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Intervista a sergio cusani e walter vannini




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Intervista a Sergio Cusani e Walter Vannini


Milano,12 giugno 1999



Walter Vannini è un criminologo che insegna all'Istituto per educatori sociali di Milano. Si trovava all'Agenzia Liberi per apportare le ultime modifiche al progetto di legge su cui anche Cusani sta lavorando. Incuriosito dalla cosa e pregato dallo stesso Cusani, si è unito con noi all'intervista.


- Il vostro progetto, da quello che ho potuto vedere, incentra tutta l'attenzione sul lavoro come pena alternativa a quella detentiva. Prima di parlare specificatamente del progetto vorrei iniziare con una domanda a carattere generale che rimane comunque inerente al vostro lavoro, e cioè: cosa intendete per rieducazione?

Rispondono entrambi: ' Noi non parliamo di rieducazione' dopo di che prende la parola Vannini.

V- Ti dico la mia idea. La mia idea è che ci sono dei soggetti in carcere che perdono oltre ai diritti inerenti alla disposizione del tempo, ai diritti di libertà anche una serie di diritti che non dovrebbero perdere come essere parti in un contratto o essere soggetti portatori di altri diritti che normalmente stanno in capo alle persone libere. Però questi ne vengono privati in conseguenza degli effetti pratici della condanna, di ciò che il carcere è. Intanto questo. Poi il fatto che una persona quando finisce in carcere in genere appartiene a delle fasce sociali che strutturalmente non dispongono dei mezzi ordinari con cui noi organizziamo la nostra vita e neanche ne hanno la cultura relativa. Per esempio noi sappiamo che possiamo litigare con una persona , ma anche pattuire una prestazione o una controprestazione. Per quello che io so è difficile che la popolazione che finisce in carcere abbia questa capacità dialettica nel relazionarsi con l'esterno. E' un vissuto fatto di amico-nemico. Allora l'idea banalmente è che queste persone devono intanto acquisire l'idea che si può essere portatori di delitti, che questo non è in contraddizione con l'aver tenuto un comportamento grave di cui si è colpevoli e si è stati giustamente condannati, che il carcere può essere criticato senza perciò voler dire che si è non meritevoli di pena e che si possono pensare pene che siano restitutive e non retributive del danno fatto alla vittima e alla società che abbiano forme diverse a quella del carcere. Il problema è evitare il carcere. E' difficile che il carcere possa essere utile nel senso costituzionale del termine di tendere a risocializzare l'individuo.

- Ben lontano quindi dal raggiungimento della modificazione della persona umana.

V- Beh, intanto non sono tanto sicuro sull'accezione della modificazione della persona umana.

- Rieducazione. Guarigione della patologia a monte.

V- Dotazione di competenze sociali cioè di strumenti atti o utili a vivere nel modo migliore la propria vita, la propria esperienza .Per esempio strumenti per discernere la via più razionale per ottenere un risultato in cui il crimine e il delitto è una delle possibilità, ma non è detto che sia quella elettiva .La più parte della popolazione che sta in carcere ha nel crimine il mezzo di sostentamento primario e non ha le competenze sociali necessarie per sviluppare strategie alternative .Per esempio non sa cos'è un libretto di lavoro, benché meno sa che esiste un Ufficio di Collocamento, adesso poi neanche piùnon sa come scrivere un curriculum vitae .Cioè non ha quella quota di dotazione che noi abbiamo e che spendiamo normalmente e di cui noi non abbiamo neanche coscienza, ne tantomeno della sua importanza relazionale. Non sanno costruire relazioni, che non siano immediatamente strumentali ad uno scopo, non sanno costruire strategie di medio e lungo periodo

- Ed è solo questo il problema?

V- No, non è solo questo. E' solo uno dei problemi, ed è quello che a me interessa di più. Su questi problemi il carcere non ha nulla da dire. Con queste persone con questi problemi il carcere non serve. Queste persone sono l'80% dei detenuti.

Vannini sembra aver finito di parlare così mi rivolgo a Cusani.

- Parliamo del lavoro. Immagino che l'idea nasca anche o soprattutto dalla meditazione sul significato di un ozio forzato o comunque della sensazione che ha il detenuto di se in questo periodo. In questa ottica il lavoro è visto come modo di emanciparsi da questo luogo indiscutibilmente opprimente. Quanto può essere importante il lavoro per il detenuto anche nell'ottica di elaborazione di nuove pene alternative ed in questo senso vorrei sapere se il progetto mira in qualche modo non magari a scardinare alle fondamenta, ma almeno a mettere in discussione il nostro sistema punitivo.

C- Il carcere non serve al recupero .Sia per quello che diceva Vannini prima, sia perché gli investimenti sul carcere per la parte degli operatori penitenziari sono bassissimi .Quindi non ci sono le strutture che aiutino e sostengano il detenuto a ripensare alla propria storia criminale e a cogliere e accettare modelli alternativi di vita .Questo è il punto fondamentale .Ma c'è un prius : il carcere sta diventando il carcere dei poveri, di coloro che non conoscono neanche una forma primaria di collegamento sociale, che è il linguaggio .Gran parte dei detenuti non parla neanche l'italiano .Quindi non hanno l'elemento base per tessere una struttura relazionaleanche all'interno del carcere, con i detenutiimmaginiamoci all'esterno, con la società. Tutto ciò mi porta a dire che il problema va affrontato prima: è un problema di prevenzione. Se il carcere viene usato come luogo di risoluzione di problematiche sociali in contenimento di forza-lavoro è perché lo Stato ha rinunciato ad affrontare le questioni nodali, che sono il problema dell'accoglienza, il problema del reinserimento, il problema di creare strutture efficienti per la tossicomania. Siccome non ci sono strutture adeguate di prevenzione sul territorio il carcere viene visto come luogo di risoluzione del conflitto. Temporaneo però. Il conflitto si posticipa dopo il periodo di detenzione, si rinvia solamente. Se questa analisi è corretta la nostra proposta cerca di affrontare alla radice il problema.

- Le Istituzioni dovrebbero essere interessate al progetto dato che si parla di recupero di Beni Pubblici e quindi otterrebbero delle utilità e non sempre costi.

C- Pare di sì, pare di sì.

- E' anche un modo per creare un dialogo su un tema che a volte sembra non interessare nessuno.

C- Il concetto di fondo della nostra proposta comunque va esattamente al contrario alla concezione della pena retributiva .Cioè tu hai compiuto un reato, hai inferto un danno alla società .La paghi con la sofferenza tua e della tua famiglia, per chi ce l'ha .Ciò non risolve assolutamente niente perché non soddisfa la vittima del reato, è tenuta ai margini esclusa dal nostro sistema penale .La nostra proposta si inserisce in questo modo di accostare il mondo della detenzione alla società civile affinché la società civile si riprenda queste tematiche. Perché sono tematiche che nascono dal sociale. Anche il crimine nasce dal tessuto sociale. La società cerca di allontanarlo da sé e di dimenticarsene. Il problema si ripropone perché quando uno finisce di scontare la sua pena esce totalmente non cambiato, è un portatore di potenziale riproduzione di crimine.

- Questo non è forse dovuto anche al fatto che il nostro sistema penale è plasmato sull'idea dell'impossibilità di cambiare o curare o rieducare che dir si voglia la persona, obbiettivo che anche la nostra Costituzione all'articolo 27 sembrerebbe voler raggiungere. A quanto mi pare di capire anche voi appartenete a questa linea di pensiero.

C- Ma perché non sono d'accordo col termine ' rieducare '. Il carcere che cosa deve rieducare che! (sospetto di averlo fatto leggermente innervosire)

- Principi Costituzionali ci dicono che dovrebbe tendere alla rieducazione. Se poi vogliamo fare la considerazione che molta parte della Costituzione è rimasta a livello di mera esercitazione letteraria ne possiamo parlare.

V- Un conto è dire quali sono i principi a cui tende

C- e un conto è vedere quali sono i mezzi adoperati

V- Mah, Pavarinimi sembra che siano state dette delle cose definitive sul carcere

- Non credo che per quanto autorevoli le opinioni siano mai definitive.

V- Comunque secondo me il carcere assolve ad una funzione di contenimento e di sanzione, ha una funzione di legittimazione sociale. Per fare un esempio è stata chiesta da parte di un giudice dell'esecuzione la possibilità di sentire la vittima in ordine alla concedibilità o meno al condannato di misure alternative. Non so chi facesse questa proposta, ma se lo usiamo come esempio questo è perfettamente coerente col sistema penale di questo tipo. E' un atteggiamento sadico. Invece pensiamo alla vittima che viene risarcita o attraverso la conoscenza del condannato con le pratiche della mediazione penale e della mutua comprensione della sofferenza esistenziale reciproca e del ruolo di aggressore che l'altro ha avuto e di restituzione attraverso un'attività sociale. Il gruppo di Sergio Cusani ha avuto secondo me un'idea geniale che è riassunta nello slogan altrettanto bello ' Gli emarginati che si occupano di cose marginali' e che sono destinate a scomparire perché antieconomiche. Il palazzo per cui non vi sono fondi per ripristinarlo, ma che magari ha una sua pregevolezza, per esempio. Questa è attività restitutoria che non si ispira a nessun principio retributivo, non c'è una pena tariffaria qua dietro. C'è un pensare al detenuto come un portatore di poteri e di diritti e che su questo potere egli impari a contrattare. Quello che mi interessa è il fatto che la persona sperimenta delle modalità relazionali che non conosceva. Personalmente non mi interessa che impari a costruire un muro. Mi interessa che apprenda che vi sono modalità di acquisizione della ricchezza e di status differenti dal comportamento predatorio. Mi interessa che apprenda un metodo, non mi interessa che impari una professione. Se lo fa è una cosa in più.

- Può essere una soluzione all'emarginazione.

V- Sì, ma nel senso che il soggetto deve avere un comportamento attivo per non essere emarginato e deve essere cosciente che l'alternativa dall'avere un comportamento attivo è essere emarginato. Ma deve avere un metodo per farlo che noi abbiamo e che attuiamo automaticamente. Un detenuto per quello che so io non sa neanche che vuol dire ' lavoro', non ne capisce il valore. Poco fa c'era qua una persona ex-detenuta che prima guadagnava 50.000.000 in un giorno con poca fatica e non capisce perché dovrebbe lavorare tutta una vita per mettere da parte gli stessi 50.000.000. Qui c'è un atteggiamento di apparente razionalità, ma che è sostanzialmente asociale. A tutto questo la soluzione non è il carcere. Non è dotato di strumenti sofisticati, la piscina, quattro criminologi, tre amichetti e un litro di latte e il detenuto risorge a nuova vita. Non è il carcere. Il carcere non è un luogo riformabile. Diverge totalmente da qualsiasi dettato costituzionale. Per cui diciamo che l'ergastolo non è incostituzionale perché vi è la liberazione anticipata, ragioniamo in questo modo, ma ci avvinghiamo ad un formalismo giuridico che è un pannicello, un velo ideologico anche su quello che è il carcere. Esiste per contenere o escludere o occultare o mostrare alla società libera che vi è una società segregata e che questo è lo scopo del carcere che altro non è che un principio di legittimazione, non altro. Non potrà mai diventare che uno strumento meno sadico di pena, possiamo migliorare il carcere, ma non potrà diventare un luogo di rieducazione. Non si può chiedere ad un cacciavite di far la pinza.

- Per quello invece che riguarda il vostro progetto, quali sono le idee ispiratrici?

C- Mettere in condizione un uomo di non essere inutile a sé e dannoso agli altri. Nel momento in cui un uomo viene aiutato a rimettersi in connessione con la società civile e con i suoi valori di convivenza civile e prenda coscienza della antisocialità del delitto diventa un uomo che riacquista la sua pienezza . Questo è il punto. Per far questo c'è anche la nostra proposta, che non è una proposta di lavoro. E' una proposta che presuppone un rapporto complesso nel senso di acquisizione di strumenti corporali, di base, di una cultura del lavoro, di apprendimento delle condizioni del paese se per esempio è uno straniero. Poi viene l'apprendimento di un mestiere in base a quelle che sono le sue attitudini. Ci sono tanti uomini che hanno fatto dei mestieri nella vita impostigli dal caso o dalla famiglia e poi scoprono di voler fare qualcos'altro, hanno un'attitudine, un talento che devono esprimere. Gli diamo la possibilità di fare qualcosa che sentono come proprio. Non dentro il carcere , perché non è là la risposta. L'unico modo è trovare nuove strade da percorrere, non sperare che quella che abbiamo percorso fino ad ora possa migliorare. Questo è lo scopo del nostro progetto.


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