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Le imposte dirette




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Le imposte dirette

L'imposta sul reddito delle persone fisiche: dall'IRPEF all'IRE

L'IRPEF, introdotta con la riforma del '71, è considerata l'imposta diretta in assoluto più importante sia perché da sola provvede i due terzi del gettito delle imposte dirette, sia perché è l'imposta che, almeno in teoria, meglio si presta a realizzare il principio dell'efficienza e dell'equità:

efficienza perché il reddito nazionale di un paese si risolve nella somma dei redditi di tutti i cittadini e quindi, colpendo il reddito personale si colpisce la misura più rappresentativa della capacità contributiva;

equità perché, con la possibilità di variare le aliquote a seconda del reddito, si può facilmente obbedire all'indicazione della Costituzione "Il sistema tributario è informato a criteri di progressività" (art.53).

L'imposta personale sul reddito nasce e si sviluppa nella seconda parte del secolo scorso nei più importanti Paesi europei e nord americani (Francia, Germania, Usa, etc.), dove affianca e gradualmente sostituisce i sistemi di imposizione reale[1], che colpivano separatamente i vari cespiti (lavoro, capitale, terra, etc.).

Le caratteristiche dell'imposta sono:

la generalità della base imponibile;

la progressività[2], che ha l'obiettivo di realizzare la perequazione dei redditi;

i fattori di personalizzazione, che graduano l'onere della tassazione in relazione alle condizioni sociali e famigliari del soggetto passivo;

la discriminazione nel trattamento dei redditi in relazione alla fonte (lavoro dipendente, lavoro autonomo e d'impresa, capitale, immobili, etc.);

la presenza di deduzioni dalla base imponibile e di detrazioni dall'imposta per spese sostenute dai contribuenti (sanità, istruzione, previdenza), ritenute meritorie e per questo in parte finanziate dallo Stato.

A partire dal 1998 l'imposta personale sul reddito ha visto modificazioni nella normativa di una certa importanza. Gli interventi realizzati nella tassazione personale del reddito hanno avuto soprattutto l'obiettivo di assicurare coerenza interna e razionalità al sistema tributario attraverso l'introduzione dell'Irap, la nuova imposta sul valore aggiunto destinata a realizzare il decentramento tributario, e le modifiche intervenute nel sistema di tassazione del reddito d'impresa e del reddito da capitale. La riforma prevista dalla legge delega 80/2003 ha adottato in linea di principio (ma è ancora incerto quando essa entrerà in vigore) un modello vicino alla Flat Rate Tax, articolato su due sole aliquote (23% e 33%) e su un sistema di deduzioni modulato in funzione di obiettivi specifici.

Le categorie di reddito nell'Ire

L'Ire si applica alla somma dei redditi del soggetto passivo. Il reddito complessivo è formato da tutti i redditi posseduti per i residenti e dai redditi prodotti nel territorio dello Stato per i non residenti. I redditi delle persone fisiche sono divisi in sei tipologie differenti:

  1. redditi fondiari;
  2. redditi da capitale;
  3. redditi da lavoro dipendente;
  4. redditi da lavoro autonomo;
  5. redditi di impresa;
  6. altri redditi.

La suddivisione dei redditi in tipologie è importante, perché i criteri di determinazione della base imponibile previsti dal legislatore sono significativamente differenti. Vediamole in dettaglio.

Redditi fondiari

I redditi fondiari sono quelli che derivano dall'uso economico dei terreni e dei fabbricati situati nel territorio dello Stato. Il sistema di imposizione dei redditi fondiari è definito su base catastale. Il criterio di reddito adottato dal legislatore è quello di reddito normale. I redditi fondiari si distinguono a loro volta in tre categorie:

a)     redditi dominicali dei terreni derivanti dall'utilizzo del terreno per attività agricole. Il reddito dominicale è calcolato sulla base di tariffe d'estimo, che definiscono la redditività dei terreni in base alla posizione e alla produttività media. Le tariffe d'estimo stabilite dalla legge catastale determinano forfetariamente il reddito fondiario per particelle catastali, aventi ciascuna medesima qualità e classe di colture. La determinazione forfetaria tiene conto anche delle spese di manutenzione, di amministrazione e di tutte le spese che incidono direttamente sulla produzione del reddito. Le tariffe sono sottoposte a revisioni periodiche;

b)     redditi agrari. Appartengono a questa tipologia i redditi medi che vengono ottenuti dall'uso di capitale e di lavoro nell'esercizio di attività agricole sui terreni. Anche il reddito agrario è determinato in base a tariffe d'estimo;

c)     redditi dei fabbricati. Sono costituiti dai redditi medi ordinari che possono essere ottenuti dalle unità immobiliari urbane. Anche questo tipo di reddito è determinato attraverso l'applicazione dei coefficienti di estimo catastale. È attualmente in fase di realizzazione un radicale rinnovamento dei metodi di calcolo del reddito degli immobili.

Redditi di capitale

Rientrano in questa categoria i proventi derivanti dall'impiego di capitale finanziario che non sono percepiti nell'ambito del reddito d'impresa. Caratteristica importante di questa tipologia è la tassazione alla fonte: il soggetto che li eroga (l'intermediario finanziario) è tenuto ad effettuare una ritenuta proporzionale a titolo d'imposta per le persone fisiche e a titolo di acconto per le persone giuridiche. Fanno fare parte di questa tipologia di reddito i proventi dei capitali dati a mutuo, gli interessi sui depositi, sui conti correnti, sui titoli e sulle obbligazioni. I dividendi distribuiti ai proprietari di azioni non fanno parte della base imponibile dell'Ire e quindi non subiscono una tassazione progressiva.

Redditi di lavoro dipendente

La categoria dei redditi da lavoro dipendente comprende tutti i redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto prestazioni di lavoro alle dipendenze o sotto la direzione di altri. Il reddito è costituito da tutti i compensi ed emolumenti percepiti nel periodo d'imposta in dipendenza del lavoro prestato. Costituiscono reddito da lavoro dipendente anche le pensioni e gli assegni ad esse equiparati. Sono assimilati a quelli di lavoro dipendente una serie di redditi quali le rendite dei fondi pensioni e quelle in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, i compensi percepiti da soggetti impegnati in lavori socialmente utili, le indennità parlamentari, ecc.. I redditi sono tassati con ritenuta alla fonte operata dal datore di lavoro, che svolge la funzione di sostituto d'imposta versando mensilmente all'erario il debito d'imposta dovuto dal lavoratore sul reddito lordo. Il reddito imponibile è definito dalla somma dei compensi in denaro e in natura percepiti nel periodo d'imposta. Si utilizza quindi una misura di reddito lordo. I costi per la produzione del reddito sono considerati in fase di determinazione dell'imposta tramite detrazioni per carichi di lavoro.

Redditi da lavoro autonomo

Sono i redditi che derivano dall'esercizio di un'arte o di una professione. Tali redditi sono caratterizzati da alcuni elementi distintivi comuni:

esercizio di attività per professione abituale. L'abitualità assurge a rango di elemento distintivo del reddito di lavoro autonomo, e lo distingue dai "redditi diversi" prodotti occasionalmente;

esercizio di attività diverse da quelle di impresa.

Il legislatore ha assimilato a reddito da lavoro autonomo una serie di altre attività:

a.      i redditi derivanti dall'utilizzazione economica da parte dell'autore di opere dell'ingegno, di brevetti industriali, etc.;

b.     le attività derivanti da partecipazione ad associazioni in partecipazione ove la qualità di associato prevede un apporto prevalentemente di lavoro (e non di capitali);

c.      le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e fondatori di società di capitali.

Il reddito derivante dall'esercizio di arti o professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione.

Per i redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo infine sono previste forme forfetarie di determinazione delle spese.

I redditi di impresa

I redditi d'impresa sono quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali ancorché non organizzate in forma d'impresa. Il riferimento generale per la determinazione del reddito d'impresa è l'utile netto (o perdita), che risulta dal conto economico. La base imponibile è ottenuta dopo che all'utile sono state applicate le variazioni positive e negative previste dalla normativa fiscale. Il reddito imponibile è calcolato in base al criterio di competenza. Le componenti positive del reddito sono:

a)     i ricavi: sono le componenti positive di reddito che derivano dalla cessione di beni e dalla prestazione di servizi alla cui produzione e scambio è diretta l'attività di impresa. Sono comprese nei ricavi anche le cessioni di materie prime e semilavorati acquistati per essere impiegati nell'attività di impresa e i corrispettivi delle cessioni di azioni, quote, obbligazioni ed altri titoli;

b)     le variazioni positive delle rimanenze: si tratta della variazione delle scorte. Se questa è positiva concorre alla formazione della base imponibile. I problemi di valutazione delle rimanenze derivano dal fatto che i prezzi dei beni possono variare da un periodo d'imposta a quello successivo;

c)     le plusvalenze patrimoniali: si realizzano se la cessione di cespiti immobilizzati è effettuata ad un importo superiore a quello del suo costo storico al netto degli ammortamenti;

d)     le sopravvenienze attive: si tratta di proventi conseguiti a fronte di costi od oneri già dedotti in precedenti periodi di imposta oppure derivanti dalla sopravvenuta insussistenza di costi e passività iscritte in bilancio;

e)     i dividendi: sono proventi che derivano all'impresa dal possesso di azioni di società di capitali.

Le componenti negative di reddito sono:

a)     i costi di esercizio: sono quelli che l'impresa sostiene per le retribuzioni e per l'acquisto di materie prime, semilavorati e merci inerenti all'attività svolta;

b)     le minusvalenze: sono deducibili solo se realizzate e regolarmente iscritte in bilancio;

c)     le sopravvenienze passive

d)     gli interessi passivi: rappresentano il costo dell'indebitamento e non sono integralmente deducibili dalla base imponibile, ma solo in relazione al rapporto tra i ricavi e i proventi che concorrono a determinare il reddito complessivo;

e)     gli ammortamenti: sono elementi di costo che corrispondono alla ripartizione su più periodi del valore dei beni strumentali. Il criterio adottato dal legislatore per il calcolo degli ammortamenti è quello delle rate costanti. Il costo del bene da ammortizzare è quello storico e il periodo di ammortamento è fissato dal Ministero delle Finanze in base alla categoria dell'investimento, alla tipologia dell'impresa e al settore di attività.

Il sistema fiscale prevede, per la tassazione del reddito d'impresa, una serie di regimi speciali di particolare interesse data la struttura produttiva italiana nella quale la diffusione delle imprese di dimensione medio-piccola e a carattere famigliare è maggiore che nelle principali nazioni europee. Alle imprese di dimensione minore è possibile scegliere regimi di tassazione semplificata.

I redditi diversi

È prevista una categoria residuale all'interno della quale confluiscono i redditi imponibili non compresi nelle cinque precedenti categorie. I redditi più significativi sono:

a)     le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di immobili, di partecipazioni in società di capitali o enti commerciali, di titoli finanziari, ecc.

b)     i proventi derivanti da vincite, concorsi a premi e lotterie;

c)     i redditi occasionali da lavoro autonomo;

d)     i redditi di beni immobili situati all'estero;

e)     i redditi derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, brevetti e diritti d'autore realizzati nell'ambito di attività d'impresa;

f)      le indennità di trasferta;

g)     i redditi derivanti da attività commerciali non svolte abitualmente.

Anche per questi redditi si applica un regime particolare, che consiste in una imposta sostitutiva che può essere del 27% o del 12,5% (a seconda che si tratti di cessione di partecipazioni qualificate o meno). Il contribuente può tuttavia optare per la tassazione d'acconto, e quindi riportare i guadagni di capitale nel reddito complessivo dell'IRPEF.

La determinazione dell'imposta

Il reddito complessivo lordo è ottenuto come somma di tutti i redditi imponibili realizzati dal soggetto passivo nel periodo d'imposta: le componenti del reddito della persona fisica sono sommate algebricamente, comprese anche le eventuali perdite nel caso in cui queste si siano verificate nell'ambito di attività di lavoro autonomo e/o di impresa. I principali passaggi possono essere sintetizzati nel seguente modo:

REDDITO COMPLESSIVO meno DEDUZIONI


REDDITO IMPONIBILE


IMPOSTA LORDA meno DETRAZIONI


IMPOSTA NETTA

Le operazioni successive definiscono la personalizzazione dell'imposta sul reddito. In questi passaggi il legislatore rende esplicite le finalità distributive dell'imposta.

Le deduzioni dall'imponibile

Nella riforma fiscale in corso di realizzazione le deduzioni dall'imponibile assumono un ruolo fondamentale. Il soggetto passivo può dedurre dalla base imponibile una serie di spese sostenute nel periodo d'imposta e definite oneri deducibili (o deduzioni dal reddito). Le più importanti sono:

i contributi previdenziali e assistenziali versati dai lavoratori alle gestioni pensionistiche pubbliche;

i contributi versati alle forme pensionistiche complementari dai lavoratori autonomi;

le spese mediche per l'assistenza a portatori di handicap;

gli assegni corrisposti al coniuge nei casi di separazione, annullamento del matrimonio e divorzio;

le erogazioni liberali per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica Italiana.

Gli oneri deducibili riducono la base imponibile. Essi contribuiscono al fenomeno

dell'erosione dell'imposta, ovvero alla riduzione legale della base imponibile e quindi del gettito dell'imposta. Dal punto di vista del soggetto passivo gli oneri deducibili riducono il debito d'imposta di un ammontare pari al prodotto tra l'aliquota marginale e l'ammontare della spesa che dà diritto alla deduzione.

L'unica spesa rilevante per la quale è ammessa la deducibilità completa sono i contributi previdenziali e assistenziali versati dai lavoratori dipendenti ed autonomi. Al fine di favorire lo sviluppo della componente privata del sistema pensionistico la deducibilità dei contributi previdenziali è stata estesa, entro limiti prefissati, anche ai versamenti operati dai lavoratori dipendenti ed autonomi a favore di fondi pensione e di altri intermediari caratterizzati dalla natura previdenziale.

Nel 2003, oltre alle deduzioni tradizionali, è stata introdotta una nuova tipologia di deduzioni volta a garantire l'esclusione dalla tassazione di un livello minimo di reddito (la cosiddetta No Tax Area). Le deduzioni per la No Tax Area[4] sono state introdotte allo scopo di garantire un certo livello di progressività (nonostante la riduzione del numero e del livello delle aliquote) e ad assicurare l'esclusione dalla tassazione di un valore minimo di reddito. La deduzione è decrescente al crescere del reddito e si annulla a un certo livello di reddito. Essa è inoltre differenziata per le diverse tipologie di reddito: le spiegazioni sono legate al principio della discriminazione qualitativa dei redditi (trattare i redditi di lavoro meno pesantemente),

alla diversa importanza delle spese di produzione del reddito e al diverso livello di evasione fra lavoro dipendente e autonomo.

L'imposta lorda

Una volta operate le deduzioni, alla base imponibile viene applicata una scala di aliquote secondo uno schema di progressività per scaglioni. Il reddito del soggetto passivo viene diviso in scaglioni. Su ogni scaglione viene applicata un'aliquota d'imposta crescente al crescere dello scaglione. Per ogni dato livello di reddito l'imposta lorda può essere immaginata come la somma di una serie di imposte parziali, ognuna delle quali è calcolata come il prodotto tra la quantità di reddito che rientra in uno scaglione e la corrispondente aliquota marginale.

Le detrazioni di imposta

Dall'imposta lorda sono ammessi tre tipi di detrazione:

  1. per carichi di famiglia (coniuge e familiari a carico);
  2. a favore dei redditi di lavoro e pensione;
  3. per oneri al 19%

L'importo delle detrazioni per il coniuge a carico è decrescente al crescere del reddito. Per ogni altro famigliare a carico (genitori, fratelli, nuore, ecc.) spettano detrazione dall'imposta lorda in relazione al reddito, al numero di familiari e alle loro caratteristiche (figli di età inferiore ai tre anni, portatori di handicap).

Le detrazioni a favore dei redditi di lavoro e pensioni sono differenziate in base alla tipologia del reddito.

Al lavoro autonomo spettano detrazioni di importo inferiore rispetto al lavoro dipendente.

Le detrazioni per oneri al 19% spettano per gli interessi passivi, i premi di assicurazione invalidità permanente e rischio di morte, le spese mediche generiche e specialistiche, le spese di frequenza a corsi di istruzione secondaria ed universitaria, le spese funebri, le erogazioni liberali.

Speciali e temporanee detrazioni sono previste a favore delle spese per una serie di interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione edilizia. La detrazione (2004), da ripartire in dieci quote annuali di pari importo, è pari al 36% delle spese sostenute nel biennio 2004-05 con un limite di 48.000 euro.

L'imposta sul reddito delle società (IRES)

Il sistema tributario italiano affianca all'imposta sul reddito delle persone fisiche la tassazione dei redditi di impresa. La tassazione è differenziata secondo la natura dell'impresa: il reddito d'impresa prodotto da un imprenditore individuale o da società di persone (società semplice, in accomandita semplice, in nome collettivo) è soggetto all'Ire (Imposta sui redditi). Il reddito prodotto da società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata) è soggetto all' Ires (Imposta sul reddito delle società).

Il 16 dicembre 2003 è stato pubblicato nella 'Gazzetta Ufficiale' il decreto legislativo di riforma della tassazione delle società di capitali, secondo le linee previste dalla delega per la riforma fiscale (legge 80/2003). Si tratta di un provvedimento molto ampio e complesso, che muta radicalmente oltre al nome (da Irpeg a Ires), anche il disegno della tassazione societaria nel nostro paese. Il decreto è entrato in vigore il 1° gennaio 2004.

I soggetti passivi dell'Ires sono:

le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;

gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, sia che abbiano o che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

L'imposta è proporzionale e colpisce il reddito complessivo realizzato nel periodo d'imposta dalla persona giuridica, rappresentato dall'utile. L'aliquota ordinaria è pari al 33% (2004). I criteri di determinazione della base imponibile per l'Ires sono simili a quelli relativi al reddito d'impresa delle persone fisiche.

Fino al 2003 era prevista un'agevolazione che consentiva alle società di capitali e alle società di persone di ridurre l'onere d'imposta sugli utili in funzione della politica di finanziamento seguita. Questa agevolazione, chiamata Dual Income Tax (Dit), prevedeva una tassazione agevolata secondo una aliquota del 19% a quella parte degli utili che rappresentavano la remunerazione ordinaria del capitale investito. La Dit è stata abolita, superando il modello duale e ritornando ad un modello di tassazione sui profitti ad una sola aliquota.

La tassazione degli utili nel sistema tributario italiano

I dividendi sono una fattispecie reddituale passibile di subire una doppia imposizione, posto che costituiscono presupposto imponibile:

una prima volta in capo al soggetto collettivo all'atto della formazione;

una seconda volta in capo al socio all'atto della distribuzione.

Per evitare l'insorgenza della predetta doppia imposizione il nostro sistema impositivo ante riforma riconosceva ai soci un credito di imposta in misura pari alle imposte già pagate dalla società. La riforma ha introdotto nuovi meccanismi aventi come finalità l'eliminazione, o quanto meno il contenimento, dei fenomeni di doppia imposizione sui dividendi. Questi meccanismi sono:

la generalizzazione del "metodo dell'esenzione" in base al quale i redditi della società sono tassati solo in capo alla società ed esentati in capo ai soci;

l'introduzione per le società di capitali del "metodo della trasparenza" in base al quale i redditi della società sono tassati sia in capo alla società che in capo ai soci, ma con riconoscimento a questi ultimi di un credito d'imposta in misura pari alle imposte già pagate dalla società;

l'introduzione del consolidato fiscale.

Il contenimento della doppia imposizione è peraltro soltanto parziale. Questo perché:

la generalizzazione del "metodo dell'esenzione", ancorché applicabile alla generalità delle distribuzioni dei dividendi, prevede comunque soglie di non imponibilità solo parziali, oltre che differenziate in funzione delle qualità soggettive del percipiente (ambito oggettivo di applicazione limitato);

gli istituti della trasparenza fiscale e del consolidato fiscale, pur idonei a conseguire l'obiettivo della perfetta neutralizzazione della doppia imposizione sul dividendo, risultano utilizzabili non per la generalità dei dividendi, bensì soltanto in presenza di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi (ambito soggettivo di applicazione limitato).

Il "metodo dell'esenzione" trova applicazione in qualsiasi contesto distributivo, con la sola eccezione delle distribuzioni a "percipienti soggetti Ire non imprenditori" di dividendi derivanti da partecipazioni non qualificate (per le quali viene prevista l'integrale imponibilità, ma con aliquota secca del 12,5%). Le soglie di qualificazione previste attualmente sono:

per le società non quotate: a) percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria > 20%; b) percentuale di partecipazione al capitale > 25%.

per le società quotate: a) percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea

ordinaria > 2%; b) percentuale di partecipazione al capitale >5%.

Il metodo dell'esenzione previsto dalla riforma è tuttavia un metodo "attenuato", nel senso che la non imponibilità dei dividendi in capo al socio all'atto della distribuzione viene prevista solo in misura parziale. In particolare, viene operata una distinzione tra:

dividendi percepiti da soggetti passivi Ires;

dividendi percepiti da soggetti passivi Ire nell'ambito di esercizio di attività d'impresa;

dividendi percepiti da soggetti passivi Ire al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa;

Vale la pena sottolineare che il nuovo criterio generale di tassazione dei dividendi prevede differenti trattamenti fiscali solo in funzione della destinazione del dividendo (ossia in funzione delle qualità soggettive del percipiente), mentre a nulla rileva la provenienza del dividendo (ossia se si tratta di dividendo di fonte italiana o di fonte estera). In questo modo è stata infatti attuata una parificazione di trattamento fiscale tra dividendi "infra nazionali" e dividendi "sovra nazionali".

Le opzioni della trasparenza fiscale e del consolidato fiscale

Il nuovo sistema tributario riconosce alla società di capitali la possibilità di accedere al regime della trasparenza fiscale, quale correttivo alla doppia imposizione economica. Il regime della trasparenza consente di evitare, come detto, la doppia imposizione economica sui dividendi al pari del metodo dell'imputazione e di quello dell'esenzione, attribuendo i redditi della società partecipata al socio, indipendentemente dall'effettiva percezione degli utili.

L'ambito soggettivo di applicazione è limitato, in quanto possono fruire del regime della trasparenza le società di capitali residenti al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti della stessa natura giuridica, ciascuno con una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea generale e di partecipazione agli utili non inferiore al 10% e né superiore al 50%. In assenza dei requisiti previsti per il regime della trasparenza, il regime opzionale previsto è fondato sulla tassazione consolidata (ovvero il consolidato fiscale). Infatti, ai fini dell'Ires viene riconosciuto il gruppo "consolidato" anche ai fini fiscali. Detto regime non realizza confusione di masse patrimoniali, rappresentando piuttosto una diversa tecnica di rilevazione del risultato impositivo, determinato su base plurisoggettiva.

In sostanza, finché permane il requisito del controllo (si considerano controllate le S.p.a, le S.a.p.a. e le S.r.l. al cui capitale sociale e al cui utile di bilancio la controllante partecipa direttamente o indirettamente in misura superiore al 50%), la controllante determina un unico reddito imponibile complessivo corrispondente alla somma algebrica degli imponibili della controllante stessa e delle controllate a cui vengono portati in diminuzione i dividendi erogati nell'ambito del gruppo. Pertanto anche in questo regime viene evitata la doppia tassazione sui dividendi.

La participation exemption

Per ciò che riguarda i redditi consistenti in plusvalenze derivanti da cessioni di azioni o di partecipazioni in società non rappresentate da titoli, che prima erano tassate con regime sostitutivo ed aliquota del 19%, la nuova normativa introduce il regime della "participation exemption", ossia una esenzione totale, purché si verifichino determinate condizioni (ad es. siano iscritte da almeno un anno nelle immobilizzazioni finanziarie). Sistemi di 'esenzione da partecipazione' esistono in diversi paesi della Ue, ma sono solitamente caratterizzati da condizioni più restrittive. L'istituto in commento trova una sua applicazione seppur parziale anche per i soggetti IRPEF (futura IRE), in quanto per le imprese individuali e le società di persone è prevista un'esenzione parziale del 60% (plusvalenze tassabili al 40%), mentre non ha alcuna rilevanza nel possesso di partecipazioni da parte di persone fisiche non imprenditori, che continueranno a pagare l'imposta sostitutiva interamente.

Le ritenute sui dividendi distribuiti

Il regime attuale prevede l'obbligo dell'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta pari al 12,5% sugli utili distribuiti a persone fisiche residenti titolari di partecipazioni non qualificate e sugli utili corrisposti a fondi pensione e a fondi di investimento immobiliare. Il meccanismo presenta l'indubbio vantaggio di non prevedere l'obbligo della dichiarazione dei redditi e quindi di assicurare l'anonimato.

Sotto il profilo dell'incidenza della tassazione, occorre precisare che con il passaggio dal regime dell'imputazione a quello dell'esenzione i dividendi percepiti dalle persone fisiche relativamente alle partecipazioni qualificate concorreranno a formare la base imponibile Ire nel limite del 40% del loro importo. Con aliquote marginali inferiori al 39% le partecipazioni qualificate sono tassate in modo meno

gravoso di quelle non qualificate (12,5%).




La differenza fondamentale tra un'imposta reale e un'imposta personale è individuata dal diverso presupposto: la percezione di un reddito o di un patrimonio nel caso delle imposte reali, la percezione di un reddito o di un patrimonio "da parte di un determinato soggetto" nel caso di quelle personali. Il passaggio da un sistema di imposte reali ad uno di imposte personali nelle moderne economie trova una spiegazione nell'evoluzione della loro struttura economico-sociale e nel cambiamento degli obiettivi perseguiti tramite il sistema tributario. L'imposta personale sul reddito a differenza delle imposte reali: 1) non attua discriminazioni nel trattamento fiscale riservato a individui con medesimo livello di reddito, ma con diversa composizione dello stesso; 2) realizza la personalizzazione dell'imposta, ovvero consente al sistema tributario di modulare l'onere dell'imposta in relazione alle caratteristiche socio-economiche (carichi familiari, lavoro autonomo, dipendente, spese sanitarie, di istruzione, etc.) del contribuente. Gli strumenti utilizzati a questo fine sono le detrazioni dall'imposta e le deduzioni dalla base imponibile.

In Italia l'imposta progressiva realizza la progressività grazie a un sistema di aliquote crescenti sulle classi di reddito e ad un sistema di deduzioni dal reddito e di detrazioni dall'imposta per carichi di lavoro e famiglia. Gli scaglioni e le aliquote marginali del 2003 sono descritte dalla tabella:

Scaglioni Aliquota marginale:

fino a 15.000                 23%

oltre 15.000 fino a 29.000                            29%

oltre 29.000 fino a 32.600                            31%

oltre 32.600 fino a 70.000                            39%

oltre 70.000                   45%

Consideriamo un individuo con reddito imponibile pari a 26.000 euro. L'imposta che questo individuo dovrà pagare è pari a T=0,23 (26.000-15.000)=6.640. L'aliquota marginale è il 29%, quella media (il rapporto tra l'imposta di 6.640 e il reddito imponibile di 26.000) è il 25,5%.

Con i redditi da capitale, cominciamo ad allontanarci dalla nozione di reddito complessivo che in teoria dovrebbe essere alla base di un'imposta personale quale l'IRPEF. Infatti in Italia i redditi da capitale percepiti dalle persone fisiche hanno un trattamento particolare, cioè vengono tassati tramite una ritenuta alla fonte (applicando un'aliquota del 12,5 o del 27%) che sino ad ora poteva essere d'acconto o definitiva, stava al contribuente scegliere (fermo restando che le persone fisiche imprenditori erano obbligati alla scelta della ritenuta d'acconto). Se sceglieva la tassazione come ritenuta d'acconto, poi il reddito da capitale confluiva nel complesso dei suoi redditi entrando a far parte della base imponibile per calcolare l'imposta dovuta (e rispettando, così, il principio della tassazione sul reddito complessivo), ma poi il contribuente aveva diritto al riconoscimento di un credito d'imposta, in base al principio di evitare la doppia tassazione, dato che questi redditi da capitale vengono già tassati alla fonte in capo alla società che li produce con l'IRPEG; ma in pratica quasi tutti i non imprenditori sceglievano la tassazione con ritenuta definitiva, così che questi redditi vengono normalmente tassati separatamente, non entrano a far parte della base imponibile complessiva sfuggendo così alla progressività dell'imposta, ma non danno neanche diritto al credito d'imposta perché non vengono dichiarati nell'IRPEF. La riforma prevede l'abolizione del credito d'imposta sugli utili distribuiti dalle società, perciò ormai l'unico sistema per le persone fisiche non imprese resta quello della tassazione alla fonte con ritenuta definitiva, mentre per le imprese è prevista una esenzione parziale di questi redditi (il 60% è esente) al posto del credito d'imposta soppresso. Le aliquote previste erano due: 12,5% sui titoli di stato, dividendi su azioni e interessi su obbligazioni; 27% su redditi di conti correnti, depositi bancari e postali. Oggi l'aliquota resta per tutti quella minima del 12,5%. Una ragione del regime sostitutivo dei redditi da capitale sta nel fatto che questi sono molto più facilmente occultabili dei redditi da lavoro, il fisco, quindi, si ac-contenta di tassarli (poco) alla fonte rinunciando alla progressività. L'altra ragione di una tassazione favorevole dei redditi da capitale sta nel fatto che lo stato ha avuto il problema del finanziamento del deficit di bilancio ed emettendo titoli del debito pubblico in quantità invogliava i sottoscrittori prima con una totale esenzione dall'imposta sugli interessi dei titoli, poi (dal 1986) una tassazione molto "soffice" con l'aliquota ridotta. Dal punto di vista economico, si tratta di una situazione ingiusta sul piano distributivo (nella misura in cui i redditi da capitale sono più concentrati tra i ricchi che tra i poveri) e dannosa sul piano dell'occupazione (perché se un paese tassa meno il capitale, per procurarsi il gettito di cui ha bisogno dovrà tassare di più il lavoro scoraggiando le assunzioni e mantenendo alta la disoccupazione).

La "no tax area" si può definire come quella parte di reddito che non viene sottoposta a tassazione. Si tratta, dunque, di una fascia di esenzione assoluta dall'Irpef. A tutti i contribuenti, a prescindere dalla tipologia di reddito posseduto, viene riconosciuta una "deduzione teorica base" dal reddito complessivo di 3.000 euro. Tale importo aumenta:

di 4.500 euro per i lavoratori dipendenti

di 4.000 euro per i pensionati

di 1.500 euro per i lavoratori autonomi e i titolari di redditi di impresa minore.

Questa ulteriore deduzione va rapportata al periodo di lavoro o pensione nell'anno, tranne che per i titolari di reddito di lavoro autonomo o di impresa minore per i quali si applica a prescindere dal periodo di attività svolta nell'anno. Le suddette cifre rappresentano il massimo importo deducibile; tale importo però diminuisce all'aumentare dei redditi. La Legge Finanziaria ha previsto un meccanismo un po' macchinoso per il calcolo della deduzione effettivamente spettante: la deduzione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra NUMERATORE: l'ammontare di 26.000 euro, aumentato delle deduzioni sopra indicate e degli oneri deducibili di cui all'art. 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, e diminuito del reddito complessivo e del credito d'imposta su utili distribuiti da società ed enti (generalmente i dividendi) E DENOMINATORE: l'importo di 26.000 euro. Se il predetto rapporto è maggiore o uguale a uno, la deduzione compete per intero; se il risultato è zero o minore di zero, la deduzione non compete. Negli altri casi, ai fini del predetto rapporto, si computano le prime quattro cifre decimali. Alcuni esempi per chiarire la questione.

Un contribuente titolare di reddito di lavoro dipendente con 18.000 Euro di reddito complessivo e 2.000 Euro di oneri deducibili dovrà eseguire il seguente rapporto: al numeratore: 26.000 (importo fisso) + 7.500 (deduzione spettante:3.000 fisse + 4.500 perché lavoratore dipendente per l'intero anno) + 2.000 (oneri deducibili) - 18.000 (reddito complessivo) = 20.500 Euro; al denominatore 26.000 Euro (importo fisso). Si calcola il rapporto così ottenuto 20.500 diviso 26.000 = 0,6731.

Spetta quindi il 67,31% della deduzione intera di 7.500 Euro, cioè 5.048,25 Euro.

Un contribuente titolare di reddito di lavoro dipendente con 30.000 Euro di reddito complessivo e oneri deducibili di 2.000 Euro. Il numeratore del rapporto: 26.000+7.500+2.000-30.000 = 5.500. Il denominatore è sempre 26.000. Il rapporto sarà 5.500 diviso 26.000 = 0,2115. Spetta quindi il 21,15% della deduzione intera di 7.500 Euro, cioè 1.586,25 Euro.

Come già ricordato sopra, da questi esempi si evince che più aumenta il reddito più cala la deduzione fino a sparire; per i dipendenti il beneficio viene pressoché azzerato oltre i 33.500 Euro di reddito complessivo (26.000+7.500). La Legge Finanziaria ha anche introdotto la cosiddetta 'clausola di salvaguardia': nessuno, applicando le nuove regole, dovrà pagare più di quanto avrebbe dovuto versare sulla base delle regole vigenti al 31 dicembre 2002.

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