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Responsabilità civile e illecito
a. Responsabilità da fatto illecito.
1. Nozione. Nell'ordinamento ci sono situazioni giuridiche come l'integrità della persona, il suo onore, la proprietà sulle cose, che sono tutelate; l'interesse a queste situazioni è tutelato non mediante una prestazione da parte di altri, ma è tutelato dal semplice fatto che la persona possa continuare a godere della situazione.
Queste situazioni hanno una tutela erga omnes, nel senso che tutti i consociati devono astenersi dal lederle.
Se una di queste situazioni è violata, si parla di fatto illecito: il codice lo disciplina come "Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che l'ha commesso (danneggiante) a risarcire il danno a colui che l'ha ricevuto (danneggiato) (2043)".
Il fatto illecito, quindi, si ha quando vengono lesi l'altrui integrità, reputazione, diritto di proprietà o altra situazione soggettiva tutelata.
La responsabilità che consegue dalla violazione di tali precetti è chiamata responsabilità aquiliana (dal codice romanistico), o extracontrattuale (a differenza della responsabilità contrattuale gravante sul debitore), o responsabilità da atto o fatto illecito o, più recentemente, responsabilità civile.
Con il termine responsabilità civile, il legislatore vuole far prevalere la funzione riparatoria dell'istituto, su quella sanzionatoria.
Per illecito civile s'intende quel fatto che lede un diritto altrui; l'illecito civile riunisce in un unico concetto il fatto illecito e l'inadempimento dell'obbligazione.
Si parla di concorso di responsabilità quando un medesimo comportamento consiste a un tempo nell'inadempimento di un'obbligazione e nella lesione di un diritto assoluto della persona.
Ad es. Tizio resta ferito in un incidente mentre viene trasportato in vettura da Caio, col quale aveva stipulato un contratto di trasporto.
2. Imputazione del fatto. Affinché il fatto illecito sia causa di responsabilità per chi lo ha commesso, sono necessari alcuni presupposti chiamati elementi del fatto illecito; essi sono:
il profilo materiale o oggettivo riguarda il nesso di causalità fra la condotta della persona e l'evento lesivo.
Il nesso causale sussiste allorché il danno si verifica. In dipendenza del fatto umano, secondo l'ordine naturale delle cose e non rappresenta il prodotto di circostanze eccezionali (principio di causalità adeguata). Esempio: se Caio, ferito da Tizio, viene trasportato al pronto soccorso e quivi muore per un incendio, tizio non risponde delle conseguenze di tale ulteriore incidente, benché Caio non ne sarebbe stato vittima se non fosse stato ferito.
Il comportamento dannoso può consistere sia in un atto positivo (commissivo), dal quale il soggetto avrebbe dovuto astenersi, sia in un comportamento omissivo: questo è rilevante solo quando chi ne è l'autore aveva il dovere giuridico di agire e no l'ha fatto.
il profilo morale o soggettivo riguarda la colpa, che consiste nel comportamento della persona difforme da quello legale previsto, cioè sconsiderato, improvvido e imprevidente.
La colpa si qualifica dolo quando il soggetto che lo ha commesso ha agito con la coscienzae la volontà di cagionare l'evento dannoso.
La colpa con previsione si ha quando un soggetto è consapevole che il suo comportamento può produrre l'evento lesivo, ma manca comunque la volontà di produrre tale danno.
La colpa lieve si ha nei casi di violazione delle regole dell'ordinaria diligenza; la colpa lievissima si ha nei casi di violazione per una negligenza minima.
La colpa in senso stretto comprende la negligenza, l'imprudenza, l'imperizia, l'inosservanza delle leggi o dei regolamenti o di ordini o di discipline; la colpa in senso lato comprende sia il dolo che la colpa in senso stretto.
Perché il fatto dannoso possa essere imputato all'agente, l'art. 2046 richiede che questi siacapace di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso; nel caso in cui tali capacità manchino, il soggetto non risponde delle conseguenze del fatto dannoso, salvo che lo stato di incapacità sia dovuto per propria colpa (ad es. per essersi ubriacato) o sia statodolosamente determinato.
L'imputazione del fatto illecito è regolato dalla disciplina della responsabilità civile, la quale ha l'intento di svolgere due funzioni: una funzione sanzionatoria, con l'intento di far rispondere del fatto dannoso colui che lo ha commesso; una funzione preventiva, mediante la minaccia del risarcimento e la maturità delle persone.
3. Imputazione del fatto e fattispecie c.d. speciali di responsabilità. Di regola l'obbligo di risarcire il danno incombe su colui che ha commesso il fatto. Non mancano però ipotesi in cui, soprattutto allo scopo di rafforzare la tutela dei danneggiati, è prevista la responsabilità di un soggetto diverso dall'autore del fatto dannoso, accanto, eventualmente alla responsabilità di quest'ultimo.
Perciò ai criteri di imputazione del fatto sono stati affiancati altri criteri come laresponsabilità indiretta o per fatto altrui.
Il disegno del legislatore era quello di ricondurre ogni ipotesi di responsabilità ad un comportamento. Quindi si individua nel fatto proprio dell'agente la fonte della responsabilità: per fatto proprio si intende sia quello immediatamente riferibile alla persona, sia quello che è reputato tale in virtù di fattispecie espressamente disciplinate dalla legge (esempio: è considerato fatto proprio del committente il fatto illecito del dipendente commesso nell'esercizio delle sue mansioni).
Queste norme erano già presenti nel codice del 1865, che ha preso spunto dalla traduzione del Codice Napoleonico; con l'avvento del nuovo codice sono stati introdotti nuovi criteri come le presunzioni di colpa e le presunzioni di causalità, al fine di configurare al meglio l'imputabilità del soggetto.
Non sono reputati come criteri di imputazione il rischio-profitto, il rischio di impresa e l'esposizione al pericolo.
4. Lesione dell'altrui situazione. Affinché il danno sia fonte di responsabilità per chi lo ha causato, è necessario che sia ingiusto, ossia che si configuri una lesione della situazione giuridica soggettiva tutelata erga omnes dalla legge.
Se non vi è lesione, il danno è "giusto", cioè va sopportato da chi lo subisce, come ad esempio nell'ipotesi di un atto di concorrenza leale e non può essere trasferito su altri, cioè sul danneggiante o su altra persona indicata quale responsabile.
Secondo la dottrina tradizionale, il danno è ingiusto (e quindi risarcibile) solo quando consiste nella lesione di un diritto soggettivo assoluto: infatti, solo tali diritti si fanno valere erga omnes, per cui chiunque è in condizione di violarli; i diritti relativi (diritti di credito), invece, possono essere violati solo dal debitore che non esegue la prestazione.
In questi ultimi tempi, tuttavia, si è assistito ad un progressivo allargamento delle situazioni considerate meritevoli di tutela, che ha indotto ad elaborare nuovi modelli di risarcimento ispirati ai principi costituzionali di solidarietà, di eguaglianza e sicurezza sociale nei rapporti tra i privati.
Così l'interprete ha disciplinato alcune fattispecie in cui la lesione può provocare risarcimento: a) il danno per l'uccisione di un soggetto, attribuisce il diritto al risarcimento ai congiunti che ricevevano un sostentamento di tipo economico dal soggetto ucciso; b) la lesione di un diritto di credito ad opera di un soggetto diverso dal debitore, dà luogo ad una responsabilità aquiliana, quando abbia impedito l'adempimento (es.: uccisione del debitore in un incidente d'auto).
Il problema tuttavia sta nell'identificare quale situazione è giuridicamente rilevante.
Tale qualificazione può avvenire solo con l'interpretazione, che può dare una risposta equilibrata che sappia anche limitare l'area tutelata, in modo da non paralizzare le attività del soggetto che ha diritto di sapere di quali lesioni di diritti altrui può essere chiamato a rispondere.
Il nostro codice discorre di danno ingiusto anziché di fatto ingiusto per differenziarsi dal codice tedesco e dal codice inglese che discorrono di atti illeciti tipici, cioè di fattispecie specifiche di illecito strutturate nello stesso modo dei reati.
Del resto, non è rilevante rendere tipico o atipico il comportamento delle persone, in quanto tale comportamento è ritenuto illecito solo se produce lesione all'altrui situazione giuridicamente tutelata dalla legge.
5. Cause di giustificazione. La responsabilità dell'autore del fatto può essere limitata o esclusa quando ricorrano circostanze indicate come cause di giustificazione (o cause di esclusione di antigiuridicità): esse sono lo stato di necessità e la legittima difesa.
Lo stato di necessità (2045) si ha quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato (es. Tizio vede che Caio sta per far fuoco contro di lui e per salvarsi si nasconde dietro un passante); al danneggiato spetta però un'indennità calcolata dal giudice.
Presupposti
Il comportamento dell'autore deve essere cosciente, volontario e contrario a norme di legge, alla comune prudenza, alla diligenza e a norme tecniche;
il pericolo deve esistere e non deve essere putativo, cioè non deve provenire da una convinzione, ma deve essere reale;
ci deve essere una proporzione fra il fatto dannoso e il pericolo che si vuole evitare;
il danno incombente deve essere inevitabile, cioè non deve sussistere altra via per sfuggire al danno;
L'indennità che spetta al danneggiato è misurata dal giudice su criteri rigidi e predeterminati: egli può tener conto del pericolo, delle condizioni economiche delle parti, della gravità del danno; la funzione dell'indennità è quella di ripristinare la situazione del soggetto leso.
Lo stato di pericolo può anche essere causato dal fatto colposo di un terzo: in questo caso si verifica un concorso alternativo tra la responsabilità del terzo e quella del danneggiante.
Se il danneggiato non sia integralmente risarcito dal terzo, potrà rivalersi su colui che ha agito in stato di necessità (danneggiante): quest'ultimo, qualora abbia risarcito l'equa indennità, potrà rivalersi su che abbia creato la situazione di pericolo.
La legittima difesa (2044), in cui non è responsabile che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all'offesa.
I presupposti sono:
il verificarsi di un'aggressione di un diritto proprio o altrui: per diritto s'intende non solo quello di natura personale, ma anche di natura patrimoniale;
la proporzionalità fra difesa ed offesa: se la difesa è superiore all'offesa ricevuta, l'offesa originaria dell'aggressore-danneggiato conserva la sua rilevanza ai fini di una riduzione del risarcimento.
Se un soggetto, per difendere sé stesso o altri da un danno incombente proveniente da un aggressore, provoca un danno a terzo, è applicata la disciplina dello stato di necessità.
Alla categoria delle cause di giustificazione appartiene anche l'esercizio di un diritto: quando il soggetto è autorizzato dalla legge a tenere un comportamento lesivo per altri, in capo a lui non sorge nessuna responsabilità. Tuttavia in alcuni casi la legge prevede un'indennità per i danni cagionati dall'agente al fine di contemperare i confliggenti interessi dei soggetti coinvolti.
Tale esercizio va comunque distinto dall'abuso di diritto.
Alcuni esercizi di diritto sono:
tutela della salute e dell'ambiente, che esonera da responsabilità colui che agisce per tutelare la salute dell'uomo e dell'ambiente;
diritto di cronaca, che esonera da responsabilità colui che divulga notizie che possono incidere sul prestigio e sulla reputazione di singole persone, purché tali notizie siano vere e provenienti da fonti attendibili.
Altra causa di esclusione della responsabilità è il consenso dell'avente diritto, il quale consenso autorizza un altro soggetto a provocare un fatto lesivo al proprio diritto; tale causa trova però non poche limitazioni, soprattutto nel campo dei diritti indisponibili della persona.
La giurisprudenza ha qualificato illecito il comportamento di chi ha usato l'immagine altrui, senza il consenso della persona ritratta ed ha considerato illecita la copiatura di software per PC, senza il consenso del titolare del diritto di autore.
6. Distribuzione dell'onere della prova. La legge prevede che chi volesse agire per la riparazione del danno subito deve provare il fatto illecito altrui in tutti i suoi elementi (art. 2697).
Tale legge, comunque, trova delle eccezioni dettate dalla giurisprudenza, come ad esempio per la capacità di intendere e di volere; essa non deve essere provata dal danneggiato in quanto è presunta in chi abbia raggiunto la maggiore età o sia in prossimità di raggiungerla.
L'onere di provare che al momento del fatto ci fosse incapacità di intendere e di volere spetta al diretto interessato, ossia al danneggiante.
La legge ha previsto delle presunzioni sia di capacità, sia di colpa: le presunzioni di causalità postulano che in determinate circostanze la lesione dell'altrui situazione è imputabile a determinate persone più che ad altre o alla causalità; le presunzioni di colpapostulano che il comportamento delle persone che hanno commesso il fatto è strettamente legato alla colpa, cioè tali soggetti non hanno tenuto un comportamento idoneo ad evitare il fatto lesivo.
Presunzioni di causalità: l'onere della prova spetta al danneggiato che deve provare un collegamento tra l'evento lesivo e il comportamento del soggetto su cui grava la responsabilità di un determinato soggetto.
Presunzioni di colpa: l'onere spetta al danneggiante e si parla di prova liberatoriaperché il questi deve provare di aver tenuto un comportamento idoneo ad evitare l'evento.
Il danneggiante può provare la sua innocenza con varie prove liberatorie, come ad esempio la "prova di non aver potuto impedire il fatto" o la "prova di aver fatto tutto il possibile per impedire il danno" o la "prova di caso fortuito".
In conclusione, la legge crea modelli di comportamento a cui le persone devono attenersi per non vedersi imputare gli eventi dannosi verificatesi in connessione con la loro attività o posizione.
Le presunzioni di causalità e di colpa sono determinate su criteri probabilistici - statistici, su criteri tecnici.
7. Il principio della colpa. Il principio personale della responsabilità è stato di recente duramente criticato: difatti, la dottrina prevalente presuppone la responsabilità anche in mancanza di colpa, perché il danneggiante, anche se dimostra di aver preso tutte le possibili misure idonee ad evitare il danno, sicuramente non ha adottato una misura ulteriore oltre a quelle in concreto adottate.
Altri esempi di responsabilità in assenza di colpa sono i danni anonimi, dove è difficile trovare chi è l'autore dell'evento lesivo.
Quindi, al principio generale della responsabilità del fatto illecito (art. 2043) si oppone il principio della responsabilità oggettiva, dove il soggetto risponde di un fatto lesivo anche se lo ha commesso senza dolo o colpa.
La responsabilità oggettiva si configura in molte eccezioni previste e disciplinate dal codice; essa si basa sulla sola esistenza di un rapporto di causalità tra il fatto e l'evento lesivo.
Il soggetto, a cui è imputato il fatto dannoso e sui cui grava la responsabilità oggettiva, può liberarsi da tale responsabilità provando l'imprevedibilità o l'inevitabilità dell'evento dannoso, cioè deve provare la mancanza del nesso di causalità tra il suo comportamento e l'evento lesivo.
Con questa nuova ottica di responsabilità, anche il risarcimento ha subìto delle modifiche: difatti il risarcimento, sotto questa nuova prospettiva, ha una funzione non sanzionatoria, ma riparatoria, ossia restitutoria della situazione lesa.
b. Responsabilità c.d. speciali.
8. Responsabilità per danno cagionato dall'incapace. In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere e di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Il dovere di sorveglianza dell'incapace si fonda non solo su un vincolo giuridico, come l'obbligo che grava sui genitori e sui tutori, ma si fonda anche su una relazione di fattocome la coabitazione, la convivenza o da una libera scelta, come ad esempio la responsabilità del minore che grava sui nonni con i quali egli convive.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 2047 è indifferente che l'incapace sia di maggiore o minore età, in quanto ne rispondono i genitori che con lui convivono e coabitano.
Nel caso di un fatto lesivo commesso da infermo di mente, ne risponde l'azienda sanitaria che aveva l'obbligo di sorvegliarlo.
L'accertamento dello stato di incapacità di intendere e di volere non è fatto tramite precisi indici normativi, ma tramite criteri di comune esperienza e nozioni della scienza.
Affinché il soggetto tenuto alla sorveglianza possa dimostrare la sua non responsabilità, egli può esperire la prova liberatoria con la quale dimostra che l'evento dannoso si è verificato improvvisamente mentre egli stava tenendo un normale e diligente esercizio della sorveglianza.
Nel caso in cui il danneggiato non consegue il risarcimento da parte del sorvegliante, egli può ottenere un'equa indennità dallo stesso incapace, autore materiale del fatto lesivo; l'indennità è misurata dal giudice tenendo conto delle condizioni economiche delle parti.
9. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori, dei maestri d'arte. L'art. 2048dispone che per il fatto illecito commesso da minori d'età non emancipati, capaci d'intendere e di volere, ne rispondono i genitori e i tutori che non abbiano fatto quanto necessario per impedire il fatto illecito del minore; responsabili, quindi, non sono solo i genitori e i tutori, ma anche gli adottanti, i precettori, i maestri d'arte che sono responsabili per il fatto illecito dell'allievo o dell'apprendista.
La responsabilità di questi concorre con quella del minore, ma è autonoma da questa.
Il danneggiato può proporre azione contro i genitori, tutori, precettori, e anche contro il minore; in seguito il genitore, che ha risarcito il danno provocato dal minore, può agire in via di regresso nei confronti del figlio.
Per precettore la giurisprudenza intende sia insegnanti di scuole pubbliche e private, sia istruttori, escludendo però i direttori didattici.
I genitori, se volessero dimostrare la loro non responsabilità, possono esperire la prova liberatoria che richiede sia una prova negativa, ossia la non possibilità di impedire il fatto, che una prova positiva, ossia occorre provare di aver svolto con adeguatezza una giusta vigilanza sul minore e di avergli impartito un'idonea educazione.
Ai fini della prova liberatoria ha molta rilevanza l'educazione impartita e non vengono tenuti in considerazione i giudizi scolastici, in quanto il minore può avere comportamenti diversi fuori e dentro la scuola.
Per quanto riguarda, invece, la prova liberatoria dei precettori, ci sono 2 orientamenti:
il primo ritiene necessario che il fatto illecito dell'allievo sia stato repentino ed imprevedibile;
il secondo postula che la vigilanza del precettore non deve essere assoluta, ma relativa, cioè deve essere proporzionata alla maturazione e all'età dell'allievo.
Non sono responsabili del fatto illecito, commesso dall'allievo durante l'intervallo, gli insegnanti che stavano operando il cambio; se il fatto illecito dell'allievo, avviene durante l'ora di lezione, l'insegnate è responsabile se era assente per motivi non giustificati.
Per quanto riguarda i maestri d'arte, ossia coloro che insegnano un mestiere o un'arte, sono ritenuti responsabili dei danni causati dal minore durante l'apprendimento di una professione.
10. Responsabilità dei padroni e dei committenti. L'art. 2049 dispone che per il fatto illecito di commesso o domestico, nell'esercizio delle loro incombenze, ne rispondono i padroni e i committenti. I presupposti di tale responsabilità sono:
il fatto illecito deve essere causato dal commesso o domestico;
un rapporto di preposizione tra il padrone o i committenti e i suoi commessi o domestici; tale rapporto si può configurare in un lavoro subordinato, o in unmandato. È sufficiente che ci sia una relazione tra il commesso che agisce in una posizione di subordinazione, e il committente che ha un potere di direzione, di controllo e di sorveglianza sulla condotta e sull'operato del commesso; è escluso tra i rapporti di preposizione, che rendono applicabile l'art 2049, quello d'agenzia e quello d'appalto, perché l'agente e l'appaltatore agiscono in propria autonomia assumendosi il rischio dell'opera;
un nesso di dipendenza tra il danno e le incombenze da svolgere; è sufficiente unnesso di occasionalità necessaria, cioè se le mansioni svolte dal commesso sono state tali da agevolare o favorire la produzione dell'evento dannoso. Affinché il nesso di dipendenza sia valido, è richiesto che le mansioni che si stavano svolgendo al momento del fatto, rientrino nell'attività che è stata affidata: se all'operaio, recatosi in una casa per montare delle tende, viene chiesto il piacere di aggiustare un televisore, se nell'operazione questo viene danneggiato, del fatto non ne risponde il titolare della ditta.
Per quanto riguarda l'onere della prova, se il committente o padrone vuole dimostrare la sua non responsabilità del fatto, deve provare che non vi sia un nesso fra le mansioni affidate e l'illecito commesso dal dipendente.
Il committente, che ha risarcito il danno provocato dal commesso, può esperire azione di rivalsa contro il dipendente stesso per l'intera somma.
Ratio: trattasi di resp. oggettiva per fatto altrui (o indiretta) fondato sulla sussistenza di un rapporto di preposizione e di un nesso di occasionalità.
La Resp. oggettiva si basa su un principio di equità che impone di trasferire l'obbligo di risarcimento del danno dai dipendenti ai datori di lavoro, che è il soggetto economicamente più forte, così da assicurare al danneggiato una completa riparazione del danno subìto.
11. Responsabilità per l'esercizio di attività pericolosa. L'art. 2050 dispone che chiunque cagioni danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa per sua natura o per natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Affinché un'attività sia ritenuta pericolosa per sua natura o per natura dei mezzi adoperati, è richiesta l'esistenza di una rilevante probabilità di danno derivante da tale attività, oppure che tale attività abbia una spiccata pericolosità offensiva; un'attività è valutata pericolosa prima che accada l'evento e l'accertamento è fatto su criteri di esperienza e su nozioni di scienza.
L'attività pericolosa si distingue dalla condotta pericolosa in quanto la condotta pericolosa è caratterizzata da un'attività innocua, ma divenuta pericolosa a seguito della condotta negligente di chi la esercita.
Per le attività pericolose non è necessario dimostrare il nesso di causalità, in quanto è sufficiente l'esistenza di un nesso intrinseco (eziologico) tra l'attività e il danno.
Nel caso il soggetto che esercita l'attività pericolosa voglia liberarsi dalla responsabilità, deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, comprendendo anche quelle ancora non obbligatorie al momento del sinistro.
Il soggetto che esercita l'attività pericolosa è liberato dalla responsabilità, se la partecipazione del terzo è rilevante al punto tale da escludere il nesso causale tra l'attività pericolosa e l'evento.
Dalla disciplina ex art. 2050 restano escluse quelle attività che, pur se pericolose in sé o per definizione legislativa, siano tuttavia regolate, quanto alla responsabilità, da norme particolari contenute nello stesso codice civile.
12. Responsabilità per danno cagionato da cose in custodia. L'art. 2051 dispone che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
L'articolo riguarda i danni cagionati dalla cosa autonomamente, cioè senza che questa sia azionata o manovrata dall'uomo: se il danno è prodotto a causa di un uso errato o maldestro della cosa, si rientra nell'ipotesi generale dell'art. 2043. Esempio: il gestore di un bar è responsabile dei danni cagionati ai clienti dalla improvvisa esplosione di alcune bottiglie contenenti una bevanda gassata.
Per custode la giurisprudenza intende, il proprietario, l'usufruttuario, l'enfiteuta, il conduttore, il possessore, ossia colui che esercita un effettivo e non occasionale potere materiale sulla cosa.
L'onere della prova spetta al danneggiato che deve provare non solo l'esistenza di un effettivo potere fisico sulla cosa, ma anche un nesso di causalità tra il danno e la custodia inadeguata del custode. Il custode può liberarsi dalla responsabilità, provando il caso fortuito; per caso fortuito non s'intende solo il fatto imprevedibile ed inevitabile, ma anche il fatto del danneggiato e il fatto del terzo: il custode è liberato quando il terzo o il danneggiato abbia fatto un utilizzo della cosa difforme dagli usi previsti.
La natura della responsabilità si fonda sul dovere di custodia degli oggetti che incombe sul custode.
13. Responsabilità per danno cagionato da animale. L'art. 2052 dispone che del danno cagionato da animale ne risponde il proprietario o chi ne fa uso, sia che l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse fuggito o smarrito, salvo che si provi il caso fortuito.
Sono danni cagionati da animali quelli prodotti da un fatto autonomo dell'animale a prescindere, quindi, dalla guida o da un comando dell'uomo; sono esclusi dalla responsabilità per esempio il contagio di malattie infettive o il caso in cui un soggetto inciampa su un animale accovacciato.
L'art. 2052 è applicabile per ogni specie di animale: domestico, randagio, feroce, addomesticato; anche la selvaggina rientra nel campo di applicazione del 2052 e del danno cagionato ne risponde lo Stato, in quanto la selvaggina rientra nella categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato.
I soggetti responsabili sono sia il proprietario che si serve dell'animale per un determinato tempo e rispondono non solo per la custodia dell'animale, ma anche se esso fugga o venga smarrito; tali soggetti possono esperire la prova liberatoria dimostrando il caso fortuito.
Per quanto riguarda la responsabilità, parte della dottrina la configura come unaresponsabilità soggettiva, in quanto derivata dalla non adeguata custodia dell'animale; altra parte la configura, invece, come una responsabilità oggettiva, perché anche un'adeguata custodia non può impedire all'animale di avere un comportamento istintivo e convulso proprio della sua natura.
14. Responsabilità per rovina di edificio. L'art. 2053 dispone che per il danno cagionato dalla rovina di un edificio o di un'altra costruzione ne risponde il proprietario, salvo che provi che tale rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
Il soggetto responsabile è il proprietario, salvo nel caso in cui l'edificio era in custodia di un altro soggetto perché in questo caso il proprietario che ha risarcito il danneggiato può esperire azione di regresso nei confronti del custode (responsabilità solidale).
Soggetto responsabile è anche il proprietario di un immobile dato in locazione perché egli ha il dovere di vigilare sull'efficienza del fabbricato; tuttavia, il conduttore non solo ha l'obbligo di avvertire il locatore sulla necessità di riparazioni, ma risponde anche dei danni causati dalle piante poste nel giardino dell'immobile.
Nel caso di un diritto reale di godimento sull'immobile, ne rispondono solidalmente il proprietario e il titolare del diritto.
La giurisprudenza intende per edificio qualsiasi immobile o altra costruzione fabbricata con materiale edilizio ed incorporata al suolo; con il termine rovina la giurisprudenza indica la disgregazione e il distacco non solo di parti dell'edificio, ma anche di accessori e manufatti incorporati allo stesso (tegole e cornicioni).
Il proprietario responsabile può esperire la prova liberatoria dimostrando che la rovina è stata causata non da un difetto di manutenzione o da un vizio di costruzione, ma dal caso fortuito (es: infiltrazione per piogge abbondanti).
Seconda la dottrina si tratta di responsabilità oggettiva, mentre la giurisprudenza ricorre alla nozione di presunzione di responsabilità.
15. Responsabilità per danni da circolazione di veicoli. L'art. 2054 dispone che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno;
Nel caso di scontro fra più veicoli, vige la presunzione della pari colpevolezza dei conducenti, se non sia possibile accertare che il fatto è imputabile ad uno dei due conducenti (art. 20542).
Solidalmente col conducente rispondono del danno anche il proprietario o l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio, e il conduttore può liberarsi solo se dimostri di aver adottato tulle le specifiche misure per impedire la circolazione del veicolo e non basta che egli provi che il veicolo ha circolato anche senza la sua autorizzazione (art. 20543).
Se il conducente volesse liberarsi dalla responsabilità deve dimostrare di aver tenuto lamassima diligenza nella circolazione; tuttavia, è responsabile, nonostante la massima diligenza tenuta, anche se il vizio di costruzione o il difetto di manutenzione non erano a lui imputabili o da lui conosciuti, in quanto vige la responsabilità oggettiva (art. 20544).
La giurisprudenza intende per veicolo qualsiasi mezzo di trasporto di persone o di cose guidato dall'uomo e che può circolare liberamente, escludendo quindi i veicoli a rotaie che non possono circolare liberamente; per circolazione la giurisprudenza intende il movimento del veicolo su via pubblica o aperta al pubblico, comprendendo nel movimento anche la sosta e la fermata.
In conclusione, tale norma sulla circolazione è, comunque, coadiuvata dal codice della strada.
16. Responsabilità per danni da prodotti difettosi. Il legislatore dispone che per il danno cagionato da prodotto difettoso ne risponde il produttore, ossia il fabbricante del prodotto finito.
Per produttore si intende colui che ha fabbricato il prodotto finito, colui che ha apposto il proprio nome, marchio o qualsiasi segno distintivo; se il produttore non è individuabile, il responsabile del danno è il fornitore del prodotto.
Tale disciplina è applicabile solo se il fornitore non abbia fornito al danneggiato, entro tre mesi dalla sua richiesta, l'identità e il domicilio del produttore.
Per prodotto si intende ogni bene mobile inclusa l'elettricità ed esclusi i prodotti agricoli.
I difetti si differenziano in:
difetti di fabbricazione, se riguardano i singoli esemplari e ricorrono quando il prodotto non offre la stessa sicurezza normalmente offerta dagli altri esemplari della stessa serie;
difetti di progettazione e di informazione, se riguardano l'intera serie dei prodotti e ricorrono quando il prodotto non offre la stessa sicurezza che si può legittimamente attendere tenuto conto di alcune circostanze, come la pubblicità del prodotto e il tempo impiegato per la sua produzione.
L'onere della prova spetta al danneggiato, che deve provare l'esistenza del nesso di causalità fra il danno e il difetto; il danneggiante-produttore può, tuttavia, liberarsi dalla responsabilità dimostrando l'inesistenza di tale nesso eziologico (di causalità) e può avvalersi delle cause di esclusione della responsabilità dettate dalla legge (es: il produttore non è responsabile se non ha messo in circolazione il prodotto).
Per danno risarcibile la legge intende quello cagionato dalla morte o da lesioni personali e deve superare la misura di £ 750.000 (
17. Responsabilità dei magistrati. Il legislatore ha disciplinato il risarcimento dei danni cagionati al cittadino dal giudice nell'esercizio delle funzioni giudiziarie.
Tali norme sono applicate ai magistrati ordinari, amministrativi, militari, contabili, speciali, onorari e a coloro che partecipano all'esercizio della funzione giuridica in qualità di esperti; questi soggetti rispondono dei danni cagionati al cittadino sia che esercitino la funzione giuridica come giudice unico, sia in modo collegiale.
Fonte di responsabilità è un qualsiasi comportamento, atto o provvedimento deciso dal giudice con dolo o colpa grave; esempio di comportamento gravemente colposo è la violazione della legge, l'affermazione o negazione di un fatto, la cui esistenza o inesistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del giudizio.
L'azione di risarcimento decade entro 2 anni, che decorrono dal momento in cui è possibile esperirla.
L'azione di risarcimento, e quindi di responsabilità, è sottoposta ad un giudizio preliminare di ammissibilità: se la domanda appare infondata, è rigettata dal tribunale.
Il cittadino che vuole essere risarcito, deve esperire l'azione contro lo Stato (nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri), il quale, dopo aver risarcito il danno, può effettuare rivalsa di 1/3 della somma risarcita sullo stipendio percepito in un anno dal magistrato.
Il magistrato è responsabile solidalmente con lo Stato nel caso in cui l'illecito, integri gli estremi del reato: solo in questo caso il danneggiato può agire direttamente nei confronti del magistrato. Se a risarcire il danno ha provveduto lo Stato, questi ha azione di rivalsanei confronti del magistrato per l'intera somma.
18. Responsabilità per il c.d. danno ambientale. Il legislatore ha disciplinato il risarcimento per danno ambientale.
Con il termine ambiente, la giurisprudenza non intende solo un insieme comprendente beni e valori, ma anche una realtà priva di consistenza materiale che è espressione di un autonomo valore giuridicamente rilevante; esempi classici di ambiente sono il paesaggio urbano e rurale.
I soggetti legittimati ad esperire l'azione di risarcimento sono lo Stato, gli Enti territoriali, ma anche il singolo che dimostri di aver subìto un danno in seguito all'evento lesivo.
Per danno ambientale la giurisprudenza intende effetti lesivi istantanei e permanenti, immediati e mediati sull'ambiente; comprende inoltre la compromissione dell'ambiente o la rottura degli equilibri fra le varie componenti dell'ambiente stesso.
La misura del risarcimento è determinata da criteri come la gravità della colpa, il costo necessario per il ripristino, il profitto conseguito dal trasgressore.
c. Illecito e danno.
19. Prevenzione dell'illecito riparazione del danno. Nei confronti del fatto illecito, la legge persegue 2 obiettivi:
il primo è quello di evitare il danno;
il secondo è quello di riparare effetti negativi prodotti dal danno.
Per quanto riguarda all'obiettivo di evitare il danno, il nostro ordinamento è da sempre poco efficace: infatti, a difesa delle situazioni soggettive, la legge civile non prevede unagenerale azione inibitoria, cioè un potere del soggetto di agire in giudizio per impedire il compimento di atti che possono lederlo.
La legittima difesa non ha una funzione inibitoria, ma ha l'effetto di scoraggiare la commissione dell'illecito e di assicurare al danneggiato un risarcimento.
Il legislatore ha disciplinato solo poche fattispecie specificate di prevenzione come la tutela del diritto di autore, la denuncia di nuova opera e di danno temuto:
la denuncia di nuova opera mira ad impedire i pericoli che possono derivare dalla costruzione di nuova opera o di nuova attività;
la denuncia di danno temuto mira a prevenire il pericolo di un danno grave ed imminente causato da una qualsiasi cosa già esistente.
Per quanto riguarda l'obiettivo di riparazione degli effetti negativi prodotti dal danno, si configurano 2 tipi di risarcimento:
risarcimento generale o risarcimento per equivalente, che mira a riparare l'effetto negativo prodotto dall'illecito, o a compensare le perdite; inoltre, mira ad eliminare gli altri effetti negativi riconducibili ad una valutazione economica.
risarcimento in forma specifica, che mira ad eliminare l'effetto materiale della lesione, ad eliminare il danno e a ristabilire la situazione precedente. Può incidere sia su una situazione materiale (la cosa danneggiata viene riparata), sia su un interesse morale(una notizia falsa viene rettificata)
Anche se il danneggiato può scegliere fra i 2 risarcimenti, il giudice respingerà la scelta di risarcimento in forma specifica se non è del tutto in parte possibile, o se è troppo onerosa per il danneggiante (per questo è un metodo poco usato). In conclusione queste 2 forme di risarcimento possono anche concorrere.
20. Concetto e tipi di danno. Il danno è l'alterazione di una situazione giuridica di un soggetto provocata dall'illecito di un altro soggetto.
Esso presuppone la riparazione e viene accertato con questo procedimento: viene paragonata la situazione esistente (es: la cosa è rotta), con la situazione precedente (es: la cosa è integra), e viene determinato il peggioramento. Il danno si distingue in:
patrimoniale che consiste nelle conseguenze economiche sfavorevoli provocate da una determinata lesione. È indifferente se il bene o l'interesse leso sia patrimoniale o meno, poiché conseguenze economiche (patrimoniali) sfavorevoli possono derivare sia dalla lesione di un bene di natura patrimoniale, sia dalla lesione di un bene di natura non patrimoniale;
non patrimoniale che consiste nel dolore, nella sofferenza, fisica o spirituale, che un soggetto subisce per effetto dell'evento lesivo. Vengono annoverati in questa categoria anche la lesione della persona e dei diritti della personalità.
Entrambe le specie di danno sono riparabili con risarcimento sia generale, che in forma specifica.
Negli ultimi tempi è stato definito anche un nuovo genus di danno, il c.d. danno biologico: esso consiste nella lesione provocata al benessere psico - fisico dell'individuo a prescindere da una perdita patrimoniale o meno. Esempi di danno biologico sono il danno estetico, il danno da stress, il danno alla sfera sessuale.
21. Risarcibilità del danno e regole del risarcimento. La legge dispone che il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge (art. 2059); da questo fatto ne consegue che il risarcimento del danno non patrimoniale avviene solo quando l'illecito è allo stesso tempo reato (es: danno morale).
Il risarcimento del danno comprende sia l'effettiva perdita (danno emergente), sia ilmancato guadagno (lucro cessante); logicamente, per il risarcimento del danno non patrimoniale è escluso il lucro cessante.
I danni possono essere imprevedibili e prevedibili, ma in entrambi i casi vengono risarciti.
Il legislatore dispone che il danno va risarcito per intero; nel caso in cui non sia possibile misurare il risarcimento con parametri tecnici, la misurazione dell'ammontare è rimessa al giudice che liquida secondo equità.
L'erogazione del risarcimento può avvenire anche tramite rendita vitalizia, quando il danno ha carattere permanente.
22. Responsabilità civile, tutela assicurativa, sicurezza sociale. La responsabilità civile spesso non è idonea a risarcire il danno ricevuto, in quanto, a volte, il danneggiante non è in condizione di riparare il danno cagionato.
Un mezzo per debellare tale rischio è l'assicurazione: essa è uno strumento che indennizza il danneggiato dalla lesione da ricevuta a prescindere dal fatto che la lesione sia imputabile ad altri o al caso.
L'assicurazione può essere anche imposta dalla legge per l'esercizio di determinate attività: esempi sono la circolazione, la navigazione aerea.
Con l'assicurazione obbligatoria vi è una distribuzione del rischio su tutti gli assicurati, che contribuiscono alla riparazione del danno cagionato da alcuni pagando un premio.
La limitazione di questa misura ad alcune attività è dovuta sia al fatto che l'assicurazione ha un costa elevato, sia perché un'eccessiva estensione di questo esercizio farebbe calare il livello di diligenza del singolo nello svolgimento della propria attività.
Per determinati danni è prevista una sicurezza sociale, fondata sull'obbligo di tutti i consociati di contribuire al risarcimento per i soggetti che sono colpiti da tali danni.
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