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Il rapporto di lavoro si configura come un rapporto complesso per la molteplicità degli elementi che concorrono a definire la posizione giuridica delle parti, e cioè i loro reciproci diritti e doveri che possiamo così riassumere:
L'obbligazione di lavoro integra un rapporto complesso, nel quale la prestazione di lavoro costituisce il contenuto principale dell'obbligo del lavoratore.
Il contenuto sostanziale della prestazione, e cioè l'attività dedotta nel rapporto, è desunta da una serie di elementi, e precisamente dalle mansioni, dalle qualifiche e dalle categorie.
Tali elementi, sul piano della struttura del rapporto, identificano l'oggetto della prestazione di lavoro, mentre dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro individuano la posizione di lavoro ricoperta dal prestatore.
Le mansioni indicano l'insieme dei compiti e delle concrete operazioni che il lavoratore è chiamato ad eseguire e che possono essere pretesi dal datore di lavoro: indicano, in s
La prestazione di lavoro dell'impiegato si caratterizza, dunque, per:
Con riferimento al primo elemento, l'art.
1, R.D. 1825/1924, distingue la collaborazione di concetto da quella d'ordine,
senza però definirle. Per
Può quindi dirsi che è impiegato colui che svolge, non tanto attività di produzione, quanto di organizzazione della produzione (Ghera).
L'art. 1, R.D. 1825/1924, fornisce una definizione in negativo dell'operaio, essendo tale, per questa disposizione, il lavoratore che non può essere inquadrato in nessuna delle altre categorie. Con riguardo alla distinzione tra impiegato ed operaio, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono, dopo molte incertezze, che sia determinante, non il carattere intellettuale o manuale del lavoro prestato, bensì il grado della collaborazione fornita dal lavoratore al datore. Così, mentre la prestazione dell'impiegato, anche d'ordine, si caratterizza per l'attività di 'collaborazione all'impresa' - di cui si è detto al paragrafo precedente -, quella dell'operaio si caratterizza per la 'collaborazione nell'impresa', consistente in un generico apporto al processo produttivo, realizzato mediante la mera attuazione delle direttive ricevute.
Si tratti di categorie di origine contrattuale, introdotte cioè dalla contrattazione collettiva in aggiunta a quelle legali. Le figure professionali che si individuano in tale ambito sono:
La distinzione tra impiegati ed operai è oggi parzialmente superata dall'introduzione, ad opera della contrattazione collettiva, di un nuovo sistema di inquadramento professionale: il c.d. sistema di inquadramento unico. Esso si fonda su una classificazione unica dei lavoratori, che vengono ordinati in una pluralità di livelli professionali, e non più, come avveniva in passato, per gruppi di qualifiche all'interno delle varie categorie. In sostanza mentre il sistema tradizionale classificava i lavoratori distribuendoli per gruppi di qualifiche all'interno delle varie categorie (es.: impiegati d'ordine e di concetto, di 1, 2, 3 ,4 categoria impiegatizia), nel sistema dell'inquadramento unito si ha una classificazione unica dei lavoratori, ordinata in 7 o 8 livelli professionali che raggruppano sia le categorie impiegatizia che quelle operaie e anche, talvolta, quelle dei quadri.
L'appartenenza a tali categorie è determinata sulla base di:
declaratorie, cioè definizioni generali delle caratteristiche dell'attività prestata;
esemplificazioni, cioè di un'elencazione delle mansioni pertinenti ai diversi profili professionali.
Le novità introdotte dal nuovo sistema possono, così, sintetizzarsi:
L'art. 2103, c.c., novellato dall'art. 13 dello Statuto dei lavoratori, al co. I, prima parte, testualmente recita: 'Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione'. Tale disposizione limita il c.d. jus variandi, ossia il potere unilaterale del datore di modificare le mansioni del lavoratore, il quale, oltre che alle mansioni per le quali è stato assunto, può essere adibito soltanto:
Al di fuori di questi casi, il lavoratore può sempre opporre il proprio rifiuto allo svolgimento di mansioni diverse da quelle per le quali fu assunto, in forza dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., senza quindi essere esposto a responsabilità disciplinare.
L'art. 2103, ult. co., c.c., prevede espressamente che 'ogni patto contrario è nullo'. Si tratta di un'ipotesi di nullità testuale che determina l'inefficacia di ogni modificazione in peius delle mansioni del prestatore, con attribuzione a quest'ultimo del diritto alla restituzione delle mansioni originarie o equivalenti ovvero, in alternativa, al risarcimento del danno causato alla sua professionalità.
Come detto l'articolo pone il divieto di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori (mobilità verso il basso o demansionamento). Tale divieto può essere derogato: in presenza di esigenze straordinarie sopravvenute e temporanee; nell'ipotesi prevista dall'art. 7 del Dlgs 151/01 che vieta al datore di lavoro di adibire le lavoratrici durante il periodo di gestazione e nei 7 mesi dopo il parto a mansioni pregiudizievoli della salute, autorizzando, a tal fine, a spostare le lavoratrici anche a mansioni inferiori; nel caso di cui all'art. 4 della legge 223/91 relativamente ai lavoratori eccedenti, in presenza di un accordo sindacale che prevede il riassorbimento anche parziale dei lavoratori i esubero.
L'art. 2103, co. 1, c.c., disciplina anche il potere di trasferimento, disponendo che il lavoratore 'non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive' (mobilità introaziendale). Tale previsione consente, nei limiti previsti, il potere unilaterale di modificare in via definitiva il luogo della prestazione lavorativa a parità di mansioni. Il trasferimento può essere disposto, però, sol per comprovate ragioni tecnico organizzative, che il datore ha l'onere di provare e comunicare al lavoratore interessato. Ciò in quanto il trasferimento può comportare la lesione di interessi lavorativi ed extralavorativi. L'onere della prova della legittimità del trasferimento è a carico del datore. Va notato che l'art. 2103, c.c., non si riferisce al trasferimento da una località all'altra, ma al trasferimento da un'unità produttiva all'altra: per unità produttiva deve intendersi ogni articolazione autonoma dell'impresa o azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o servizi dell'impresa della quale è elemento organizzativo.
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