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Le indagini preliminari




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LE INDAGINI PRELIMINARI


Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento penale.

Essa inizia nel momento in cui una notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al p.m.; termina quando quest'ultimo esercita l'azione penale od ottiene dal giudice l'archiviazione richiesta.

Le indagini preliminari consistono in investigazioni svolte dal p.m. e dalla polizia giudiziaria.

In base al 327 la direzione delle indagini spetta al p.m.

La norma attua il 109 Cost. (L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria).

Le indagini svolgono varie funzioni: gli elementi di prova acquisiti sono valutati, in primo luogo, dal p.m. per decidere se esercitare l'azione penale; in secondo luogo sono usati dal g.i.p. nel momento in cui questi pronuncia i provvedimenti di sua competenza; infine sono usati, sia pure in via eccezionale e con determinate cautele, dal giudice del dibattimento per emettere la decisione finale.

Nella fase delle indagini preliminari è previsto l'intervento del giudice per le indagini preliminari: questi svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza esercitare poteri di iniziativa.

La sua funzione si caratterizza come una "giurisdizione semipiena", perché incontra due limiti fondamentali: la funzione è esercitata soltanto nei casi previsti dalla legge e su richiesta di parte.

Eccezionalmente di fronte al g.i.p. sono assunte le prove non rinviabili al dibattimento: ciò avviene in una udienza in contraddittorio, denominata incidente probatorio (392 ss.).

Un'altra particolarità sta nel fatto che la funzione giurisdizionale è svolta in tali casi prima dell'esercizio dell'azione penale, in ciò derogandosi al principio generale nulla iurisdictio sine actione.

La notizia di reato è un'informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al p.m. di venire a conoscenza di un illecito penale.

La presenza di una notizia di reato produce tre effetti:

a. segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza alla funzione di polizia giudiziaria;

b.  impone alla polizia giudiziaria che abbia appreso la notizia l'obbligo di informare il p.m. (347);

c.  impone al p.m. l'obbligo di provvedere all'immediata iscrizione della notizia nel registro delle notizie di reato (335).

Il codice regola espressamente due notizie di reato: la denuncia ed il referto.

Inoltre prevede le condizioni di procedibilità, e cioè la querela, l'istanza, la richiesta di procedimento e l'autorizzazione a procedere: questi atti contengono sia l'informativa sull'illecito penale, sia la manifestazione della volontà che si proceda contro il responsabile dello stesso.

La denuncia può esser presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato.

Può essere scritta od orale e può essere presentata sia ad un ufficiale di polizia giudiziaria, sia direttamente al p.m.

332: Contenuto della denuncia: La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Di regola, la denuncia è facoltativa, ma vi sono delle ipotesi in cui essa è obbligatoria, sotto la minaccia di sanzioni penali: il privato ha l'obbligo di denuncia in questi casi:

omessa denuncia da parte del cittadino di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce l'ergastolo (364 c.p.);

709 c.p.: Omessa denuncia di cose provenienti da delitto;

679 c.p.: Omessa denuncia di materie esplodenti;

quando abbia subito un furto di armi o esplosivi (l. 110/1975);

quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione (d.l. 8/1991).

I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di presentare denuncia quando vi è una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato.

L'obbligo scatta per i reati di cui il soggetto abbia avuto conoscenza nell'esercizio o a causa della sua funzione o servizio; si richiede altresì che la notizia riguardi un reato procedibile non a querela.

La definizione delle due qualifiche è data dagli artt. 357 e 358 del codice penale.

Vi è un requisito comune: la funzione ed il servizio sono "pubblici" quando sono disciplinati da "norme di diritto pubblico e da atti autoritativi".

Comune è anche la caratterizzazione di tipo oggettivo: ciò che rileva non è l'esistenza di un rapporto di impiego pubblico, ma l'esercizio in concreto di una funzione o servizio pubblici.

Sono funzioni pubbliche (ed in quanto tali integrano la qualifica di pubblico ufficiale) le funzioni legislative, giudiziarie ed amministrative.

Al fine di consentire una precisa delimitazione del concetto di pubblica funzione, con particolare riferimento a quella amministrativa, il 357.2 c.p. afferma che la stessa deve avere almeno una di queste caratteristiche: deve consistere nella "formazione" o "manifestazione" della volontà della pubblica amministrazione o deve svolgersi per mezzo di "poteri autoritativi" o "certificativi".

Nella definizione di incaricato di pubblico servizio vi è il fatto che devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica, e cioè lo svolgimento di poteri certificativi o autoritativi o la formazione o la manifestazione della volontà della p.a.

Inoltre il servizio non deve comportare l'esercizio di semplici mansioni d'ordine, né la prestazione di un'opera meramente materiale.

I pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l'obbligo di denuncia dei reati non procedibili a querela dei quali vengano a conoscenza sia nell'esercizio delle funzioni (e cioè durante l'orario di lavoro), sia a causa della funzione o servizio.

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti ad informare il p.m. di tutti i reati procedibili d'ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza; quindi anche fuori del servizio svolto.

Il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncia nemmeno in relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte (334-bis).

Il referto è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell'esercizio di una professione sanitaria, ha prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d'ufficio; Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (365.2 c.p.).

Pertanto, se dal medico si fa assistere la persona offesa dal reato, il sanitario ha l'obbligo del referto.

Se il responsabile del reato si fa assistere da un medico privato, l'obbligo di referto non sussiste.

Se il medico è dipendente pubblico, anche in quest'ultimo caso egli ha sempre l'obbligo di denuncia-referto, in quanto è un incaricato di pubblico servizio (362 c.p.).

Una volta che la polizia giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato qualificata, e cioè espressamente prevista dalla legge, scatta l'obbligo per la polizia stessa di informare il p.m., precisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi di prova e le attività compiute (347.1).

Come regola il codice pone l'obbligo di riferire la notizia di reato senza ritardo e per iscritto al p.m.

Sono previste poi alcune eccezioni.

L'informativa deve essere data immediatamente anche in forma orale quando sussistono ragioni di urgenza o quando si tratta di determinati delitti gravi o di criminalità organizzata (347.3).

E ancora, il termine è di 48 ore nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore dell'indagato (347.2-bis).

Infine, l'avvenuto arresto in flagranza impone alla polizia l'obbligo di informare immediatamente il p.m.

Analizziamo ora le condizioni di procedibilità.

Il codice pone la regola della procedibilità d'ufficio (50.2: Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione penale è esercitata di ufficio).

Le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la legge subordina l'esercizio dell'azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere d'ufficio.

Sono condizioni di procedibilità la querela, l'istanza, la richiesta di procedimento e l'autorizzazione a procedere.

In mancanza di una condizione di procedibilità possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall'articolo 392.

La querela è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto di reato che essa ha subito; ciò a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l'autore (120 c.p.).

È chiara la differenza rispetto alla denuncia: quest'ultima può essere presentata da chiunque (non solo dalla persona offesa) e non deve necessariamente contenere una manifestazione di volontà.

Il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato.

Nel caso di delitti contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi (609-septies comma II c.p.).

Il codice consente alla persona offesa di rinunciare al diritto di querela.

La rinuncia è un atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, prima di aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto.

La rinuncia al diritto di querela può esser fatta con un atto espresso o tacitamente, ed è irrevocabile.

Di regola, la querela una volta proposta può esser revocata.

A tal fine il codice penale prevede l'istituto della remissione: si tratta di quell'atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il fatto di reato; la remissione estingue il reato.

La remissione non produce effetto se il querelato l'ha ricusata espressamente o tacitamente.

Nel caso di delitti in materia sessuale, la querela proposta è irrevocabile (609-septies comma III c.p.).

L'istanza è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda per un reato che è stato commesso all'estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe procedibile d'ufficio.

La richiesta di procedimento è l'atto con cui il ministro della Giustizia manifesta la volontà che si proceda per un determinato reato commesso all'estero o per altri reati espressamente previsti.

L'autorizzazione a procedere è un atto discrezionale ed irrevocabile emanato da un organo dello Stato.

In mancanza delle condizioni di procedibilità, la polizia giudiziaria di regola non ha l'obbligo di informare il p.m. della notizia di reato; l'obbligo scatta solo se vengono compiute indagini (112 disp. att.).

E passiamo al tema del segreto investigativo e del divieto di pubblicazione.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico (111.3 Cost.).

Per gli atti di indagine compiuti dal p.m. e dalla polizia giudiziaria è previsto come regola l'obbligo del segreto.

Tale vincolo comporta che l'atto di indagine non debba essere rivelato ed opera in modo oggettivo, nel senso che grava su tutti i soggetti che siano a conoscenza dell'atto segreto.

Ovviamente l'atto può essere rivelato dall'inquirente a soggetti "autorizzati" a conoscerlo.

Il soggetto autorizzato a conoscere l'atto è, a sua volta, vincolato dall'obbligo del segreto.

Il codice penale prevede due autonome ipotesi di reato con riguardo alla rivelazione dell'atto.

La prima consiste nella rivelazione di notizie segrete inerenti ad un procedimento penale da parte di chi ne abbia conoscenza per avere partecipato od assistito ad un atto del procedimento.

La seconda fattispecie incriminatrice punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio il quale riveli un atto segreto violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità (326 c.p.: Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio).

Il divieto di rivelazione permane fino a che l'atto è coperto dal segreto, e cioè fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari (329.1).

Alla regola della segretezza sono state poste varie deroghe in favore della difesa.

Alcuni degli atti tipici di indagine compiuti dal pubblico ministero sono "garantiti", nel senso che devono essere compiuti preavvisando il difensore.

Ci sono altri atti che, pur non prevedendo il diritto al preavviso, tuttavia consentono al difensore di assistere, se è presente.

Quando il difensore assiste agli atti di indagine, il suo intervento è limitato: può presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale (364.7).

Gli atti garantiti sono quelli ai quali il difensore ha diritto di assistere previo avviso che deve essergli dato almeno 24 ore prima del compimento dell'atto stesso: si tratta dell'interrogatorio, dell'ispezione e del confronto ai quali partecipa l'indagato e dell'ispezione su persone diverse dal medesimo (364).

Quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo nel compimento dell'interrogatorio o del confronto possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il p.m. può compiere l'atto prima del termine, ma deve comunque dare tempestivamente avviso al difensore.

Vi è poi una seconda categoria, definibile come "atti a sorpresa": in essa rientrano gli atti ai quali il difensore ha facoltà di assistere senza tuttavia aver diritto al preavviso.

Si tratta delle perquisizioni e dei sequestri, che sono atti per loro natura non ripetibili.

Quando il p.m. ritiene di compiere un atto garantito, ha il dovere di inviare all'indagato ed alla persona offesa l'informazione di garanzia (369).

Al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere il p.m. deve notificare all'indagato la comunicazione della nomina del difensore d'ufficio, nella quale sono indicati:

l'informazione dell'obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale con l'indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge all'indagato;

il nominativo del difensore d'ufficio ed il suo indirizzo e recapito telefonico;

l'indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia con l'avvertimento che, in mancanza, l'indagato sarà assistito da quello nominato d'ufficio;

l'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio, a meno che l'indagato non ottenga l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

l'indicazione delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Quando occorre compiere un atto garantito, il p.m. deve preavvisare il difensore dell'indagato del compimento dell'atto.

Il difensore di fiducia (o d'ufficio) ha la facoltà, ma non il dovere, di assistere all'atto garantito.

Nella categoria degli atti segreti rientrano tutte le altre investigazioni, sia quelle che consistono in atti tipici, sia quelle che danno luogo ad atti tipici.

Questi atti son coperti dal segreto fino all'avviso di conclusione delle indagini (415-bis).

L'obbligo del segreto opera in modo oggettivo e si riferisce a tutte le persone che hanno partecipato od assistito al compimento dell'atto.

Il vincolo concerne lo svolgimento e la documentazione dell'atto del procedimento; viceversa, esso non si estende al fatto storico oggetto di indagine.

Il codice indica due momenti nei quali viene meno l'obbligo del segreto.

In primo luogo ciò avviene quando l'indagato può avere conoscenza ("legale") dell'atto.

In secondo luogo l'obbligo del segreto cade quando si perviene alla chiusura delle indagini preliminari.

Il codice ha tenuto conto della possibilità che in concreto si presenti l'esigenza di rendere segreti quegli atti che, per legge, sarebbero conoscibili: in tal caso il p.m. esercita il potere di segretazione.

L'obbligo del segreto può essere disposto per singoli atti in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini.

Il p.m. ha un ulteriore potere di segretazione, che si esercita su atti già segreti ai sensi del 329 e consiste in un ampliamento dell'oggetto del segreto: esso non è limitato al solo svolgimento dell'atto, ma anche ai fatti storici oggetto di indagine.

La segretazione concerne esclusivamente quegli atti di indagine che comportano l'assunzione di dichiarazioni da parte di testimoni od imputati.

Se sussistono specifiche esigenze attinenti alle indagini, il p.m. può vietare, alle persone sentite, di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza.

Il divieto è disposto con decreto motivato e non può avere una durata superiore a due mesi.

Nei confronti degli atti segreti (329) è posto il divieto assoluto di pubblicazione, e cioè è vietato pubblicarne sia la riproduzione totale o parziale, sia il riassunto, sia il contenuto generico.

Per gli atti di indagine che non siano segreti vige un divieto attenuato di pubblicazione, nel senso che è vietato pubblicare l'"atto", e cioè il testo parziale o totale dell'atto stesso, però è consentito pubblicare il "contenuto" dello stesso.

All'interno delle indagini preliminari il codice distingue tra attività ad iniziativa della polizia giudiziaria ed attività del p.m.

Nell'ambito dell'attività svolta d'iniziativa dalla polizia giudiziaria si possono tracciare ulteriori distinzioni: vi è un'attività di iniziativa in senso stretto (c.d. autonoma) che consiste nel raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole (348.1).

Tale attività prende avvio dal momento in cui è pervenuta la notizia di reato e termina nel momento in cui il p.m. ha impartito le sue direttive.

Vi è poi un'attività di iniziativa in senso ampio (c.d. successiva) che la polizia giudiziaria svolge dopo aver ricevuto le direttive dal p.m.

Tale attività può ancora distinguersi in iniziativa guidata ed in iniziativa parallela: la prima consiste nella stretta esecuzione delle direttive del p.m.; la seconda comprende tutte le altre attività di indagine per accertare i reati che la polizia può eseguire purché ne informi prontamente il p.m. (348).

Infine, è prevista la c.d. attività integrativa, ossia svolta di iniziativa ma sulla base dei dati emersi a seguito del compimento di atti delegati dal p.m., per assicurarne la massima efficacia.

Con l'espressione "sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini" il codice ricomprende tre diverse modalità con cui l'indagato può rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria.

In primo luogo, l'ufficiale di polizia può assumere informazioni dall'indagato (e cioè porre domande) solo se quest'ultimo è libero e se comunque il suo difensore è presente.

È sufficiente che l'indagato riceva quegli avvertimenti che sono disciplinati dal 64.3 (e cioè che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti, che salvo quanto disposto dal 66.1 ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso, e che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone).

In secondo luogo, l'ufficiale o l'agente di polizia può ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini.

Il codice non pone espressamente alla polizia l'obbligo di dare gli avvisi contenuti nel 64.3.

La terza modalità consente agli ufficiali di polizia giudiziaria di porre domande all'indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore, tuttavia delle notizie assunte è vietata sia la documentazione, sia l'utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti.

Il codice pone due limiti: le domande possono esser rivolte all'indagato solo sul luogo o nell'immediatezza del fatto di reato (ad es. nella stazione di polizia, ma subito dopo).

Il codice non impone alla polizia di avvertire l'indagato che ha facoltà di restare silenzioso.

Le notizie non sono utilizzabili nel procedimento.

Con l'espressione "sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini" il codice si riferisce alle dichiarazioni rese da persone diverse dall'indagato.

Il possibile testimone ha l'obbligo di presentarsi alla polizia, se convocato; ove non si presenti, può essere incriminato per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità (650 c.p.).

Inoltre, egli ha l'obbligo di attenersi alle prescrizioni date (ad es. identificare cose o persone).

Il possibile testimone ha l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte (198).

Il suo obbligo di dire il vero non è penalmente sanzionato.

Tuttavia l'obbligo di verità rimane e può dar luogo ad una differente responsabilità penale se il possibile testimone agisce allo scopo di aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell'Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa: l'aiuto così fornito ad una persona (purché diversa dal concorrente nel medesimo reato) integra gli estremi del delitto di favoreggiamento personale (378 c.p.).

Il possibile testimone che rende dichiarazioni alla polizia può rifiutarsi di rispondere negli stessi casi in cui ciò è consentito al testimone che depone davanti al giudice.

Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale (357.2); sono utilizzabili in dibattimento, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti previsti dal 500; se non ripetibili, mediante lettura.

L'identificazione (349) è l'atto col quale viene dato un nome ad un volto: oggetto dell'identificazione è una persona fisica individuata, della quale non si conoscono le generalità.

Oggetto di identificazione possono essere tutte le persone che hanno avuto a che fare col reato.

Ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti di cui si possa ritenere la falsità, è possibile un accompagnamento coattivo per identificazione.

Questo consiste nel portare la persona identificata negli uffici di polizia ed ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario per l'identificazione e comunque non oltre le 12 ore (349.4).

In caso di accompagnamento coattivo occorre dare notizia al p.m. tanto dell'avvenuto accompagnamento, quanto dell'avvenuto rilascio della persona.

Il p.m. può ordinare in qualsiasi momento il rilascio della persona accompagnata per l'identificazione.

Norme particolari valgono per l'identificazione dell'indagato: per es. se gli accertamenti comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell'interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero.

Gli atti fondamentali di tipo investigativo sono i rilievi e gli accertamenti urgenti.

L'attività generica di conservazione consiste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell'intervento del p.m.

I rilievi consistono nell'attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, nonché nella descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato.

I rilievi devono esser compiuti di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria in presenza di due presupposti: che il p.m. non possa intervenire tempestivamente, e che vi sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute (c.d. urgenza).

L'accertamento urgente è un'operazione di tipo tecnico che è composta da una serie di atti.

Ad essa può procedere di regola solo un ufficiale e, in casi eccezionali di urgenza, anche un agente.

Qualora debbano esser compiute attività che richiedono specifiche competenze tecniche, la polizia giudiziaria può avvalersi dell'opera di esperti: i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria.

Vi è differenza tra ausiliario e consulente tecnico: l'ausiliario svolge l'atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale, perciò si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria; il consulente tecnico svolge attività in proprio dietro mandato del p.m., al quale dovrà riferire i risultati.

Un accertamento che comporti la modifica dell'elemento di prova è riservato al p.m., che lo compirà nelle forme garantite del 360 (accertamento non ripetibile da svolgersi con preavviso all'indagato e all'offeso).

Il sequestro probatorio è la tipica attività di assicurazione delle fonti di prova.

I rilievi, gli accertamenti urgenti e il sequestro sono atti non ripetibili, e quindi saranno inseriti nel fascicolo per il dibattimento dopo che il g.u.p. avrà deciso il rinvio a giudizio.

Essi sono atti a sorpresa ai quali può assistere il difensore.

È il momento di esaminare l'attività di iniziativa del pubblico ministero.

L'arrivo dell'informativa proveniente dalla polizia giudiziaria (347) fa sorgere a carico del p.m. l'obbligo di iscrivere la notizia di reato nell'apposito registro (335).

Esistono tre tipi di registri.

Trattiamo per primo del registro ordinario, e cioè di quello che contiene le notizie di reato (335).

Il p.m. nel momento in cui ordina che sia iscritta nel registro la singola notizia di reato può non essere in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il medesimo.

Quando ritiene di formulare un addebito nei confronti di una persona il p.m. ordina alla segreteria di iscrivere il nominativo dell'indagato nel registro, accanto alla notizia di reato già inserita.

Successivamente l'iscrizione può essere aggiornata sia se muta la qualificazione giuridica del fatto, sia se ne risultano modificate le circostanze.

Viceversa, si dovrà procedere ad iscrizioni del tutto nuove se a carico della medesima persona sono addebitati reati concorrenti ovvero se il medesimo fatto è addebitato anche ad altre persone.

Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di regola, sei mesi) entro cui il p.m. deve decidere se esercitare l'azione penale, chiedere l'archiviazione o chiedere la proroga delle indagini.

Vi è un secondo registro, denominato "registro degli atti non costituenti notizia di reato": in esso il p.m. ordina che siano iscritti tutti quegli esposti dai quali non sia possibile ipotizzare in alcun modo un fatto di reato.

Infine, vi è un terzo registro, denominato "registro delle notizie anonime".

Di queste non può esser fatto alcun uso nel procedimento penale, almeno di regola (333.3 c.p.p.).

Secondo il 240 I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato.

Una volta che il nome dell'indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto: se non vengono compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura cautelare, l'indagato non ha conoscenza "ufficiale" che è in corso un procedimento penale.

Prima che gli pervenga l'informazione di garanzia (od atto equivalente), l'indagato può avere una notizia "ufficiale" dell'esistenza di un procedimento nei suoi confronti solo se si attiva, e cioè se chiede alla segreteria del p.m. di avere conoscenza delle iscrizioni a suo carico.

Il p.m. può compiere atti di indagine personalmente o può delegarli alla polizia giudiziaria (370).

La delega può riguardare sia gli atti "atipici", sia gli atti "tipici", purché questi ultimi siano specificamente delegati.

La direttiva è l'indirizzo generale da dare alle indagini, all'interno del quale la polizia giudiziaria opera con gli atti di propria iniziativa.

È ricavabile dalla natura dell'atto il divieto di delegare l'accertamento tecnico non ripetibile.

Esistono almeno due gruppi di atti rispetto ai quali opera il diritto di difesa.

Nel primo gruppo rientrano i c.d. atti "garantiti" ai quali il difensore ha diritto di assistere previo avviso, che deve essergli recapitato almeno 24 ore prima del compimento (364).

Si tratta dell'interrogatorio, dell'ispezione e del confronto ai quali partecipi l'indagato e dell'ispezione alla quale non partecipi l'indagato.

Nel secondo gruppo rientrano gli atti a sorpresa, per i quali non è previsto l'avviso al difensore, anche se quest'ultimo ha il diritto di assistere.

Si tratta delle perquisizioni e dei sequestri ai quali sia presente l'indagato.

Gli atti assunti dal p.m. vengono documentati in tre distinti modi, a prescindere dal fatto che siano stati compiuti personalmente o per delega alla polizia giudiziaria: il verbale in forma integrale, il verbale in forma riassuntiva, l'annotazione (per gli atti che hanno un contenuto semplice o una limitata rilevanza).

Per quanto riguarda le informazioni assunte dal possibile testimone, questo atto può esser compiuto dal p.m. personalmente o dalla polizia giudiziaria munita di apposita delega.

Coloro che rendono le informazioni sono indicate dal 362 con l'espressione "persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini"; noi li denominiamo sinteticamente "possibili testimoni".

Il 371-bis c.p. punisce colui che rende al p.m. dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito.

Il possibile testimone ha un obbligo di verità sostanzialmente analogo a quello che incombe sul testimone di fronte al giudice; identico è il termine entro il quale può ritrattare, ove abbia detto il falso.

L'obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità sussiste solo in relazione alle dichiarazioni assunte dal p.m. personalmente e non a quelle rese alla polizia che agisce di sua iniziativa o su delega del p.m., visto il principio di tassatività che opera in materia penale.

Tuttavia l'obbligo di verità rimane e può dar luogo ad una differente responsabilità penale se davanti alla polizia giudiziaria il possibile testimone agisce allo scopo di aiutare un'altra persona ad eludere le investigazioni dell'Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa (378 c.p.: Favoreggiamento personale).

Al possibile testimone è esteso il privilegio contro l'autoincriminazione.

Se dalle informazioni rese emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità inquirente ne interrompe l'esame e lo avvisa che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti; inoltre lo invita a nominare un difensore.

63.2: Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

Il p.m. e la polizia giudiziaria non possono chiedere alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell'intervista.

Il p.m. che intenda sottoporre l'indagato libero ad interrogatorio deve fargli notificare un "invito a presentarsi" (375).

L'invito a presentarsi deve contenere:

le generalità o le altre indicazioni che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini;

il giorno, l'ora e il luogo della presentazione e l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi;

l'indicazione che si darà luogo ad interrogatorio;

l'avvertimento che il p.m. potrà disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato nel caso di mancata presentazione di questi senza che sia stato addotto un legittimo impedimento;

la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute (nella prassi si denomina ciò "addebito provvisorio").

L'invito deve essere notificato all'imputato, di regola, almeno 3 giorni prima di quello fissato per l'interrogatorio, salvo che, per ragioni di urgenza, il pubblico ministero ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire (375.4).

Il difensore deve essere preavvisato dell'atto almeno 24 ore prima del suo compimento.

Egli ha la facoltà di essere presente all'interrogatorio dell'imputato da lui assistito.

L'interrogatorio dell'imputato sottoposto a fermo, arresto o custodia cautelare può esser condotto solo dal p.m.; viceversa l'interrogatorio dell'imputato libero può anche essere delegato ad un ufficiale di polizia giudiziaria, ma con l'assistenza necessaria del difensore (370.1).

Quando il p.m. ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un atto dal contenuto piuttosto articolato: l'"avviso di conclusione delle indagini preliminari".

Tale avviso, che deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto.

Inoltre, l'avviso contiene l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle indagini, depositato presso la segreteria del p.m.

L'indagato è avvertito che entro il termine di 20 giorni può esercitare le seguenti facoltà:

a. può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore;

b.  può chiedere al p.m. il compimento di atti di indagine;

c.  può presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di esser sottoposto ad interrogatorio.

Il p.m. non è vincolato ad adempiere alle richieste dell'indagato, salvo quando quest'ultimo chiede di esser sottoposto ad interrogatorio.

Nessun avviso deve essere dato alla persona offesa.

Il p.m. nel corso delle indagini preliminari può interrogare un imputato di un procedimento connesso o collegato, che si svolga separatamente.

L'imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato citato dal p.m. ha l'obbligo di presentarsi e riceve il medesimo avvertimento che viene dato al possibile testimone: in caso di mancata comparizione senza legittimo impedimento, la pubblica accusa può ordinare direttamente l'accompagnamento coattivo.

Il p.m. ha l'obbligo di preavvisare il difensore del soggetto in questione del compimento dell'interrogatorio.

Il difensore dell'indagato del procedimento principale nel quale è assunto l'interrogatorio dell'imputato di un procedimento connesso non può partecipare all'interrogatorio, né ha diritto ad esaminarne il verbale in segreteria.

Il 210 prevede una disciplina differenziata a seconda che il soggetto sentito sia un concorrente nel medesimo reato o un imputato connesso teleologicamente o collegato.

Il p.m. ha l'obbligo di avvisare l'imputato concorrente che questi ha la facoltà di non rispondere, salvo che sulla propria identità personale.

Infatti, ciò che viene dichiarato potrà poi essere utilizzato in base al 238 contro (o a favore di) questo soggetto nel procedimento che lo vede indagato od imputato.

L'imputato in un procedimento connesso teleologicamente o collegato è avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumerà la qualifica di testimone assistito limitatamente a tali fatti.

È possibile per la pubblica accusa e per l'indagato chiedere al giudice la nomina di un perito con quell'istituto che è denominato "incidente probatorio" (392).

In alternativa il codice predispone la consulenza tecnica di parte.

Il p.m. durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze.

Il consulente non può rifiutare la sua opera.

La consulenza ha due distinte regolamentazioni in base al seguente criterio: si tratta di valutare se, nel momento in cui è disposto, l'accertamento appare ripetibile, o meno, in dibattimento.

Qualora l'accertamento tecnico appaia ripetibile, il p.m. nomina un consulente tecnico e fa svolgere l'accertamento in segreto.

Qualora l'accertamento tecnico appaia non ripetibile, il codice attribuisce a tale atto un'efficacia simile alla perizia, subordinandolo ad un controllo ad opera dell'indagato.

In detti casi il p.m. deve dare un previo avviso all'indagato, all'offeso ed ai difensori in quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia.

L'indagato ha l'ulteriore potere di formulare riserva di promuovere incidente probatorio, costringendo il p.m. a valutare se l'accertamento tecnico può esser differito.

Se l'accertamento tecnico non ripetibile è differibile ed è egualmente compiuto nonostante la riserva, il relativo verbale è inutilizzabile nel dibattimento, ma è utilizzabile a tutti gli altri fini; se l'accertamento è non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale è destinato ad essere inserito nel fascicolo per il dibattimento.

Durante le indagini preliminari il p.m. può procedere all'individuazione di persone o cose personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria.

L'individuazione non è utilizzabile ai fini della decisione dibattimentale: essa è sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice nella forma della ricognizione.

Il p.m. nell'eseguire l'individuazione non è tenuto a rispettare le regole che nella ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l'attendibilità del risultato.

Ai sensi del 373.2 è sufficiente un verbale in forma riassuntiva.

Sempre in considerazione della ripetibilità dell'atto, non è prevista la presenza del difensore; il difensore non conosce neanche il verbale dell'atto perché questo è segreto.

Il codice si limita a prescrivere che il p.m. proceda ad individuazione di persone o cose quando è necessario per la immediata prosecuzione delle indagini (361.1).

Il verbale dell'atto di individuazione, in quanto documentazione di un atto ripetibile, deve essere inserito nel fascicolo del p.m.

Un tema importante è quello dell'arresto in flagranza ed il fermo.

Il codice accoglie il principio generale per cui solo il giudice è competente ad applicare una misura cautelare limitativa della libertà personale con un provvedimento avente effetti permanenti nel tempo.

La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo.

Queste misure sono dette sinteticamente "precautelari" per indicare che consistono in un anticipo della tutela predisposta mediante le misure cautelari.

L'arresto in flagranza è un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente dai privati.

È in stato di flagranza (in senso pieno) colui che viene colto nell'atto di commettere il reato.

È in situazione denominata tradizionalmente "quasi flagranza" il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima.

L'arresto in flagranza è obbligatorio per la polizia giudiziaria in presenza di un delitto non colposo (consumato o tentato) per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni e nel massimo a 20 anni.

L'arresto è obbligatorio anche in presenza di certi delitti (ad es. associazione mafiosa).

Negli stessi casi in cui è obbligatorio per la polizia, l'arresto può essere effettuato dal privato se il delitto è procedibile d'ufficio (383.1).

L'altra ipotesi di arresto è denominata "facoltativa" dal codice, nel senso che è rimesso alla discrezionalità dell'ufficiale od agente di polizia valutare se la misura è giustificata.

L'arresto obbligatorio o facoltativo non è mai consentito quando tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità (385).

Qualora si tratti di un delitto perseguibile a querela, l'arresto può essere eseguito se la querela viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o agente di polizia presente sul luogo.

Il fermo è un provvedimento che può esser disposto di regola dal p.m. quando sono presenti queste condizioni (384.1):

a. che vi siano gravi indizi a carico dell'indagato;

b.  che sussistano specifici elementi di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga;

c.  che si proceda per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni.

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo in via sussidiaria nei seguenti casi:

a. prima che il p.m. abbia assunto la direzione delle indagini;

b.  qualora sia successivamente individuato l'indiziato;

c.  qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del p.m.

Il p.m. non è titolare del potere di arresto in flagranza, tuttavia può disporre il fermo anche nelle ipotesi nelle quali vi sia la flagranza.

Il procedimento di convalida dell'arresto e del fermo può esser suddiviso in tre fasi.

Nella prima fase la polizia giudiziaria pone l'arrestato a disposizione del p.m.

Nella seconda il p.m. chiede la convalida dell'arresto (o del fermo) al giudice.

La terza fase consiste nell'udienza di convalida che si svolge davanti a quest'ultimo.

Nella prima fase del procedimento gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno questi doveri:

danno immediata notizia del provvedimento al p.m. e trasmettono l'informativa di reato;

avvertono l'arrestato od il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia;

se non è nominato un difensore di fiducia, chiedono al p.m. la designazione del difensore d'ufficio;

informano immediatamente dell'arresto o del fermo il difensore;

col consenso dell'arrestato danno ai familiari di quest'ultimo notizia dell'esecuzione della misura.

Gli stessi ufficiali ed agenti devono poi porre l'arrestato od il fermato a disposizione del p.m. al più presto e, comunque, non oltre le 24 ore.

Gli ufficiali ed agenti devono trasmettere al p.m. il verbale dell'arresto sempre entro le 24 ore.

Il p.m. può autorizzare una dilazione, in modo che comunque sia possibile presentare al giudice il verbale entro 48 ore dall'arresto.

Nella seconda fase del procedimento il p.m. può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato dando previo avviso al difensore, che ha facoltà di essere presente all'atto.

All'inizio dell'interrogatorio l'inquirente, dopo aver dato l'avviso della facoltà di non rispondere, informa l'arrestato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento, comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti.

Il p.m. ordina la liberazione senza chiedere la convalida al giudice quando:

a. risulta evidente che l'arresto od il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi consentiti dalla legge;

b.  la misura è divenuta inefficace perché sono decorsi i termini per porre l'arrestato a disposizione del p.m. o per chiedere la convalida al giudice.

Il p.m. ordina la liberazione (ma deve egualmente chiedere al giudice la convalida) quando, pur considerando giustificato l'arresto od il fermo, ritiene di non dover chiedere al giudice l'applicazione di una misura cautelare coercitiva.

La terza fase del procedimento inizia con la richiesta di convalida che deve essere presentata dal p.m. al giudice entro 48 ore dall'arresto.

Il p.m. presenta la richiesta al giudice del dibattimento se sceglie di procedere a rito direttissimo, altrimenti la presenta al g.i.p.

Ricevuta la richiesta, il g.i.p. fissa l'udienza di convalida entro le 48 ore successive.

L'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione facoltativa del p.m. e necessaria del difensore dell'arrestato.

L'arrestato non è obbligato ad intervenire, ma se è presente deve essere interrogato dal giudice.

In sede di convalida vengono prese due distinte decisioni.

In primo luogo, il giudice accerta se l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e se sono stati osservati i termini perentori per porre l'arrestato a disposizione del p.m. e per chiedere la convalida; quindi decide con ordinanza se convalidare o meno l'arresto o il fermo.

Tale provvedimento può essere oggetto di ricorso per cassazione.

In secondo luogo, il giudice valuta se sussistono i presupposti della misura cautelare richiesta dal p.m. L'ordinanza è impugnabile presso il tribunale della libertà.

I due accertamenti sono indipendenti fra di loro.

In ogni caso, l'arresto o il fermo cessano di avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle 48 ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a sua disposizione.

Esaminiamo ora l'incidente probatorio.

Il legislatore riserva al dibattimento, dove è garantito il contraddittorio, la formazione della prova.

Ciò permette anche di tutelare il principio di immediatezza tra l'assunzione della prova e la decisione sulla medesima: ai sensi del 525.2 la deliberazione della sentenza è affidata agli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Non sempre si può attendere la formazione della prova in dibattimento: a tal fine è stato predisposto l'incidente probatorio, un'udienza che si svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e nella quale, davanti al g.i.p., si assumono le prove nelle medesime forme prescritte per il dibattimento.

Alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell'incidente probatorio solo se sono presenti i casi tassativi di non rinviabilità previsti nel 392: si tratta:

della testimonianza e del confronto, che possono essere ammessi solo se il dichiarante non potrà deporre in dibattimento a causa di un grave impedimento (ad es. infermità) o di una minaccia in atto affinché non deponga o deponga il falso;

dell'esperimento giudiziale e della perizia "breve", che possono essere ammessi solo se la prova riguarda una persona, una cosa od un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile;

della perizia di lunga durata, che può essere ammessa quando, se disposta nel corso del dibattimento, determinerebbe una sospensione superiore a 60 giorni;

della ricognizione, che può essere ammessa se particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento.

Vi sono poi altri mezzi di prova che possono essere assunti nell'incidente probatorio sulla base del mero presupposto che il p.m. o l'indagato lo abbiano chiesto al g.i.p.

I casi più importanti riguardano l'esame dell'indagato quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui e l'esame dell'imputato (o indagato) connesso o collegato ai sensi del 210.

Infine, occorre ricordare che il difensore può chiedere che siano assunti con incidente probatorio la testimonianza o l'esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta nel corso dell'intervista svolta dal difensore o dai suoi ausiliari.

L'incidente probatorio si svolge in varie fasi.

Esse sono:

il contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente;

la decisione del giudice sull'ammissibilità e fondatezza della richiesta;

lo svolgimento dell'udienza in camera di consiglio;

l'eventuale integrazione del contraddittorio.

Possono fare richiesta di incidente probatorio il p.m., l'indagato ed il suo difensore (392.1).

La persona offesa non può rivolgersi direttamente al giudice, ma può solo fare richiesta al p.m.

I soggetti che chiedono al giudice l'incidente probatorio hanno l'onere di precisare nella richiesta:

a. la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza;

b.  le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova;

c.  i motivi per cui la prova non è rinviabile al dibattimento.

La richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del g.i.p. ed è notificata alla controparte.

A seguito dell'eventuale contraddittorio scritto, il giudice decide sulla richiesta di incidente con un'ordinanza non impugnabile.

Il p.m. ha il potere di chiedere al giudice il differimento dell'incidente quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare (397.1).

La decisione sulla richiesta è presa dal giudice senza contraddittorio ed è comunicata al p.m. e notificata per estratto (e cioè, senza la motivazione) alle persone interessate.

Il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova (397.1, pt. II).

Il codice pone al p.m. l'obbligo di depositare prima dell'udienza i verbali delle dichiarazioni che la persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria ed al p.m.

L'udienza si svolge in camera di consiglio, e cioè senza la presenza del pubblico.

È richiesta la partecipazione necessaria del p.m. e del difensore (di fiducia o d'ufficio) dell'indagato.

Il difensore dell'offeso ha il diritto, ma non l'obbligo, di partecipare all'udienza: in tale sede non può porre domande direttamente al dichiarante, bensì può chiedere al giudice di rivolgerle.

A loro volta l'indagato e l'offeso hanno diritto di assistere personalmente all'udienza quando si deve esaminare un testimone o un'altra persona; negli altri casi possono assistere solo su autorizzazione del giudice.

Il g.i.p. non ha il potere di assumere d'ufficio nuove prove.

Il giudice può rivolgere domande alle persone "già esaminate".

L'incidente probatorio ha la funzione di anticipare la formazione della prova garantendo il diritto di difesa dell'indagato nei confronti del quale la prova stessa potrà essere successivamente utilizzata in dibattimento.

Il codice vieta di estendere l'oggetto della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente; inoltre vieta di verbalizzare le dichiarazioni aventi tale oggetto.

Completa la normativa il divieto di usare in dibattimento nei confronti dell'imputato le prove assunte nell'incidente senza la partecipazione del suo difensore e, quindi, senza la garanzia del contraddittorio.

Una normativa simile è prevista in favore del danneggiato dal reato, che non sia stato in grado di partecipare all'incidente probatorio: egli può scegliere di non subire l'efficacia del giudicato.


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