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L'ELUSIONE
Secondo l'opinione comune l'elusione fiscale occupa uno spazio intermedio tra risparmio legittimo d'imposta ed evasione. L'elusione è diversa dall'evasione perché l'evasione è generalmente realizzata occultando il presupposto dell'imposta. Evasione in altre parole significa violazione diretta, aperta di norme fiscali, punita con sanzioni amministrative e/o penali. L'elusione può essere definita come una forma di risparmio fiscale che è conforme alla lettera ma non alla ratio delle norme tributarie: il contribuente che elude evita di applicare la tassazione più onerosa seguendo un percorso anomalo, abusivo. Il contribuente non applica il regime fiscale appropriato ed applica abusivamente una normativa fiscale più favorevole. Secondo la definizione dettata dal nostro legislatore nell'art. 37 bis del D.P.R. 600/1973 vi è elusione quando sono posti in essere comportamenti privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e a ottenere riduzioni d'imposte o rimborsi altrimenti indebiti.
Un contratto con fini di elusione non è nullo ma valido ed efficace sul piano civilistico come stabilisce l'art. 10 dello statuto. L'art. 1344 c.c. prevede che è nullo per illiceità della causa il contratto che costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa ma questa disposizione non è applicabile ai contratti che eludono norme fiscali perché le norme imperative alle quali si riferisce l'art. 1344 sono le norme proibitive, le norme cioè che vietano il compimento di determinati negozi.
L'elusione può essere impedita con interpretazioni sostanzialistiche ed estensive della norma impositiva elusa ma quando il risultato di una simile interpretazione è in grado di includere nella fattispecie della norma elusa il comportamento elusivo, l'elusione non è più tale ma una delle ipotesi alle quali si applica la norma impositiva. L'elusione comincia laddove finisce l'interpretazione. Infatti in base all'interpretazione larga di una fattispecie imponibile il comportamento elusivo viene tassato nei modi ordinari e non come comportamento elusivo. L'interpretazione antielusiva va adottata quando il contribuente si avvale di strumenti che appaiono estranei alla fattispecie di una norma impositiva ma che vi possono rientrare ove le regole sull'interpretazione permettano di tener conto in modo prevalente del risultato economico avuto mira dal legislatore. La nozione di elusione rimanda infatti ad una duplice possibile interpretazione della disposizione fiscale. Vi è un metodo letterale e formalistico di interpretazione in base alla quale il comportamento elusivo non è tassabile. La giustificazione ideologica di questo metodo d'interpretazione sta nel richiamo alla certezza del diritto. Viceversa la possibilità di interpretazioni antielusive è favorita da metodi non formalistici; per tali metodi i problemi semantici sono risolti facendo prevalere il significato economico dei termini usati dal legislatore a preferenza del significato strettamente giuridico. Questo metodo riconosce il massimo rilievo agli elementi sistematici della ratio del tributo, utilizza argomenti quali lo spirito, della legge, la realtà delle cose. La giustificazione ideologica di questo metodo sta in ciò che esso privilegia opzioni che rispettano e realizzano principi fondamentali del diritto tributario.
Un'altra tecnica antielusiva consiste nella riqualificare i negozi giuridici elusivi in modo da far emergere il vero affare e il vero negozio posto in essere dalle parti. In questo caso viene operata una riqualificazione del negozio ovvero un superamento della forma che i contraenti hanno dato al contratto. Negli ordinamenti in cui non esiste una disposizione antielusiva che autorizzi espressamente la riqualificazione dei negozi le amministrazioni finanziarie e i giudici ricorrono ugualmente a tale tecnica per pervenire così al risultato di applicare la tassazione elusa ai negozi elusivi. Ciò avviene applicando i criteri di interpretazione dei contratti in modo non formalistico per pervenire ad una riqualificazione del negozio fondata sulla sostanza economica e giuridica della vicenda negoziale. Si rinvengono in giurisprudenza numerosi casi di riqualificazione di negozi giuridici ritenuti elusivi. Nell'applicazione dell'imposta di registro la riqualificazione trae fondamento dalla norma secondo cui i negozi giuridici agli effetti dell'applicazione dell'imposta debbono essere interpretati tenendo conto della loro sostanza e degli effetti e non del titolo o della forma. Significativa la fattispecie dei contratti a gradini. Con tale espressione si indica un'operazione realizzata con una pluralità di contratti, tutti finalizzati ad un dato risultato. Un caso di cui la giurisprudenza si è occupata in passato è quello di un genitore che dona al figlio buoni del tesoro; in seguito il padre cede al figlio un immobile, ed il figlio ne paga il corrispettivo retrocedendo al padre i buoni del tesoro. In questo modo sotto la previgente disciplina si mirava a realizzare una cessione immobiliare da padre a figlio dandole veste di permuta invece che di donazione. La giurisprudenza optò per la tesi sostenuta dal fisco affermando che si deve tener conto non dei singoli contratti isolatamente presi ma dell'intera operazione. Un artificio frequentemente usato è la costituzione di società di comodo, di società cioè costituite non tanto per svolgere un'attività economica quanto per un fine di elusione fiscale.
Per contrastare l'elusione vi sono norme a contenuto espressamente antielusivo che collegano a fattispecie qualificate come elusive particolari poteri impositivi dell'amministrazione finanziaria. L'altra tecnica è data da norme specifiche la cui antielusività non è esplicita ma risiede la ratio. Si tratta di norme che sono antielusive perché dettate con finalità di impedire ai contribuenti di attuare pratiche elusive. Esse sono implicitamente antielusive e possono essere della più diversa specie e natura. L'esistenza di norme tributarie che hanno lo scopo di contrastare comportamenti elusivi è espressamente riconosciuta dal nostro legislatore consentendo all'amministrazione di concederne la disapplicazione su richiesta del contribuente nei casi in cui non ricorrano profili antielusivi. Un esempio di norma con funzione antielusiva è quella che limita la deducibilità delle perdite di società incorporate allo scopo di limitare all'acquisizione di società in perdita compiuta allo scopo di fruire della deduzione delle perdite. È una norma antielusiva quella sul transfer price in base alla quale nei trasferimenti infragruppo è rilevante il valore normale non il prezzo pattuito. Tale regola è evidentemente diretta ad evitare che tra società di un medesimo gruppo vengano pattuiti prezzi difformi dal valore normale dei beni al solo fine di eludere le imposte dovute in Italia. Ugualmente antielusiva è la c.d. legislazione CFC che disciplina la tassazione degli utili derivanti dalla partecipazione in società estere controllate con sede in stati o territori a fiscalità privilegiata; secondo tale legislazione gli utili sono tassati secondo il principio di trasparenza e non secondo il principio di cassa.
Vi sono norme con ratio antielusiva e norme a contenuto espressamente antielusivo che disciplinano fattispecie espressamente qualificate come elusive. Con le norme espressamente antielusive il legislatore non modifica le ordinarie norme impositive ma attribuisce all'amministrazione finanziaria il potere di qualificare come antielusiva una determinata operazione e di imporre il pagamento del tributo eluso. Vi sono ordinamenti in cui sono presenti norme espressamente antielusive di portata generale; il caso più noto è quello tedesco. Nell'ordinamento italiano non vi è in forma esplicita una clausola antielusiva generale.
Secondo l'art. 37 bis del D.P.R. 600/73 sono in opponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e a ottenere riduzioni d'imposte o rimborsi altrimenti indebiti. Secondo la disposizione l'elusione assume rilievo quando sussistono congiuntamente due concezioni positive ed una concezione negativa. Le due condizioni positive sono:
a) Che sia stato conseguito un vantaggio fiscale altrimenti indebito;
b) Che sia stato posto in essere l'aggiramento di un obbligo o divieto fiscale.
La condizione negativa è che l'operazione effettuata sia priva di valide ragioni economiche. Va notato che l'elusione non è il risultato di una singola operazione ma di una serie di operazioni. Occorre dunque valutare l'operazione nella sua globalità. In via prioritaria occorre esaminare se sia stato conseguito un vantaggio fiscale. La sussistenza di un vantaggio fiscale non è tanto un requisito quanto l'essenza stessa dell'elusione. Non vi è elusione se non si consegue un risparmio d'imposta. Per accertare il vantaggio occorre porre a confronto lo schema realizzato e un modello standard; ed occorre confrontare il regime fiscale cui è soggetto il comportamento posto in essere ed il regime fiscale connesso al trattamento evitato. Occorre confrontare due comportamenti: quello meno oneroso che è stato posto in essere dal contribuente e quello ortodosso ma più oneroso che è stato evitato. Dopo che è stato accertato che il contribuente ha scelto quello meno oneroso occorre verificare se ha conseguito un risparmio legittimo o un risparmio elusivo 8cioè indebito). Un vantaggio è indebito quando l'operazione risulti diretta ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario. Ponendo a confronto le due alternative che il contribuente aveva di fronte non vi è aggiramento se i due schemi sono fiscalmente equivalenti. Vi è aggiramento solo se uno dei due modelli si pone come modello standard come operazione economica fisiologica che il contribuente avrebbe dovuto seguire in linea con la ratio oltre che con la lettera delle norme impositive. Meno chiaro è il concetto di aggiramento di un divieto. L'aggiramento è da riferire ad una norma precisa non all'ordinamento tributario in generale o ai principi dell'ordinamento tributario. Non è richiesto che via sia abuso delle forme giuridiche civilistiche: può dunque elusione fiscale anche quando l'operazione è impeccabile secondo le norme del diritto civile. Il vantaggio fiscale non è elusivo se il contribuente ha agito per valide ragioni economiche. Si richiede dunque che le ragioni economiche siano valide. Questo requisito va inteso come necessità che l'operazione economica sia motivata in modo essenziale da ragioni extrafiscali. Si richiede in altri termini che lo scopo economico dell'operazione sia tale per cui l'operazione sarebbe stata compiuta anche senza vantaggi fiscali. La forma più netta di elusione si verifica quando l'operazione è del tutto priva di ragioni economiche e lo scopo di risparmio fiscale è l'unica ragione dell'operazione dalla quale non deriva alcun risultato economico apprezzabile. Un altro esempio significativo di operazione elusiva priva di assoluto di motivazione economica è dato dalle cc.dd. esportazioni a U, nelle quali al fine di usufruire della restituzione di dazi doganali per l'esportazione di prodotti agricoli, le merci vengono consegnate al destinatario estero e immediatamente restituite senza alcuna utilizzazione all'esportazione. In sintesi un'operazione è elusiva se comporta un vantaggio fiscale indebito ottenuto aggirando una specifica disposizione fiscale ed in assenza di valide ragioni economiche.
Le disposizioni citate si applicano in un numero circoscritto di casi:
a) Trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b) Conferimenti in società;
c) Cessioni di crediti;
d) Cessioni di eccedenza d'imposta;
e) Operazioni di cui al D. Lgs. 544/92.
Nell'elenco occupano un posto di rilievo le operazioni straordinarie delle società. Sulle valide ragioni economiche delle operazioni potenzialmente elusive dobbiamo limitarci ad alcuni esempi. È assistita da una valida ragione economica una fusione che abbia lo scopo di potenziare le capacità produttive di due soggetti, determinando risparmi di costi e sinergie produttive o commerciali o finanziarie tra più realtà aziendali; non lo è invece una fusione tra due società in liquidazione fatte allo scopo di compensare le perdite di una società con gli utili dell'altra. Una scissione è assistita da una valida ragione economica se riguarda ad esempio una società che svolge due attività distinte ed ha per scopo la separazione delle strutture produttive con continuazione dell'attività d'impresa; una scissione è invece elusiva se fatta ad esempio con scopi diversi dalla continuazione dell'attività d'impresa mediante la nuova società ma per creare una società contenitore per poi cedere anziché dei beni di primo grado la partecipazione nella società beneficiaria. La cessione di un credito potrebbe presentare profili di elusività ad esempio quando la cessione avviene tra una società in utile ed una società in perdita ad un prezzo inferiore a quello normale perché il cedente realizza una perdita deducibile dal suo reddito ed il concessionario può realizzare una plusvalenza senza pagare imposte perché la compensa con le sue perdite. La cessione è dunque elusiva quando una società redditizia cede il credito ad un valore inferiore a quello nominale ad una consociata che ha delle perdite. Non c'è elusione quando viene ceduto un credito di dubbia esigibilità ad un prezzo congruo imputando la perdita all'esercizio in cui avviene la cessione.
L'art. 37 bis del D.P.R. 600/73 stabilisce che gli atti i fatti e i negozi elusivi sono in opponibili all'amministrazione finanziaria la quale disconosce i vantaggi tributari conseguiti applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento in opponibile all'amministrazione. La sanzione dei comportamenti elusivi è dunque la loro inopponibilità all'amministrazione finanziaria. Gli accertamenti dei comportamenti elusivi non sono normali atti impositivi ma speciali avvisi di accertamento che applicano la norma elusa. Applicano cioè la norma che il contribuente ha aggirato. A tale avviso di accertamento il contribuente non può opporre di non dovere l'imposta accertata dall'amministrazione perché il comportamento effettivamente tenuto è diverso da quello sul quale si fonda la pretesa fiscale. Gli avvisi emessi in applicazione della norme antielusiva sono dunque speciali atti di imposizione che impongono il pagamento di un tributo supplementare pari alla differenza tra imposte dovute in base alla norma elusa ed imposte dovute sul comportamento realizzato. Il provvedimento impositivo antielusivo è emesso in esito ad uno speciale provvedimento impositivo con contraddittorio che si differenzia dall'ordinario procedimento. L'amministrazione prima di emettere l'avviso di accertamento deve chiedere chiarimenti al contribuente il quale ha l'onere di rispondere entro sessanta giorni. L'avviso di accertamento deve essere motivato anche prendendo in considerazione le giustificazioni fornite dal contribuente: spiegando cioè perché l'ufficio non reputa valide le ragioni economiche addotte dal contribuente.
La giurisprudenza in alcune sentenza del 2005 ha ritenuto che un negozio che elude norme fiscali possa essere nullo civilisticamente. In seguito ha ritenuto che nei casi in cui non è applicabile l'art. 37 bis abbia vigore nel nostro ordinamento una clausola generale antielusiva. Essa è stata influenzata dalla giurisprudenza comunitaria che ha affermato il principio secondo cui i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme comunitarie. La Cassazione ha esteso il principio comunitario del divieto di abuso del diritto dal settore dell'iva a quello delle imposte dirette ritenendo non deducibili da reddito di impresa le minusvalenze derivanti da operazioni compiute essenzialmente allo scopi di ottenere un vantaggio fiscale. L'applicazione di regole comunitarie antiabuso del settore delle imposte dirette non è apparsa però convincente. In materia di imposte doganali accise ed iva i principi comunitari si applicano de plano in ambito nazionale. La materia delle imposte dirette invece appartiene alla competenza degli stati per cui valgono soltanto le norme antielusive interne. L'estensione operata dalla cassazione è stata criticata perché il rispetto del diritto comunitario non si estende ai settori fiscali non armonizzati. La cassazione ha superato questa obiezione desumendo l'esistenza nel nostro ordinamento di una clausola generale antielusiva non scritta dai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione che costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell'ordinamento come diretta derivazione delle norme costituzionali il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.
Nel diritto comunitario l'elusione comporta il recupero dell'imposta elusa non comporta sanzioni. Infatti la constatazione dell'esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco. Nel diritto interno le sanzioni amministrative puniscono le violazioni di norme tributarie; non possono essere applicate in caso di aggiramento ex art. 37 bis delle norme relative alla dichiarazione. La giurisprudenza ha considerato che il contribuente non è tenuto ad auto disconoscere gli effetti fiscali di operazioni dichiarate elusive e neppure è passibile di sanzioni atteso che la disciplina di cui all'art. 37 bis non ne contempla né potrebbe in considerazione del fatto che l'elusione costituisce aggiramento e non violazione di disposizioni.
Un'apposita disposizione prevede che l'amministrazione finanziaria possa colpire chi si sottrae alla tassazione utilizzando forme di interpretazione fittizia. Se di un reddito appare titolare Tizio ma Tizio non è un soggetto fittiziamente interposto essendo il reddito di Caio, la tassazione deve colpire il titolare effettivo non l'interposto, perciò in sede di rettifica o di accertamento di ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono gravi, precise e concordanti che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona. La norma disciplina i fenomeni di interposizione e pone la regola secondo cui nelle situazioni in cui via sia divario tra titolarità apparente e possesso effettivo di un reddito l'imposta deve essere posta a carico del possessore effettivo non della persona interposta. Nell'interposizione vi è un soggetto interponente ed un soggetto interposto. Ora quando il soggetto interposto dichiara il reddito e paga la relativa imposta e in seguito l'amministrazione accerta il reddito imputandolo all'interponente si ha un fenomeno di doppia imposizione dello stesso reddito. Perciò il legislatore ha espressamente previsto che le persone interposte possono richiedere il rimborso di quanto versato ma solo dopo che è divenuto definitivo l'accertamento emesso nei confronti dell'interponente. Un caso in cui la nostra amministrazione finanziaria ha utilizzato la disposizione in tema di interposizione riguarda una società di calcio che corrispondeva cospicue somme a società estere per lo sfruttamento pubblicitario dell'immagine dei calciatori. Il fisco ha ritenuto che la società estera fosse un soggetto interposto ed ha imputato ai calciatori come reddito soggetto ad irpef in Italia le somme corrisposte alla società estera.
Poiché può essere dubbio se un comportamento sia elusivo il legislatore ha previsto una apposita forma di interpello concernente i comportamenti elusivi ed altre fattispecie di difficile interpretazione. Vi è infatti un c.d. interpello speciale esperibile per l'applicazione di talune specifiche disposizioni aventi quasi tutte finalità antielusiva per il quale è competente la direzione generale dell'agenzia delle entrate. La procedura di interpello è così articolata:
Il contribuente anche prima di porre in essere un'operazione che rientra nelle fattispecie per le quali può essere esperito l'interpello speciale deve chiedere il preventivo parere della direzione generale dell'agenzia delle entrate fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata;
La direzione deve rispondere entro 120 giorni; trascorso questo termine il contribuente può inviare una diffida ad adempiere;
La mancata risposta entro 60 giorni dalla diffida ha valore di silenzio-assenso.
Le norme con ratio antielusiva sono norme che negano un determinato beneficio ma il legislatore prevede un correttivo , detto interpello antielusivo o rulling passivo che consiste nella facoltà del contribuente di chiedere e nel parere dell'amministrazione di disporre la disapplicazione di una norma antielusiva. L'art. 37 bis stabilisce infatti che possono essere disapplicate le norme tributarie che allo scopo di contrastare comportamenti elusivi limitano deduzioni detrazioni crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario nel caso in cui non possono verificarsi effetti elusivi. Il contribuente per ottenere la disapplicazione deve presentare istanza al direttore regionale dell'agenzia delle entrate; nell'istanze deve:
a) Descrivere compiutamente l'operazione;
b) Dimostrare che non possono verificarsi effetti elusivi;
c) Indicare le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.
L'istanza è accolta o respinta con provvedimento definitivo dal direttore regionale dell'agenzia delle entrate. Altri due casi di interpello disapplicativo sono:
L'art. 10 comma 11 del T.u.i.r. prevede che la norma sulla indeducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni interposte tra imprese residenti e imprese domiciliate in paesi con regime fiscale privilegiato non si applichi qualora venga data dimostrazione che le imprese estere svolgono un'attività commerciale effettiva o che le operazioni poste in essere rispondono ad un interesse economico dell'impresa italiana e che si tratta di operazioni che hanno avuto concreta esecuzione.
L'art. 167 e l'art. 168 del T.u.i.r. prevedono che siano tassati secondo il regime i trasparenza i soggetti residenti che possiedono partecipazioni di controllo o di collegamento in paesi con regime fiscale privilegiato. Il contribuente può chiedere un provvedimento disapplicativo della disciplina delle imprese estere controllate seguendo la procedura dell'interpello ordinario prevista dallo statuto. Egli deve fornire preventivamente la prova che la società non residente svolga un'attività industriale o commerciale come sua principale attività nel paese in cui ha sede o che dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in un paese a bassa fiscalità.
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