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E ALLORA LA CINA É UN PERICOLO O UNA RISORSA?
L'economia cinese gode oggi di
'fondamentali' particolarmente solidi, di un mercato del lavoro
favorevole alle imprese, di una finanza pubblica sana e di un risparmio
crescente da parte delle famiglie, ma soprattutto, per la prima volta in Cina,
c'è la possibilità di spendere il cosiddetto potere di acquisto, che induce ad acquistare prodotti anche se
non sono proprio di primaria necessità. Certo, il potere d'acquisto del cinese
medio è ancora molto basso, ma dal 1978 il reddito pro-capite della popolazione
urbana cresce all'incredibile tasso medio annuo del 14%. In altre parole,
l'emergere della classe media - e il contemporaneo sviluppo del credito al
consumo - stanno facendo lievitare la domanda interna. Basti pensare che,
soltanto nel
Alcuni si sono accorti di queste necessità del mercato cinese e le hanno sapute
sfruttare, altri hanno preferito la via più facile e comoda delle semplici
lamentele nella speranza che la Cina sparisse da un giorno all'altro.
Bisogna però tener conto di alcune difficoltà che gli investitori stranieri possono incontrare.
Il mercato cinese è tutt'altro che unitario e omogeneo. In Cina vi sono 31 province, 656 città, 48mila distretti, 7 lingue e 80 dialetti. Clima, geografia, reddito, educazione e stile di vita variano enormemente, dalle gelide province del nord a quelle semi-tropicali del sud. Il mercato urbano e quello rurale sono nettamente distinti e le infrastrutture di trasporto sono molto arretrate. Tutto ciò rende difficile per le società straniere promuovere e distribuire i propri prodotti su scala nazionale.
Il contesto competitivo è particolarmente agguerrito, non solo per la presenza di quasi tutte le principali multinazionali, ma anche per l'emergere di nuove imprese nazionali (favorite dai cinesi).
Altro ostacolo incontrato dalle società straniere che investono in Cina riguarda le leggi e la burocrazia. Oltre alle marcate differenze culturali e di mentalità, gli stranieri devono far fronte a un apparato burocratico inefficiente, a un sistema legislativo ambiguo e scarsamente applicato e a una diffusa corruzione dei pubblici funzionari.
Gli investitori stranieri che sono sbarcati in Cina attratti dalle enormi potenzialità del suo mercato interno fanno dunque fatica a realizzare profitti. Risultati ben più positivi vengono invece raggiunti dalle società che hanno investito per beneficiare del basso costo della manodopera cinese nella produzione di componenti o beni per l'esportazione. Alcune multinazionali, al fine di ridurre i costi in maniera più radicale, stanno addirittura pensando di trasferire in Cina le linee di produzione più avanzate e le attività di ricerca.
Per mantenere un forte richiamo nei confronti degli investitori stranieri e prolungare così il miracolo economico degli ultimi anni, il governo cinese dovrà modernizzare il sistema legale e burocratico, prendendo esempio dalla sua provincia più efficiente - Hong Kong. L'ex colonia, infatti, avendo ereditato le regole commerciali della tradizione britannica, ha raggiunto standard di trasparenza più che accettabili per l'investitore straniero.
Errori comuni
Vi sono molti luoghi comuni ed una certa diffidenza nei confronti della
comunità cinese. L'immagine data dai
media è di una Cina convertita ai principi dell'economia di mercato che incarna
l'immagine di un ordine capitalista globalizzato guidato dal must del "profitto
ad ogni costo", noncurante dei principi democratici più elementari, del
rispetto dei diritti dell'uomo e delle condizioni di lavoro dei salariati.
Colpevolizziamo la Cina per essersi trasformata in leader economica d'un mondo senza regole, visto che immette nel mercato internazionale prodotti a prezzo irrisorio, ma non dobbiamo dimenticarci che molte di queste industrie che utilizzano la manodopera cinese con condizioni di lavoro inaccettabili sono in realtà aziende basate su capitali occidentali.
Esempio: la fabbrica di scarpe Timberland, impiega i suoi 4.700 operai (l'80% dei quali sono donne) e un numero imprecisato - ma comunque significativo - di bambini per un salario di quarantacinque centesimi all'ora, sedici ore al giorno. Anche la Puma fa lavorare i suoi dipendenti sedici ore al giorno concede "addirittura" un giorno di riposo ogni due settimane.
Ma la paura della Cina è infondata anche per un altro motivo: a mio
parere un'economia cinese forte porta vantaggi notevoli anche alle economie
occidentali. La Cina, infatti, non è solo un'ambita e vantaggiosa meta di
outsourcing per chi produce beni di largo consumo, come scarpe da tennis o
magliette: con il suo miliardo e trecento milioni di abitanti, il Paese rappresenta
anche uno dei mercati più appetibili per
le merci europee.
Cè anche da considerare che la Cina deve la sua crescita alla produzione di
beni industriali classici, mentre oggi il più alto potenziale di guadagno è
offerto dall'erogazione di servizi: e questo proposito l'Ue supera di diverse lunghezze la Cina, in quanto
dispone di un più alto livello di istruzione e può concentrarsi sempre di più
sulla produzione di beni immateriali, in settori come la consulenza o
l'informatica. È importante, allora, che l'Europa acceleri ancora lo sviluppo
di questo settore: in questo modo gli scambi con la Cina si tradurranno in
maggiore produttività e prezzi più bassi.
La Cina può esportare nell'Ue merci a basso costo e, in cambio i Paesi
dell'Unione possono trarre vantaggio dalla liberalizzazione finanziaria che sta
lentamente prendendo piede in Cina.
Sebbene i produttori europei di beni non di lusso non ne siano contenti,
venditori al dettaglio e consumatori europei sono entusiasti del numero
crescente di prodotti cinesi che sta entrando nel loro mercato, semplicemente
perché il prezzo offerto dalle aziende cinesi è imbattibile. Inoltre, il boom
economico cinese comporta che marche prestigiose come Gucci, Armani e Chanel
avranno la possibilità di offrire alla ricca classe emergente cinese gli
articoli di lusso europei. Le città più importanti della Cina sfoggiano centri
commerciali che offrono prodotti originali delle migliori marche, destinati ai
nuovi ricchi e la loro crescente richiesta di articoli di qualità.
La Cina è ancora molto lontana dai
livelli occidentali
è ora di equilibrare, non di invidiare
Il mercato tessile
Molte catene di distribuzione europea (quali Zara, H&M, Marks & Spencer, .) commissionano alla Cina lotti grandi lotti di produzione. Realizzare prodotti in paesi asiatici per abbassare i costi di produzione è una pratica che fa sì che questi grandi marchi siano tra quei pochi del settore tessile che non si vedono danneggiati dalla valanga dei prodotti cinesi.
Ad un altro livello, invece, la situazione non è poi così positiva. Le piccole e medie imprese del settore delle confezioni in Paesi come Italia, Francia, Grecia e Portogallo, vivono brutti momenti. E la crisi non ha certo vesti nuove: già da diverso tempo si vive questa recessione, ma gli effetti della liberalizzazione ne hanno aumentato gli effetti.
Le stime della perdita dei posti di lavoro in questi Paesi sono raggelanti: la Francia ne perderà 7.000, la Spagna 70.000 e l'Italia 200.000.
Il settore tessile e delle confezioni, uno dei pilastri dell'economia italiana, soffre di una grave crisi, accentuata dalla liberalizzazione del settore e dall'emergere del made in Chinitaly: ossia quei prodotti di bassa qualità o imitazioni che gli stessi cinesi immigrati fabbricano in Italia. Ora, la lotta dell'Italia si concentra sull'etichetta e sulla specificazione dell'origine geografica dei capi di abbigliamento, requisito considerato fondamentale per offrire una maggior trasparenza.
Chi non ha adottato la politica dell'outsourcing o dell'apertura di mercati al continente asiatico, non ha altra possibilità che sforzarsi di offrire un prodotto differente e di qualità più alta rispetto al prezzo, così da poter competere con i prodotti confezionati. Su questa linea si rileva la necessità di sviluppare la ricerca nel settore tessile e proteggere la proprietà intellettuale sui prodotti tessili.
La Francia, che possiede la seconda industria tessile d'Europa, rifornisce con il 75 % della sua produzione i Paesi dell'Ue. L'effetto dell'ingresso dei prodotti cinesi è evidente: perdita di quote di mercato con la conseguente diminuzione dei posti di lavoro.
Molti sono coloro che vedono la fine del mercato tessile europeo qualora non si promuovano dei cambiamenti immediati. La realtà è che questa è una crisi annunciata: già da dieci anni era prevista la liberalizzazione di questo mercato. Osservando il dinamismo economico cinese, era prevedibile che si sarebbe generata questa valanga di prodotti tessili. Perciò è lecito pensare che le imprese europee del settore non si siano preparate sufficientemente per competere nel nuovo scenario internazionale.
La Cina è quindi un immenso mercato con delle peculiarità che la rendono un concorrente difficile da superare. Quello che alcuni vedono come opportunità di affari, altri lo percepiscono come una grande minaccia. Quello che è certo, è che il volume della produzione cinese ha il potere di destabilizzare i mercati nei quali entra.
Nessuna medaglia ha però una faccia sola, come ogni cosa la Cina porta con se vantaggi e svantaggi. Tornando alla frase della seconda pagina di questa tesina, riprendo l'importanza di attrezzarsi per fronteggiare la situazione, cosa che si doveva fare già da molto tempo.
È importante, a mio parere, non limitarsi alla solite lamentele ma affrontare il "problema" se così può essere chiamato; è importante guardare in faccia alla realtà senza nascondersi dietro luoghi comuni o facili convenzioni; è importante osservare la situazione, analizzarla, per poter evitare i danni che questo Paese può arrecare alle nostre economie, ma anche per capire che non di soli danni si tratta.
Con questa tesina ho cercato di analizzare alcuni aspetti della Cina: riconosco per prima i limiti della ricerca, che altrimenti sarebbe risultata infinita. Forse prorio per il fatto che la mia visione della Cina è ancora ristretta, le opinioni sopra scritte possono risultare facilmente attaccabili o poco condivise. L'importante è però non continuare a negare l'importanza di questo Paese.
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