercare compagni di viaggio che siano pronti per il grande annuncio. La Prefazione si chiude con la comparsa degli animali che seguiranno Zarathustra nelle sue peregrinazioni: l'aquila e il serpente, 'l'animale più orgoglioso sotto il sole e l'animale più intelligente sotto il sole'.
La Prima parte si apre con Delle tre metamorfosi e si conclude con il commiato dai discepoli e l'annuncio del superuomo: 'Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva'.
La Seconda parte vede il ritorno di Zarathustra sulle montagne, seguito soltanto dai suoi fedeli animali.
La parte centrale è occupata dai grandi canti dello Zarathustra, primo tra tutti Il canto della notte.
Seguono Il canto della danza e Il canto dei sepolcri, il primo dedicato alla vita, il secondo al rimpianto per gli ideali e le illusioni della gioventù.
La Terza parte è quella più importante sul piano filosofico. Dopo 'l'ultima solitudine', Zarathustra decide di lasciare le isole Beate, dove si è svolta l'azione precedente, e di attraversare il mare. Sulla nave, nonostante la curiosità dei marinai, che lo conoscono per fama, rimane per due giorni in silenzio. Poi, a loro, decide di affidare il proprio annuncio, narrando la nascita del superuomo.
Tornato alla sua isola e alla sua montagna, Zarathustra propone nuovi discorsi e nuove parabole, ma adesso nella forma del sogno e del monologo.
L'annuncio dell'uomo nuovo viene affidato ai brani lirici e musicali che chiudono la terza parte, Del grande anelito, La seconda canzone di danza e I sette sigilli.
La Quarta parte è profondamente diversa nello stile dalle altre. Qui non troviamo né metafore né parabole. Vi predomina il racconto e il dialogo, invece dei monologhi e delle immagini.
Il canto della danza
Una sera Zarathustra andava per il bosco con i suoi discepoli; e proprio mentre cercava una fontana, ecco che giunse in un verde prato silenzioso, circondato da alberi e cespugli: là alcune fanciulle danzavano tra di loro. Appena le fanciulle riconobbero Zarathustra, smisero la danza; ma Zarathustra si avvicinò loro con amichevole saluto e disse queste parole:
'Non cessate la danza, o leggiadre fanciulle! Non venne a voi un guastafeste dallo sguardo malvagio, né un nemico delle fanciulle.
Io sono l'intercessore di Dio contro il demonio: lui invece è lo spirito della pesantezza. Come potrei essere, o voi lievi, nemico della divina danza? o dei piedi delle fanciulle dalle belle caviglie?
Io sono, è vero, una foresta e una notte di alberi neri: ma chi non ha paura della mia oscurità trova dei roseti sotto i miei cipressi.
E vi trova anche il piccolo dio che è tanto caro alle fanciulle: egli è disteso vicino alla fonte, zitto, con gli occhi chiusi.
In realtà, mi si è addormentato, quel fannullone! E forse andato troppo a caccia di farfalle?
Non siate in collera con me, o belle danzatrici, se punisco un poco il piccolo dio! Egli griderà e piangerà; ma è allegro anche nel pianto! E con le lacrime negli occhi vi chiederà un ballo; e io stesso voglio intonare un canto per la sua danza: una ballata e una canzone satirica sullo spirito della pesantezza, il mio altissimo e potentissimo demonio, di cui si dice che sia il padrone del mondo'.
E questo è il canto che Zarathustra cantò, mentre Cupido e le fanciulle danzavano insieme:
'Recentemente ti guardai negli
occhi, o vita! E mi sembrò di sprofondare nell'imperscrutabile.
Ma tu mi riportasti su con un amo d'oro; ridesti ironicamente quando ti chiamai
imperscrutabile.
'Così parlano tutti i pesci tu dicesti; ciò che essi non penetrano, è imperscrutabile.
Ma io sono solo mutevole e selvaggia e in tutto una femmina e fra l'altro non virtuosa:
Anche se da voi uomini vengo chiamata la profonda o la fedele, l'eterna, la misteriosa.
Voi uomini ci fate sempre dono delle vostre proprie virtù, ahimè, o virtuosi!
Così rise, l'infida; ma io non mi fido mai di lei e del suo riso, quando parla male di se stessa.
E quando ebbi parlato a quattr'occhi con la mia selvaggia saggezza, essa mi disse adirata: 'Tu vuoi, tu desideri, tu ami; solo per questo tu lodi la vita!
Stavo quasi per darle una cattiva risposta e dire la verità all'irata; non si può rispondere peggio di quando 'si dice la verità alla propria saggezza.
Così stanno le cose tra noi tre. In fondo io amo solo la vita; tanto più, quando la odio!
Se tuttavia anche la saggezza mi è cara e spesso troppo cara: questo accade, perché essa mi rammenta troppo la vita!
Essa ha i suoi occhi, il suo sorriso e perfino il suo piccolo amo d'oro: che colpa ne ho io se tutt'e due sono così rassomiglianti?
E quando una volta la vita mi chiese: chi è mai questa, saggezza? allora io dissi premurosamente: 'Ahimè, sì! la saggezza!
Si ha sete di lei e non se ne diviene mai sazi, la si guarda attraverso i veli, e si cerca di afferrarla con la rete.
È bella? Che ne so io! Ma anche le più vecchie carpe vengono prese all'amo con essa.
È mutabile e caparbia; spesso l'ho veduta mordersi le labbra e adoperare il pettine contro il verso dei suoi capelli.
Forse essa è malvagia e falsa, e in tutto una femmina; ma quando parla male di se stessa, proprio allora mi seduce più di tutto.
Appena ebbi detto questo alla vita, essa rise malignamente e chiuse gli occhi. Di chi parli? disse di me, vero?
Anche se tu avessi ragione, mi si dice forse ciò, così, in faccia? Ma ora parla anche della tua saggezza!
Ahimè, allora tu apristi di nuovo gli occhi, vita mia adorata! E a me sembrò di cadere di nuovo nell'imperscrutabile.
Così cantò Zarathustra. Ma quando la danza ebbe fine e le fanciulle se ne furono andate, divenne triste. Il sole è da tempo tramontato, il prato è umido, dalla foresta viene frescura.
E disse:
Un qualcosa di sconosciuto è intorno a me e guata pensoso. Che cosa? Vivi tu ancora, o Zarathustra?
Perché? per che cosa? per mezzo di che cosa? verso dove? dove? come? Non è follia, vivere ancora?
Ahimè, amici miei, è la sera che così mi interroga. Perdonate la mia tristezza! Si è fatta sera: perdonatemi, che si è fatta sera!
Così parlò Zarathustra.
Biografia
Da "Socrate e compagnia bella" di L. De Crescenzo - Edizioni Mondadori (pag. 113) :
"La vita di Nietzsche è contrassegnata dall'ordine. Friedrich perde il padre, pastore protestante, quando ha appena quattro anni e resta sotto il dominio della madre. La signora Franziska Oehler, anche lei figlia di un pastore luterano, è una donna dal temperamento energico. A volte le basta una semplice occhiata per mettere i figli in riga. Dalla schiavitù materna Friedrich passa direttamente a quella del ginnasio liceo di Pforta, una scuola paramilitare dove si veniva svegliati alle cinque del mattino, e si studiava ininterrottamente fino alle nove di sera, salvo un'ora d'aria e una per i pasti : in pratica era una caserma, per non dire una prigione. La madre avrebbe voluto fare di lui un pastore d'anime, in linea con le tradizioni di famiglia, ma il ragazzo si sente più attratto dalla musica e dallo studio dei classici. Ama Beethoven, Mozart e Schubert, odia invece Liszt. ..."
STORIA - La Belle époque
All'aprirsi del '900 l'Europa, o almeno la sua parte centro occidentale, era nel pieno della "Belle époque", come sono stati definiti gli ultimi decenni dell'ottocento e i primi anni del novecento sino alla Grande Guerra.
Erano gli anni del trionfo di una società borghese, dinamica, ricca, intraprendente, sicura di se stessa e della propria possibilità di progresso, grazie all'industria e alla incessante innovazione scientifico tecnologica.
Capitale di questa Europa in pieno sviluppo era Parigi, la ville lumière, con i suoi boulevards illuminati elettricamente, i caffè concerto, i cinematografi, gli spettacoli di danza.
Ma tutta la civiltà occidentale, nell'età del trionfo dell'energia elettrica, dell'automobile, mentre incominciavano a levarsi in volo i primi aeroplani, poteva a buon diritto credere di vivere un'epoca di benessere e sicurezza mai conosciuta prima.
Il mondo occidentale guardava con fiducia e ottimismo al futuro, sicuro che progresso, benessere e pace avrebbero continuato a guidare i suoi passi verso conquiste sempre nuove.
All'inizio del '900 erano infatti debellate la maggior parte delle epidemie, ridotta notevolmente la mortalità infantile e gli abitanti del pianeta erano in continuo aumento. Alla crescita demografica fece riscontro un aumento della produzione industriale e del commercio mondiale.
Nel 1913 la rete ferroviaria mondiale aveva raggiunto un milione di chilometri e le automobili cominciavano ad affollare le strade delle metropoli americane ed europee.
La corsa alla costruzione di nuovi enormi sfarzosi transatlantici, costituiva il lato più grandioso di quest'epoca tecnologicamente avanzata.
L'affondamento del Titanic (1912) costituisce in questo ambito un sogno infranto della Belle époque.
Soprattutto la Francia entrò in un periodo di crescita economica alquanto sostenuta. Nacquero il cabaret, il can can, il cinema, nuove invenzioni resero la vita più facile a tutti i livelli sociali.
Il can can, la vivace danza eseguita nei cabaret di Parigi, diventa il simbolo della Belle époque e nel 1889 viene inaugurato il Moulin Rouge, ancora oggi punto di attrattiva della vita notturna e del divertimento della capitale francese.
Affrontare la vita con lo spirito di questi anni significava caratterizzarli in modo spensierato e positivo. Gli abitanti delle città avevano scoperto il piacere di uscire, soprattutto dopo cena, di recarsi a chiacchierare nei caffè e assistere a spettacoli teatrali. Le vie e le strade cittadine erano piene di colori : manifesti pubblicitari, vetrine con merci di ogni tipo, eleganti magazzini.
In tutta Europa si erano sviluppate una serie di correnti o avanguardie artistiche (Futurismo, Surrealismo, Cubismo) giunte a teorizzare che ogni produzione umana potesse diventare un'espressione artistica. Ogni oggetto diveniva una elegante decorazione, un motivo floreale, un piacere visivo.
Quando iniziò il nuovo secolo Parigi, fulcro della Belle époque, volle celebrarlo con un'incredibile mostra nella quale venivano esposte tutte le innovazioni più recenti : l'Exposition Universelle. Per assistere a questa gigantesca fiera persone di tutto il mondo sbarcavano in Francia per prendervi parte. La gente ne visitava ogni padiglione e ne ammirava tutti gli aspetti : scale mobili, tram elettrici, si assaggiavano le cento varietà di the importato dall'India, e soprattutto si ammirava la grandiosa Tour Eiffel inaugurata in quegli anni.
Nessuno pensava più che la guerra potesse devastare ancor il mondo; perciò nel 1896 ebbero luogo le prime Olimpiadi dell'età moderna, che da allora si svolgono ogni quattro anni.
Quindi il periodo che va dal 1890 al 1914 fu caratterizzato da euforia e frivolezza : la Belle époque, bei tempi.
In parte ciò corrispondeva al vero, in parte era frutto di una percezione illusoria, destinata a dissolversi in modo tragico e repentino allo scoppio delle prime granate della Grande Guerra.
GEOGRAFIA - Le costellazioni
Da un racconto Indonesiano : Pandagian, la Ballerina.
"In un villaggio viveva una ragazza molto bella di nome Pandagian, che danzava meravigliosamente .. "Come mi piacerebbe ballare tra le stelle" mormorò Pandagian. "Se il Principe della Notte mi portasse nel suo regno sarei la donna più felice del mondo!" Allora scese dal cielo una lunga catena d'argento, cui era legata una sedia d'oro. ... Riamasan accolse la ragazza: "Da molto tempo ti osservo danzare. Vuoi sposarmi?" ... Il Principe della Luce la notò; geloso di suo fratello colpì con una freccia d'oro il cuore di Pandagian. ... Il Principe della Notte scoprì sua moglie Pandagian morta e pianse. Le sfiorò il corpo che subito si trasformò in una miriade di stelle. Il Principe le raccolse e le lanciò in cielo dove formarono le Costellazioni.
Le Costellazioni
Una Costellazione è un insieme di stelle vicine tra loro sulla volta celeste, che creano figure immaginarie. Non tutte le stelle sono ugualmente brillanti e le più visibili sembrano delineare sulla volta buia figure particolari, la cui forma ovviamente, è tale solo per un osservatore posto sulla superficie terrestre, mentre cambierebbe se ci si ponesse da un'altra prospettiva. Le stelle ci appaiono vicine le une alle altre, in realtà le stelle che appartengono ad una medesima costellazione sono poste nello spazio a distanze molto diverse : esse hanno storie, età e origine differenti.
Le Costellazioni sono lo strumento migliore per orientarsi : esse, infatti, non si modificano sostanzialmente nel tempo perché l'enorme distanza non ci consente di percepirne in modo significativo i moti reali.
Già dall'antichità era consuetudine suddividere la volta celeste, immaginando su di essa figure di esseri umani, animali ed eroi. Cinesi, Greci ed Egizi, vedevano rappresentate nel cielo storie e miti differenti. A differenza del Catalogo di Tolomeo, nel quale erano elencate 48 costellazioni, oggi gli astronomi distinguono nel cielo ben 88 Costellazioni, di cui ci si serve per dividere la sfera celeste in settori. Le stelle vengono indicate con una lettera greca, in ordine alfabetico secondo la luminosità, seguita dal nome della costellazione, in genere in latino.
Le stelle più brillanti conservano nomi tradizionali : Antares il rivale di Marte, Arturo il guardiano dell'Orsa, Sirio la splendente, Vega l'uccello cadente.
Nell'emisfero celeste boreale tra le Costellazioni troviamo l'Orsa Maggiore ,di cui fa parte il Grande Carro, Cassiopea e l'Orsa Minore con il Piccolo Carro.
Il riconoscerle può essere di grande utilità, perché nel nostro emisfero permettono di identificare la direzione del Nord : l'ultima stella del Piccolo Carro è la stella Polare, non particolarmente luminosa ma che indica la posizione del Nord.
Particolarmente significative sono le 12 Costellazioni dello Zodiaco che fanno da sfondo al Sole durante il suo moto annuo; rappresentano per lo più figure di animali (da cui deriva il nome Zodiaco) e 6 di esse vengono a trovarsi al di sopra dell'equatore celeste, 6 al di sotto nell'Emisfero Australe. Dell'Emisfero Australe fanno parte la Croce del Sud, Sirio e Centauro.
FISICA
Moto di cariche in Campi Magnetici
Una carica q che si muove con velocità v perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico uniforme B è sottoposta ad una forza, detta forza di Lorentz. L'espressione di questa forza è:
F = qvxB
E in modulo:
F = qvBsenα
Dove α è l'angolo tra la direzione della velocità della carica e la direzione del campo magnetico.
Essendo la forza di Lorentz perpendicolare alla velocità, e quindi allo spostamento, non compie lavoro e pertanto essa non produce alcun cambiamento nell'energia cinetica della carica e quindi della velocità. La velocità cambia solo in direzione ma non in intensità. Quindi sotto l'azione di questa forza, che svolge il ruolo di forza centripeta, la carica si muove di moto circolare uniforme per cui si può scrivere:
L'equazione (3) mostra che il raggio circolare della particella carica all'interno del campo magnetico è direttamente proporzionale alla quantità di moto della particella e inversamente proporzionale all'intensità del campo magnetico e alla carica della particella.
L'equazione (4) indica la frequenza di rotazione che prende in nome di frequenza ciclotrone.
Il periodo del moto circolare è dato dal rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il modulo della velocità tangenziale quindi il periodo di rotazione della particella è:
T =2π/v = 2π/v mv/qB = 2πm/qB
BIBLIOGRAFIA
Manuali scolastici adottati nella 5° b
"Socrate e compagnia bella"Luciano de Crescenzo edizione Mondadori
"Passato e Presente" vol .3 edizione Bruno Mondadori
SITOGRAFIA
Balletto.net
Wikipedia.org
Letturegiovani.it
Atuttascuola.it
Ringrazio tutti i miei insegnanti che in questi anni di studio
hanno contribuito, con regole e dedizione, ad accrescere in me l'interesse e la sensibilità verso la cultura
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomuniversitaricerchela-ballerina-tesina-di-maturit95php, |
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