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Le fonti della deontologia professionale
Se si volesse tracciare un bilancio dello stato di tutela riservata dalla giurisprudenza ai diritti della personalità rispetto all'informazione si dovrebbe concludere per un riconoscimento di questi ultimi soltanto formale, in quanto non sempre assistito da effettivi strumenti di difesa giudiziaria.
Quanto alla tutela dell'onore, alla giurisprudenza della Corte di Cassazione penale va riconosciuto il merito di aver respinto la tendenza ad escludere il reato in caso di errore del giornalista sulla verità della notizia; alla Cassazione civile va invece il merito di aver imposto i requisiti cui l'informazione deve rispondere per rimanere in posizione di prevalenza sui diritti che tende a sacrificare.
Ma, per i diritti della personalità diversi dall'onore, l'azione inibitoria, pur esperibile con immediatezza attraverso il ricorso all'art. 700 c.p.c., per essere efficace dovrebbe operare prima della pubblicazione lesiva, della quale invece non si ha mai preventiva conoscenza.
Il c.d. risarcimento in forma specifica, poi, consistente nella pubblicazione della sentenza al termine di un giudizio civile, non è rimedio effettivo, poiché nessuna efficacia di controinformazione può avere la notorietà di una decisione che interviene anche a notevole distanza di tempo dal fatto lesivo.
Dalle lesioni del diritto alla identità personale e alla riservatezza, poi, derivano normalmente danni non patrimoniali la cui risarcibilità, in mancanza di una corrispondente ipotesi di reato, trova nell'art. 2059 c.c. una barriera insuperabile . Il diritto all'identità personale non ha, quindi, altra difesa effettiva che l'esercizio del diritto di rettifica, il quale, pur nei limiti delle trenta righe previste dalla legge, consente al soggetto di accedere al medesimo mezzo che lo ha presentato in una luce che egli respinge, per proporsi come invece é o ritiene di essere. L'istituto non si addice però al diritto alla riservatezza, la cui violazione non è rimediabile con le rettifiche.
L'inadeguatezza dei mezzi giudiziari rispetto ai molti problemi posti dall'informazione è sottolineata anche dalla circostanza per cui le nuove tecnologie hanno impresso al ritmo delle comunicazioni un'impressionante accelerazione a fronte della quale i lunghissimi tempi della giustizia impediscono, di fatto, qualsiasi riparazione concreta dei diritti pregiudicati. Le vie per ottenere che l'equo contemperamento degli interessi della cronaca e di quelli contrapposti della persona sia effettivo, e non mera affermazione di principio, non mancano, ma il problema é soprattutto un problema di etica del giornalista . Per "etica professionale" si intende, nel linguaggio comune, "un insieme di norme cui si aderisce nell'ambito della propria attività, che si formano inizialmente in via spontanea, originate dalla morale comune e dalla sensibilità etica dei professionisti". Regole che poi tendono a solidificarsi in norme legali o, come più spesso avviene, in codificazioni di autoregolamentazione.
L'affermazione per cui i problemi dell'informazione possono essere risolti solo attraverso il recupero dell'etica da parte di chi esercita il diritto di informazione
impone, tuttavia, alcune precisazioni. Non é sufficiente come soluzione che la categoria dei giornalisti rivisiti quell'insieme di norme che già esistono nella legge istitutiva dell'ordine e che formano la deontologia della categoria, stilando codici di autodisciplina densi soltanto di mere affermazioni di intenti. E' necessario, invece, che al processo di autoregolamentazione si accompagni la creazione di rapidi ed efficaci meccanismi di controllo sul rispetto delle regole stesse. Ciò che impedisce l'effettiva tutela dei diritti che con l'informazione entrano in conflitto é l'inidoneità degli strumenti e degli organi di controllo a garantire il rispetto delle tante regole di correttezza, non già l'assenza di quelle perché, anzi, nel nostro ordinamento le fonti da cui trarre i doveri dei giornalisti non solo sono molte, ma hanno anche, per lo più, natura di vere e proprie norme giuridiche.
In quest'ottica si inserisce la legge 3 febbraio 1963 n. 69 istitutiva dell'ordine dei giornalisti. Questa legge rileva sotto il profilo deontologico per gli artt. 2 e 48. Il primo, richiama innanzitutto l'obbligo della categoria dei giornalisti di rispettare le norme poste a tutela della persona umana, considerandole il limite principale della libertà di informazione ; fissa inoltre il dovere di lealtà e buona fede nel riferire le notizie; di rispetto della verità dei fatti; di rettifica delle notizie inesatte; il dovere di riparare gli errori; di promuovere la fiducia dei lettori; mentre l'art. 48 pone un ulteriore precetto, disponendo che il giornalista, nell'esercizio della professione, tenga un comportamento tale da non compromettere il decoro, la dignità professionale, la reputazione dell'Ordine.
Nel novero delle fonti della deontologia professionale si possono ascrivere anche alcune norme contenute nella contrattazione collettiva dei giornalisti. Si tratta in particolare di un Protocollo avente per oggetto la tutela dei minori; vengono così recepite espressamente, nel contratto di lavoro norme di comportamento, che i giornalisti sono tenuti a rispettare ai fini di sviluppare un'informazione corretta sui minori e in generale sui soggetti deboli.
Infine un ruolo di fonte di regole deontologiche ha svolto in questi ultimi anni anche la giurisprudenza; in particolare i giudici della Corte di Cassazione civile i quali, con la sentenza n. 5259, hanno dettato una serie di criteri di comportamento per il rispetto dei tre requisiti essenziali dell'informazione, verità, continenza, utilità sociale. Anche la Cassazione penale ha fornito elementi utili per definire la correttezza professionale, richiamando il giornalista ad assolvere con scrupolo e diligenza il dovere di verifica delle fonti.
Quanto alla giurisprudenza dell'Ordine professionale, gli interventi non sono, allo stato attuale, numerosi e si sono risolti per lo più in mera censura interna, avendo riguardato giornalisti che avevano offeso l'onore di altri colleghi . Risulta evidente, cioè, un preciso intento di difesa della categoria, mentre mancano iniziative volte a richiamare gli iscritti all'albo al rispetto delle norme deontologiche.
Meritevoli di nota, nell'ottica della difesa dei diritti del cittadino, sono tuttavia alcuni interventi del Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, fra i quali uno in particolare richiama l'attenzione dei giornalisti sul principio di presunzione di innocenza, "principio troppo spesso ignorato dai giornalisti italiani", censurando la condotta di chi omette di controllare le fonti notiziali, o si limita ad accogliere come verità l'affermazione di una sola fonte. Il Consiglio Regionale lombardo esprime inoltre la sua disapprovazione per un tipo di cronaca giornalistica che, badando solo allo scoop, "non ha niente a che vedere con il diritto-dovere di informazione, di critica e di denuncia" . Degna di nota è anche la delibera 19 aprile 1990 del Consiglio Interregionale di Puglia e Basilicata sempre in materia di cronaca giudiziaria, che contiene una enunciazione di regole alle quali il giornalista é chiamato a conformarsi: egli dovrà riportare esclusivamente notizie apprese da fonti oggettivamente attendibili quali sono i protagonisti dei processi, riportare le eventuali interviste alle parti in causa, citare tra virgolette le tesi rispettive tra accusa e difesa, usare titoli e sottotitoli rispondenti al contenuto dei servizi; il cronista giudiziario é altresì autorizzato a riportare fedelmente le dichiarazioni dei difensori, ancorché essi esprimano posizioni critiche nei confronti dei testimoni. Fermo comunque il diritto di criticare e commentare le udienze cui il cronista assiste di persona, anche per fornire al lettore, spettatore esterno e mediato, una chiave di lettura dei fatti in commento.
La rassegna delle fonti della deontologia non può trascurare i codici di autodisciplina . Si tratta di accordi privati, decaloghi, statuti di diritti e doveri che operano un generico richiamo per i giornalisti di questa o quella testata, al rispetto di norme deontologiche che già per legge o per contratto essi sono tenuti ad osservare. Le regole che nei codici ricorrono più frequentemente altre non sono, se non quelle che, imponendo la ricerca della verità, il controllo delle fonti, il rispetto della privacy, costituiscono la base della disciplina prevista dall'art. 2 della legge n. 69 del 1963.
Vero é che nessuno sforzo é stato fatto per calare quei principi nella realtà odierna, sicché i concetti enunciati nei nuovi codici risultano banalizzati e sviliti in una elencazione tanto stereotipata da renderli vuoti di ogni contenuto precettivo. Non é solo la difficoltà di redigere un codice in termini che non siano generici l'unica causa dell'insuccesso di tali iniziative; oltre al fatto che si tratta di documenti aventi validità per una singola testata, privi, quindi di generalità, la creazione della raccolta delle linee deontologiche é solo un primo passo destinato a produrre dei risultati solo se e quando si procederà alla istituzione di meccanismi di controllo adeguati per il rispetto delle regole. Come accennato, infatti, di fronte al mancato rispetto di queste ultime, che configura un'ipotesi di illecito disciplinare, l'Ordine dei giornalisti ha fatto un uso sporadico ed estremamente cauto delle proprie prerogative. Il cittadino la cui tutela non é soddisfatta attraverso i tradizionali strumenti giudiziari, non trova perciò protezione adeguata nemmeno per mezzo di forme di controllo disciplinare
Cfr. Dell'Anna Misurale F., Per un codice deontologico nazionale dei giornalisti, in Contratto e impresa 1993.
L'art 2 afferma che: "E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui". Queste norme sono gli artt. 2, 3, 27 della Costituzione; gli articoli che formano il titolo I libro I del codice civile, sul diritto al nome e all'immagine; gli artt. 594 e ss. del codice penale, sui delitti contro l'onore (dalle quali si possono trarre numerose regole di comportamento professionale); e poi gli artt. 8 e 12 della legge 8 febbraio 1984, n. 47, sulla stampa, che prevedono strumenti per la riparazione dei diritti violati. Ancora l'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 416, che disciplina il diritto di rettifica.
Trattasi della cd. Carta di Treviso, siglata da Federazione Nazionale Stampa Italiana e Federazione italiana Editori Giornali il 4-5 ottobre 1990 a conclusione di un convegno di studi tenutosi nell'omonima città.
Vd. la decisione 5 marzo 1985 del Consiglio Nazionale, in Annuario dei giornalisti, 1987-88, con la quale fu inflitta la sanzione dell'avvertimento al giornalista che fu riconosciuto reo "dell'uso ingiustificato di frasi ingiuriose e di un linguaggio inammissibile" nei confronti di un collega.
Cfr. Sommaruga A.G., La deontologia del giornalista nella giurisprudenza degli organi professionali, in Dir. Inf. 1995.
La prima esperienza in tal senso é il Codice di autodisciplina dei giornalisti de il Sole 24 Ore, sottoscritto dal Direttore e dal Comitato di redazione della testata il 5 marzo 1987, hanno poi fatto seguito La Carta dei diritti e dei doveri del giornalista radiotelevisivo del servizio pubblico sottoscritta il 28 luglio 1990, il Patto sui diritti e doveri dei giornalisti de La Repubblica, sottoscritto il 5 dicembre 1990, il Manuale di stile predisposto dal direttore de L'indipendente del novembre 1991.
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