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Segretezza e informazione nel nuovo processo penale
Un esame della giurisprudenza degli ultimi anni dimostra una tutela sufficientemente duttile e adeguata dei diritti della personalità dell'indagato e dell'imputato. Disgraziatamente i tempi del processo penale e quelli della stampa di informazione non coincidono, sicché mentre la notizia dell'apertura di un procedimento penale viene subito diffusa da tutti i mezzi di informazione, al contrario la sentenza di condanna o di assoluzione non interverrà che dopo molti anni. Ma nel frattempo il soggetto coinvolto nel procedimento penale avrà già subìto una definitiva condanna sulle pagine dei giornali, e nessun risarcimento del danno potrà restituirgli l'integrità personale ormai perduta. A prima vista una forma, indiretta di tutela per la personalità dell'indagato e dell'imputato sembra potersi rinvenire nelle norme sul segreto istruttorio contenute nel nuovo Codice di Procedura Penale, promulgato nel 1988.
La soluzione legislativa predisposta dal codice abrogato era caratterizzata dalla ipertutela della segretezza degli atti processuali. A fronte di tale soluzione legislativa si era di conseguenza affermata una prassi che sulla spinta dell'esigenza di informare l'opinione pubblica, su ciò che avveniva nei processi più importanti, aveva di fatto ribaltato l'impostazione originaria attraverso una sistematica violazione del segreto istruttorio. Soprattutto negli ultimi anni di vigenza del codice, la violazione del segreto istruttorio, con conseguenti danni cagionati ad imputati rivelatisi successivamente innocenti, era stata frequentissima. Molte volte erano gli stessi magistrati che, preoccupati dal rischio della diffusione di notizie frammentarie o inesatte, messe insieme dai giornalisti, fornivano informazioni ufficiali sull'andamento delle inchieste, nel corso di vere e proprie conferenze stampa.
Il nuovo codice di procedura penale ha modificato la disciplina precedente, cercando di trovare un equilibrio fra gli interessi contrapposti di segretezza e di informazione sulle vicende processuali penali, nella prospettiva di un maggiore rispetto dei valori, entrambi di rilevanza costituzionale, della corretta informazione della opinione pubblica , anche al fine di consentire un controllo sull'operato della magistratura, e di giustizia.
Gli artt. 114 primo comma e 329 primo comma c.p.p. prescrivono che gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto e non sono pubblicabili, sino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza legale. L'obbligo del segreto e il divieto di pubblicazione sono entrambi assoluti, e cioè vincolano tutti i soggetti del processo, nonché tutti i soggetti a questi estranei, ivi compresi, naturalmente, i giornalisti. Tuttavia l'oggetto del segreto e la durata del divieto di pubblicazione evidenziano lo scopo e l'interesse al quale le norme sono preordinate: la tutela dell'attività investigativa e delle esigenze di indagine. Questa circostanza chiarisce di per sé che le norme sul segreto istruttorio non sono e non possono essere volte a tutelare i diritti di personalità delle persone coinvolte in un processo penale. Ma non basta, il segreto identificato in queste norme (c.d. segreto interno) concerne esclusivamente gli atti di indagine del Pubblico Ministero e della Polizia Giudiziaria, con la conseguenza che non rientrano fra gli atti coperti da tale segreto tutti gli atti del Giudice delle Indagini Preliminari: ad esempio non sono segrete le notizie concernenti un provvedimento del G.I.P. che dispone la custodia cautelare, la notizia dell'interrogatorio dell'indagato, la notizia dell'autorizzazione all'accompagnamento coattivo. Non sono neppure segreti gli atti del Pubblico Ministero che non possano essere identificati come veri e propri atti di indagine: ad esempio la richiesta di un sequestro cautelare non accolta dal G.I.P., la richiesta di autorizzazione a disporre l'accompagnamento coattivo, l'iscrizione di una persona nel registro degli indagati, l'invio dell'informazione di garanzia.
Ora, ciascuno di questi atti non coperti da segreto istruttorio é da solo sufficiente, se il loro contenuto é appreso da un giornalista, e subito divulgato sulla stampa in modo non corretto, a ledere i diritti di personalità dell'indagato.
Un diverso tipo di segreto è previsto dall'art. 329 secondo e terzo comma c.p.p. In virtù di tale norma il Pubblico Ministero ha il potere, che può esercitare con assoluta discrezionalità e totale insindacabilità, di vietare la pubblicazione di atti che non sono più coperti dal segreto interno, ovvero di consentire la pubblicazione di atti ancora coperti da tale segreto. A parte ogni considerazione circa l'ampiezza dei poteri e della discrezionalità che spettano al Pubblico Ministero, e che consentono a quella che è una parte del giudizio di "far filtrare" notizie e informazioni in ordine alle indagini in corso, in tal modo condizionando più o meno direttamente l'opinione pubblica, é da rilevare che anche questo potere di "segretazione" o di "desegretazione" ha un'unica e precisa finalità individuata dalla legge: la tutela delle indagini in corso.
Un ulteriore tipo di segreto (c.d. segreto esterno) é poi istituito dall'art. 114 secondo e terzo comma c.p.p. In virtù di tali norme è vietata la pubblicazione di tutti gli atti non più coperti dal segreto (interno) fino a che non siano concluse le indagini preliminari, e degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero se non dopo la pronuncia della sentenza in grado d'appello. Nella relazione preliminare al codice si legge che, poiché secondo il sistema processuale "gli atti delle indagini preliminari che sono inseriti nel fascicolo del P.M. devono essere conosciuti dal giudice del dibattimento solo attraverso le contestazioni dibattimentali", ove "se ne consentisse la pubblicazione prima di questo momento, si determinerebbe una distorsione della regola processuale ed una anticipata e non corretta formazione del convincimento del giudice". La norma distingue, infatti, tra pubblicazione del contenuto di un atto e pubblicazione integrale dell'atto stesso: tale distinzione è stata voluta dai redattori del nuovo codice "non per proteggere il segreto investigativo, ma per evitare che il giudice del dibattimento possa essere condizionato", giacché il contenuto degli atti genericamente riportato dalla stampa ha meno incisivi effetti di influenza sul "giudice terzo" rispetto alla propalazione integrale dell'atto ufficiale, pertanto vietata. E' dunque da escludere che anche questo ulteriore tipo di "segreto" appresti utili strumenti di tutela dei diritti di personalità dell'individuo coinvolto in un procedimento penale
La stessa Corte Costituzionale ha rilevato che il segreto investigativo (il cosiddetto segreto istruttorio del c.p.p. del 1930) non si giustifica con ragioni di tutela della riservatezza, dato che l'intero processo penale, in quanto basato sul principio di pubblicità, disattende tali ragioni, ma trova la sua giustificazione in quanto strumento utile all'efficiente svolgimento delle indagini.
Il segreto investigativo, nonostante funga da limite al diritto di cronaca, è legittimo in quanto finalizzato alla tutela di un interesse, anch'esso come il diritto di cronaca, costituzionalmente protetto: quello al "buon andamento della giustizia".
In definitiva ed in perfetta sintonia con le finalità delle norme indicate dal legislatore, neppure il cosiddetto "segreto" investigativo protegge effettivamente la persona "oggetto" di una notizia concernente l'esistenza ed il contenuto di un
processo penale . In realtà, anzi, l'apposizione di un "apparente" segreto finisce per ritorcersi in danno di colui che sia fatto oggetto, anche se innocente, da una istruttoria penale: le notizie in ordine ad un procedimento penale, riportate dagli organi di informazione violando il segreto istruttorio, risultano ancora più credibili e attendibili di una notizia "ufficiale", con la conseguenza che l'opinione pubblica é indotta a ritenere l'indagato "certamente" colpevole.
A tutto ciò si deve aggiungere che i mezzi di informazione di massa anche qualora operino nel rispetto delle summenzionate norme, tendono, soprattutto nell'ambito della cronaca giudiziaria, a produrre una informazione superficiale, riduttiva e soprattutto non obbiettiva, non tanto perché oggetto di manipolazioni specifiche, ma perché la frammentazione di essa, non fa comprendere all'utente gli eventi nella loro interezza; gli avvenimenti non vengono più inquadrati in visioni generali complessive. Una informazione di tal specie é in grado di interferire non solo sul processo penale in corso, ma a maggior ragione di incidere sulla riservatezza, sull'onore, sulla reputazione dei soggetti direttamente e indirettamente coinvolti nelle inchieste penali. Si pensi soltanto al complesso meccanismo di interazione tra la notizia criminis e l'attuale sistema di distribuzione dell'informazione: l'uso anticipato dell'informazione di garanzia, amplificato dalla ampia diffusione della relativa notizia ad opera dei media, sono in grado di provocare immediato scalpore presso l'opinione pubblica.
Inoltre il risalto dato ai racconti dei pentiti di mafia e di tangenti produce come effetto la configurazione nella coscienza collettiva di tali dichiarazioni alla stregua di verità, pur senza riscontri. E' comprensibile che l'opinione pubblica acquisisca come verità le dichiarazioni del pentito, giacché quelle stesse rivelazioni determinano l'emissione di ordinanze di custodia cautelare carceraria, così da produrre ancora ulteriori effetti confermativi della veridicità delle notizie accusatorie già propalate ed amplificate dai mass-media.
L'ulteriore risultato giudiziario cui si perviene con la sentenza definitiva, a distanza di anni, può anche risultare di segno opposto rispetto a quello iniziale, ma, intanto, le ripercussioni di quest'ultima decisione sullo opinione pubblica saranno minime
Dall'art. 329 c.p.p. si desume che "gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari", mentre l'ambito oggettivo del segreto si desume dalla lettura congiunta dell'art. 114 primo comma c.p.p: degli atti coperti dal segreto, infatti, "é vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto", "o anche solo del loro contenuto", "con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione".
L'art. 329 secondo e terzo comma prevede che "quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'art. 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi".
"Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato:
a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;
b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni.
A norma dell'art. 114 secondo e terzo comma "e' vietata la pubblicazione, anche parziale, dagli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
"Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado d'appello. E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni".
Vd Tribunale di Milano 8 aprile 1991 in Dir. Inf. 1992 secondo cui "la oggettività giuridica del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale risiede unicamente nell'interesse dello stato al normale funzionamento dell'attività giudiziaria, al fine proprio di impedire l'inquinamento della prova e o la fuga dei compartecipi e non involge affatto anche la tutela del diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza".
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