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INTERPRETAZIONE E INTEGRAZIONE
L'interpretazione e la stessa conoscenza delle leggi tributarie presentano difficoltà non lievi legate alle peculiarità della legislazione tributaria. In primo luogo la legislazione tributaria non è sistematicamente raccolta in un testo unitario, né vi è una legge generale di tutta la materia. Il diritto tributario è stato definito polisistematico dato che all'ordinamento tributario afferiscono produzioni normative non coordinate e spesso inquadrate in microsistemi settoriali che rendono difficile l'individuazione di principi generali. Un secondo motivo è legato alla iperlegificazione ed alla instabilità che caratterizzano questo settore dell'ordinamento. Le leggi tributarie sono continuamente ritoccate e modificate per individuare nuovi oggetti imponibili e nuove fonti di entrata. Un terzo fattore è dato dal fatto che le norme tributarie nascono sovente per far fronte a situazioni di emergenza. Può accadere che vengano emanati decreti-legge alla cui emanazione seguono polemiche ed avversioni; può accadere che venga emanato un secondo decreto legge analogo e che venga poi convertito con una molteplicità di modifiche. Un altro elemento di instabilità della legislazione tributaria è dato dall'emanazione frequente di leggi a termine. Si pensi alle leggi congiunturali con cui viene stabilito un certo trattamento fiscale per determinati fatti se posti in essere entro una certa data. Altre difficoltà interpretative delle leggi tributarie sono legate alla preferenza del legislatore per le formulazioni casistiche piuttosto che per le formule generali. Infine, sovente le leggi tributarie sono di difficile comprensione, perché richiedono la conoscenza di nozioni e discipline estranee alla formazione culturale tipica del giurista. Ad esempio la conoscenza delle norme sui redditi di capitale richiede competenze in materia finanziaria.
Non esistono criteri interpretativi peculiari al diritto tributario. Discussioni e dibattiti sulla interpretazione della legge tributaria hanno sempre riguardato le norme sostanziali dell'imposizione, non le norme formali o procedurali io le norme del diritto penale tributario, per le quali non vi è mai stato motivo di proporre criteri particolari di interpretazione. Con riguardo alle leggi tributarie sostanziali sono state sostenute dottrine che possono essere classificate come autonomistiche e antiautonomistiche. L'indirizzo autonomistico sostiene che la legge tributaria racchiude una nozione autonoma diversa da quella propria del settore giuridico in cui l'istituto è regolato in via primaria; l'indirizzo antiautonomistico a sua volta sostiene che la legge tributaria accoglie la medesima nozione che di un atto o istituto è delineata nel settore giuridico di provenienza. L'uno e l'altro orientamento muovono da esigenze degne di considerazione: l'indirizzo autonomistico da risalto alla esigenza di adeguare la tassazione alla sostanza economica dell'affare facendo prevalere la sostanza sulla forma giuridica; l'altro indirizzo intende tutelare la certezza del diritto per garantire il contribuente contro pretese disancorate al dato formale. Tra gli indirizzi autonomistici ha avuto qualche risonanza una corrente dottrinale che sosteneva una interpretazione definita funzionale delle norme tributarie.
Secondo la dottrina dell'interpretazione elaborata dai giuristi tedeschi del XIX secolo, l'interprete si avvale di quattro mezzi o strumenti: l'elemento letterale; l'elemento logico-sistematico; l'elemento storico; l'elemento teleologico. L'interprete opera con discrezionalità: può servirsi liberamente di tutti gli strumenti che gli sono messi a disposizione dall'ermeneutica; deve però sottostare a dei vincoli, a cominciare dal rispetto delle norme in tema di interpretazione. L'art. 12 delle disp. prel. c.c. gli indica che nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Da questa norma scaturiscono per l'interprete indicazioni e criteri vincolanti. Il primo elemento su cui si basa il lavoro interpretativo è il dato letterale che pone problemi di vario tipo. Il legislatore usa termini della lingua corrente e termini tecnici. Se viene usato un termine tratto dalla lingua ordinaria di cui non sia data la definizione dal legislatore, l'interprete deve attenersi al significato corrente. Può accadere che un termine della lingua corrente assuma un significato tecnico vale a dire un significato che si differenzia da quello ordinario. Vi sono infatti parole che hanno un significato generale nella lingua comune e sensi specializzati in sfere più ristrette. Quando un termine oltre ad essere d'uso comune ha un significato tecnico si ritiene generalmente che il legislatore lo usi nel suo significato tecnico. Nell'interpretazione della legge dunque il significato tecnico prevale su quello corrente. Il significato che l'interprete deve attribuire al termine tecnico può derivare da una definizione data dallo stesso legislatore. L'interprete è insomma aiutato dalle definizioni legislative. Nel descrivere le fattispecie il legislatore tributario può riferirsi a fatti della vita o ad istituti di altri settori dell'ordinamento. La dottrina ha discusso ampiamente il problema se l'uso di termini tecnici mutuati da altri settori dell'ordinamento giuridico vincoli l'interprete ad attribuire al termine lo stesso significato che ha nel settore giuridico di provenienza o se invece l'interprete gli possa attribuire un significato diverso per motivi propri del sistema tributario. La dottrina ha tradizionalmente ritenuto che quando la norma tributaria descrive la propria fattispecie usando termini propri di altri settori dell'ordinamento, quel termine o istituto è assunto nel diritto tributario con lo stesso significato che gli è attribuito nel settore di provenienza. Contro questo orientamento si è sostenuto che quando in una norma tributaria è usato un termine tecnico, essa non designa tanto un determinato istituto giuridico ma il fenomeno economico correlato a quel termine giuridico: perciò quando presupposto del tributo è la vendita il diritto tributario nella vendita guarda essenzialmente allo scambio di ricchezza ed il tributo sarà dovuto ogni volta che un tal scambio si presenti anche se per caso il rapporto messo in essere non rientri entro i confini dell'istituto della vendita di diritto privato. Questo orientamento non è però accolto nella prassi interpretativa.
Le convenzioni internazionali devono essere interpretate secondo gli artt. 31, 32 e 33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. L'art. 31 prevede che i trattati devono essere interpretati secondo buona fede valla luce del contesto, dell'oggetto e dello scopo. L'art. 32 richiama i lavori preparatori e le circostanze della conclusione del trattato. L'art. 33 si occupa dei trattati redatti in più lingue e stabilisce che fa fede ciascuno dei testi autentici; che i termini hanno lo stesso significato nei diversi testi e che se appare una differenza si significato occorre adottare il significato che concilia meglio i diversi testi. Se in un testo normativo comunitario redatto in più lingue vi sono termini con significati non coincidenti l'interprete deve tener conto delle diverse versioni perché tutte fanno ugualmente fede, ma le diverse versioni linguistiche devono essere interpretate in modo uniforme. In caso di divergenza la disposizione deve essere interpretata in funzione del sistema generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte.
Dall'ordinamento gerarchico delle fonti deriva il principio per cui nell'interpretare un testo normativo si deve privilegiare l'interpretazione conforme al testo gerarchicamente sovraordinato (interpretazione adeguatrice). Secondo questo criterio le leggi devono essere interpretate in modo da risultare conformi alle norme costituzionali. Secondo la Corte costituzionale le questioni di costituzionalità possono essere sollevate solo dopo aver accertato la impossibilità di un iter interpretativo conforme alla Costituzione. Oltre che la conformità alle norme costituzionali è da privilegiare la conformità alle norme comunitarie e in generale alle convenzioni internazionali (principio della doppia conformità).
Il giurista nella sua attività interpretativa si serve dei diversi elementi che abbiamo visto. Da ciascuno di essi possono essere tratti argomenti a sostegno di un determinato risultato interpretativo. Se i risultati dei diversi percorsi seguiti dall'interprete sono convergenti, nulla questio. Dove la lettera della legge è vaga, lascia margini di penombra, l'interprete deve servirsi di altri elementi o strumenti interpretativi; dove non intervengono i vincoli normativi dell'interpretazione rientra nella discrezionalità dell'interprete avvalersi di un argomento piuttosto che un altro. Dove non operano regole legislative o altri vincoli si affermano le dottrine dell'interpretazione. Esse oscillano tra due poli: da un lato quello del formalismo e della fedeltà alla lettera della legge, dall'altro quello di una interpretazione sostenzialistica più sensibile alla ratio della legge, agli elementi logici dell'interpretazione, agli scopi della legge. In diritto tributario si constata tradizionalmente una prevalenza dell'indirizzo formalistico giustificato con il richiamo alla certezza del diritto. La giurisprudenza sembra seguire un procedimento per gradi; viene dato innanzitutto rilievo al criterio letterale; solo quando la lettera della legge non è chiara viene fatto ricorso ad altri criteri.
I testi giuridici normativi sono cosa diversa dai testi interpretativi. L'interpretazione viene detta dottrinale, giurisprudenziale, forense, autentica, ecc. a seconda di chi la pone in essere. L'interpretazione dottrinale è quella degli articoli di riviste, delle note a sentenza, dei manuali. Sovente è interpretazione contra fiscum in particolare quando gli autori sono professionisti abituati a sostenere le ragioni dei contribuenti. L'interpretazione forense è quella degli atti difensivi e dei pareri. L'avvocato adotta o muta l'interpretazione di una disposizione a seconda dell'interesse del suo cliente.
Anche il legislatore si fa interprete quando data una disposizione di dubbio significato ne impone una determinata interpretazione. Le leggi interpretative riguardano di solito una disposizione di incerto significato; dato tale presupposto il legislatore impone una determinata interpretazione. Il testo interpretato resta immutato ma sono normativamente eliminate tra le due o più norme potenzialmente contenute nel testo originario le interpretazioni considerate errate e ne sopravvive una soltanto. Le leggi interpretative non sostituiscono la disposizione interpretata. Si hanno così due disposizioni coesistenti, quella interpretata e quella interpretativa. Non si ha invece una legge interpretativa quando una norma viene sostituita da un'altra norma formulata in modo da eliminare le ambiguità di significato presenti in quella abrogata. Le disposizioni interpretative sono retroattive. Il loro scopo è di stabilire il significato di una precedente disposizione e sarebbe illogico che la disposizione interpretata assuma un dato significato solo a partire dall'entrata in vigore della legge interpretativa. Dato il carattere retroattivo delle leggi interpretative il legislatore nello Statuto dei diritti del contribuente ha disposto che l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. Una disposizione che si auto qualifica come interpretativa non è propriamente interpretativa ma innovativa. Lo scopo della nuova norma non è tanto quello di rendere chiaro un testo normativo ma di modificare retroattivamente una data disciplina dissimulando il suo carattere innovativo.
L'amministrazione svolge quotidianamente opera di applicazione e di interpretazione. Di solito all'emanazione di una nuova legge l'amministrazione finanziaria fa seguire una circolare con la quale agli uffici periferici il significato. La pronuncia dell'amministrazione finanziaria viene sovente sollecitata da quesiti posti dagli uffici periferici o dai cittadini in relazione a casi specifici; la risposta a tali quesiti costituisce occasione per altri esercizi di interpretazione della legge. Le circolari sono atti interni all'amministrazione. Non sono fonti di diritto e quindi non sono vincolanti nell'ordinamento giuridico generale, ma solo all'interno dell'ordinamento amministrativo. Le circolari non sono vincolanti né per i contribuenti né per i giudici. Essendo atti interni non ha rilievo neppure la loro violazione da parte dell'amministrazione finanziaria che del resto è libera di conservare, correggere o modificare il proprio orientamento. Le circolari ministeriali sono fonte di legittimo affidamento del contribuente in ordine al comportamento da tenere nell'applicazione delle leggi tributarie.
L'art. 12 delle preleggi indica due forme di analogia: l'applicazione di norme dettate per casi simili o materie analoghe e il ricorso ai principi generali dell'ordinamento. L'art. 12 delle preleggi dispone che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello stato. L'analogia non è ammessa per le leggi penali e per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi. All'analogia si ricorre per porre rimedio ad una lacuna. Deve trattarsi però di una lacuna tecnica. Dove non sono prospettabili lacune in senso tecnico non sono necessarie né possibili integrazioni mediante l'analogia. L'analogia è certamente da escludere per le norme tributarie sanzionatorie. Non è poi ammissibile l'integrazione analogica delle fattispecie imponibili perché le fattispecie imponibili sono solo quelle indicate espressamente dal legislatore: non sono ammesse aggiunte neppure nel caso in cui non è previsto come tassabile un fatto simile a quelli tassabili che esprime pari o maggiore capacità contributiva di quelli previsti come tassabili. Per alcuni il divieto di analogia deriva dall'art. 23 Cost. Ma questa argomentazione non è da condividere: la situazione non cambierebbe se la materia dell'imposizione non fosse coperta da riserva di legge. Per molti il divieto deriva dall'essere, le norme in questione norme a fattispecie esclusiva; ma il concetto di norme a fattispecie esclusiva è tutt'altro che chiaro. Più semplicemente le norme tributarie impositrici non possono essere integrate analogicamente perché non possono presentare lacune in senso tecnico.
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