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Supporto farmacologico nella profilassi della preeclampsia: ma c'È evidence-based medicine?




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Supporto farmacologico nella profilassi della preeclampsia: ma c'è evidence-based medicine?

Introduzione


Il problema della prevenzione della preeclampsia è stato recentemente oggetto di una revisione critica da parte di due autorevoli Autori, Dekker e Sibai, ai quali si rimanda per la completezza della trattazione (1). Dall'articolo in questione risulta evidente come di una vera prevenzione non si possa parlare fino a che non si conoscano le cause di una malattia e, questo, è il caso della preeclampsia; in effetti, se è vero che sono sempre più definiti i meccanismi fisiopatogenetici e i fattori predisponenti legati a tale patologia, non altrettanto si può dire a proposito della sua etiologia. Possiamo quindi limitarci a parlare di prevenzione secondaria, cioè capacità di individuare il processo clinico prima che questo si manifesti in tutte le sue conseguenze e possibilità di intervenire interrompendo la catena di eventi da esso prodotti. Questo implica disponibilità di tecniche e test per una precoce identificazione della preeclampsia e disponibilità di farmaci o di interventi che siano in grado di interferire con la fisiopatogenesi della malattia.

Per quanto riguarda i tests disponibili sappiamo che quelli biochimici (ac. urico, alfafetoproteina, microalbuminuria, fibronectina ED1+) sono estremamente tardivi e con un valore predittivo molto basso. Fra le tecniche di individuazione precoce del processo patologico, lo studio della velocimetria uteroplacentare ha portato in questi anni a notevoli progressi, in considerazione della fisiopatogenesi della preeclampsia, cioè un 'difetto di placentazione' (assenza di physiological changes nelle artrie spirali miometriali per incompleta invasione trofoblastica).

Da una revisione sistematica della letteratura sull'utilità della velocimetria doppler delle arterie uterine, pubblicata nel 2000 (2), risulta che essa effettivamente è in grado di identificare la popolazione ad alto rischio poiché, a fronte di un pre test probability di 9,8%, la popolazione con velocimetria anormale mostra un post test probability di 23,5%.

Altri studi pubblicati più recentemente, che hanno utilizzato l'analisi della velocimetria doppler delle uterine per via transvaginale su un notevole numero di pazienti (8335) (3), hanno evidenziato la predittività di questo test nei confronti delle forme più severe di preeclampsia. Infatti la sensibilità del test per la preeclampsia a insorgenza prima di 32 w e associata a ritardo di crescita intrauterina è risultata del 93%, mentre la sua sensibilità per la preeclampsia a qualsiasi epoca di gravidanza e non associata a ritardo di crescita è risultata solo del 24%, sottolineando quindi come nella valutazione della predittività di questo test e quindi del suo possibile utilizzo clinico, sia fondamentale non solo una corretta definizione diagnostica (preeclampsia versus ipertensione gestazionale isolata), ma anche una definizione della gravità della sindrome e della presenza di associata 'insufficienza placentare.

Anche nella nostra esperienza l'utilizzo della velocimetria doppler delle arterie uterine ha consentito di 'ricodificare' il rischio della gravidanza. In un gruppo di 564 nullipare e 767 alto rischio sulla base della anamnesi (precedente PE, precedente IUGR, sindrome APA, ipertensione cronica) abbiamo eseguito l'indagine doppler a 24 settimane. Abbiamo assunto come esiti la preeclampsia e/o IUGR con necessità di espletare il parto prima della 34° settimana. Abbiamo riscontrato che la presenza di notch bilaterale a 24 settimane nel gruppo di nullipare si è dimostrata un parametro con una sensibilità del 33% e un valore predittivo positivo del 38%, non significativamente differenti dai valori presenti nella popolazione ad alto rischio che presentava una sensibilità del 51% e in valore predittivo positivo del 40%. Quindi la velocimetria delle arterie uterine rappresenta uno strumento utile nella identificazione delle pazienti a rischio per preeclampsia precoce associata a 'insufficienza placentare' ed ha dimostrato un ottimo valore predittivo negativo nella popolazione ad alto rischio anamnestico.







Terapie farmacologiche proposte nella prevenzione della preeclampsia:

1. La lunga storia dell'aspirina, ovvero 'non buttare il bambino con l'acqua sporca


Le osservazioni sul ruolo del rapporto tra tromboxano (vasocostrittore ed aggregante piastrinico) e prostaciclina (vasodilatante e antiaggregante), nonché sul ruolo dell'attivazione piastrinica nella fisiopatogenesi della preeclampsia hanno portato alcuni ricercatori nel corso degli anni '80 a studiare l'effetto preventivo di basse dosi di aspirina sull'insorgenza della patologia.

Nella seconda metà degli anni '80 sono stati pubblicati da Lancet due studi, uno dei quali francese (4), sulla prevenzione della preeclampsia con aspirina e dipiridamolo: il primo studio relativo a 100 gravide ad alto rischio identificate sulla base dell'anamnesi ostetrica o per la presenza di ipertensione cronica, l'altro studio condotto su un gruppo di 46 primigravide con test all'angiotensina positivo (5). Entrambi gli studi concludevano con risultati molto promettenti nel gruppo di pazienti trattato con 'terapia antipiastrinica'. Un altro studio su un piccolo gruppo di pazienti ad alto rischio è stato pubblicato nei primi anni '90 (6) dal nostro gruppo, in collaborazione con l'Istituto Negri di Bergamo. Si trattava di un trial in doppio cieco con randomizzazione a 50 mg di aspirina o placebo . Lo studio dimostrava una riduzione significativa del tromboxano senza alcuna interferenza sulla produzione endoteliale di prostaciclina nel gruppo trattato con aspirina.

A questa prima fase entusiastica ('one aspirin a day takes the doctor away'!!) ha fatto seguito la pubblicazione dei risultati dei grossi trial clinici iniziati in vari paesi del mondo, tutti con risultati sostanzialmente negativi: il CLASP inglese (7), lo studio americano coordinato da Caritis e Sibai, l'EPREDA francese, il trial italiano pubblicato da Lancet (8),


Nonostante i risultati complessivamente negativi, gli autori dello studio CLASP (7) ponevano l'accento sul fatto che:

il gruppo trattato con aspirina aveva preeclampsie ad insorgenza più tardiva e complessivamente una minore incidenza di parti pretermine iatrogeni

il gruppo ad alto rischio (precedente preeclampsia severa ad esordio precoce) trattato con aspirina prima della 20 w, presentava una significativa riduzione della ricorrenza di preeclampsia.


La Cochrane Library ha pubblicato nel 2000 una autorevole e completa revisione della letteratura (9) prendendo in esame 42 trials clinici che coinvolgevano più di 32.000 donne. Le conclusioni riportate sono state:

vi è una riduzione del 15% (statisticamente significativa) del rischio di preeclampsia con l'uso di aspirina, indipendentemente dal fatto che le pazienti randomizzate siano ad alto o a medio rischio.

la riduzione del rischio è maggiormente significativa per il gruppo trattato con una dose di aspirina > 75 mg/die.

la riduzione dell'incidenza di preeclampsia è però statisticamente significativa solo nel gruppo che inizia il trattamento prima della 20 settimana di gravidanza.

vi è una lieve riduzione (dell'8%) di parti pretermine,

nessun risultato significativo sull'incidenza di distacco di placenta

vi è una lieve riduzione (di circa il 9%) dell'incidenza di SGA, con una significatività statistica borderline,

la mortalità perinatale è complessivamente ridotta del 14%, ma con intervalli di confidenza molto ampi secondo gli studi analizzati (dal 25% a nessuna riduzione).


Nonostante l'aspirina non sia la panacea che sembrava essere dopo i primi studi pubblicati circa 10 anni or sono, non ha certamente ragione chi ritiene di poterla liquidare come una moda passata.

Una recente metanalisi ha preso in esame 4 studi pubblicati tra il 1990 e il 2000 nei quali 504 pazienti, definite a rischio sulla base della velocimetria doppler delle arterie uterine, sono state randomizzate ad aspirina o placebo (10) La conclusione degli Autori della metaanalisi è stata che l'aspirina riduce la preeclampsia (OR 0,55) e il numero di pazienti che devono essere trattate per prevenire un caso di preeclampsia é di 16 pazienti. In questa metaanalisi non è stato preso in considerazione il trial francese pubblicato successivamente (11) condotto su 1480 gravidanze con risultati del tutto negativi. Lo studio francese tuttavia presentava alcuni aspetti critici quali: la non definizione del criterio utilizzato per considerare anormale la velocimetria doppler delle arterie uterine, la percentuale elevata di uterine con resistenze aumentate (oltre il 15% in una popolazione non a rischio) e la scarsa compliance del gruppo trattato con aspirina (solo il 65% delle pazienti randomizzate ad aspirina aveva effettivamente assunto il farmaco!)

Nel nostro Ambulatorio di riferimento per le gravide ipertese o con pregressa patologia ipertensiva in gravidanza prescriviamo 100 mg di aspirina alle pazienti considerate ad alto rischio per preeclampsia, per precedente preeclampsia severa (insorgenza <34 settimane) e/o associata a ritardo di crescita intrauterina, alle pazienti con sindrome APA e alle pazienti con ipertensione cronica documentata, mentre non proponiamo alcuna profilassi nelle pazienti con pregressa ipertensione gestazionale o preeclampsia non severa, insorta dopo 36 settimane e non complicata da problematiche placentari.
I nostri dati relativi al gruppo di gravidanze con precedente preeclampsia, seguite secondo i criteri esposti, riporta un'incidenza di preeclampsia del 5,7%, sovrapponibile a quello della popolazione generale; è da sottolineare che l'incidenza di preeclampsia ripetuta è stata significativamente maggiore nel gruppo di pazienti che presentavano una velocimetria delle uterine indicativa di resistenze aumentate.






Per quanto riguarda invece l'utilità dell'aspirina nelle ipertensioni croniche i dati pubblicati in letteratura sono piuttosto scarsi e contraddittori.

A nostra conoscenza l'unico studio effettuato su pazienti ipertese croniche o con precedente preeclampsia severa profilassate o meno con basse dosi di aspirina è quello di Viinikka e col. (12) che non dimostra una riduzione significativa dell'incidenza di preeclampsia o aggravamento dell'ipertensione nelle pazienti trattate con aspirina rispetto a quelle non trattate, ma riscontra un miglioramento della prognosi neonatale e con una minor necessità di ricoveri in terapia intensiva di questi neonati.

Considerando la casistica di gravide con ipertensione cronica afferite alla nostra clinica negli ultimi anni, abbiamo analizzato i dati relativi a due gruppi di pazienti confrontabili per parità, età materna e gravità della ipertensione cronica e omogenee per quanto riguardava la modalità di gestione clinica e il tipo di farmaco antiipertensivo utilizzato. Un solo gruppo era stato trattato profilatticamente con basse dosi di aspirina dalla 12 W di gravidanza.

L'incidenza di aggravamento di ipertensione è stata del 23% e del 27% rispettivamente nel gruppo trattato e nel gruppo non trattato; l'incidenza di sovrapposizione preeclamptica è stata 7,6% nel gruppo non trattato, mentre nessuna preeclampsia si è verificata nel gruppo trattato con aspirina.


Al di là delle considerazioni critiche sulla necessità di un estremo rigore nella definizione degli esiti della gravidanza e nella conduzione degli studi clinici in un campo così complesso come quello che riguarda la prevenzione della preeclampsia, alcune considerazioni generali possono essere fatte sull'uso di aspirina:

probabilmente l'aspirina è in grado di prevenire le forme precoci e severe di preeclampsia o quanto meno di migliorare l'esito della gravidanza rallentando l'esordio della sindrome

è cruciale la corretta definizione del gruppo a rischio e poiché la fisiopatogenesi è complessa è possibile che l'aspirina funzioni soltanto su uno specifico gruppo di pazienti

è probabile che l'efficacia della aspirina sia legata alla dose e che esista una certa variabilità individuale; la dose minima dovrebbe essere 100 mg, ma andrebbe modulata sulla base del tempo di sanguinamento (13)


2. Acidi grassi polinsaturi


Il razionale dell'uso degli acidi grassi poliinsaturi (omega 3) risiede nella loro possibilità di interferire col metabolismo degli eicosanoidi riducendo la produzione di tromboxano (vasocostrittore ed aggregante piastrinico) senza interferire con la produzione endoteliale di prostaciclina.

Osservazioni epidemiologiche sulla bassa incidenza di patologia cardiovascolare e di preeclampsia nelle popolazioni eschimesi, nelle quali è molto alto l'apporto dietetico di queste sostanze, hanno stimolato i primi studi randomizzati eseguiti su piccoli gruppi di donne.

Olsen (14) ha pubblicato una revisione dei trials clinici del "Fish oil trials in pregnancy Team". Si tratta in tutto di sei trials multicentrici in 19 ospedali europei che hanno coinvolto in tutto 1647 donne, randomizzate a trattamento con capsule di fish oil (Pikasol) o a base d'olio d'oliva. La conclusione di questa revisione è stata che il fish oil può ridurre l'incidenza di parti pretermine nel sottogruppo di pazienti con precedenti parti pretermine, ma non vi é alcun effetto positivo sul rischio di preeclampsia e ipertensione indotta dalla gravidanza e/o di ritardo di crescita intrauterina.

Attualmente quindi l'uso di omega3 non trova alcun riscontro dal punto di vista della 'evidence-based medicine'.


3. Vitamine come agenti antiossidanti


Nella fisiopatogenesi della preeclampsia gioca un ruolo determinante la lesione endoteliale.

La supplementazione con antiossidanti (free radicals scavangers) come possibili fattori di miglioramento della funzione endoteliale nella prevenzione della preeclampsia, é stata oggetto di piccoli studi pubblicati nei primi anni '90.

Nel 1999 viene pubblicato un trial randomizzato (15) al quale partecipano 283 donne considerate ad alto rischio sulla base di una precedente storia di preeclampsia o per il riscontro di velocimetria delle arterie uterine anomala allo screening eseguito tra 18-22 settimane. Le pazienti erano assegnate a trattamento con 1000 mg di vitamina C + 400 UI di vitamina E o a placebo. Soltanto 160 pazienti hanno completato lo studio. Vi era una significativa differenza nell'incidenza di preeclampsia nel gruppo con vitamine e che aveva completato lo studio (8%), rispetto al gruppo placebo (26%).Inoltre vi era una significativa riduzione nel livello dei marcatori biochimici di danno endoteliale nel gruppo trattato (rapporto tra plasminogen activator inhibitor 1 e 2 che aumenta nella preeclampsia come effetto del danno endoteliale e dell'insufficienza placentare).

La supplementazione con vitamina C ed E sembra avere un ruolo promettente, ma i dati fino ad ora pubblicati sono troppo poco numerosi e non consentono di inserire questa terapia nelle profilassi giustificate dalla 'evidence based medicine'


4.Calcio


Studi epidemiologici hanno riportato una correlazione inversa tra incidenza di preeclampsia, ipertensione in gravidanza e calcio nella dieta: bassa incidenza nelle popolazioni etiopi e guatemalteca (alto calcio nella dieta), elevata incidenza nella popolazione giapponese (basso livello di calcio nell'alimentazione). Il basso apporto di calcio può causare ipertensione stimolando la liberazione di paratormone o di renina, provocando quindi un aumento del calcio nella muscolatura liscia vascolare e conseguentemente un aumento della contrattilità.

L'ipotesi sul possibile effetto positivo della supplementazione di calcio è stata testata in vari trial dal 1980 in avanti. I risultati positivi dei primi studi sono stati largamente smentiti dal trial condotto negli USA (CPEP) , ma in questo studio erano incluse pazienti con adeguato apporto di calcio.

La revisione degli studi clinici controllati pubblicata dal Cochrane DataBase (16) consente di concludere che:

vi sono livelli di pressione arteriosa più bassi, nel gruppo con supplementazione di calcio (almeno 200 mg/die), rispetto al gruppo con basso apporto di calcio nella dieta (<900mg/die).

il gruppo di pazienti a normale apporto di calcio con la dieta non trae alcun beneficio dalla supplementazione calcica.

In conclusione la supplementazione con calcio può forse essere utile soltanto limitatamente a pazienti con inadeguato apporto dietetico, cioè in popolazioni selezionate.

Conclusioni

Difficilmente la preeclampsia potrà essere prevenuta se non si tiene in considerazione il fatto che si tratta di una sindrome multifattoriale , con espressioni cliniche diverse e probabilmente con diversi meccanismi patogenetici.

Fino a quando continueremo a chiamare con lo stesso nome di 'preeclampsia' una ipertensione con proteinuria presso il termine, con un bimbo di peso adeguato ed una ipertensione con proteinuria in una gravidanza pretermine, con un grave ritardo di crescita fetale ed una compromissione placentare, confondendo insieme due situazioni cliniche con prognosi profondamente diversa e probabilmente con diversa fisiopatolgia, difficilmente riusciremo a trovare 'evidenze' sufficienti a suffragare l'uso di un qualsiasi farmaco.

Come dicono due autorità indiscusse (G.Dekker, B.Sibai) 'There is urgent need to completely redifine the syndrome on the basis of hard outcome criteria- in other words, actual maternal and fetal or neonatal mortality or morbidity or both."

Gli studi andrebbero riformulati individuando la popolazione a rischio per preeclampsia precoce e gravata da 'insufficienza placentare , tuttavia già ora esistono dati che dimostrano:

l'utilità dello screening delle uterine nella identificazione di questa popolazione

l'utilità della aspirina somministrata precocemente in gravidanza e a dosi adeguate nel rallentare o posticipare l'insorgenza della sindrome e quindi nel migliorare significativamente la prognosi materna e fetale


Bibliografia

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