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STORIA DELLA RIFORMA PENITENZIARIA
1. INTRODUZIONE
La marcia della Riforma Penitenziaria durò circa un ventennio: i primi disegni di legge (sottoposti al vaglio del Parlamento) furono il frutto di un'attenta elaborazione da parte di alcuni magistrati addetti alla direzione generale degli istituti di prevenzione e pena. Questi ultimi, però, erano più propensi ad un regime conservatore piuttosto che innovatore.
Nel 1947 il Guardasigilli Gullo nominò una commissione ministeriale per studiare la prima Riforma penitenziaria composta prevalentemente da docenti di diritto penale, uomini politici, ed esponenti dell'amministrazione penitenziaria: questi ultimi, però, erano in netta minoranza rispetto ai primi.
Nel frattempo, nel 1949, venne istituita una commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri[1]: essa elaborò alcune importanti proposte di modifica al Regime Penitenziario.
Solo nel 1956 si pensò di modificare la composizione dei comitati (a cui vennero affidati i compiti di studio e di riforma dell'ordinamento penitenziario): questa volta la commissione era composta da quattordici membri appartenenti alla direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena, e da quattro professori universitari.
Nel 1957, poi, venne formato un nuovo comitato più ristretto (formato solo da alcuni magistrati della direzione generale), il cui compito era quello di elaborare il testo del disegno di legge governativo.
Un nuovo capitolo venne scritto nel 1960, quando il Guardasigilli Gonella dette l'incarico di redigere il testo del disegno di legge (sotto la sua diretta supervisione) ad un comitato costituito da tre magistrati della direzione generale: esso venne approvato dal Consiglio dei ministri l'11 giugno del 1960.
Questo disegno di legge inseriva al suo interno un nuovo tema: la prevenzione della delinquenza minorile.
Da un lato, il testo adeguava il sistema penitenziario ai principi stabiliti dalle Regole Minime dell'O.N.U.[2]; dall'altro, invece, introduceva il criterio dell'individuazione del trattamento rieducativo basato sull'osservazione della personalità.
Purtroppo, il testo decadde per fine della legislatura dopo che la Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati aveva formulato le sue osservazioni.
Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 il dibattito divenne più acceso e, dal 1968, l'interesse del paese verso i problemi penitenziari si fece più forte.
Nel dicembre del 1965 (su proposta del Ministro Reale) avvenne l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un nuovo testo. Quest'ultimo venne trasmesso dal Parlamento all'inizio del 1966.
Esaminato dalla Commissione giustizia del Senato, decadde per fine della legislatura.
Il disegno di legge Reale, però, presentava delle importanti innovazioni rispetto al suo predecessore. Esso proponeva:
La liberazione anticipata a seguito di abbuoni di pena;
La remissione del debito per spese di mantenimento;
Il soccorso alle vittime del delitto.
La stessa sorte toccò anche al testo presentato dal ministro Gonella nell'ottobre del 1968: approvato dal senato, decadde a causa della fine della legislatura.
L'unica nota innovativa presente nel testo fu la parte riservata alla prevenzione della delinquenza minorile.
Il 31 luglio 1972 (sempre su iniziativa del Ministro Gonella), il Senato venne nuovamente chiamato a discutere sulla questione. Il disegno di legge fu affidato alla Commissione giustizia in sede redigente, mentre il lavoro preparatorio venne dato ad una Sottocommissione (istituita appositamente per l'occasione), e presieduta dall'allora senatore Follieri.
Sulla struttura originaria il Senato operò una serie di emendamenti che cercarono di affinare gli aspetti garantistici della pena (attraverso un maggior intervento da parte del Magistrato di Sorveglianza), e proponevano di ampliare le possibilità di contatto con l'esterno.
Nel dicembre del 1973 il testo approvato dal Senato passò alla Camera. Quest'ultima introdusse importanti modifiche:
La reintroduzione dell'obbligo di rimborso delle spese di mantenimento;
Il dovere di sottoporsi al controllo da parte di tutti coloro che accedono all'istituto o che ne escono;
Il ripristino del controllo visivo sui colloqui di ogni genere;
La soppressione della previsione dei permessi <<speciali>> per i condannati;
L'istituzione di una sezione di sorveglianza, competente per le decisioni che modificano lo stato di detenzione;
La facoltà da parte del Ministro della giustizia di sospendere (in tutto o in parte, con un decreto motivato e per un periodo di tempo determinato) le regole del trattamento, qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni di ordine e sicurezza;
La soppressione delle norme relative ai casi di differimento e di sospensione della pena e della misura di sicurezza detentiva;
La soppressione dell'istituto di studi penitenziari e della disciplina della scelta e della formazione del personale.
Il testo, in seguito, venne restituito al senato, il quale lo approvò in via definitiva. L'ultimo passo venne compiuto dal Parlamento: attraverso la Legge del 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, venne varata la nuova riforma organica degli istituti di diritto penitenziario.
Questa fu l'unica della storia italiana ad essere istituita. La Commissione era composta solo da senatori e deputati
Le Regole Minime per il trattamento dei detenuti sono state approvate nel 1955 dalle Nazioni Unite in versione mondiale. Nel 1973 sono state ribadite dal Consiglio d'Europa con i necessari adeguamenti alla realtà europea.
Le Regole Minime hanno una grande forza morale perché la maggior parte dei paesi moderni (Italia compresa) hanno accettato e manifestato un preciso impegno: rispettare i principi contenuti al loro interno.
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