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Tutela dei diritti del prestatore di lavoro




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TUTELA DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO

Parte del diritto del lavoro tende a tutelare la libertà e la personalità del lavoratore per la sua particolare condizione di inferiorità economica nei confronti del datore di lavoro; tale tutela ha carattere inderogabile, in quanto basata su norme imperative e, spesso, coercitive. La sua concreta attuazione si realizza sia attraverso l'attività diretta dello Stato (es. collocamento della manodopera), sia attraverso una attività di vigilanza affidata in genere ad organi della P.A., sia infine attraverso un'attività repressiva e di tutela giuridica.

L'attività di vigilanza

I poteri e l'esercizio dell'attività di vigilanza sull'applicazione delle norme in materia di lavoro sono affidati anzitutto alle Direzioni regionali e provinciali del lavoro. Le prime svolgono funzioni di indirizzo, coordinamento e vigilanza sulle attività delle Direzioni provinciali; quest'ultime svolgono attività di vigilanza tecnica e ordinaria sull'osservanza della disciplina di legge.

Gli enti ausiliari dello Stato nel campo previdenziale (fra cui INPS e INAIL) sono anch'essi investiti di un potere di vigilanza in materia di norme di legislazione sociale. Tuttavia il loro potere è limitato alla vigilanza sull'assolvimento degli obblighi contributivi e l'erogazione delle prestazioni previdenziali.
Altri organi di vigilanza sono:

  • il Corpo nazionale delle miniere;
  • gli ispettorati della motorizzazione civile;
  • le Aziende Sanitarie Locali;
  • l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza di lavoro;
  • gli Uffici di sanità aerea e marittima;
  • le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
  • il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

Infine, alle associazioni sindacali la legge riconosce spesso il diritto di assistere il lavoratore per la tutela dei diritti derivategli dal rapporto di lavoro; gli istituti di patronato e di assistenza sociale assolvono un'importante funzione per garantire il conseguimento, in via amministrativa, delle prestazioni previdenziali di fine rapporto.

Garanzie e disposizione dei diritti del prestatore

Varie norme speciali, di carattere imperativo, prevedono molteplici garanzie per la tutela dei diritti del prestatore di lavoro. Ciò nella considerazione che il lavoratore, nella sua posizione di contraente più debole, possa essere indotto a non esercitare propriamente i propri diritti nel timore di ritorsioni da parte del datore.

Privilegi e garanzie

I crediti del lavoratore per retribuzioni, per indennità legate alla cessazione del rapporto di lavoro e per risarcimento danni in conseguenza di un licenziamento illegittimo sono assistiti in via principale dal privilegio generale sui beni mobili del datore; in via sussidiaria da privilegio, rispetto ai creditori chirografari, sul prezzo degli immobili. Solo in particolari rapporti valgono garanzie speciali.

Relativa indisponibilità dei diritti del prestatore

La retribuzione, per espressa previsione costituzionale, è destinata a soddisfare le esigenze vitali del lavoratore e della sua famiglia. Per tale motivo il legislatore ha posto alcuni limiti alla disponibilità dei diritti del prestatore. In particolare:

  • gli assegni familiari sono in sequestrabili, impignorabili e incedibili;
  • sono pignorabili i salari, gli stipendi e le indennità soltanto per crediti alimentari; nella misura di 1/5 per altri crediti;
  • i fondi speciali di previdenza e assistenza sono vincolati;
  • i crediti previdenziali e assistenziali sono impignorabili.

Rinunce, transazioni e quietanze liberatorie

Nel concludere l'esame dei principali istituti che formano il rapporto di lavoro, dalla sua costituzione fino alla sua cessazione, volti essenzialmente a tutelare il prestatore nella sua posizione di contraente debole, è necessario trattare degli atti di disposizione dei diritti dei lavoratori. L'art. 2113, co. I, c.c., nel testo modificato dall'art. 6, L. 11 agosto 1973, n. 533, dispone che 'Le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide'. I negozi giuridici con cui può realizzarsi la disposizione dei diritti dei lavoratori ai quali si riferisce l'art. 2113, co. I, c.c., sono dunque:

  • la rinuncia, negozio unilaterale recettizio, che tende alla dismissione con efficacia abdicativa o traslativa, di un diritto soggettivo da parte del titolare e che nell'ambito del rapporto di lavoro assume la natura di remissione del debito, poiché ha ad oggetto diritti patrimoniali;
  • la transazione, che, ai sensi dell'art. 1965, c.c., è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro: essa viene assimilata, nell'art. 2113, c.c., alla rinuncia perché di questa può costituire un mascheramento e perché il corrispettivo offerto dal datore nel caso di transazione può non essere commisurato al sacrificio del lavoratore, stante la posizione di debolezza contrattuale di quest'ultimo (SANTORO PASSARELLI).

Dalle rinunce e dalle transazioni bisogna tenere distinte le c.d. quietanze a saldo o quietanze liberatorie, con le quali il prestatore dichiara di aver ricevuto una certa somma attestando di essere soddisfatto di ogni spettanza e di non avere nulla a pretendere. In un primo momento, la giurisprudenza era incline a ravvisare nella quietanza a saldo l'animus rinunciandi; oggi è giunta all'opposta conclusione che la quietanza è una mera dichiarazione di scienza che non contiene alcuna volontà di rinuncia ad ogni altro eventuale credito del prestatore nei confronti del datore. La rilevanza di tale atto come rinuncia può, dunque, aversi solo nei casi in cui precisi elementi testuali e circostanze di fatto denotino la sussistenza dell'animus rinunciandi. L'impugnazione delle rinunce e transazioni di cui all'art. 2113, co. 1, c.c., con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. L'invalidità prevista dall'art. 2113, c.c., è della specie dell'annullabilità, come si desume dalla previsione di un regime di impugnazione - il diritto di impugnazione ex art. 2113 è un diritto potestativo concesso solo al prestatore, intrasmissibile agli eredi - e dalla fissazione di un termine di decadenza. Il mancato esercizio del potere di impugnazione sana le rinunce e le transazioni altrimenti invalide.

Prescrizione e decadenza

Come si sa, la prescrizione estintiva produce l'estinzione del diritto soggettivo per effetto dell'inerzia del titolare che non lo esercita o non ne usa per il tempo determinato dalla legge. Ora, il tema della prescrizione dei diritti del prestatore di lavoro è strettamente connesso a quello della disposizione degli stessi, in quanto 'l'effetto estintivo della prescrizione può essere considerato sostanzialmente equivalente all'effetto dismissivo proprio della rinuncia e della transazione, previste dall'art. 2113 c.c., a vantaggio del datore di lavoro' (GHERA). In materia di lavoro si distingue:

  • la prescrizione ordinaria decennale, che opera in presenza di situazioni eccezionali;
  • la prescrizione ordinaria quinquennale, che opera nella generalità dei casi perché riguarda ciò che deve essere corrisposto periodicamente ad anno o in termini più brevi e le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.

Alla prescrizione estintiva si affianca la prescrizione presuntiva, di diversa natura, fondamento e disciplina; essa si sostanzia in una presunzione di pagamento perché fa presumere che, decorso un determinato periodo di tempo, il credito si sia estinto. Tale prescrizione, in materia di lavoro, è:

  • di un anno, per il diritto dei lavoratori alle retribuzioni corrisposte a periodi non superiori ad un mese;
  • di tre anni, per il diritto alle retribuzioni corrisposte a periodi di oltre un mese.

La prescrizione presuntiva ammette come prova contraria soltanto la confessione giudiziale ed il giuramento decisorio. I termini di prescrizione dei crediti retributivi decorrono:

  • nel corso del rapporto, se esso è stabile;
  • dal momento della cessazione del rapporto se ad esso difetta il carattere della stabilità.

Quelli relativi a diritti non retributivi decorrono secondo il normale regime di diritto civile (Corte cost. n. 66/63, n. 174/72). Anche la decadenza come la prescrizione è un istituto collegato al decorso del tempo: essa si concreta, infatti, nella perdita, per il titolare di un diritto, della possibilità di esercitarlo a causa del mancato compimento di una certa attività o di un certo atto entro un termine perentorio. La decadenza è:

  • legale, quando il termine perentorio è stabilito dalla legge: nell'ambito del diritto del lavoro, si pensi al termine di sei mesi previsto dall'art. 2113, c.c., per impugnare rinunce e transazioni, di cui si è detto poc'anzi;
  • convenzionale, quando il termine è fissato dal contratto: in materia di lavoro

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