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Le obiezioni di Gilbert a Goodpaster
A questo punto si può efficacemente riflettere sugli spunti offerti dalle critiche di Gilbert - anche se forse un po' eccessive in alcuni tratti, sui quali comunque si cercherà di mediare, - il quale pone subito in risalto come lo schema che Goodpaster presenta sia un'applicazione abbastanza chiara della teoria della direzione aziendale, in particolare di quella difesa ad Harvard, all'etica degli affari.
"L'idea di base emersa in questi ultimi anni dagli studi di etica degli affari è che se le imprese si danno un codice deontologico ne ricavano una maggiore possibilità di fare profitto attraverso il meccanismo della cosiddetta "reputazione" (o altrimenti ritorno d'immagine N.d.A.). Tale impostazione, se da un lato contiene qualche granello di verità, è però destinata a produrre effetti disastrosi, perché nel momento in cui noi trasformiamo l'etica in un ulteriore elemento a disposizione dell'impresa, la distruggiamo, e con lei l'uomo". Si può già anticipare e sottolineare che "allora l'esperienza dell'Economia di Comunione è quella di dimostrare che o si crede a certi valori come ad esempio la dignità delle persone, il rispetto dell'autonomia, la giustizia, ma ci si crede indipendentemente dai risultati cui questi valori conducono, o altrimenti il rischio è la produzione di effetti perversi" [1] (enfasi nostra). Tale dichiarazione è confermata proprio dal fatto che, come afferma Gilbert riguardo allo studio di Goodpaster, << non è del tutto chiaro come lo schema (presentato da Goodpaster) contribuisca a, o si basi su, un'interpretazione comune di "rispetto per le persone" >>.
Se si assume come base e fondamento dell'agire il rispetto per le persone, è senza ombra di dubbio importante, come molto energicamente evidenzia Gilbert, non esagerare nell'enfasi posta sui dirigenti di alto livello e sulla loro interpretazione dei valori, perché ciò porterebbe ad escludere qualunque "non dirigente" o perché da un punto di vista elitario giudicato incapace di prendere decisioni riguardanti i valori oppure perché lo si considera aprioristicamente non interessato a farlo.
Se è vero e condivisibile che non si possa parlare di rispetto per le persone allorché le si escludono dai processi decisionali che in ogni caso le riguardano, non si ritiene altrettanto grave e irrispettoso il suscitare, in modo dignitoso e sincero l'interesse che loro manca per indurle ad orientarsi ai valori etici, facendo leva per esempio sulla rilevanza positiva che un simile sforzo di volontà può avere, oltre che sul singolo, anche su un gruppo organico quale può essere per esempio un'impresa.
In sintesi si concorda con Gilbert quando egli sostiene che non è rispettoso per le persone escluderle dalle decisioni che comunque le riguardano, però non ci si sente altrettanto in dovere di condividere il pensiero secondo il quale bisogna rispettare la loro apatia, il loro non interesse senza cercare di educare ad orientarsi a valori, facendo leva per lo meno sul significato che un simile interessamento (e quindi l'agire di tali persone) ha per lo meno nei confronti dei vicini collaboratori o "conviventi". Questo, in quanto si reputa che la libertà di ogni singolo debba essere limitata entro l'ambito personale ; per la libertà di un singolo non si ritiene corretto si possano ledere le libertà di un gruppo o di una pluralità di persone.
Trattasi qui evidentemente, di opinioni personali assunte condivisibili quasi "acriticamente" e sulle quali non ci si può certo "attardare" a discutere diffusamente senza perdere di vista l'obiettivo del presente elaborato.
Per correttezza critica è doveroso considerare che Goodpaster lascia spazio per correggere la distorsione appena evidenziata con il monito : << Nella definizione della concezione del terzo tipo il punto di vista morale è solo implicito >> ma francamente, vista l'importanza che lo stesso autore attribuisce a tale modello un siffatto breve monito a tale problema sembra troppo poco.
Un secondo spunto offerto da Gilbert sta nel porre in risalto che << Goodpaster vuole si assuma che i valori possano cambiare solo attraverso processi attivati dall'esterno >>. Se così è, si comprende che nessun non - dirigente può o vuole mettere in discussione i propri valori, e quindi anche il dialogo suggerito nelle attività d'orientamento dei dirigenti ha il solo fine di prendere la misura dei valori dominanti e i non - dirigenti sono coinvolti solo in quanto rispondono a quegli stessi valori. Riprendendo ancora lo scritto di Gilbert << dal momento che un'interpretazione comune di rispetto per le persone probabilmente include una disposizione ad accettare e lavorare attraverso differenze nei valori, il saggio (di Goodpaster N.d.A.) implica chiaramente che "rispetto per le persone" denota un'avversione per queste probabili differenze >>.
Si conclude allora che se i non - dirigenti hanno fin dall'inizio valori che sono in sintonia con quelli dirigenziali, ciò è dovuto essenzialmente a una coincidenza e non può dirsi senz'altro si tratti del risultato di una dialettica di confronto fra opinioni diverse che porti comunque ad accordi tra persone autonome e libere.
In fine, ma non perché meno importante, Gilbert evidenzia che nel modello proposto da Goodpaster non esiste lo spazio per l'introspezione individuale da parte dei non - dirigenti, poiché i valori basilari dello schema sono quelli aziendali. Si esclude in un certo senso la possibilità che i non - dirigenti si interroghino sul significato che i valori assunti hanno per loro stessi, quasi a voler significare che la legittimità dei valori aziendali sia indipendente dagli interessi dei non - dirigenti comunque toccati da questi valori. Riprendendo più chiaramente il pensiero di Gilbert si può dire che << l'esito è che l'interpretazione di Goodpaster di "valori aziendali" gli impedisce di sviluppare un senso significativo di "rispetto per le persone" >>.
Gilbert giunge quindi a concludere che << l'assenza generale di persone come decision makers, l'assenza di dibattito per esplorare diversi - e forse più degni - valori, e l'irrilevanza delle occupazioni delle persone come standard di legittimità aziendale suggeriscono tutti un profondo disprezzo per le persone quali entità capaci, autodirette e autocritiche. Perché l'argomento funzioni, "rispetto per le persone" deve risultare un ossímoro >>. Dopo aver tratto tali conclusioni inerenti l'articolo di Goodpaster, ad un livello più generale Gilbert autorevolmente afferma che si deve essere disposti ad abbandonare "alcuni articoli di fede da tempo onorati sul management e l'azienda" per poter prendere sul serio le persone nell'azienda moderna, e oltre a questo è richiesta la disponibilità a mettere da parte la nozione di azienda moderna come qualcosa di più di un semplice mezzo per la realizzazione dell'individuo umano.
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