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Principi etici e concretezza operativa
Quanto affermato in conclusione del capitolo precedente non intende negare all'impresa il diritto - dovere di operare e svolgere la propria attività produttiva, solamente vuole essere un monito verso una gestione imprenditoriale talvolta anche superficiale e negligente nei confronti delle problematiche ambientali, perfino quando la quotidianità ci offre sempre più sovente esempi degli elevati costi umani, oltre che economici di tali disattenzioni.
Si suggerisce allora di riconsiderare la visione dell'attività economica in una logica di maggiori orizzonti temporali e spaziali : ciò apporta molto spesso dei benefici effetti di lungo periodo sulla stesa realtà aziendale, purché questa sia disposta a sopportare i necessari costi iniziali connaturati comunque ad ogni forma di investimento.
Citando Terzani, appare comprensibile come mai << al mondo produttivo, mentre in passato era quasi unicamente richiesto di fornire beni e servizi e di creare ricchezza, negli ultimi decenni, in riferimento al nuovo ruolo attribuito alle aziende dalla società, viene anche riconosciuto l'obbligo di tenere un comportamento più responsabile nel soddisfacimento dei valori umani >>[74].
A questo punto come si vede sorge il problema della realizzazione dei principi etico - religiosi nel concreto operare delle aziende e con questo entra in campo il rapporto tra le competenze tecnico - specialistiche degli operatori ed i principi.
La questione è sintetizzabile con la seguente domanda : nel campo dell'etica dell'attività economico - aziendale quanto è ampio lo spazio d'autonomia della ragione umana (con la sua faticosa e fallace ricerca della verità e del bene dell'uomo) rispetto ai principi etico - religiosi ? E' chiaro infatti, che più il campo d'intervento diretto della religione (anche se diversamente fra le varie religioni) nelle scelte aziendali è esteso e pervasivo, più l'obbligazione religiosa è fatta coincidere con determinati tipi di scelte economico - aziendali.
Molto sinteticamente si può affermare che il problema inerente il rapporto fra valori etico - religiosi ed attività imprenditoriale del credente si focalizza su tre livelli di autorità morale :
Riconoscimento di alcuni principi di fondo irrinunciabili.
Fissazione con chiarezza dei ruoli sia dei teologi che dell'attività di magistero dei leader religiosi.
Responsabilizzazione del credente al rispetto dei valori etico - religiosi, lasciandolo però agire nel modo che questi reputa più opportuno sul piano delle competenze professionali specifiche.
Tale interazione è alquanto complessa, soprattutto nel caso in cui il principio morale lasci ampi margini d'attuazione concreta che possono portare i singoli imprenditori a compiere in coscienza scelte diverse sulla base dello stesso principio generale ;[75] a ciò si aggiunge anche un ulteriore fattore critico rappresentato dalla scelta, a volte drammatica, tra la coerenza dei principi e il rispetto delle convenienze aziendali.
Tali difficoltà caratterizzano, facendo le debite proporzioni, anche la vita personale di ogni singolo che si ponga dubbi circa la moralità dei propri comportamenti. Non ci si dovrebbe allora stupire di ritrovarle anche nei contesti aziendali in quanto, come si è già avuto modo di ricordare, le aziende sono composte proprio da persone che inevitabilmente apportano delle loro caratteristiche a una struttura già molto complessa di per sé stessa. Da questo si comprende pure che, se si riesce ad affrontare significativamente tali difficoltà all'interno dell'azienda, molto probabilmente si potrà traslare qualche soluzione pure nel più ristretto abito personale attuando così un passaggio simile a quello applicato anche da Platone[76] nella Repubblica, quando per spiegare il concetto di giustizia per l'individuo si basa sulla spiegazione di cosa sia la giustizia tra le parti sociali, facendo così un cammino dal generale al particolare.
Si tratta piuttosto di vedere come si intreccia la responsabilità morale dei singoli e la struttura organizzativa aziendale per comprendere se l'impresa può essere oggetto di responsabilità morale.
E' possibile che si considerino i rapporti gerarchici, i
meccanismi decisionali e la spartizione del valore aggiunto aziendale come
regolati automaticamente dalla contrattazione libera ; se così è, anche la
più grande impresa non ha alcuna esistenza autonoma di alcun genere in quanto
<< niente di più e di meno che il prodotto di agenti individuali
liberamente contrattanti in accordo con i loro calcoli di utilità >>[77],
quindi i soli
responsabili morali sono i singoli.
L'azienda e la responsabilità sociale
In questo contesto si innesta l'opposizione di Friedman[78] all'enfasi sulla responsabilità sociale dell'azienda. L'autore ritiene infatti che il consiglio d'amministrazione che proclama d'usare risorse per adempiere ai doveri etici, o fa ciò per avere un tornaconto indiretto o viene meno ai propri doveri di mandatario. Tutti gli economisti e gli aziendalisti che seguono l'impostazione liberista radicale non pensano all'azienda che come ad uno strumento automatico, irresponsabile eticamente dell'azione di singoli soggetti, i quali non hanno altra responsabilità che quella di cercare di "avere successo rispettando le regole del gioco".
Esistono però altri studiosi che hanno posto in modo chiaro il tema della soggettività morale dell'azienda, e nel presente capitolo si cercherà proprio di porre a confronto tali diverse visioni dell'attività economica. E' bene porre fin d'ora in evidenza però, che gli studi sulla soggettività morale della grande azienda che qui si considerano, sono stati condotti per lo più nella realtà anglosassone e soprattutto statunitense. Per questo motivo, tali studi tendono a identificare la grande azienda con la "public company" a capitale diffuso.
Occorre quindi precisare che :
in Italia, Germania, Giappone e altri paesi le grandi aziende sono per lo più società a capitalismo familiare, finanziario o statale ;
negli Stati Uniti, l'intervento degli investitori istituzionali e le "scalate azionarie" hanno portato ad una maggiore pressione sui vertici manageriali, cosa che non è avvenuta altrettanto efficacemente altrove.
Il pensiero di French
Fra gli autori che sostengono l'idea di una soggettività morale dell'azienda French[79] fonda il suo ragionamento sull'affermazione dell'esistenza di una struttura decisionale interna alla grande azienda, la quale compie scelte intenzionali che sono qualitativamente diverse da quelle dei singoli dirigenti e proprietari, dando così luogo ad un vero e proprio soggetto morale. << Io spero di fornire la base di una teoria che renda possibile il trattamento delle grandi aziende come membri della comunità morale, di eguale condizione rispetto a coloro che tradizionalmente sono riconosciuti farne parte : gli esseri umani biologici >> . Secondo French l'esistenza di una "CID Structure" (Corporation's Internal Decision) rende possibile il superamento delle stesse motivazioni personali dei voti dei membri direttivi, per ricondurli a finalità appartenenti ad un livello qualitativo diverso, non più riconducibile alla mera addizione delle motivazioni delle singole persone fisiche che decidono. A chi obietta che la politica della grande impresa << riflette solo gli obiettivi correnti dei suoi consiglieri d'amministrazione >> l'autore risponde che tali imprese attuano scelte politico - strategiche che tendono alla stabilità e che non possono meccanicamente essere ricondotte alla volontà dei singoli dirigenti. << Dunque, gli scopi e le politiche di base dell'azienda, come già affermato, tendono ad essere relativamente stabili quando confrontati a quelli degli individui e non espressi nel tipo di linguaggio che sarebbe appropriato a scopi individuali >> .
Per poter attribuire all'azienda una personalità morale French, distinguendo diverse nozioni tradizionali di personalità, respinge l'interpretazione puramente giuridico - contrattuale dei doveri etici della "persona - azienda", cui cerca di attribuire una sorta di realtà oggettiva, definendola "agente" dotato di intenzioni proprie. All'interno del riconoscimento di responsabilità, un importante ruolo è assunto dalla "resa dei conti a qualcuno" ("accountabiliy"). Ciò presenta l'azienda come colei che deve "essere una parte in una relazione di responsabilità" : per attuare questo, divenendo così una persona morale, occorre che alcune scelte del soggetto siano il frutto delle sue intenzioni. Tale intenzionalità dell'azienda è quella che emerge dall'esistenza di una autonoma "CID Structure" che permette di parlare dell'azienda come di un autonomo soggetto morale.
La posizione di French è interessante poiché di rado si è studiato a fondo il problema dei fondamenti filosofici della responsabilità morale aziendale come tale ; confrontando però tale teoria con altre impostazioni è rilevante notare che :
dalla posizione di Friedman si può dedurre automaticamente la negazione della teoria di French solo se si ipotizza che ciascun soggetto non debba decidere condizionato "dall'inerzia di sistema o da abitudini aziendali consolidate" ;
l'attribuzione di una realtà metafisico - morale alla "CID Structure" può apparire come una forzatura che sottovaluti le responsabilità morali personali dei singoli dirigenti e proprietari ; secondo Rusconi << la grande azienda sembra quasi diventare una sorta di "Assoluto" hegeliano, che realizza se stesso nella storia sfruttando astutamente i fini particolari (magari opposti) dei managers e/o dei capitalisti che credono di attuare il proprio interesse >>[82] ;
per riassumere in modo molto conciso si può affermare che la grande azienda è qui concepita come una realtà talmente potente e pervasiva da offuscare e quasi far svanire le responsabilità morale dei singoli.
§ 4 La posizione di Ladd
A questa concezione dell'azienda come soggetto morale si contrappone la visione di Ladd il quale usa il termine di "organizzazione formale" ("formal organisation"), e afferma che queste organizzazioni hanno come caratteristica distintiva il fatto "che fanno una netta distinzione tra atti e relazioni degli individui nel loro ruolo ufficiale entro l'organizzazione e nel loro ruolo privato"[83]. In questo modo le decisioni divengono impersonali e vanno attribuite all'organizzazione e non all'individuo. Tale "formalità burocratica", fondata sull'impersonalità totale dei rapporti, creerebbe un meccanismo di regole del gioco alienante e spersonalizzante, rendendo nel contempo impossibile parlare d'azienda come soggetto morale.
Richiamandosi alle teorie di Wittgenstein[84], Ladd sottolinea come il comportamento degli individui nelle organizzazioni formali sia guidato da particolari giochi linguistici i quali "non determinano solo ciò che dovrebbe essere fatto, ma esprimono anche gli obiettivi e le mosse attraverso le quali essi sono ottenuti. Più importante ancora è che un particolare gioco linguistico determina come le attività al suo interno devono essere concettualizzate, prescritte, giustificate e valutate".
Secondo tale visione l'azienda diventa una macchina, un insieme di meccanismi molto complesso e che non può essere assolutamente considerata come soggetto moralmente responsabile in nessun senso.
Secondo Ladd la logica di una decisione collettiva è qualitativamente diversa da quella di una collettività di decisioni, e su questo concorda anche il pensiero di French, ma Ladd fa un ulteriore passo in avanti affermando che le organizzazioni formali "sono differenziate e costruite in riferimento ai loro propri obiettivi". Dalle decisioni collettive ci si ricollega così agli obiettivi e la "funzione logica dell'obiettivo nel gioco linguistico organizzativo è fornire le premesse di valore che debbono essere utilizzate nel prendere decisioni, giustificarle e valutarle". Si comprende allora che in quanto tutto ciò che non è collegato agli obiettivi dell'organizzazione va escluso dal processo decisionale, allora non ha alcun senso per Ladd parlare di organizzazioni formali come soggetti morali perché queste sono solo dei meccanismi altamente complessi unicamente finalizzati agli scopi di cui sono automatici strumenti attuativi. Tutte le azioni mosse da scopi diversi sono incoerenti con le finalità dell'organizzazione e vanno attribuite ai singoli individui che le attuano.
Un'organizzazione formale può quindi essere giudicata, secondo Ladd, solo alla luce degli scopi per cui è costituita, della sua razionalità intesa come efficienza nel perseguimento degli obiettivi. Ladd considera anche le considerazioni morali ma solo come considerazioni esterne che limitano il raggiungimento degli obiettivi, quindi solo come vincoli, non in quanto valori morali. La visione di Ladd è molto pessimistica, poiché secondo la sua opinione esiste una netta spaccatura insanabile fondata sulla contrapposizione fra gli standard morali individuali e le regole del gioco delle strutture formali alle quali non ci si può sottrarre.
Si comprende presto che in questo caso la concezione della grande azienda è ben diversa da quella proposta da Friedamn ; in estrema sintesi le differenze possono sintetizzarsi nei seguenti punti :
Friedman basa il rifiuto della soggettività morale della "corporation" sul fatto che il fine di massimizzare il profitto per gli azionisti è in se buono ed utile per tutti, mentre Ladd è molto più pessimista ;
il vincolo esterno di obbedienza alle leggi non è accettato da Friedman in modo opportunistico, ma in quanto considerato come condizione base perché il mercato possa funzionare bene.
Il pensiero di Ladd, valutato criticamente, sembra fallace per lo meno nel considerare che esistano organizzazioni che abbiano un unico obiettivo da raggiungere, e pure quando considera che la coscienza individuale debba necessariamente scomparire, o possa essere addirittura rovesciata dalle regole del gioco ; in ogni caso sembra eccessivo lo schematismo meccanicistico della teoria proposta.
§ 5 Tre diverse concezioni a confronto
Considerando ora le posizioni di Friedman, French e Ladd si può concludere che questi tre studiosi presentano una visione senza dubbio riduttiva della realtà aziendale, ma che comunque il loro insegnamento è importante per porre in risalto alcuni aspetti del rapporto fra etica e impresa che non vanno trascurati quale che sia il punto di vista individuale.
Friedman, in particolare, evidenzia che l'impresa ha finalità costitutive e che esistono azionisti che conferiscono agli amministratori un preciso incarico regolato da doveri di legge, oltre che deontologici inerenti tale mandato.
French sottolinea come la grande azienda possa assumere nel tempo una sorta di "vita autonoma", di volontà indipendente da quelle dei singoli decisori. Anche rifiutando le conclusioni dell'autore è importante considerare che le conseguenze morali delle decisioni di singoli si basano su informazioni e prassi che maturano dentro una struttura nata spesso prima di loro e che quasi sempre gli sopravviverà.
Ladd mette in risalto la logica dell'alienazione che emerge quando una qualunque struttura organizzativa venga orientata al raggiungimento di un unico obiettivo e certe vicende accadute in diversi paesi[85] lasciano pensare che la morale spersonalizzante indicata da Ladd non sia una realtà puramente teorica.
6 Autori moderati, Goodpaster e Matthews
Oltre a tali Autori appena richiamati nelle loro considerazioni più interessanti per i fini del presente lavoro, occorre presentare ora anche la posizione "moderata" che presenta l'etica dell'attività aziendale come fondata su tre condizioni base :
la separazione tra proprietà e controllo,
il riconoscimento dell'utilità per l'azienda della fedeltà ai principi etici,
il diniego sia del liberismo che del dirigismo estremi o radicali.
Tali fondamenti sono propri, come già detto, di una visione moderata, in quanto considera e salvaguarda sia l'economicità aziendale, sia la responsabilità dei singoli, sia infine alcuni valori sociali e morali di fondo nonché l'esistenza di un soggetto - azienda per il quale abbiano in qualche modo senso gli imperativi morali.
Fra gli autori che si possono annoverare come appartenenti a questo filone di studi, si ritrovano il già più volte citato Goodpaster, e Matthews.[86]
Tali studiosi definiscono la responsabilità delle persone
secondo tre significati : causale
(ricomprendente chi ha causato un danno o ne è responsabile), legata ad un ruolo sociale (come quello
dei genitori verso i
figli), decisionale.
La responsabilità e la scelta morale sono caratterizzate da conoscenza degli effetti delle azioni, razionalità e rispetto. In particolare razionalità qui significa che il giudizio morale non è frutto di un impulso ed è conseguenza di un esame
attento di "alternative e conseguenze, chiarezza su obiettivi e propositi, attenzione ai dettagli dell'attuazione"[87]. Rispetto poi è inteso come "rispetto per le vite degli altri ed include il prendere seriamente le loro necessità e interessi non semplicemente come risorse di un proprio processo decisionale, ma come condizioni limitanti che cambiano l'attesa definizione di un habitat da centrato su di sé ad ambiente condiviso. E' ciò che il filosofo Immanuel Kant intende con "l'imperativo categorico", trattare gli altri come valutabili in e per se stessi".
Stabilite le caratteristiche della responsabilità morale della persona, Goodpaster e Matthews propongono una "proiezione morale" attraverso la quale attribuiscono all'azienda le caratteristiche di "conoscenza dell'impatto", razionalità e rispetto tipiche della responsabilità morale individuale.
<< Se noi possiamo dire che le persone agiscono responsabilmente solo se entrano in possesso d'informazioni sull'impatto delle loro azioni su altri e le usano nel prendere decisioni, noi possiamo ragionevolmente fare lo stesso per le grandi organizzazioni Di conseguenza, le grandi aziende che esaminano le loro pratiche di assunzione e gli effetti dei loro processi di produzione e prodotti sull'ambiente e la salute umana mostrano quello stesso tipo di responsabilità e rispetto che hanno gli individui moralmente responsabili, così non pone problemi attribuire azioni, strategie decisioni e responsabilità ad aziende come entità distinguibili da coloro che vi lavorano. >>[89].
In questo modo vengono respinte le posizioni che affidano il compito di guidare eticamente l'impresa unicamente al mercato o alla regolamentazione pubblica, poiché entrambe rifiutano l'idea che l'azienda in sé possa ricercare obiettivi altri oltre al profitto.
Goodpaster e Matthews affermano invece che l'impresa dovrebbe venire incoraggiata a "esercitare un giudizio indipendente e non economico" di tipo morale su ciò che riguarda gli effetti della programmazione e della gestione di breve e lungo periodo.
§ 7 Risposte ad alcune critiche
I due studiosi passano poi a considerare e rispondere a obiezioni che possono essere sollevate circa l'attribuzione di responsabilità morale alla grande azienda e che si ripropongono qui in modo schematico :
CRITICA : l'analogia fra persona e grande azienda è scorretta, poiché la seconda è un'entità artificiale ; risposta : non si tratta di parlare delle aziende come persone in senso letterale, ma di affermare che "sotto certi aspetti concetti e funzioni normalmente attribuibili alle persone possono essere riconosciuti anche alle organizzazioni composte da persone", e ancora, "obiettivi, valori economici, strategie e altre caratteristiche personali sono spesso utilmente proiettate a livello aziendale da manager e ricercatori. Perché non dovremmo noi proiettare allo stesso modo le funzioni di coscienza."
CRITICA : la responsabilità morale dell'impresa sacrifica i profitti ; risposta : nelle grandi imprese si hanno diversi obiettivi manageriali che si aggiungono a quelli della massimizzazione del profitto ; si tratta allora di attuare un coordinamento fra obiettivi e va comunque considerato che il sacrificio del profitto alla morale concerne solo casi estremi.
CRITICA : non esiste chiarezza nemmeno sulle responsabilità morali del singolo ; risposta : i principi della morale sono comunque sempre stati studiati e posti nonostante l'inevitabile disaccordo che su questi esiste.
CRITICA : non è necessario proiettare la responsabilità morale individuale a livello della grande azienda ; risposta : questa proiezione è una conseguenza del carattere sistemico dell'azienda, che impedisce di considerare il tutto come la semplice somma delle parti.
La teoria di Goodpaster e Matthews responsabilizza maggiormente il singolo rispetto alle tesi di French e Ladd, anche se non si può dire formuli in modo preciso il problema in esame.
§ 8 Dagli studi anglosassoni alle posizioni della dottrina italiana
Ora, dopo aver presentato brevemente gli studi di alcuni illustri Autori, si cercherà di individuare se esista un filo comune che leghi - almeno nei fondamenti scientifici - le posizioni della dottrina economico - aziendale italiana a quella appena presentata e più in genere a quella statunitense, per poi trasferire se possibile nel nostro contesto economico le percezioni e le esperienze elaborate da tali studi.
Un legame è riscontrabile, conviene subito precisare, nel concetto che volendo definire la vita di un'azienda la qualifica come organo elementare di un più ampio organismo sociale, nel quale essa vivrebbe ed opererebbe, per le energie che da esso trae e per le ricchezze che ad esso apporta.
Negli studi aziendali condotti in Italia, così come in quelli a livello internazionale, il legame reciprocamente vitale che unisce l'impresa all'evolversi delle istanze collettive sociali è il fondamento concettuale comunemente usato quale piano da cui muovere per successive elaborazioni.
Per quanto concerne il nostro paese si ricordi che Riparbelli[90] sottolineava come "le aziende, si presentano come organi della più complessa organizzazione sociale" mentre Giovanni Ferrero scriveva che << l'impresa scaturisce nell'ambito di "organizzazioni umane" o, come anche si dice, di "organizzazioni sociali" : l'impresa è dunque uno strumento creato dall'uomo al servizio dell'uomo, ossia della "società", in quanto "organizzazione umana" >> e ancora : << del resto la Scienza economica, come pure l'Economia d'azienda, rientrano nell'arco delle Scienze sociali. Il "mondo economico" da queste dottrine elevato ad oggetto di studio, per non essere astratto, cioè avulso dalla realtà, può essere concepito soltanto nel compiuto significato di "mondo economico - sociale" >> e ancora Giuseppe Catturi precisa : << l'impresa non è soltanto un organismo a dimensione economica, ma anche sociale e politica ; è cioè un organismo tridimensionale. Studiarne soltanto l'aspetto economico è un'analisi parziale che non coglie esattamente la realtà oggettiva >> .
Il mondo economico italiano ha quindi anch'esso compreso da un lato l'esigenza di collocare la dimensione aziendale in un complesso ambiente sociale, dall'altro come allo studio della dimensione economico - finanziaria dell'impresa vada inevitabilmente affiancata l'imprescindibile e complementare indagine sulle sue dimensioni socio - politico - culturali.
Le stesse logiche concettuali sono a fondamento degli studi
statunitensi, i quali hanno però sviluppato su tale argomento una trattazione
maggiormente ampia, che si cercherà ora di riproporre secondo un punto di vista
più generale di quanto fatto prima analizzando solo le singole
posizioni di alcuni autori.
§ 9 Sviluppo degli studi aziendali negli Stati Uniti ; la Corporate Social Responsibility
Nella letteratura aziendale statunitense i primi dibattiti scientifici inerenti in tema delle interazioni impresa - ambiente sociale risalgono agli anni '50 con la cosiddetta Corporate Social Responsibility, ovvero responsabilità sociale dell'impresa, talvolta contraddistinta con l'acronimo CSR1.
<< L'essenza del concetto della Corporate Social Responsibility consisteva nel riconoscimento di obblighi sociali - a carico delle imprese - che trascendevano le classiche funzioni economiche della produzione e distribuzione di beni e servizi scarsi e dell'ottenimento di un profitto per i capitalisti Il nucleo delle indagini era prevalentemente costituito dall'output, dal "prodotto" in senso ampio, vale a dire dagli effetti esterni derivabili dall'attività economico - produttiva >>[93]. Tra le sfere oggetto di discussione c'era la crescita economica del paese, l'uso efficiente delle risorse, l'occupazione e così via ; si trattava in sostanza di orientare lo sguardo dell'impresa verso obiettivi addizionali rispetto a quelli economico - finanziari per orientare l'attenzione dell'impresa anche alla risoluzione o alla prevenzione di iniquità sociali.
Il presupposto - base stava nel riconoscimento delle potenzialità che un'azienda ha di incidere sul progresso e lo sviluppo socio - culturale di un certo ambiente, anche compiendo azioni che esulino dall'oggetto principale dell'attività economica. Era un'attribuzione di responsabilità derivante dal fatto che se l'impresa può incidere positivamente sul benessere di una comunità allora è tenuta a farlo, deve in quanto soggetto responsabile, membro di una più ampia collettività sociale. Ciò conformemente al principio per cui il potere implica responsabilità.
Altri punti fermi di tale impostazione erano sia la consapevolezza che per l'impresa l'assunzione volontaria di certe responsabilità è preferibile all'intervento pubblico alternativo, sia l'accettazione di un dovuto rilievo da attribuire alle istanze dei gruppi sociali[94]. Le potenziali sfere d'intervento della responsabilità sociale dell'impresa furono dunque schematizzate secondo tre cerchi concentrici :
l'ambito interno, che include il macro - impatto sociale "naturale" dell'attività caratteristica dell'impresa, vale a dire gli effetti sulla crescita economica del paese, sull'occupazione, sulla quantità e varietà dei prodotti resi disponibili e così via ;
l'ambito intermedio, che include sempre delle responsabilità inerenti l'esercizio della tipica attività d'impresa, ma esaminate focalizzando l'indagine su specifici punti per i quali l'impresa può assumere posizioni di maggior o minor considerazione ; tipici in questo senso sono l'attenzione alle politiche d'assunzione del personale soprattutto nei confronti delle aree sottosviluppate o di persone handicappate, la cura delle condizioni dell'ambiente lavorativo, la tutele del patrimonio naturale e via di seguito ;
l'ambito più esterno, che mira ad evidenziare la disponibilità dell'organismo economico a considerare un coinvolgimento attivo in attività di non propria competenza, come in miglioramento di alcuni aspetti di un particolare ambiente sociale, la vivibilità urbana o altro.
Come succede spesso alle indagini scientifiche si sono sviluppate pure critiche tese ad evidenziare alcuni dei limiti di tale approccio. Quelle sono comprensibili tenendo conto che tra gli esponenti della CSR1 vi erano numerosi operatori d'impresa che desideravano semplicemente conservare lo status quo, o consolidare il mondo imprenditoriale privato nella propria posizione di privilegio.[95] Ciò è convalidato dal fatto che si stimolavano le sole "iniziative sociali" che non intaccassero l'ordinario svolgimento delle tipiche funzioni economiche d'impresa quali, per fare degli esempi, la beneficenza e altre liberalità.
Fra le critiche c'era l'accusa che quanto veniva promosso fosse mera "operazione di facciata", per il miglioramento dell'immagine esteriore della specifica unita economica ; poi, anche quando vennero toccati punti salienti delle relazioni impresa - collettività sociale, il dibattito non si orientò mai verso la trattazione dei principi moventi l'attività d'impresa, verso una dimensione culturale o morale o ideologica originaria della stessa attività economica. Non affrontando l'analisi delle origini dei conflitti in termini di norme regolatrici dei comportamenti assumibili dall'impresa, l'indagine non investigava il senso "dell'essere impresa", ma solo la risultante esteriore di tale scelta, di tale indeterminato modo d'essere. Si indagavano i soli atti concreti esteriori, compiuti in attuazione di presumibili principi e obiettivi gestionali mai esplicitati.
Una seconda critica concerneva il concetto di responsabilità, il quale era inteso principalmente come sinonimo di obbligazioni ulteriori che l'impresa dovesse assumere rispetto allo svolgimento della sua attività caratteristica. Non si poneva invece in risalto che poteva trattarsi di un'opportunità favorevole da saper cogliere, consistente nella possibilità per le imprese di pensare a un profondo cambiamento del loro modo d'essere, interiorizzando nei processi ordinari un orientamento responsabile, in sintonia con le aspettative sociali.
§ 10 Anni '70 e la Corporate Social Responsiveness
Da tali critiche, come normale verso gli inizi degli anni '70, prende origine una successiva scuola di indagine sulla dimensione sociale dell'impresa, scuola che verrà presto definita come Corporate Social Responsiveness, o CSR2 in Italiano sensibilità - intesa come rispondenza, attenzione - sociale dell'impresa.
<< La Corporate Social Responsiveness si rivolge fondamentalmente allo sviluppo di processi per mezzo dei quali, compatibilmente con i limiti insiti nella disponibilità di informazioni incomplete ed imperfette, si possono gestire le molteplici ramificazioni delle politiche e delle azioni intraprese dall'impresa >>[96]. << L'impresa deve configurare i suoi processi, ovvero la struttura delle sue operazioni ordinarie, in modo che essi siano capaci di accogliere aspetti una volta ritenuti esogeni od irrilevanti Ciò che i manager devono ritenere rilevante nei processi per la formazione e l'esecuzione delle politiche d'impresa deve giungere ad includere una serie di fattori non solo di natura economica, ma anche sociale, politica, ambientale e culturale. Questa più ampia visione trasferisce l'ottica d'indagine dai "prodotti", dai risultati e dagli effetti esterni dell'attività, verso l'istituzionalizzazione di processi all'interno dell'impresa >> .
Rispondenza intesa dunque come capacità dell'impresa di sviluppare processi interni atti a percepire meccanicamente senza giudizi morali i problemi ambientali, con il fine di incanalarli in processi aziendali predeterminati.
Tale impostazione fu fortemente legata agli studi
della Harvard Business School, i
quali conducono un lavoro a tre stadi : a) cambiamento ambientale, b) politica d'impresa, c) decisioni strategiche in risposta al
cambiamento e cambiamenti interni strutturali per ottenere un miglior
adattamento. << Quello che è interessante della scuola di Harvard è il
suo evidenziare l'importanza essenziale dei rapporti impresa - ambiente, anche
ai fini dell'elaborazione del discorso strategico manageriale >> .
In questo modo si comprende come venga ampliato il senso della precedente Corporate Social Responsibility, poiché ci si concentra qui sul modo di rendere i processi interni all'impresa più confacenti al dialogo con l'ambiente sociale ; più precisamente si reputa che l'impresa sia tenuta a sviluppare interiormente la capacità di percepire le tensioni sociali e di rispondere ad esse mediante processi gestionali e comportamenti operativi che ne migliorino il grado di "sensibilità" [99].
<< La Corporate Social Responsiveness si riferisce alla capacità dell'impresa di "rispondere" alle pressioni sociali. Il rispondere, o il realizzare un atteggiamento di "rispondenza" (sensibilità, attenzione), alle istanze sociali, è il nucleo di tale approccio Nell'impresa, si ricercano meccanismi, procedure, soluzioni e modelli operativi che presi nel loro insieme definiscono la sua capacità di "rispondere" >>[100].
La novità proposta da questo filone di letteratura è stata senza dubbio di aver richiamato all'attenzione l'esigenza di un cambiamento interiore all'impresa, arrivando a concepire la creazione e lo sviluppo di procedure che la pongano in una posizione di maggiore sintonia e rispondenza con gli interessi collettivi.
Anche a tale impostazione furono avanzate critiche, inerenti principalmente il limite di disattendere la necessità di ancorare gli adattamenti che proponeva a un complesso di principi che caratterizzasse e indirizzasse le scelte d'impresa : non fosse, in altri termini, eticamente neutrale. A questo riguardo è emblematico, anche se un po' pittoresco, il pensiero di Frederick : << E così, mentre l'impresa Roma bruciava, quegli studiosi suonavano la cetra, rivendicando la loro indifferenza verso le cause intime dei grandi eventi che li attorniavano. Era come se fossero diventati meri scribi ; fornivano le descrizioni delle procedure amministrative da porre in essere per affrontare i conflitti senza comunque entrare nel merito e nel giudizio sulla correttezza delle azioni così intraprese >>[101].
La meccanica dei mezzi allora, prevaleva sul significato dei fini : era come se gli strumenti fossero senza riflesso sui caratteri degli obiettivi che si volevano realizzare, come se non vi fossero mai fini, valori, principi o norme di comportamento morale coinvolti né nei dibattiti insorgenti nel rapporto fra impresa e comunità sociale, né nella scelta sugli strumenti possibili per gestire tali conflittualità.
In sintesi si può affermare che di positivo, da tale filone, si ricava la comprensione dell'esigenza di rispondere alle istanze collettive dai vari stakeholders espresse nei confronti dell'impresa, con degli adeguamenti negli organi, nei ruoli, nelle funzioni e dunque nei processi interni all'unità economica aziendale. Di contro, il limite di tali studi è rappresentato dall'assenza della previsione di un indagine sulle "intenzioni" e sulle basi normative sottostanti a quei fini perseguibili entro la dimensione sociale d'impresa. Pur rischiando di risultare ripetitivi si può precisare che manca una riflessione sui canoni, sui credo sui principi e sulla cultura etica retrostanti le scelte aziendali da assumere in tema di interazione con l'ambiente.
In ogni caso occorre rendere omaggio per l'elaborazione di strumenti manageriali come, solo per citarne alcuni fra i più noti, lo sviluppo di tecniche di auditing sociale, il Management by Iussues, i modelli di relazione con gli stakeholders, i bilanci sociali, gli schemi di codici di condotta, acquisizioni che sempre più sono annesse alle discipline economico - aziendali.
§ 11 Limiti e confronto tra le due correnti di studio
Ciò detto, ancora oggi è possibile mettere in risalto alcune lacune importanti nel seguito del processo :
dopo aver riflettuto sugli effetti esterni (CSR1) e sui processi interni (CSR2) dell'attività d'impresa, si tratta ora di formare il management al fine di renderlo capace di innescare una costante riflessione critica anche sui valori - guida che orientano i comportamenti ;
di seguito a quanto appena sopra proposto, è necessario che si diffonda dentro l'impresa un clima operativo che fondi tutte le relazioni impresa e controparti su valori e valutazioni condivise.
Si ripropone qui sotto uno schema comparativo fra i due filoni evolutivi dell'approccio sociale appena proposti, al fine di meglio comprendere le differenze e le caratteristiche peculiari di ciascuno dei due filoni di studi.
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RESPONSABILITA' SOCIALE CSR1 |
"SENSIBILITA'" SOCIALE CSR2 |
Ottica |
"esterna" |
"interna" |
Oggetto |
Conseguenze, impatto, "prodotti" ed effetti sull'ambiente sociale |
processi di elaborazione delle politiche gestionali e delle decisioni operative |
Ambito |
prevalentemente "oltre" le tipiche funzioni d'impresa |
strumenti manageriali e struttura dei procedimenti gestionali |
"Motto" |
"il potere implica responsabilità" |
l'attività aziendale presuppone la capacità di "rispondere" alle istanze sociali |
Limiti |
conservazione della posizione di forza dell'impresa ; iniziative di facciata |
"aestticità" delle indagini ; mancata riflessione sulle "cause" e sul "merito" delle azioni intraprese ; |
Tabella n°1.1
§ 12 Una visione dell'impresa come sintesi di poliedriche istanze e studi
Da questo breve excursus sulla recente storia della letteratura statunitense dedicata alla responsabilità sociale dell'impresa si nota come ancora torni alla ribalta l'esigenza di uno studio che si focalizzi sui principi normativi, e più esplicitamente sui valori etici il cui rispetto e conseguimento dovrebbe caratterizzare qualsiasi performance aziendale. A soddisfare tale esigenza si è dedicata gran parte degli studi di Business Ethics già in precedenza richiamati sommariamente e che si avrà l'occasione di riprendere anche in seguito.
A conclusione di questo capitolo, e con esso pure della prima sezione, si può sintetizzare che è forse necessario riorganizzare la struttura dell'impresa sulla base di nuovi obiettivi. Si legittima in un certo qual modo la nascita di una struttura "circolare", non più piramidale, suddivisa per competenze responsabilità e forte coinvolgimento motivazionale. Alla base di tale nuova struttura vi è un cambiamento culturale che dovrà essere sostenuto attraverso la formazione di nuovi quadri dirigenti e l'aggiornamento di chi già opera nel settore.
E' chiaro allora come in questa logica gli obiettivi
contrastanti di chi opera all'interno dell'impresa (l'espansione dell'impresa
per i manager, alti salari e buone
condizioni di lavoro per i lavoratori, elevati dividendi e aumento del valore
delle azioni per gli azionisti) e dei vari stakeholders,
potranno ricomporsi nella cooperazione e nella condivisione a comuni
obiettivi.[102]
Su questa scia si inserisce anche il pensiero di M. Novak il quale ha una
precisa idea della Business Ethics e
del ruolo dell'impresa. << L'etica degli affari deve impegnarsi ad
immaginare e creare un mondo
basato sui principi della creatività umana, la comunità, il realismo e le altre
virtù proprie dell'impresa. Deve promuovere il rispetto del diritto dei poveri
alla iniziativa economica personale e alla loro creatività. >> .
Coerente con questa idea d'impresa è pure la visione della dottrina sociale cristiana. Giovanni Paolo II con l'Enciclica Centesimus annus ne è il principale promotore sottolineando ripetutamente la rilevanza della libertà e della creatività nel lavoro, nonché la dimensione comunitaria dell'impresa e l'importanza accanto al capitale "di altri fattori umani e morali" i quali, vera risorsa limitata dell'economia, sono altrettanto essenziali per la vita dell'impresa. "Mediante il suo lavoro l'uomo si impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri ; ciascuno collabora al lavoro e al bene altrui in una catena di solidarietà che si estende progressivamente"[104].
Come già efficacemente affermato in una tesi intitolata "L'economia di Comunione nel Movimento dei Focolari (1991 - 1993)"[105] e con la quale ci si sente in sintonia, in seguito anche alla riflessione fin qui proposta << oggi l'impresa può sopravvivere, solo se riesce a rispettare una cultura d'ambiente garante dell'uomo e della sua dignità , solo se l'utile è distinto dal bene e l'uomo è trattato non come mezzo ma come fine ; la morale economica deve tendere a contemperare il giusto mezzo al giusto fine e pervenire ad un sempre più corretto rapporto tra equità ed efficienza. >>.
Oggi è alquanto irrilevante la proprietà dei mezzi di
produzione, in quanto il controllo dell'impresa è spesso esercitato da managers i quali non
possono pretendere di attingere i valori guida solo dalla conoscenza empirica,
pena il nichilismo e il relativismo filosofico o peggio la possibilità stessa
di emettere giudizi di valore, come si è sommariamente riscontrato negli studi
proposti da Friedman French e Ladd i quali si basavano proprio su delle analisi
empiriche.
E' importante allora riconoscere il problema morale del ciclo produttivo d'impresa per contribuire a fondare un modello di gestione più giusto ed equilibrato avvalendosi dell'aiuto sia della fede quanto della ragione perché se "la fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l'aiuto della ragione ; la ragione, al culmine della sua ricerca, ammette come necessario ciò che la fede presenta."
I valori preesistono all'uomo il quale deve cercare di scoprirli nella sua stessa esperienza per realizzarsi pienamente e non può negarli o assolutizzarli, nel contesto economico, sotto la parola utile.
Questa riflessione morale meta - economica deve essere consueta in tutte le imprese e il progetto di Economia di Comunione, che si avrà modo di presentare nella quarta sezione, sembra possa essere un primo passo affinché questo lungo processo di formazione delle coscienze si realizzi veramente in ogni momento della vita sociale, economica e politica ; più prettamente per quanto concerne la realtà d'impresa, tale progetto sembra essere un segno per lo sviluppo di una nuova cultura d'ambiente dove la qualità si sostituisca alla quantità nelle relazioni, nelle scelte, nei programmi e negli scambi[109]. In questo cammino sono senza dubbio già progredite le imprese "higt touch" ossia quelle ad alta densità di capitale umano, nella gestione delle quali è assolutamente necessario superare la logica conflittuale. Il successo di tali aziende dipende infatti dal fattore umano preponderante il quale perché possa dispiegare bene tutte le proprie
capacità deve venir motivato per mezzo di incentivi non solo economici, ma anche e soprattutto morali. Ciò è già stato definito con la formula management by vision and values o MBV2, che esprime l'armonia tra i valori, le idee condivise da tutti in un certo ambito, e le singole visioni, ovvero ciò che si potrebbe definire come l'impegno del singolo a lavorare per un mondo migliore.
In questo contesto l'imprenditore non può esimersi dall'aver cura del personale né disinteressarsi della sua crescita umana e professionale, in quanto è anche nell'interesse stesso del suo ruolo di imprenditore favorire la responsabilizzazione più completa di ogni dipendente - empowerment - per snellire i processi decisionali e la flessibilità d'adattamento dell'impresa alle nuove esigenze sociali. L'economia imprenditoriale deve in un certo senso recuperare il concetto di "clan", di gruppo e comprendere pienamente che il vero soggetto dell'industria è dato unitamente dall'imprenditore e/o management e dal prestatore di lavoro i quali devono assieme decidere e lavorare. Si tratta in altro modo di valorizzare il singolo e armonizzarlo col molteplice per fare proprio "Economia di Comunione", ove successo sociale, redditività e competitività sono sempre fattori importanti ma altrettanto importante è la valorizzazione delle conoscenze di ogni singolo individuo per valorizzare così il know how complessivo dell'intera impresa.
Si pensi per esempio al caso della scelta fra licenziare o no un dipendente che si trova in una difficile situazione psicologica. Un imprenditore cattolico che sottolinea i suoi doveri etici verso il successo qualitativo e di prezzo sul mercato propenderà per il licenziamento, uno che sottolinea di più i vincoli etici alla ricerca dell'utile sarà disposto anche a veder ridurre il profitto. Il problema è ancora più complesso quando in gioco non c'è solo il profitto ma la stesa sopravvivenza dell'azienda e del lavoro dei dipendenti.
Non ci si riferisce qui alla sola corruzione, ma anche ad altri fenomeni meno eclatanti, citati nella letteratura sulla "business - ethics".
Riparbelli Alberto, Il contributo della Ragioneria nell'analisi dei dissesti aziendali, Stabilimenti Grafici Valletti, Firenze, 1950, citato in Pierre di Toro 1993, p. 102.
William C. Frederick, From CSR1, to CSR2 : The Maturing of Business - and - Society Thougt, Working paper n° 279, Graudate School of Business, Univerity of Pittsburg, 1978, citato da Carroll 1979, p. 501.
Cfr. Palmerio G., 1990. Op. cit. p. 188 nella tesi di Claudia Spagnolo "Etica ed Economia : per una economia della persona". cs 970131.
Tesi di Antonella Martinelli e Prof. S. Ronca L'economia di comunione 1991 - 1993.; Istituto di Scienze religiose, Milano, , A.A. 1993 - 1994.
All'opposto l'utilitarismo di J. S. Mill e di G. C. Bentham sancisce : << L'aspirazione a fare dell'etica una scienza esatta la sola misura legittima del bene e del male è sostituita dal perseguimento della massima felicità possibile per il miglior numero di persone. l'utile perde così il carattere di valore universale e soggettivo e diviene criterio di scelte oggettivamente comparabili. >>, cfr. utilitarismo in Dizionario di filosofia, Rizzoli, Milano, 1980, p. 463.
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