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Il rapporto tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza: i criteri giurisprudenziali che concorrono a scriminare l'esercizio del diritto di cronaca




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Il rapporto tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza: i criteri giurisprudenziali che concorrono a scriminare l'esercizio del diritto di cronaca


Il problema della demarcazione tra la libertà di informazione e il diritto alla riservatezza non si presta ad essere risolto una volta per tutte, ma presuppone un bilanciamento da operarsi caso per caso, in quanto la riservatezza esprime un'esigenza la cui estensione va necessariamente specificata e determinata in relazione alle fattispecie concrete. Per determinarne la portata é necessario tener conto prima di tutto del tipo di dati diffusi: esiste certamente un nucleo di dati inviolabile, individuato, in base ad un criterio contenutistico, nelle vicende più intime, sentimentali, sessuali, sanitarie del soggetto; del modo della loro raccolta e presentazione, se infatti alcuni dati devono sempre e comunque considerarsi riservati, a meno del consenso dell'interessato alla diffusione, per molti altri la divulgazione frammentaria, di per sé inoffensiva, diventa lesiva della riservatezza se i singoli dati vengono aggregati in modo da fornire una rappresentazione complessiva del soggetto, indipendentemente dal fatto che i dati acquisiti riguardino fatti avvenuti in pubblico; del tempo di diffusione, la distanza temporale tra l'avvenimento e la sua divulgazione può influire notevolmente sulla dimensione della riservatezza, sia nel senso che alcuni dati, seppure pubblici in un primo momento, con il trascorrere del tempo cessano di avere quella qualità, mentre altri al contrario trascorso un certo periodo da riservati che erano risultano liberamente diffondibili.

Secondo l'impostazione che annovera le maggiori adesioni anche nella giurisprudenza, sarebbero apponibili alla libertà di informazione soltanto limiti "esterni", ricavabili esplicitamente o implicitamente dalla stessa Costituzione, dai principi in essa espressi, o dal sistema costituzionale nel suo complesso, non sarebbero invece ammessi limiti intrinseci o logici, limiti insiti nello stesso concetto di diritto di cronaca. Così il conflitto tra due norme di pari grado, l'una garante della libertà di pensiero, l'art. 21 Cost., l'altra posta a tutela della riservatezza, l'art. 2 Cost, andrebbe risolto in base al solo criterio di ragionevolezza. Attraverso "una ragionevole ed equilibrata composizione degli opposti interessi" il giudice é chiamato a stabilire, nella singola fattispecie concreta, e tenuto conto delle specifiche sue caratteristiche, se e in che termini sia giustificato il sacrificio della riservatezza o se al contrario quest'ultima prevalga sul diritto di cronaca.

In realtà il criterio della ragionevolezza, non é da solo, in grado di offrire all'interprete una guida sicura nella demarcazione tra valori contrapposti, trattandosi di canone vago ed elastico e che consente a chi é chiamato ad applicarlo scelte sostanzialmente arbitrarie. La possibilità poi che dalla sua applicazione derivino giudizi contrastanti é confermata dalla giurisprudenza di merito e dalle astratte soluzioni degli autori propensi alla sua applicazione; tanto che, per esempio, per il propugnatore della tesi, proprio in base a tale criterio, l'esercizio della libertà di informazione dovrebbe cedere sempre, a prescindere dalla verità o falsità delle notizie divulgate, di fronte al bene dell'onore, tutelato dall'art. 3 Cost., che proclama la "pari dignità sociale" dei cittadini, per altri al contrario, a condizione dell'utilità sociale delle critiche, l'onore prevarrebbe sempre di fronte alla libertà di informazione.

In realtà la soluzione dei casi in cui si manifesta un contrasto tra diritto di cronaca e riservatezza presuppone prima, la delimitazione dell'ambito di applicazione della norma che garantisce la libertà di cronaca e solo in un secondo momento la comparazione di questa con la norma protettiva della riservatezza. L'ambito di applicazione di una norma, infatti, non può risultare circoscritto solo in sede di valutazione comparativa, anche perché la norma di confronto o di contrasto potrebbe mancare e allora si dovrebbe riconoscere alla prima un ambito di applicazione praticamente illimitato. Da qui l'utilità dell'interpretazione logica che a sua volta si serve dello strumento storico finalizzato a determinare le esigenze che hanno dettato l'emanazione di una determinata norma, l'interpretazione teleologica tesa alla determinazione del fine per cui é stata emanata, l'interpretazione sistematica infine, che esamina la disposizione nei suoi rapporti con le altre norme in un reciproco condizionamento in modo che ne risulti un insieme coerente; il contenuto ultimo di una disposizione risulterà perciò anche dal suo inserimento nel sistema. Si tratta di tre angolazioni dalle quali si può considerare una disposizione, ognuna tendente a metterne in luce un profilo al fine di determinarne la reale portata, operazione tanto più utile, come per quanto riguarda il diritto di cronaca, quando l'esatta portata di una norma non risulta dalla sua semplice interpretazione letterale.

Proprio un'operazione di questo tipo é alla base della giurisprudenza della Corte Costituzionale. Questa, nella sua prima sentenza sulla dibattuta questione dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, afferma che "il concetto di limite é insito nello stesso concetto di diritto"; orientamento questo, che la Corte ribadisce anche in successivi interventi nei quali conferma che gli stessi principi generali dell'ordinamento impongono limiti naturali alla espansione di qualsiasi diritto . Dagli interventi della Corte Costituzionale emerge pertanto che oltre ai limiti rinvenibili nella Costituzione e che possono ridurre la portata del diritto di cronaca (su ciò peraltro non vi può essere alcun dubbio, dato che il diritto alla libertà di espressione, garantito da una norma collocata al vertice del sistema giuridico può essere condizionato solo da una norma di pari grado) esistono anche limiti connaturali allo stesso.

Mentre sul problema del bilanciamento concreto fra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza la Corte costituzionale non ha offerto utili indicazioni, limitandosi a contrapporre libertà di pensiero e diritto di cronaca da una parte, e diritto alla riservatezza dall'altra, senza tuttavia indicare con esattezza i termini di compatibilità e di condizionamento degli opposti interessi, spiegando, peraltro, che ciò comporterebbe l'esercizio di poteri che essa giudica estranei alla sua sfera istituzionale. Sarà compito del giudice, investito della fattispecie concreta, effettuare una sorta di bilanciamento tra gli interessi costituzionali in gioco, destinato a sfociare in un giudizio di prevalenza o di soccombenza del diritto di informazione

La Corte di Cassazione , recependo gli orientamenti della Corte Costituzionale, ha specificato il contenuto e i limiti del diritto di cronaca e individuato gli elementi che concorrono a scriminarne l'esercizio nei casi in cui entri in conflitto con i diritti della personalità. Così, "l'esercizio della libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito nell'art. 21 Cost. e regolato nella legge 8 febbraio 1948 n. 47, é legittimo quando concorrono le seguenti tre condizioni: a) utilità sociale della informazione, b) verità dei fatti esposti, c) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione".

A) Per quanto riguarda la condizione dell'utilità sociale dell'informazione e dunque la necessità dell'esistenza di un interesse pubblico a che la notizia e i fatti siano conosciuti e diffusi, é da escludere una interpretazione del concetto nel senso di ciò che interessa il pubblico; se così fosse infatti si finirebbe per conferire rilevanza giuridica anche "alla più morbosa curiosità dei consociati." La determinazione della esatta portata del requisito della utilità sociale presuppone la distinzione tra il concetto di "pubblico" inteso nel senso di conoscenza non più esclusiva da parte dell'interessato, da un lato, e di rilevanza pubblica nel senso di utilità sociale alla conoscenza, dall'altro. Pertanto il fatto e la notizia anche se pubblici nel primo senso, non smettono di appartenere alla sfera privata e la tutela della privacy della persona prevale sul diritto di cronaca; quando invece la notizia e i fatti siano conosciuti e diffusi per scopi scientifici, didattici, culturali o per necessità di giustizia o di polizia: si pensi per es. alla diffusione di una foto segnaletica, o sia giustificata dall'ufficio pubblico che l'interessato ricopre, allora la cronaca prevarrà sulla stessa tutela della privacy. Anche la Corte Costituzionale aveva da tempo enucleato il criterio dell'"interesse sociale della notizia" per limitare le aggressioni dei mass-media nei confronti della sfera privata dei singoli, ponendolo come requisito ai fini dell'esercizio della libertà di cronaca

B) Il legittimo esercizio del diritto di cronaca presuppone altresì "un assoluto rispetto del limite della verità oggettiva di quanto narrato", al giornalista é fatto obbligo di rappresentare fedelmente i fatti come si sono svolti; sotto tale profilo la "verità incompleta" deve essere equiparata alla notizia falsa, e dunque la "mezza verità" non é sufficiente a rendere legittimo l'esercizio del diritto di cronaca. Inoltre mentre l'errore incolpevole, non ascrivibile alla condotta del giornalista neppure a titolo di imprudenza, negligenza, imperizia esclude la qualificabilità del comportamento del giornalista sia come reato che come illecito civile, l'errore colpevole esclude, in quanto tale, la possibile configurabilità di un reato, ma non la sussistenza dell'illecito civile che permane in relazione all'art. 2043 cod. civ. Versa in ipotesi di errore incolpevole solo il giornalista che, pur avendo una percezione erronea della realtà, abbia assolto con particolare cura sia l'onere di esaminare, controllare, verificare i fatti, sia di dimostrare di aver diligentemente svolto gli accertamenti del caso, per vincere ogni dubbio ed incertezza circa la verità dei fatti narrati. In questa ipotesi il giornalista può invocare il legittimo esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo della putatività.

Quanto al profilo della attendibilità delle fonti informative, é esclusa la configurabilità del diritto di cronaca sia nel caso in cui la notizia scaturisca da fonti illecite d'informazione, sia nel caso siano state rese notizie non vere anche se già pubblicate in precedenza da altre fonti informative per es. giornali, agenzie, ecc.; ciò anche perché le fonti propalatrici delle notizie attribuendosi, reciprocamente, credito finirebbero per rinvenire in se stesse, quell'attendibilità che non rappresenta comunque criterio idoneo a valutare la legittimità o meno dell'esercizio del diritto di cronaca.

C) L'esercizio del diritto di cronaca richiede infine la forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione. La forma espositiva non può dirsi tale non soltanto "quando é eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, o difetta di serenità e di obbiettività, o comunque calpesta quel minimo di dignità cui ogni persona ha sempre diritto, ma anche quando non é improntata a leale chiarezza".

Tecniche espositive apparentemente innocue ma che in realtà possono diventare strumento di violazione della altrui dignità sono per esempio quella del "sottinteso sapiente", cioè l'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico dei lettori, per le ragioni che possono essere le più varie, le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale, o comunque sempre in senso fortemente sfavorevole nei confronti della persona che si vuole mettere in cattiva luce. In tal senso particolarmente sottile e insidioso espediente é il racchiudere determinate parole tra virgolette, all'evidente scopo di far intendere al lettore che esse non sono altro che eufemismi e che comunque sono da interpretarsi in ben altro senso da quello che avrebbero senza virgolette.

Gli "accostamenti suggestionanti" sono quelli realizzati anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè da alcun esplicito vincolo sintattico, relative alcune a fatti che si riferiscono alla persona che si vuole mettere in cattiva luce, altre ad altri fatti, sempre in qualche modo negativi per la reputazione, ma concernenti altre persone estranee; ovvero giudizi apparentemente espressi in forma generale ed astratta e come tali ineccepibili ma che invece, per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce a persone ben determinate.

Parimenti si realizza un non corretto uso del diritto di cronaca ogniqualvolta il giornalista ricorra al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie di scarso valore al solo scopo di indurre i lettori a lasciarsi suggestionare dal tono usato fino al punto di recepire ciò che corrisponde non tanto al contenuto letterale della notizia, ma quasi esclusivamente al modo della sua presentazione; come per esempio l'uso smodato del punto esclamativo o di aggettivi velatamente negativi o comunque sempre legati a valutazioni molto soggettive come "impressionante", "strano", "non chiaro". Strumenti espressivi, tutti questi, usati non di rado dai giornalisti, che senza offrire prove concrete o sicure della veridicità di quanto narrato possono per es. insinuare nel lettore il sospetto circa la responsabilità o la colpevolezza di coloro che si trovano coinvolti nei fatti esposti e nelle vicende narrate e che proprio per essere vaghi e sfuggenti rendono più difficile ogni difesa.







Cfr. Pretura di Roma 15 luglio 1986 in Dir. Inf. 1986. La pubblicazione da parte di un noto settimanale scandalistico di un inserto contenente notizie di carattere personale e riservato, come gli indirizzi di alcuni personaggi noti e le località normalmente frequentate, in modo da rendere estremamente facile a chiunque interferire nella loro vita privata, fu riconosciuta "lesiva del diritto alla riservatezza anche se avente ad oggetto dati già precedentemente resi noti in forma sparsa."   

Cfr. Tribunale di Roma 15 maggio 1995 in Dir. Inf. 1996 laddove la ripubblicazione dopo circa trent'anni di un fatto di cronaca nera fu riconosciuta "inidonea a integrare gli estremi del legittimo esercizio del diritto di cronaca trattandosi di informazione priva di pubblico interesse".

Cfr. Zeno Zencovich.V., Una svolta giurisprudenziale nella tutela della riservatezza in Diritto dell'informazione e dell'informatica 1986, e Zaccaria R., Materiali per un corso sulla libertà di informazione e di comunicazione. CEDAM Padova 1996 cit. pp.78 ss.

Vd. Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano. Milano Giuffré 1958. cit. pp. 44 ss.

Grisolia G., Libertà di manifestazione del pensiero e tutela penale dell'onore e della riservatezza. CEDAM 1995. cit. p. 70

Vd. Corte Cost. sent. 14 giugno 1956 n. 1, in Giur. cost. 1956.

Vd. Corte Cost. sent. 8 luglio 1957 n. 120., in Giur. cost. 1957 e 13 luglio 1970 n. 129, in Giur. cost. 1970.

Vd. Corte Cost. sent. n. 20 del 1974.

Cass. sez. I civ., 18 ottobre 1984 n. 5259.

Vd. Tribunale di Roma 8 novembre 1996 in Diritto dell'informazione e dell'informatica 1997. In occasione di un caso giudiziario nel quale fu lamentata la lesione della riservatezza (si trattò della ricostruzione televisiva di un fatto di cronaca giudiziaria dopo circa trent'anni), il tribunale giudicò legittimo l'esercizio del diritto di cronaca in quanto sussista un "interesse sociale al riesame di una vicenda di particolare rilievo storico, sociale e culturale". Ma il diritto alla riservatezza può essere sacrificato soltanto "nei limiti della realizzazione dell'interesse sociale, attraverso la divulgazione di quelle notizie strettamente necessarie alla rappresentazione storica del fatto."

Cfr. Schermi A., Sui limiti del diritto di cronaca, in Giust. Civ. 1994 cit. p.1417.

Vd. Corte Cost. sent. n. 175 del 1975.

Mentre la sentenza della Corte di Cassazione 18 ottobre 1984 n.5259 fornisce scarne indicazioni in merito al requisito della verità, la Cass. S.U., 30 giugno 1984 n. 8959 é dedicata quasi interamente all'argomento. Quest'ultima, in occasione di un caso giudiziario di diffamazione a mezzo stampa, ribadisce come, per poter considerare legittimo, l'esercizio del diritto di cronaca, nei confronti dei diritti della personalità, sia necessaria una interpretazione rigorosa del requisito della verità.

Cfr.Tribunale di Roma 16 marzo 1993 in Cassazione Penale 1995 dove si ribadisce che il requisito della verità della notizia narrata, quale elemento essenziale per l'esistenza dell'esimente del diritto di cronaca, deve essere riscontrato obbiettivamente. Pertanto ai fini dell'applicabilità del diritto di cronaca il giornalista deve dare conto di aver verificato in prima persona l'attendibilità della notizia non potendo giustificarsi invocando la credibilità delle sue fonti di informazione.

Ferri G. B., Tutela della persona e diritto di cronaca, in Persona e formalismo giuridico 1995.

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