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Goffredo parise - cara cina




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GOFFREDO PARISE - CARA CINA


Il libro è stato scritto nel 1966 e fa riferimento al viaggio compiuto in Cina dall'autore durante il periodo maonista. Preferisco quindi aprire ora questa parentesi, utilizzando l'opera come appro­fondimento del periodo, per proseguire solo in seguito con la storia cinese.


Il libro è come un diario di viaggio del giornalista, che scrive delle proprie giornate trascorse in Cina. Descrive interviste e incontri con persone appartenenti alle più svariate classi sociali e da questi ricava un quadro della vita cinese. Si hanno pochissime descrizioni del paesaggio, e l'attenzione viene appunto spostata sulla stile di vita cinese, tanto diverso e così difficile da capire per noi occidentali.

Lo stesso titolo dell'opera è una sintesi di tutto il testo: l'autore utilizza l'aggettivo "cara" per esprimere la tenerezza e la commozione che i cinesi hanno suscitato in lui. È nota a tutti infatti l'ospitalità, la grazia, la gentilezza ma soprattutto la non volgarità di questo popolo; i cinesi sono pieni di riguardi nei confronti degli altri, e per questo possono apparire quasi fragili, ma nono­stante ciò sono ben saldi nelle loro idee e nella loro convinzione politica.

Il primo incontro di Parise (con il proprio interprete) introduce proprio questo aspetto del popolo cinese, mostrando quanto l'ideologia socialista sia radicata all'interno del Paese. Particolari che colpiscono, del discorso dei due, sono ad esempio il fatto che l'interprete vede la politica so­pra di tutto: sopra ai rapporti con la moglie, perché entrambi lavorano sotto la guida del presi­dente Mao per l'edificazione socialista del Paese, ma anche sopra all'amore per i propri genitori, in quanto questo affetto è dovuto alla condivisione dell'ideologia socialista.

I libri letti sono quelli di Mao Tse-tung, oppure altri libri che parlano comunque dell'ideologia marxista; anche qui il distacco fra Occidente ed Oriente è profondo: in Occidente l'arte è al servizio del capitale (infatti gli autori scrivono ciò che piace e fa guadagnare), mentre in Oriente è al servizio delle masse. Anche a teatro i temi trattati restano gli stessi: così Parise osserva che mentre noi abbiamo la possibilità di scegliere fra un numero teoricamente infinito di oggetti, loro hanno una sola ideo­logia. Allo stesso tempo, quest'ideologia è così radicata, che ogni altra offerta verrebbe rifiutata. Dopo la vittoria del comunismo in Cina, è stata attuata una politica di persuasione e rieducazione che ha avuto come strumento la ripetizione delle cose. Ripetendo cento, mille volte la stessa cosa, automaticamente si ottiene la con­vinzione. Se questo, per noi occidentali, è disperazione, per i cinesi è invece consuetudine, in quanto praticano questo metodo da sem­pre. Così l'autore si è trovato attorniato da cinesi che cercavano di insegnargli il marxismo e di persuaderlo nel seguire questa ideolo­gia. Da sottolineare però che il loro fanatismo politico, pur essendo molto accentuato, non cade mai nella violenza.


Riprendendo la mancanza di libertà nello scegliere i temi di libri ed opere teatrali, possiamo però dire che in Cina manca una libertà ben più importante di quelle appena viste, ossia la libertà in­dividuale. L'autore ci guida ancora una volta all'interno della vita cinese e ci spiega come l'individuo e l'espressione individuale non abbiano mai contato nulla in Cina: lo conferma tutta l'arte cinese, che non porta mai la firma dell'autore, ma è anonima anche se bellissima. L'individuo è soltanto un elemento tra i molti o pochi, molti di solito, che formavano la famiglia. La famiglia-individuo intratteneva naturalmente rapporti con le altre famiglie-individui e questi rapporti formavano il clan. Il villaggio era una cellula insieme autonoma e collettiva, con pochis­sime comunicazioni con l'esterno, chiusa, data la struttura quasi perfetta dell'organizzazione eco­nomica e sociale, e sempre uguale a se stessa. La volontà dell'individuo singolo che non ha mai


contato nulla in passato perché doveva identificarsi con quella della fa­miglia, continua a non contare nulla nel presente perché deve identificarsi con l'ideologia dei capi; ma i cinesi non sentono e non soffrono questa mancanza di libertà e di espressione individuale, in primo luogo perché non possono sentire la mancanza di una cosa di cui non hanno mai goduto, in secondo luogo perché un cinese da solo non ha mai saputo e potuto fare nulla, in terzo luogo perché non possiede alcuno strumento conoscitivo e operativo per esercitare ed esprimere la propria libertà individuale ed infine non conosce lo sti­molo della concorrenza e della sopravvivenza legate al denaro, in quanto questo è considerato dai cinesi come un mezzo e non come un fine.

Ecco quindi formarsi il quadro del confronto fra europei e popolo cinese: gli europei sono orien­tati ad una politica del consumo e devono imparare dai cinesi lo stile di vita e l'aiuto reciproco; i cinesi credono invece profondamente nella politica marxista e vivono tutto in funzione di questa ideologia, ma dovrebbero imparare dagli europei l'analisi e la sintesi, ossia la libertà. Bisogna però ricordarsi che il tutto è collocato all'interno del periodo di Mao Tse-tung, e quindi conside­rare che oggi molte cose sono cambiate.


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