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Trust e diritto delle persone e della famiglia
1 Trust e protezione di soggetti deboli: un valore aggiunto
Grazie alla sinergia tra legislatore internazionale, europeo e - non ultimo - italiano, il panorama del diritto delle persone nel nostro Paese sta assumendo delle connotazioni innovative, tutte tese a rafforzare la tutela dei "soggetti deboli" per giungere ad una parificazione delle opportunità e ad una uguaglianza quanto più effettiva e sostanziale.
La disciplina della protezione civilistica dei soggetti inidonei alla cura dei propri interessi è stata significativamente innovata per effetto della legge 9 gennaio 2004, n. 6: "Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414,
417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali".
L'elemento di principale innovazione è rappresentato dall'inserimento nel corpo del codice civile (artt. 404-413) della nuova misura dell'Amministrazione di Sostegno (Ads). Essa consente di attivare nei confronti di una pluralità di persone un sostegno protettivo ed assistenziale "discreto", caratterizzato da ampia elasticità e versatilità.
La riforma del titolo XII "Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia" del libro I del c.c. ha non solo modificato - quindi - alcune disposizioni, ma aggiunto e dedicato all'Ads un intero Capo (il Capo I) del codice.
Il legislatore del 2004 ha forgiato un istituto a largo spettro di applicazione (in quanto a potenziali beneficiari ed a circostanze in cui è in concreto attivabile), facilmente plasmabile (sulle mutate esigenze protettive del beneficiario), nonché connotato da un marcata semplicità nelle procedure di emanazione, permettendo all'interessato di non dover necessariamente passare per pesanti pronunce ablatorie della capacità di agire.
L'obbligatorietà dei procedimenti da seguire in riferimento alle persone bisognose di protezione è stata del tutto smussata, tant'è che attualmente non vi sono più persone che devono ma che possono essere interdette; è possibile ricorrere ad un progetto personalizzato di attività giuridiche, predisposto dal giudice tutelare e da questi modificabile, che garantisce al beneficiario una vita dignitosa ed autonoma con particolare attenzione anche alla tutela dei terzi.
È il giudice tutelare ad occuparsi dell'amministrazione di sostegno e non -come per interdizione ed inabilitazione - il Tribunale, con un procedimento che è nettamente più vantaggioso anche in termini di costi.
In un sistema di tutele così sensibilmente cambiato, attento ed attivo - in concreto - sul fronte dei diritti inviolabili dell'uomo, il trust sembrerebbe non dover trovare più (almeno dal 2004) ragione di utilizzo.
Ebbene, è del tutto sbagliato credere che il trust in questo ambito possa dirsi istituto ormai ultroneo e - perciò - congedabile.
Si ricorre al trust, come ampiamente dimostrato, ogniqualvolta l'ordinamento risulti deficitario di strumenti capaci di soddisfare pienamente interessi individuali o collettivi; è d'altra parte innegabile che l'Ads (o l'art. 2645ter) rappresenti una valida soluzione, non solo per la protezione di persone speciali, ma anche per la cura e per la valorizzazione del patrimonio umano in ogni stagione della vita.
Diciamo subito che nel corso della XIII legislatura fu avanzata una proposta di legge, la n. 5494 (successivamente e più volte ripresentata), recante "Norme in materia di trust a favore di soggetti portatori di handicap". Le norme civilistiche proposte riguardavano principalmente: la durata non inferiore a quella della vita dei beneficiari, l'obbligatoria presenza della figura del protector o "guardiano del trust" e, soprattutto, una relativa impermeabilità alla ordinaria disciplina della successione legittima.
Il legislatore, pur espungendo ogni riferimento al trust, ha disegnato in risposta una figura molto simile a quella del trust: l'amministrazione di sostegno. Un figura simile, appunto, ma non perfettamente sovrapponibile. vediamo perché.
Il trust può essere adoperato anche per scopi protettivi in senso lato perché mentre permette di preservare l'integrità patrimoniale, promettendo un peculiare effetto segregativo, consente anche di tenere riservata la situazione di disagio dell'interessato.
Ci è ben noto che il trust, tra le altre, abbia l'innata peculiarità di sposarsi bene con esigenze di pianificazioni patrimoniali pro futuro: pensiamo - ad esempio - alla posizione di chi sia anziano, o affetto da malattie degenerative o, semplicemente, iperpremuroso o iperprevidente.
Si pensi al caso di un figlio portatore di handicap, che presenti minorazioni psichiche, ed al quale i genitori ormai attempati intendano assicurare, dopo la loro morte, i mezzi necessari al sostentamento, nonché all'assistenza ed alle cure indispensabili.
Attraverso il ricorso al trust, i genitori potranno attribuire al trustee - già con atto tra vivi - parte del proprio patrimonio (comprendente anche la nuda proprietà di un immobile destinato a soddisfare post mortem i bisogni abitativi del disabile superstite).
In ossequio alla volontà espressa dai disponenti il trustee avrà il bene (o i beni), così trasferitigli, per il mantenimento, l'assistenza, la cura del figlio disabile. Tenendo conto delle istruzioni contenute nell'atto istituivo, il trustee - qualora sia un'associazione di volontariato competente - dovrà occuparsi direttamente dell'assistenza materiale del disabile, ovvero farsi coadiuvare a tale scopo da un protector (di solito un professionista di fiducia). Vale a dire che, l'atto istitutivo del trust potrà contenere specifiche indicazioni, oltre che sulla gestione economica del trust fund, sulla cura personale dell'interessato per garantire allo stesso condizioni di vita decorose, un'assistenza qualificata, il soddisfacimento dei propri bisogni e la valorizzazione delle proprie inclinazioni.
Ricordiamo che l'art. 15 della Convenzione dell'Aja, come per il testamento, fa espressamente salvi i limiti della legge nazionale in materia di protezione di minori ed incapaci (lett. a).
Si ripropongono in questa sede le difficoltà di riconoscimento del trust connesse alla violazione dei principi interni in ambito successorio e, per di più, si aggiungono altri profili di possibile interferenza.
La disciplina autorizzativa prevista per il compimento, da parte dei rappresentate legale dell'incapace, degli atti eccedenti l'amministrazione ordinaria (artt. 374 e 375 c.c.) vale anche per il trustee?
Innanzitutto va fatta una doverosa distinzione tra le ipotesi di incapacità: per incapace si può intendere sia il soggetto afflitto da menomazione solo fisica, sia quello colpito da una temporanea e diminuita capacità di autodeterminarsi e di provvedere a se stesso (alcolista, tossicodipendente, ecc.), oppure quello affetto da grave ed irrimediabile deficit delle facoltà volitive e cognitive. Nel primo caso, non ricorrendo i presupposti per chiedere i provvedimenti di volontaria giurisdizione, né l'Ads, non servirà alcuna autorizzazione per istituire il trust.
Nell'ultima delle tre suddette ipotesi il trustee: per taluni, essendo proprietario dei beni in trust almeno quoad effectum, non dovrà mai chiedere il previo provvedimento autorizzativo giudiziario per disporne; secondo altri come il disponente, in tutto o in parte incapace, dovrà chiedere l'autorizzazione sia per istituire che per dotare il trust, allo stesso modo dovrà fare il trustee quando il beneficiaro sia incapace.
Segnali di distacco, quantomeno parziale, del trust dalla disciplina operante in tema di amministrazione di beni dell'incapace ci giungono da un ambito limitrofo:
- dall'interpretazione dell'art. 169 c.c., poiché in materia di fondo patrimoniale è consentito derogare alla regola che, in presenza di figli minori, taluni atti di disposizione debbano ricevere previa autorizzazione del giudice tutelare;
- dall'art. 356 c.c., ove si prevede che il disponente di una donazione o di un testamento a favore di un minore (o di un interdetto) possa nominare un curatore speciale (per l'amministrazione dei beni donati o lasciati in via testamentaria), ed inserire nell'atto una clausola che esoneri quest'ultimo dalla richiesta delle autorizzazioni giudiziali previste ex artt. 374 e 375.
Il comportamento infedele del trustee troverebbe, comunque, una
tutela giudiziale nell'azione di tracing per il recupero del valore del bene(137).
Nel titolo del presente paragrafo si è affidato al trust, senza prestare il fianco a formule di dubbio, l'epiteto di "valore aggiunto"(138).
Proveremo, qui di seguito, a dischiudere il senso di quanto asserito.
2 Ads e Trust
Due sono le accezioni a cui si è inteso far riferimento, usando l'espressione "valore aggiunto".
Innanzitutto, ed è facile dedurlo in base a quanto scritto sul trust in funzione successoria, il trust consente di dare sollievo alle preoccupazioni dei familiari di un soggetto "debole" o disabile su quanto accadrà quando non saranno più in vita, o non potranno più occuparsi del loro caro. Il trust ad es. autodichiarato offre ai familiari la possibilità di ricoprire in prima persona il ruolo di trustee, prevedendo per "il dopo" la nomina di un successivo e qualificato trustee di fiducia.
L'Ads, sebbene in modo non totalizzante, deve comunque rapportarsi all'azione direttiva di un giudice tutelare.
Il giudice tutelare, adesso, non è più inesorabilmente costretto ad un bivio (interdizione/inabilitazione o nulla): ben potrà personalizzare e modellare la tutela sulle effettive e molteplici esigenze del beneficiario, servendosi della "nuova" Ads.
Il GT cucirà uno statuto soggettivo non standardizzato ma personalissimo, su misura, per il destinatario: unico anello debole, a detta dei tecnici, è approntare un controllo realmente capillare ed
efficace sulla bontà e sulla diligenza dell'operato dell'amministratore.
D'altra parte in molti casi, dopo la morte dei genitori, il passaggio per un procedimento di dichiarazione di incapacità del soggetto interessato è inevitabile: la tutela degli interdetti e la curatela degli inabilitati (o l'amministrazione di sostegno) è fondamentale, a prescindere dalla presenza di un trust, per assolvere a funzioni di cui il trustee non può occuparsi (ad es.: il tutore può prestare consenso informato ad un trattamento medico per il beneficiario).
Gran parte della dottrina e la più recente giurisprudenza sono oggi concordi nell'affermare l'utilità di un impiego interdipendente e contemporaneo di trust e Ads: si parla, infatti, di "funzione sinallagmatica" del trust.
Il Tribunale di Bologna, Sezione I Civile, l'11 maggio 2009 autorizza, su istanza congiunta dell'amministratore di sostegno e dello stesso soggetto sottoposto a misura tutelare, il trasferimento della proprietà di beni dalla persona sottoposta ad amministrazione di sostegno al trustee del trust, che sia stato istituito a suo beneficio per successione mortis causa del padre. Viene nominato anche un "guardiano" con poteri di vigilanza e segnalazione sulla gestione del trustee, che a sua volta "dovrà confrontarsi con l'amministratore di sostegno, essendo tenuto a considerare (ex art. 410,1 c.c.) e farsi interprete anche dei desideri del beneficiario".
Normalmente il guardiano ha ruolo di vigilanza ma, con riferimento al trust per disabili, egli può essere considerato anche come colui che, affiancandosi al trustee, gli riferisce le esigenze personali dell'amministrato.
Quella del guardiano è una figura non necessaria ma decisamente opportuna, egli ha il compito di controllare, e nel contempo assistere il trustee nella gestione del patrimonio. In altre parole, essa serve a creare un elemento di raccordo tra il disponente, che per effetto dell'affidamento si è spossessato del suo patrimonio, ed il trustee che ne è divenuto proprietario e gestore fiduciario nell'interesse dei beneficiari o per un fine determinato. Tale figura è obbligatoria nei trust di scopo, dove mancano i beneficiari.
La tendenza dei trust interni è quella di attribuire al protector una funzione di controllo sull'attività del trustee, che si può esercitare anche attraverso direttive, divieti e pareri (talune alienazioni, ad esempio, possono essere condizionate al suo necessario consenso, può persino essergli demandato di revocare e nominare il trustee).
Per questo il protector spesso e volentieri è presente, ed è scelto dal disponente sulla base della fiducia ed in virtù della conoscenza e della familiarità che esso abbia della situazione su cui dovrà vigilare, coadiuvando e monitorando l'azione del trustee.
Di lì a poco gli fa eco il Tribunale di Genova, Giudice Tutelare,
17 giugno 2009; secondo tale pronuncia, il giudice tutelare può autorizzare l'amministratore di sostegno di un soggetto debole, contestualmente alla sua nomina, ad istituire un trust in favore dell'amministrato e della famiglia, avente ad oggetto beni in parte di proprietà dell'amministrato stesso.
Il Tribunale di Milano, Sezione IX Civile, Ufficio Tutele, il 20 gennaio 2011 assegna in via definitiva un amministratore di sostegno ad una madre affetta da ludopatia che, preoccupata di subire un'eccessiva limitazione delle proprie capacità derivante da provvedimento giudiziario e al contempo, conscia del proprio problema, chiede di essere aiutata a mantenere integro il proprio patrimonio anche per trasmetterlo alla propria discendenza. Il giudice caldeggia la costituzione di un trust, con l'assistenza dell'amministratore per tutti gli atti di straordinaria amministrazione concernenti immobili, previa autorizzazione del GT.
Il Giudice Tutelare di Bologna, Sezione I Civile, Ufficio Tutele, con decreto depositato il 12 giugno 2013, ha autorizzato l'amministratore di sostegno ad istituire un trust, fortemente voluto dal beneficiario della procedura, nel quale far confluire i beni di quest'ultimo per tutelarli e destinarli a soddisfare le sue esigenze, le sue aspirazioni e le sue legittime istanze per tutta la durata della sua vita.
Con l'istituzione del trust, proposto dall'amministratore di sostegno e desiderato dal beneficiario della procedura, i beni in esso trasferiti saranno destinati esclusivamente alle finalità indicate nell'atto istitutivo (preventivamente depositato e valutato positivamente dal GT). Si offrono pertanto risposte corrispondenti alle istanze del beneficiario, nel pieno rispetto di quanto disposto dall'articolo 410 c.c. che, nel dettare i doveri dell'amministratore di sostegno, stabilisce che nello svolgimento dei suoi compiti egli debba tener conto dei bisogni e delle "aspirazioni" del beneficiario.
Inoltre, rileva il Giudice Tutelare che l'atto istitutivo del trust in oggetto distribuisce in modo equilibrato e preciso i poteri tra il trustee (un professionista) ed il guardiano, assicurando un'adeguata copertura assicurativa al guardiano (l'amministratore di sostegno stesso) che contribuirà a garantire una protezione ancor più adeguata al patrimonio del beneficiario.
La legge sottolinea, come appena detto, che la scelta dell'amministratore debba cadere su persona idonea a tener conto dei bisogni e delle "aspirazioni" del beneficiario; un tale parametro di valutazione, chiaramente metagiuridico, denota la qualitas fiduciaria vincolo, quasi genitoriale (di "aspirazioni" il codice parla all'art. 147 c.c.), che deve fondare il rapporto tra amministratore e beneficiario.
Le caratteristiche dell'amministratore richiamano quelle richieste per la persona del trustee: il fondamento fiduciario del rapporto con il beneficiario ed il disponente, il profilo della gestione diligente ed attenta, le abilità (in primis umane) e specifiche richieste.
Non è quindi da escludersi che possa essere designato trustee anche un amministratore di sostegno.
La legge non dispone circa il diritto al compenso dell'amministratore di sostegno, che non sia un familiare (per il quale dovrebbero prevalere le regole della solidarietà familiare).
Il rinvio all'art. 379 c.c., contenuto nell'art. 411 c.c., legittima un'interpretazione di gratuità dell'ufficio, salva equa indennità attribuita dal giudice tutelare, in considerazione dell'entità del patrimonio e delle difficoltà dell'amministrazione.
Gratuito è ritenuto anche l'ufficio del trustee salvo che, secondo consuetudine, il disponente non preveda un compenso.
Lo strumento del trust, quindi, è considerato un mezzo efficiente e sicuro da affiancare all'Ads nell'esercizio dei suoi compiti, in grado di tener conto dei bisogni e delle istanze del beneficiario della procedura, espresse nell'atto istitutivo di trust ed approvate dal Giudice Tutelare.
Il connubio dei due istituti è consigliato, soprattutto, in alcuni casi paradigmatici:
- per persone afflitte da importanti patologie, non solo mentali ma anche fisiche (per esempio tetraplegici, malati terminali, soggetti anziani, magari lucidi ma con difficoltà motorio-sensoriali);
- per soggetti afflitti da problemi di tossicodipendenza, alcolismo o che versino in una condizione di disagio esistenziale tale da impedire loro di autoamministrarsi;
- giovani con genitori molto anziani o anziani senza parenti, o con parenti assenti.
Il trust valorizza e realizza quello che è lo scopo che ha ispirato l'istituto dell'Amministrazione di sostegno, ossia quello di proteggere persone che si trovino in stati di oggettiva debolezza nella gestione e nella valutazione dei propri interessi (non riconducibili alle tradizionali forme di incapacità). L'esigenza di "blindare" (oltre il
2645ter c.c.) il proprio patrimonio incontra pienamente quella di organizzare anche aspetti extrapatrimoniali come cure, progetti, luoghi di effettiva residenza (o degenza).
Ecco perché, attualmente, il trust è un istituto che ben può funzionare accanto all'Ads, essendo ad essa perfettamente complementare e spesso contestuale.
D'altra parte questo unicum inscindibile tra interessi patrimoniali, esigenze di vita, e desideri è - prima che nel diritto - nell'essenza stessa dell'uomo.
3 Applicazioni del trust nel diritto di famiglia. In particolare: trust o fondo patrimoniale?
In virtù della flessibilità e della multifunzionalità che gli è propria, il trust sia attaglia perfettamente alla realtà non certo immobile della famiglia, alla sua fase genetica, alla fase fisiologica come a quella patologica.
Il trust è stato efficacemente definito "strumento duttile e versatile che può essere adattato ad ogni singola fattispecie" e divenire "l'abito su misura"(139) per ogni vicenda patrimoniale che interessi l'unione familiare.
Sovente a proporlo è il professionista, cui è demandato di prestare consulenza ed assistenza nell'ambito di rapporti patrimoniali familiari, ma sempre più spesso - oggi - è il cliente stesso a richiederlo(140).
Negli ultimi anni si è assistito ad un lento ma progressivo cambiamento della concezione giuridica dei rapporti familiari, da
alcuni definito "inesorabile contrattualizzazione"(141), tanto da potersi affermare che il diritto "vivente" di famiglia sia stato fondato ex novo sugli articoli-pilastro dell'autonomia negoziale (1322 e 1372 c.c.).
Pensiamo alle convezioni matrimoniali (altro non sono che contratti personalissimi) che permettono ai coniugi di derogare - in qualsiasi momento - al regime patrimoniale legale della comunione, optando per la comunione ordinaria o per la separazione dei beni, oppure per destinare parte degli stessi al fondo patrimoniale.
Partendo dall'inciso dell'art. 159 c.c. e posto che un'autonomia negoziale in tal senso, caratterizzata da evidente atipicità, sia ammessa (nel rispetto delle previsioni e dei limiti di cui agli artt. 160, 161, 162 comma 3, 166bis c.c.), la norma più interessante con cui il trust trova a porsi in relazione è senz'altro quella ex art.161 del codice.
Art. 161: Riferimento generico a leggi o agli usi.
"Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti."
La chiave di volta sta nella lettura che si voglia dare della locuzione "in modo generico" poiché, attenendosi al tenore letterale della norma, è questo il limite di ammissibilità del rinvio a leggi straniere o agli usi. Il legislatore sembra scolpire un preciso modus stipulandi, riservarsi lo spazio per un attento vaglio sul contenuto delle pattuizioni alla luce dei principi irrinunciabili dell'ordinamento, senza d'altro canto vietare aprioristicamente la possibilità per i coniugi di stabilire convenzioni atipiche.
Per questa via, nulla osta la stipulazione di una convenzione che preveda l'istituzione di un trust al fine di assicurare: la distribuzione - sia in termini di patrimonio che di reddito - della ricchezza nella famiglia, la tutela dei figli anche in una fase patologica del vincolo, la conservazione e la salvaguardia dell'integrità patrimoniale familiare anche a fronte di intervenute situazioni debitorie.
In fase - per così dire - fisiologica ciascuno o entrambi i coniugi possono, ad esempio, istituire un trust per destinare alla comunione tutti quei beni che non vi rientrerebbero (beni personali o comuni acquistati prima del matrimonio) o quelli che vi confluirebbero solo nell'ipotesi di scioglimento (come i proventi dell'attività separata di un coniuge).
Il fondo patrimoniale(142) è forse l'istituto del nostro ordinamento che presenta maggiori affinità col trust.
Esso consiste nell'imposizione convenzionale (secondo la tesi prevalente) da parte di uno dei coniugi o di entrambi, o di un terzo, di un vincolo in forza del quale determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito nominativi, sono destinati ad sustinenda onera matrimonii (art.167,1 c.c.).
Al pari di ogni altra convenzione matrimoniale, per essere opponibile ai terzi, la costituzione del fondo deve essere opportunamente annotata (art. 162 c.c.) a margine dell'atto di matrimonio(143); ciò ha destato non poche perplessità soprattutto con
riferimento a quei casi in cui i coniugi potrebbero ricorrere al fondo, non tanto per far fronte ai bisogni della famiglia quanto per sottrarre beni ai creditori.
Il dato dell'efficacia non dichiarativa della trascrizione del fondo, che ha sollevato molto dissenso tra gli operatori del diritto, può trovare ragion d'essere nella speciale scelta programmatica effettuata dal legislatore in relazione al regime generale della famiglia ed, ora, forse anche felice riparo nel disposto dell'art. 2645 ter c.c..
La norma, di recente introduzione, prevede espressamente l'opponibilità ai terzi di taluni atti di destinazione, ergo: il fondo patrimoniale, in applicazione e con gli effetti dell'art. 2645 ter, potrebbe essere trascritto e - proprio per questo - corredato dall'effetto di separazione o segregazione tipico del regime di pubblicità.
Sebbene almeno in teoria siano non poche le affinità tra trust e fondo patrimoniale (disciplinato dagli artt. 167-171 c.c.), il trust può giungere a coprire ambiti operativi soggettivi, oggettivi e temporali ben più ampi, diversi ed ulteriori rispetto al fondo. Pensiamo alla possibilità che il trust sia istituito anche da parte di persone non coniugate, o ancora, alla possibilità che abbia ad oggetto beni oltre quelli previsti dall'art. 167 c.c., con una durata che consenta di superare anche le scadenze indicate dall'art. 171 c.c..
Procediamo con ordine: presupposto o condizione di efficacia del fondo patrimoniale è l'esistenza di una famiglia legittima, il trust invece può andare incontro ai bisogni di ogni situazione familiare, a protezione di interessi meritevoli di tutela.
Due soggetti possono, invero, costituire un fondo patrimoniale anche prima della celebrazione delle nozze, ma la sua efficacia è subordinata a tale evento.
Il trust può essere costituito:
- per bisogni di una famiglia di fatto;
- da una persona vedova o nubile, o da un terzo a favore di una persona vedova o nubile e della sua attuale o futura famiglia apponendovi, eventualmente, condizioni risolutive (ad es. per il caso che la persona in stato vedovile passi a nuove nozze) o sospensive (ad es. subordinando l'istituzione del trust ad un futuro matrimonio o ad una futura convivenza o alla nascita di figli della persona nubile);
- da un soggetto ora coniugato che voglia provvedere alle esigenze del figlio naturale (ben oltre la sua maggiore età) e della madre;
- da una persona nubile a favore della sua famiglia d'origine (genitori e fratelli).
Il fondo patrimoniale per la sua costituzione richiede specifiche e solenni formalità: deve essere costituito dai coniugi necessariamente per atto pubblico mentre, se è costituente un terzo può essere costituito, oltre che per atto pubblico, anche per testamento(144); quando ha natura di convezione matrimoniale, in deroga al regime legale di comunione dei beni, deve essere annotato - come si diceva - a margine dell'atto di matrimonio perché sia validamente opponibile ai terzi. L'atto istitutivo di trust, pur dovendo risultare per iscritto, può
assumere la forma di scrittura privata: è questa la forma che la prassi professionale ha ormai adottato per i trust interni.
In relazione all'accettazione dei beni trasferiti in trust e nel fondo patrimoniale, il fondo patrimoniale non richiede accettazione se non quando il fondo è costituito da un terzo per atto tra vivi; nel trust il trustee potrebbe non accettare i beni.
Un limite oggettivo e fortemente penalizzante del fondo è riscontrabile nel fatto che non qualsiasi bene può formare oggetto del
fondo, solo i beni puntualmente elencati nell'art 167,1 c.c. possono rientrarvi; le utilità da essi derivanti devono essere necessariamente destinate ai bisogni della famiglia (art. 167,2 c.c.).
Si estendono al fondo patrimoniale: le norme relative all'amministrazione della comunione legale, ovvero la regola dell'amministrazione disgiunta per gli atti di ordinaria amministrazione, dell'amministrazione congiunta per gli atti di straordinaria amministrazione e per i contratti con i quali si acquistano e si concedono diritti personali di godimento (art. 168,3 c.c.).
Per gli atti previsti dall'art. 169 cod. civ. - inquadrabili nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione - se vi sono figli minori, oltre all'agire congiunto, occorre l'autorizzazione giudiziale.
I coniugi sono contitolari dei diritti costituenti il fondo patrimoniale (art. 168, I co. cod. civ.) ed hanno parità di quote.
I beni del fondo patrimoniale costituiscono per opinione pressoché unanime un patrimonio di destinazione o di scopo ma, non come il trust, è la legge - all'art. 171 c.c. - a prevedere i casi in cui termina la destinazione del fondo, contemplando persino un possibile ed incisivo intervento ad hoc del giudice.
Il fondo patrimoniale dura quanto il matrimonio perciò, ad esempio, la morte di uno dei coniugi (che è causa di scioglimento del vincolo matrimoniale), salvo che non vi siano figli minori che ne impongano l'ultrattività, è causa di scioglimento anche del fondo e, questo, indipendentemente dal protrarsi della famiglia e degli effettivi bisogni dei superstiti. Come già avuto modo di dire, nel trust il termine finale di durata è fissato dal o dai disponenti con l'unico limite di compatibilità con la legge richiamata nell'atto istitutivo.
Art 170. Esecuzione sui beni e sui frutti
"L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia."
La protezione patrimoniale data dal fondo è limitata: se è vero che i beni conferiti nel fondo non possono essere oggetto di atti di esecuzione forzata per debiti che non siano relativi ai bisogni della famiglia, è altrettanto vero che è necessario dimostrare - e l'onere della prova grava sui coniugi - che il creditore fosse a conoscenza del fatto che tali debiti erano stati contratti per esigenze diverse da quelle familiari. La prova può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, essendo sufficiente dimostrare che lo scopo dell'obbligazione appariva come normalmente estraneo ai bisogni della famiglia.
La protezione del trust, grazie all'effetto segregativo, è invece totale giacché, non solo i creditori del disponente non possono agire contro i beni del trust (salvo in caso di buon esito della azione revocatoria dell'atto con cui il disponente ha dotato il fondo in trust), ma neppure i creditori del trustee possono in alcun modo rivalersi per i debiti di costui sui beni del fondo, perché quei beni non si confondono con il suo patrimonio.
Infine, neanche i creditori dei beneficiari potranno agire sui beni o sui redditi se il trust è discrezionale.
Alla luce delle nostre considerazioni il trust, non presentando i limiti del fondo patrimoniale, è molto più adatto a soddisfare efficacemente le esigenze economiche della famiglia a prescindere dalla categoria di beni in trust e dal perdurare del vincolo matrimoniale.
Il trust offre una protezione (ed al contempo una disponibilità) del patrimonio che nessun altro istituto può parimenti assicurare: i beni in trust non sono i beni con cui il debitore risponderà delle sue obbligazioni (garanzia patrimoniale generica) ex art. 2740(145).
4 La risposta della giurisprudenza
La giurisprudenza, in rapporto al trust ed alla sua spendibilità in funzione di protezione del patrimonio familiare e di tutela dei discendenti, del coniuge "debole" o di familiari non capaci di gestire il patrimonio per altri motivi, ha dimostrato - salvo casi di manifesta illiceità - un atteggiamento di prevalente e notevole apertura.
Alcuni esempi significativi, tra i più recenti(146).
Tribunale di Padova, Sezione I Civile, 2 settembre 2008: "(.) Può essere autorizzata l'estromissione di beni dal fondo patrimoniale costituito da entrambi i coniugi per le esigenze della famiglia al fine di vincolare i medesimi beni in un trust".
Con la sentenza n. 140/8/2011, pronunciata il 12 ottobre 2011, la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, in sede di appello, confermando quanto già stabilito dai giudici di primo grado, ha dichiarato illegittima l'iscrizione ipotecaria su beni precedentemente devoluti in trust. Nella fattispecie concreta il concessionario per la riscossione, assimilando l'istituto del trust al fondo patrimoniale (sulla scorta di una precedente pronuncia del Tribunale di Paola in tema di fondo patrimoniale), sosteneva come la
devoluzione del bene al fondo di per sé non impedisse l'iscrizione ipotecaria esattoriale e ciò anche nei confronti dei beni devoluti in un trust, non sussistendo differenziazioni rilevanti tra i due istituti in dette circostanze.
La Commissione, negando tale tesi, ha evidenziato che elemento caratterizzante l'istituto del trust è il venire meno della figura del proprietario dato atto che, con la sua istituzione, i beni in esso confluiti danno vita ad una massa distinta e separata, uscendo dal patrimonio del proprietario originario. Secondo la difesa del contribuente, fatta propria dalla Commissione, sussistono profonde differenze tra il fondo patrimoniale ed il trust: prima fra tutte la circostanza che, mentre lo scioglimento del fondo patrimoniale determina il ritorno della titolarità dei beni in capo ai legittimi proprietari, con lo scioglimento del trust - invece - si ha il trasferimento dei beni al beneficiario finale, soggetto terzo che non risulta essere debitore fiscale di alcunché. Pertanto, nessuna azione esecutiva può essere intrapresa contro di lui e, quindi, illegittima è l'iscrizione ipotecaria perché diretta a colpire un soggetto terzo, del tutto estraneo al debito fiscale.
Sono numerose le sentenze che addirittura consigliano l'utilizzo del trust familiare per prevenire o dirimere situazioni di crisi coniugale ed anche in fase patologica, sia in un momento antecedente l'inizio del procedimento di separazione o divorzio, sia successivamente.
Secondo il Tribunale di Genova, Sezione IV Civile, 1 aprile 2008: "(.) Può essere omologato l'accordo di separazione consensuale fra i coniugi per mezzo del quale beni immobili in comproprietà dei coniugi, un bene immobile di proprietà esclusiva del marito, e altri beni mobili vengono trasferiti in un trust in favore dei figli dei coniugi"(147).
Tribunale di Torino, sentenza 31 marzo 2009 (per la prima volta compare il trust in una sentenza di divorzio): "(.) Le parti, inoltre, hanno stabilito di costituire un fondo trasferendovi alcuni beni di proprietà dei medesimi così da sottrarli alle proprie vicende personali e successorie e, in generale, per poter trarre da essi utilità da destinare ai bisogni della famiglia attraverso l'istituto del trust"(148).
Il 1° aprile 2009 il Tribunale di Bologna (Sezione I Civile), in sede di pronuncia definitiva di divorzio, ha stabilito che l'assegno divorzile, a definizione dei rapporti economici intercorsi tra i coniugi, può consistere nella nomina irrevocabile dell'ex coniuge a beneficiario di una quota della proprietà di un immobile vincolato in trust (siffatto trust realizza, in un'unica soluzione, l'adempimento della corresponsione dell'assegno da parte dell'onerato).
Il Tribunale di Milano, sentenza n. 13609/11 del 21.11.2011, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio nell'ambito di una procedura in cui il marito, ricorrente, si dimetteva dalla qualifica di trustee del trust istituito nelle condizioni di separazione, nominando il suo successore. In particolare, nelle condizioni di separazione omologate dal Tribunale era stato istituito un trust nel quale era confluito un immobile, con la precipua finalità di provvedere alle esigenze della figlia fino al completamento degli studi e, comunque, fino al raggiungimento dell'autonomia economica.
L'obiettivo, raggiunto tramite il trust, era non solo quello di sottrarre il bene alle vicende personali e successorie dei coniugi ma
anche quello di trarre da esso utilità da destinare alla figlia ed alla madre, finché convivente, per poi attribuirlo definitivamente alla figlia al momento dello scioglimento del matrimonio.
Alcuni autori osservano con un filo di amarezza che il fondo patrimoniale, pur essendo di per sé una modalità già buona di gestione e conservazione della ricchezza familiare, è un istituto non molto frequentato in Italia, né dai coniugi o futuri coniugi, né dai tecnici del diritto; ancora imberbe pare già del tutto superato.
Occorre, quindi, smorzare toni eccessivamente entusiastici nei riguardi dell'utilizzo del trust in sua vece?
Oppure prendere atto della progressiva ed innegabile diffusione del trust nel diritto vivente e lasciare, in modo tutt'altro che arrendevole, che essa ci provochi e (magari) ci ispiri?
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