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AppuntiMania.com » Universita » Appunti di Diritto » Positivismo giuridico - contingenza delle norme e soluzione delle controversie




Positivismo giuridico - contingenza delle norme e soluzione delle controversie




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POSITIVISMO GIURIDICO - CONTINGENZA DELLE NORME E SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE

Nel capitolo settimo ed ottavo troviamo uno dei temi fondamentali della filosofia del diritto: il positivismo giuridico. Il positivismo giuridico ha origine anche se in maniera indiretta da una filosofia della fine dell'800 che si chiama, appunto, positivismo e quindi quello giuridico rappresenterebbe la sua esplicazione sul piano della filosofia del diritto. Il positivismo giuridico si basa sulla concezione che tutta la realtà esistente è solo quella dei fatti. Tutta la dimensione metafisica, spirituale, religiosa è esclusa dalla considerazione del positivismo, perché per il positivismo soltanto i fatti sono conoscibili. E chi è che conosce i fatti è quindi la "regina" nella forma più alta della conoscenza: la scienza. Per cui, secondo il positivismo giuridico, anche la filosofia del diritto deve essere vista comunque come inferiore, dal punto di vista conoscitivo, rispetto alla scienza. Il positivismo giuridico, quindi, afferma che il diritto va interpretato come i fatti, come un insieme di fatti. Allora, il positivismo giuridico, in particolar modo, tende ad interpretare il diritto come fatti e quindi tende a valutare il diritto più per i contenuti che il diritto veicola, per la forma, cioè al diritto non interessa tanto cosa dicono le norme, ma interessa che queste norme siano valide, cioè che siano state emanate da una forza legittimata ad emanarle e quindi abbiano validità. Per cui per il positivismo giuridico di cui Kelsen è il massimo rappresentante è importante non il contenuto delle leggi ma la validità, la forma, e questa dipende, appunto, dalla legittimità del legislatore che ha emanato queste norme. E' evidente che ciò che diventa importante in questa concezione nell'ambito del diritto, non è più tanto l'illecito, quanto la sanzione. Quando un comportamento può essere definito antigiuridico, quindi quando può essere considerato penalmente perseguibile? Quando c'è un potere legislativo che sanziona una pena, un certo comportamento. Secondo il positivismo giuridico, quindi a tal proposito, uccidere è un reato non perché l'atto è illecito in sé, ossia perché ha l'atto, un carattere d'ingiustizia proprio in se stesso, ma uccidere è un reato perché così è stato sanzionato dalle leggi italiane. Cioè l'illecità di un comportamento è determinata soltanto dalla norma che stabilisce che quel comportamento è illecito e quindi va sanzionato. E' evidente che questa concezione, secondo D'Agostino, è inattaccabile soprattutto per un elemento e cioè per il fatto che si tendono a giustificare anche delle norme, delle leggi, che appaiono veramente ingiuste in se stesse. Cioè il fatto che durante il nazismo ci fossero delle leggi che stabilissero principi di anti-semitismo, non per questo rendeva quelle leggi giuste. Cioè, il problema del positivismo è quello di non riuscire a dare una giustificazione4 accettabile delle norme, ne stabilisce solo la validità- Ossia per il positivismo non c'è differenza, ad esempio, tra uccidere e non uccidere, l'unica cosa importante è che cosa sia stato stabilito a riguardo del potere legislativo. La teoria positivista culmina nella teoria "dell'ordinamento giuridico", inteso come il complesso delle norme giuridiche vigenti, caratterizzato da totale coerenza interna e dalla possibilità di principio di colmare qualsiasi lacuna. Il primato della legislazione comporta l'elaborazione di una particolare teoria dell'interpretazione, volta a ridurre drasticamente ogni rischio di eccessiva autonomia dell'interprete: il positivismo riconosce in pratica solo l'interpretazione testuale (grammatica. logica. sistematica) della legge; in casi limite, quando la legge richiede necessariamente l'integrazione, esso riconosce la legittimità di un'interpretazione extra-testuale analogica o estensiva, ma in nessun caso ammette un'interpretazione antitestuale (evolutiva, assiologia), che cioè vada contro la volontà legislativa cristallizzata nella legge.

Da tutto questo si può dedurre che D'Agostino è anti-positivista, in quanto egli afferma che il reato di uccidere ha un carattere ingiusto in sé e quindi va sanzionato, indipendentemente dal fatto che sia o non sia sanzionato da una norma. Un problema che sorge è la differenza tra giusnaturalismo e positivismo giuridico. Il giusnaturalismo sostiene dei principi universali. Infatti, il reato di uccidere per il giusnaturalismo è un reato che vale da sempre e per sempre in quanto è un principio ingiusto; però, contemporaneamente il diritto ha a che fare con situazioni storiche contingenti, che mutano continuamente, quindi il problema è: come conciliare l'universalità dei principi, di cui parla il giusnaturalismo, con la mutevolezza storica degli eventi. E' questa una conciliabilità che non sempre è possibile. Il giusnaturalismo esamina le norme da un punto di vista della perfezione, cioè il giusnaturalismo si basa su principi di diritto naturale, di valori universali, giustizia assoluta, ai quali principi, le norme devono, in qualche modo, adeguarsi. Ci sono alcuni valori perfetti a cui le leggi positive che vengono elaborate, devono adeguarsi a cercare, in qualche modo, la legge italiana non rispetta il precetto del "non uccidere". Quindi per il giusnaturalismo, comunque, elemento fondamentale è quello della perfezione, della tendenza verso la perfezione; invece per il positivismo giuridico, le leggi, non avendo a che vedere con un riferimento assoluto, come sono appunto i diritti naturali, secondo il positivismo giuridico, le leggi cambiano a secondo della volontà del legislatore. Quindi per il positivismo, il diritto è connotato non dal carattere della perfezione, dell'assolutezza, ma da quello della contingenza, della mutabilità. Però, quello che D'Agostino vuole affermare è che comunque, è vero che le norme, il diritto, le leggi possono mutare in quanto sottoposte ad un mutamento storico legato ai cambiamenti della società, della cultura e dell'epoca, ma che però in questo processo di mutamento, i riferimenti dei valori certi, come ad esempio, al concetto di giustizia, non possono mutare. Quando, cioè, i giuristi elaborano le loro norme, essi hanno sempre la pretesa di realizzare norme che si avvicinano a dei valori oggettivi, universali, e quindi validi per ogni individuo. Pertanto bisogna rendersi conto che la mutabilità delle norme, non necessariamente, è in conflitto con questi valori oggettivi, supremi di cui è assertore il giusnaturalismo. Per cui il piano della contingenza e quello dei valori universali, possono essere, in qualche modo, visti non distinti e separati l'uno dall'altro. L'oggettività dei valori deve seguire, in qualche modo, come una sorte di postulato (principio base) per esempio: le Carte dei Diritti, o meglio, la dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, ha elaborato e manifestato dei principi , dei valori, dei diritti universali, per cui vediamo che ci sono dei tentativi di superare il relativismo, la mutabilità delle norme storiche e di arrivare, quindi, a dei principi assoluti.


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