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Il tempo e lo spazio




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L'esperienza giuridica nel divenire della storia

Parlare di esperienza giuridica nel divenire della storia significa parlare dell'evoluzione nel corso di venti secoli del diritto canonico, inteso come insieme di norme (diritto scritto) interpretate e la giurisprudenza (diritto vivente) ma anche inteso come complesso di istituti giuridici ovvero strutture ecclesiali. La conoscenza e lo studio della storia del diritto canonico sono importanti per due ragioni: la prima è di carattere culturale. La storia del diritto canonico svolge una funzione nella formazione della cultura del giurista, ha cioè lo scopo di far comprendere i forti nessi tra il diritto e la società che lo produce e di fargli comprendere inoltre che diritto non è solo il diritto positivo dello Stato. Vuole quindi fare del giurista un cultore del diritto.

La seconda ragione è prettamente storica. L'ordinamento canonico si è sviluppato dalle origini della Chiesa fino ai giorni nostri senza soluzioni di continuità, gli stati invece si sono sempre modificati nel tempo e con loro i rispettivi ordinamenti giuridici. La soluzione di continuità può anche essere avvenuta per fattori diversi all'interno della realtà statuale; le moderne codificazioni hanno rappresentato sempre una rottura con il passato e sono state l'espressione di far diventare "storico" il diritto vigente sostituendolo con un diritto nuovo. Ad esempio, nel senso della territorialità sono passati dal diritto universale ad un diritto limitato al territorio; nel senso linguistico, dal diritto espresso in latino ad un diritto delle lingue volgari; nel senso culturale, da un diritto legato ad una visione religiosa del mondo e della vita, ad un diritto laico e neutrale. Nel caso del diritto canonico, la Chiesa ha conosciuto mutamenti ed istituzionali ma si sono venuti producendo sempre all'interno dello stesso corpo sociale che non ha conosciuto fratture. La codificazione canonica del 1917, infatti, non è stato un atto di rottura con il passato ma la riproposizione del vecchio diritto depurato di quanto era ormai superato e nella nuova forma di codificazione che serviva a sistemare il diritto già in vigore. La conoscenza della storia non ha solo una valenza culturale ma è assolutamente necessaria per il lavoro del giurista, perché ai fini ermeneutica può risultare necessario o utile conoscere quali furono le ragioni storiche per le quali quella determinata norma fu posta. Il canone 17 del vigente codice detta i criteri dell'interpretazione e dice che le norme sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto, inoltre se esse rimanessero dubbie o oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all'intendimento del legislatore.


Le stagioni del diritto canonico

L'esperienza giuridica canonistica si divide in quattro grandi periodi. Questa periodizzazione mette in evidenza un singolare fenomeno di accelerazione, cioè i periodi non hanno la stessa lunghezza temporale ma sono segmenti di tempo sempre più brevi. Il primo periodo è detto pregrazianeo e abbraccia il primo millennio di vita della Chiesa, il secondo è detto classico e va dal XII al XVI secolo, il terzo è detto moderno e riguarda dal secolo XVII al secolo XIX, il quarto è detto periodo contemporaneo e si estende per tutto il secolo XX fino ai giorni nostri. Questa accelerazione dipende sicuramente dalla necessità per l'ordinamento giuridico della Chiesa di adeguarsi, ma anche l'espressione di società umane in sempre più rapida trasformazione.

Il primo millennio è chiamato periodo pregrazianeo perché precede l'opera di Graziano. Nei primi tre secoli, dalle origini della Chiesa all'Editto di Costantino (313), grazie a quest'ultimo cessarono le persecuzioni contro i cristiani e il cristianesimo divenne "religio licita" nell'impero romano, inoltre le basi fondamentali del diritto canonico sono costituite dal diritto divino ricavabile dalla Sacra Scrittura e dagli altri scritti neotestamentari. Una rappresentazione della vita della primitiva comunità cristiana e le sue regole non scritte si trova negli Atti degli Apostoli, testo degli anni 80 d.C. Altre fonti scritte si trovano nella letteratura antica, dai Padri apostolici ai Padri della Chiesa. Un'altra importantissima fonte è la Tradizione, cioè gli insegnamenti degli Apostoli e dei loro successori. Il diritto delle prime comunità cristiane era essenziale, poco normato, debitore in molte parti del diritto ebraico. Ma le diverse comunità cristiane sparse in Medio Oriente iniziarono subito ad avere proprie tradizioni liturgiche e propri stili di vita, basta ricordare la famosa controversia sull'ammissibilità dei pagani nella Chiesa che vide convergere le posizioni di Pietro e di Paolo nel primo Concilio, il Concilio di Gerusalemme fra il 48 ed il 50 d.C. L'espansione del cristianesimo in Occidente lo porta a contatto con il mondo romano e il diritto canonico iniziò ad acquisire elementi giuridici tratti dall'esperienza romanistica. La strutturazione della Chiesa in Chiese particolari territorialmente individuate porta ai primi nuclei di una legislazione locale ad opera dei Vescovi. Le prime opere per poter ricostruire la disciplina della comunità ecclesiale sono per l'Oriente la Didaché o Doctrina duodecim apostolorum del II secolo (si ricorda anche la Didascalia nella seconda metà del III secolo) e per l'Occidente la Traditio Apostolica di s. Ippolito scritta in greco a Roma intorno al 218. Queste opere furono un modello per altre ed erano tutte caratterizzate dagli stessi elementi: una non distinzione tra norme giuridiche e norme morali; l'attenzione verso il culto e i sacramenti; la convivenza fra Chiesa carismatica e Chiesa istituzionale. A partire dall'editto di Teodosio o Costantinopoli (380) la religione cristiana divenne la religione ufficiale dell'impero romano, si attiva allora una importante esperienza conciliare per far fronte alle nuove esigenze di una comunità cristiana progressivamente crescente. I Concili sono riunioni di Vescovi di una determinata regione o addirittura di tutti i vescovi (Concili ecumenici) chiamati a risolvere questioni dottrinali e disciplinari. Proprio in questi Concili dal IV secolo si fissa il "credo", cioè la formulazione esatta del dogma cristiano, e anche le regole giuridiche dette "canoni". Le prime raccolte di decisioni conciliari e di canoni iniziarono in questo periodo, una delle più importanti fu quella commissionata a Dionigi il Piccolo dal Papa e redatta tra la fine del V secolo ed i primi decenni del VI, chiamata Codex canonum o Corpus canonum, più tardi nel VIII secolo detta Collectio Dionisio - Hadriana perché raccoglie tutte le decisioni conciliari e tutte le lettere decretali dei pontefici romani. Dimostrava inoltre il primato sia di onore sia di giurisdizione del Papa su tutta la Chiesa, attraverso provvedimenti pontifici sia amministrativi sia normativi detti le decretales. Alla fine del VII secolo, con il Concilio Trullano (692), si attiva il processo di separazione tra Chiesa d'Oriente e Chiesa d'Occidente. Lo sviluppo del diritto canonico in Occidente vede nella fine del VI secolo e l'inizio del seguente la nascita dei Canones poenitentiales apostolorum in Irlanda e in Inghilterra, pur non avendo ancora chiara la distinzione tra morale e diritto e quindi fra peccato e reato fu molto importante per il diritto penale moderno perché introdusse i sistemi di classificazione dei peccati e dei crimini a seconda della gravità, con conseguente graduazione delle pene.

Il periodo classico inizia nella metà del XIII secolo grazie all'apporto dato sia alla scienza sia alla pratica del diritto dal Decretum di Graziano (1140 circa), monaco camaldolese e professore all'Università di Bologna, che per ragioni didattiche raccolse una molteplicità di fonti canoniche delle quali, di volta in volta, cercava di offrire un'interpretazione coerente. Per tale ragione l'opera fu denominata anche Concordia discordantium canonum, proprio perché cercava di rimediare alle contraddizioni tra le varie fonti. L'opera ebbe talmente tanto successo che fu poi incorporata nel Corpus Iuris Canonici, la compilazione di testi normativi come fonte ufficiale del diritto della Chiesa fino alla codificazione canonica del 1917. Il Corpus Iuris Canonici era dunque formato: dal Decretum, dalle Decretales Gregorii IX (1234) o anche dette Liber Extra (raccolta di decretali pontificie in cinque libri curata da s. Raimondo di Penyafort), dal Liber Sextus di Bonifacio VIII (1298), dalle Clementinae cioè le decretali di Clemente V (promulgate da Giovanni XXII nel 1317) e da due compilazioni di origine privata dette le Extravagantes Ioannis XXII e le Extravagantes communes (la prima costituzioni di Giovanni XXII e la seconda decretali di diversi pontefici). Queste collezioni furono oggetto di glosse, cioè di annotazioni a margine, da parte della dottrina giuridica. La nascita e lo sviluppo delle università nell'età medioevale favorì un rigoglioso sviluppo della scienza giuridica in generale, sviluppando anche un'ampia letteratura giuridica: decretisti (commentatori del Decretum), decretalisti (commentatori delle decretali pontificie), glossatori e commentatori dei testi del diritto romano. Si nota in questo periodo l'affermarsi progressivo di un ruolo fondamentale del diritto di origine pontificia, con il parallelo restringersi del diritto particolare cioè dei Vescovi diocesani, dei sinodi e dei concili provinciali. Si afferma anche la categoria delle "causae maiores" cioè le questioni di maggior momento riservate alla competenza esclusiva del Pontefice.

Il periodo moderno è caratterizzato dalle riforme del Concilio di Trento (1545 - 1565), convocato per rispondere alla grave frattura operata nella Chiesa d'Occidente dal moto riformatore di Martin Lutero (1517). Il Concilio vuole rispondere alla Riforma protestante con una Riforma cattolica o Controriforma, adottare cioè una serie di provvedimenti sia di carattere dottrinale sia di carattere disciplinare. Vengono emanati perciò una serie di decreti destinati a riformare profondamente la vita della Chiesa, a questi si aggiungono gli atti dei Pontefici raccolti in serie cronologica dette "Bullarii", le disposizioni amministrative e le decisioni giurisdizionali emanate dai dicasteri e dai tribunali della Curia romana (attraverso i quali, dopo le riforme di Sisto V nel 1588, i Papi governano la Chiesa universale). Il carattere di questo periodo, che va dal XVI al XVIII secolo, è l'attrazione della vita giuridica della Chiesa a livello romano. Si riducono le autonomie delle Chiese locali e dei Vescovi, il diritto canonico diventa sempre più diritto pontificio. Anche sul piano dell'organizzazione ecclesiastica assistiamo ad un processo di centralizzazione a Roma per difendere l'unità della Chiesa dai pericoli sia dall'interno sia dall'esterno, cioè dallo Stato sovrano che pretende di essere sopra alla Chiesa. Contro la politica e la legislazione ecclesiastica posta in essere dagli Stati per controllare la Chiesa (giurisdizionalismo), i canonisti rispondono difendendo le libertà ecclesiastiche, la non soggezione della Chiesa al potere politico anzi la sua indipendenza da esso poiché società giuridicamente perfetta (societas iuridice perfecta) come lo Stato. Si sviluppa una nuova branca della scienza giuridica canonistica detta diritto pubblico ecclesiastico esterno (ius publicum ecclesiasticum externum) che afferma che Stato e Chiesa sono una temporale e l'altra spirituale, società giuridicamente perfette per cui una indipendente dall'altra e i loro rapporti devono essere regolati su basi di parità. Il conflitto e poi il distacco tra Chiesa e Stati si riflette in una progressiva separazione del diritto canonico dal diritto secolare che culmina dopo la rivoluzione francese. Infatti il diritto canonico perde il sostegno dei diritti secolari, da questo scaturisce il ricorso del legislatore canonico al moderno istituto della codificazione, già auspicata nel Concilio Vaticano I, voluta da Pio X e promulgata nel 1917 da Benedetto XV. L'avvento del codex è il segno della fine della solidarietà tra diritto canonico e diritto degli Stati. Dopo l'esperienza della christianitas medioevale, nei moderni Stati assolutistici il diritto canonico si era venuto sviluppando in simbiosi con il diritto statale; il giurisdizionalismo confessionista di quegli Stati aveva nonostante tutto dato appoggio al diritto canonico. La fine dell'ancien régime e l'avvento dello Stato liberale, separatista, laico aveva marginalizzato ed estromesso il diritto della Chiesa, questo processo negativo si era prodotto proprio con il processo di codificazione. Gli effetti erano stai gravemente negativi. La codificazione per la Chiesa significa una riformulazione del diritto canonico senza la collaborazione del diritto secolare (etsiamsi Respublica non daretur), infatti il pontificato di Pio X segna il massimo isolamento della Santa Sede nelle relazioni internazionali. Il codex esprime un diritto canonico tutto orientato all'interno della società ecclesiale e tutto riposto nella propria forza interiore, inoltre costituisce il presupposto necessario, insieme alla politica concordataria, perché il diritto canonico tornasse ad essere vigente negli ordinamenti statali. Si compiva una sua reviviscenza nel diritto degli Stati che poco a poco restituivano al diritto canonico il loro appoggio.

Il periodo contemporaneo è caratterizzato soprattutto dal Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII (1958 - 1963) insieme alla revisione del codice di diritto canonico. Questa revisione fu manifestata da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinali riuniti presso la basilica di San Paolo fuori le mura, l'annuncio veniva poco tempo dopo l'elezione del cardinale Roncalli al soglio pontificio e fu avvertito come espressione di un pontificato non destinato alla gestione come si era pensato vista l'età avanzata del nuovo Pontefice. Al momento dell'annuncio Giovanni XXIII aveva parlato di revisione del codice, non di una nuova codificazione tanto che l'organismo appositamente costituito il 28 marzo 1963 fu denominato Pontificia Commissione per la revisione del codice di diritto canonico. A conclusione della prima sessione plenaria della Commissione, avvenuta il 12 novembre 1963, i cardinali avvertirono la necessità di differire i lavori formali per la revisione del codice a dopo la conclusione del Concilio per la previsione che i deliberati conciliari avrebbero potuto incidere. Una delle caratteristiche nel codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio 1983 da Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges (in vigore dal 27 novembre dello stesso anno) era la diversità rispetto al codice precedente. Una diversità non solo formale ma anche sostanziale. Il distacco tra nuove e vecchie norme appare più accentuato tra la codificazione del 1983 e quella del 1917 che non tra questa ed il diritto previdente perché la funzione del codice del 1917 era trasformare nel moderno strumento del codice il complesso delle norme canoniche, viceversa il legislatore del 1983 ha dovuto procedere all'armonizzazione del diritto canonico con i principi del Vaticano II. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel corso della cerimonia ufficiale di presentazione del nuovo codice, il 3 febbraio 1983, osservava che i postulati conciliari trovano nel nuovo codice esatti e puntuali riscontri. Nella costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, lo stesso Giovanni Paolo II scriveva: "questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare, inoltre c'è un carattere di complementarità tra il Codice e le due Costituzioni, dogmatica Lumen Gentium e pastorale Gaudium et spes". Lo sforzo d'armonizzazione del diritto canonico ai principi conciliari ha portato un'accentuazione delle distinzioni e delle particolarità del codice canonico rispetto alle moderne codificazioni civili. I codificatori del 1917 aveva piuttosto avvicinato il diritto canonico ai diritti secolari, con l'effetto di segnare il punto storico di più netta separazione tra la teologia ed il diritto canonico, quindi all'opposto un periodo di maggior avvicinamento del diritto canonico ai diritti secolari. L'armonizzazione seguiva alcune linee direttive individuate dalla Commissione per la revisione del codice di diritto canonico e sottoposte, per ordine di Paolo VI, allo studio del Sinodo dei Vescovi del 1967. Si tratta dei Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem proponuntur, approvati dall'assemblea sinodale il 7 ottobre 1967. La revisione del codice avrebbe dovuto: tenere l'indole giuridica del codice; assicurare uno stretto coordinamento tra foro esterno e foro interno; accentuare il carattere pastorale del diritto della Chiesa; conferire in via ordinaria ai Vescovi diocesani della facoltà di dispensa dalle leggi generali, riservando alla suprema autorità della Chiesa universale e alle altre autorità superiori quelle cause che esigano un'eccezione al principio della concessione; applicare nella Chiesa il principio di sussidiarietà; migliorare la definizione e la tutela dei diritti della persona; distinguere meglio le funzioni della potestà ecclesiastica e curare particolarmente il diritto processuale; rivedere il principio della permanenza dell'indole territoriale nell'esercizio del governo ecclesiastico; mantenere il diritto penale, ma con generale riduzione delle sanzioni canoniche a pene ferendae sententiae, da infliggersi solo nel foro esterno, ed eliminazione al massimo delle pene latae sententiae. Il testo del nuovo codice promulgato nel 1983 manifesta una sostanziale e rigorosa fedeltà a queste linee direttive.


Occidente ed Oriente

Il diritto canonico contiene due grandi tradizioni: quella Occidentale, la Chiesa latina, e quella Orientale, le Chiese sui iuris orientali cattoliche. Queste ultime sono state riconosciute in epoche diverse dalla suprema autorità della Chiesa cattolica. Da queste si distinguono le Chiese ortodosse, cioè quelle Chiese cristiane che non sono in comunione con la Chiesa cattolica, dalla quale si staccarono con lo scisma del 1054, dopo le reciproche scomuniche di papa Leone IX e del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. In realtà lo scisma fu il punto di arrivo di un processo di allontanamento iniziato già nel VII secolo, quando la Chiesa bizantina riunita nel concilio Trullano (691 - 692) emanò delle disposizioni che non furono recepite in Occidente. Inoltre influì la vicenda storico politica della divisione dell'impero romano nelle due espressioni d'Occidente e di Oriente, la prima destinata ad avere vita breve (crollo nel 476 d.C.) la seconda invece vita molto più lunga (crollo 1453). La frantumazione dell'unità politica dell'impero romano divenuto cristiano poneva però in crisi l'idea che all'unico regno celeste dovesse corrispondere un unico regno terrestre, ma dal punto di vista pratico avviava i processi di riorganizzazione istituzionale e giuridico - politica tra le due realtà del sacro romano impero in Occidente e l'impero bizantino in Oriente. La Chiesa cattolica dunque esprime al proprio interno due tradizioni: la Chiesa latina, come organismo unitario e centralizzato, in Oriente una pluralità di Chiese ognuna delle quali si distingue per rito, cioè per patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare. Nel lungo corso della storia determinate comunità di fedeli hanno strutturato un proprio modo di vivere ed esprimere la comune fede cristiana producendo di conseguenza un diritto canonico proprio. Le tradizioni cui le ventuno Chiese cattoliche di rito orientale si riallacciano sono sostanzialmente cinque: Alessandrina, Antiochena, Costantinopolitana, Armena e Caldea. I riti si strutturano giuridicamente in Chiese dette sui iuris o autonome avente ciascuna il proprio diritto, questi diritti particolari trovano riferimento comune nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium promulgato da Giovanni Paolo II il primo ottobre 1990. Per capire il rapporto tra Chiesa latina e Chiese orientali richiamiamo alcuni documenti del Concilio Vaticano II. Ad esempio nel decreto Orientalium Ecclesiarum (1964) si dice che la Chiesa santa e cattolica si compone di fedeli, uniti nello Spirito Santo dalla stessa fede, dagli stessi sacramenti e dallo stesso governo. Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (1964) si dice che per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, durante i secoli, si sono costituite in molti gruppi, i quali godono di una proprio disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Le antiche Chiese patriarcali ne hanno generato altre che sono come loro figlie. Il rapporto tra unità e pluralismo ecclesiale è evidenziato dai due documenti dove si afferma che nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente delle Chiese particolari che godono di proprie tradizioni; nella loro particolarità esse sono tuttavia ugualmente affidate al pastorale governo del Romano Pontefice. La Chiesa cattolica universale nella propria unità si distingue in riti e quindi in Chiese sui iuris. All'interno di questo sistema il codex iuris canonici riguarda la sola Chiesa latina, il codex canonum ecclesiarum orentalium riguarda tutte e sole le Chiese orientali cattoliche.


Unità e varietà

L'azione missionaria o "implantatio Ecclesiae", che segue le grandi scoperte geografiche dell'inizio dell'era moderna (1492), ha un influsso sugli sviluppi del diritto canonico. Le scoperte geografiche segnano il passaggio dall'età di mezzo all'età moderna e creano una nuova espansione missionaria, dopo la prima dell'età cristiana ad opera di Paolo verso i "gentili" e la seconda dell'età medioevale verso gli anglosassoni e gli slavi. I metodi missionari della terza erano nuovi perché legati a differenti condizioni ambientali, sociali, culturali e politiche, perciò nuovi erano anche gli strumenti giuridico - istituzionali. La vita interna della Chiesa, insieme all'accentramento romano del governo, vede due diverse modalità di reggimento del popolo di Dio: una tradizionale, nei Paesi d'antica cristianità; l'altra più innovativa ed elastica, nei Paesi di missione. Nascono nuove prassi di governo sia per la produzione normativa sia per l'amministrazione, favorendo la nascita di nuove norme e nuovi istituti. Si forma quindi una branca specialistica del diritto canonico denominata diritto canonico missionario (ius missionarium). Un esempio è l'istituzione dei vicari apostolici, figura istituzionale per poter provvedere al governo ecclesiastico delle Chiese particolari nei territori di missione. Questi prelati hanno la stessa dignità e potestà dei Vescovi diocesani, potevano essere nominati direttamente dalla Santa Sede senza formale violazione delle prerogative regie. Al governo della Chiesa locale attraverso l'ordinaria gerarchia si sostituiva un governo accentrato nella Sede Apolitica che non poteva essere soggetto alla giurisdizione regia e che veniva espletato attraverso vicari. La progressiva accentuazione di una concezione personalistica e non territorialistica delle Chiese locali nei territori di missione, da un punto di vista storico rispondeva all'esigenza di emancipazione e dal punto di vista ecclesiologico e giuridico veniva ad introdurre significativi elementi di novità. L'introduzione nei territori di missione di forme governo diverse ed originali immette nel diritto canonico e nella stessa ecclesiologia quell'idea della Chiesa locale come comunità di persone, anziché come realtà istituzionale legata ad un territorio. Un altro esempio dell'influenza del diritto missionario è il regime giuridico delle persone fisiche. Infatti nasce una nuova attenzione ai problemi del reclutamento e della formazione del clero, motivata dalla reazione ai condizionamenti delle grandi potenze coloniali che tendevano ad avere nelle missioni un clero nazionale, fedele al proprio Paese. Viceversa alla Chiesa interessava favorire l'impegno missionario di un clero che fosse zelante nell'opera apostolica e fedele alla Santa Sede, da qui l'avvento del clero indigeno considerato anche più idoneo per portare il messaggio evangelico. Inoltre si parla anche della condizione giuridica dei non battezzati che venivano chiamati ancora "infedeli".

Dal punto di vista istituzionale l'espansione missionaria, che inizia alla fine del XV secolo, porta delle modifiche negli organi di governo della Chiesa universale. Con la costituzione apostolica Inscrutabili divinae Providentiae del 22 giugno 1622, Gregorio XV istituisce la Congregazione "de Propaganda fide" destinata ad organizzare e sostenere la propagazione della fede cristiana. Aveva una duplice funzione: diffondere la religione cattolica presso gli infedeli (missio ad gentes) e tutelare il sacro patrimonio della fede nelle regioni europee devastate dall'eresia (missio ad intra). Ha sviluppato essenzialmente la prima. Sin dal 1623 comincerà ad esercitare il governo delle missioni in maniera esclusiva, assommando tutte le funzioni ordinariamente ripartite, ecco perché questo dicastero è detto "ceteras Congregationes habet in ventre". Le attribuzioni della Congregazione non si limitavano all'esercizio di funzioni amministrative ma si estendevano anche alla funzione legislativa, avendo il potere di emanare decreti generali aventi forza di legge. L'attribuzione di poteri senza la contestuale revoca dei privilegi concessi precedentemente alle corone spagnola e portoghese portò un conflitto con il Patronato, il complesso di diritti e di obblighi che la Santa Sede aveva dato loro dalla metà del XV secolo affidando la parte orientale al Portogallo e la parte occidentale alla Spagna. Si crea insomma una situazione di concorrenza tra due diverse autorità: quella ecclesiastica e quella regia. Gli argomenti principali del conflitto erano: la libertà di accesso dei rappresentanti di Propaganda e dei missionari nelle terre di missione; il placet regio agli atti dell'autorità ecclesiastica; lo ius nominandi dei Vescovi da parte del sovrano; l'estensione dei privilegi concessi dai Pontefici ai sovrani iberici. All'inizio si cercò di armonizzare le due differenti competenze ma quest'esperienza di collaborazione durò poco. Il conflitto tra le due autorità era in realtà sussistente in re ipsa, non potendosi armonizzare due potestà concorrenti. La Congregazione, pur nel formale rispetto degli jura maiestatica circa sacra, reagisce con l'emancipazione dell'azione missionaria e della vita delle giovani Chiese nei Paesi extraeuropei dai limiti e dagli impedimenti di Patronato. Queste controversie portano quindi la nascita di un nuovo diritto canonico. Certamente questi avvenimenti accentuano il passaggio del diritto canonico a prevalente diritto pontificio. Dopo l'età medioevale, con il principio della "plenitudo potestatis", e dopo la svolta Tridentina, che accentua la teologia dell'universalità della Chiesa e l'accentramento del suo governo, l'esperienza missionaria costituisce la frontiera avanzata della sperimentazione di un diritto canonico di produzione pontificia. Lo ius missionarium nasco come diritto speciale rispetto al diritto generale e comune, il diritto canonico. Le sue norme ed i suoi istituti però hanno una notevole influenza sul diritto generale, infatti quest'ultimo risulta essere l'estensione alla generalità della comunità dei fedeli di norme ed istituti nati nell'ambito dello ius canonicum missionarium. Questo segna una prima svolta in senso spiritualista del diritto, la seconda sarà con la codificazione del 1917 e con la codificazione latina del 1983, con quest'ultima il diritto missionario sembra scomparire dando luogo alla più generale estensione di un diritto comune divenuto poi più missionario. Le controversie giurisdizionalistiche del Patronato costituiscono un ripensamento sul senso e sul fine del diritto nella Chiesa: quello della sua finalizzazione pastorale, della sua strumentalità alla salus animarum.



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