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La durata massima della prestazione di lavoro
La disciplina che limita la durata massima della prestazione di lavoro, concernente l'orario di lavoro, le pause settimanali e le ferie annuali, svolge una rilevantissima funzione di tutela della persona del lavoratore. Essa, infatti, è volta a consentire a quest'ultimo non solo di reintegrare le energie spese nello svolgimento della propria attività, ma anche di soddisfare le proprie esigenze ricreative, familiari e sociali.
Le principali fonti normative in materia sono:
La durata massima concerne il solo lavoro effettivo, ossia quello che richiede un'applicazione continua e senza soste. Per tale ragione, oltre che per le particolari mansioni svolte, sono escluse dalla disciplina generale alcune categorie di lavoratori, e cioè:
Inoltre, poiché per il calcolo della giornata lavorativa deve, come si è detto, farsi riferimento al solo lavoro effettivo, non possono prendersi in considerazione: i riposi intermedi (per la consumazione dei pasti); il tempo occorrente per recarsi al lavoro; quello necessario per indossare gli abiti di lavoro o per fornirsi degli attrezzi; le soste di lavoro non inferiori a 10 minuti dovute a forza maggiore oppure a necessità tecniche. Le parti possono protrarre l'orario di lavoro oltre il limite stabilito dalla legge nel caso di:
In tali ipotesi, il prolungamento dell'orario di lavoro va comunicato al competente Ufficio provinciale del lavoro. In conclusione, va notato anche che la durata massima della prestazione lavorativa, benché finalizzata alla tutela del prestatore, si configura quale limite ai poteri datoriali, con la conseguenza che, in caso di violazione, penalmente sanzionato è il solo comportamento del datore.
Il lavoro straordinario
Il lavoro straordinario è quello che eccede l'orario massimo. Al riguardo, l'art. 2108, co. I, c.c., dispone che 'in caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario'. Il successivo co. III stabilisce, poi, che i limiti entro i quali il lavoro straordinario è consentito, la durata di esso e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi. La legge cui rinvia l'art. 2108, c.c., è il R.D.L. 692/1923, che fissa limiti rigorosi per lo svolgimento del lavoro straordinario, stabilendo che esso può essere prestato sempreché:
Per le sole imprese industriali, è anche necessario che:
L'effettuazione del lavoro straordinario è esclusa per:
Gli studenti lavoratori possono, invece, rifiutarsi di svolgere lavoro straordinario. Ai termini dell'art. 1, co. II, R.D.L. 692/1923, agli impiegati con funzioni direttive per i quali non sia fissata la durata massima dell'orario di lavoro non spetta il compenso per lavoro straordinario. Tale esclusione non ha, però, secondo la giurisprudenza, carattere assoluto, essendo comunque soggetta a limiti di ragionevolezza.
Il lavoro notturno
Si ha lavoro notturno quando la prestazione viene eseguita di notte, e cioè, secondo l'opinione generale, tra le ore ventidue e le ore sei. Il lavoro notturno è soggetto ad una serie di divieti e di limitazioni, in quanto, alterando i ritmi biologici di vita del prestatore, risulta più dannoso e faticoso non solo del lavoro diurno, ma anche del lavoro straordinario. Così esso è vietato dalla legge:
L'art. 2108, co. II, c.c., dispone che il lavoro notturno deve, al pari di quello straordinario, essere retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno. Tale regola non si applica al lavoro notturno compreso in regolari turni periodici, in quanto in tal caso viene meno il carattere di straordinarietà e la prestazione rientra nel normale lavoro dei turnisti (spesso, però, i contratti collettivi prevedono per tale ipotesi la stessa maggiorazione prevista per il lavoro notturno). Ai sensi del co. III dell'art. 2108, i limiti entro cui il lavoro notturno è consentito, la sua durata e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il riposo settimanale
L'art. 36, co. III, Cost., riconosce il diritto
irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale. Tale diritto è ribadito
dall'art. 2109, c.c., che, al co. I, precisa che, di norma, il giorno di riposo
deve coincidere con la domenica. La disciplina specifica è, essenzialmente
contenuta nella L. 22 febbraio 1934, n. 370, che riconosce il diritto al riposo
settimanale a tutti i prestatori e ne determina la durata in 24 ore consecutive
(dalla mezzanotte di un giorno fino alla mezzanotte del giorno successivo).
Anche
Se, per cause eccezionali, la prestazione lavorativa viene effettuata nel giorno di riposo, il prestatore ha diritto ad un giorno di riposo compensativo, e ad una maggiorazione della retribuzione. Nel caso in cui il lavoro svolto durante la domenica non venga compensato dal riposo in altro giorno della settimana, il lavoratore vanterà uno specifico diritto al risarcimento per la penosità del lavoro festivo.
Le festività infrasettimanali
Accanto al riposo settimanale si pongono le festività infrasettimanali, nazionali e religiose, disciplinate dalla L. 27 maggio 1949, n. 260, dalla L. 5 marzo 1977, n. 54 e dal D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792. I giorni festivi oggi esistenti sono:
Durante tali festività, i datori di lavoro devono corrispondere ai propri dipendenti - compresi quelli retribuiti ad ore - la normale retribuzione giornaliera. Nel caso in cui, in tali giorni, i dipendenti lavorino, è loro dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, comprensiva di ogni elemento accessorio, anche la retribuzione per l'attività svolta con la maggiorazione per il lavoro festivo. Nel settore del pubblico impiego, in luogo del trattamento economico, è previsto il recupero delle festività soppresse in altri giorni dell'anno come permessi straordinari o in aggiunta alle ferie, con il pagamento della retribuzione.
Le ferie annuali
L'art. 36, co. III, Cost., sancisce che 'Il
lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi'.
Tale diritto è riconosciuto anche dall'art. 2109, c.c., che, al co. II, dispone
che il prestatore 'ha anche diritto dopo un anno d'ininterrotto
servizio ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo,
nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro'. Va
segnalato che il requisito dell''anno di ininterrotto servizio' è
stato ritenuto incostituzionale dalla Consulta con sentenza 7 maggio 1963, n. 66,
per cui oggi si ha diritto alle ferie proporzionalmente alla durata del periodo
lavorativo. Sempre a commento del co. II dell'art. 2109, c.c., va rilevato come
spetti al datore il potere unilaterale di stabilire il tempo in cui far
ricadere il periodo di ferie, salvo l'onere di darne comunicazione preventiva
ai lavoratori. Per la fissazione della durata delle ferie, il co. III dell'art.
2109, c.c., rinvia, invece, alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o
all'equità. Salve le disposizioni di legge dettate per categorie speciali di
lavoratori - come, ad esempio, gli apprendisti -, nella pratica la durata del
periodo feriale è di solito determinata dai contratti collettivi, con criteri
basati soprattutto sulla categoria di appartenenza e sulla anzianità di
servizio (c.d. scaglioni periodici). Al riguardo, va registrata la tendenza
della contrattazione collettiva ad unificare il trattamento feriale per tutti i
lavoratori. Durante il periodo feriale, il prestatore ha diritto alla
retribuzione globale di fatto corrispondente a quella che percepisce
normalmente (comprensiva anche delle voci più strettamente connesse alla
prestazione lavorativa); in caso di retribuzione in natura ha diritto
all'equivalente in danaro. Il datore, che acconsenta a che il prestatore non
fruisca delle ferie, incorre in un comportamento illecito, ancorché non
penalmente sanzionato; l'illiceità tuttavia non coinvolge il prestatore che ha
diritto ad un equivalente trattamento economico: la c.d. indennità sostitutiva
di ferie non godute. L'azione diretta ad ottenere tale indennità è considerata
dalla giurisprudenza prevalente di natura risarcitoria, non contrattuale, con
il conseguente onere per il lavoratore di provare il mancato godimento delle
ferie. Un'importante notazione in tema di ferie: la sentenza della Corte
costituzionale 30 dicembre 1987, n.
Il part-time ed i contratti di solidarietà
Il rapporto di lavoro a tempo parziale consiste nello svolgimento di attività lavorativa ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro (part-time c.d. orizzontale) o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno (part-time c.d. verticale). Esso è stato disciplinato, per la prima volta, nel nostro ordinamento con il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, nella L. 19 dicembre 1984, n. 863, che:
Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, la retribuzione prevista per il rapporto a tempo pieno viene ridotta in proporzione all'orario di lavoro, per cui il principio della sufficienza della retribuzione sancito dall'art. 36, co. I, Cost., si relativizza in quello della proporzionalità, previsto dalla stessa norma.
I contratti di solidarietà possono, poi, essere considerati una forma particolare di contratto a tempo parziale e, al pari di quest'ultimo, rinvengono la loro disciplina nella L. 19 dicembre 1984, n. 863. Sono previste due ipotesi di contratti di solidarietà:
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