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La legittimità delle leggi: vizi formali e vizi sostanziali




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La legittimità delle leggi: vizi formali e vizi sostanziali


Ragionando di legittimità ai fini dei giudizi sulle leggi, il primo alinea dell'art. 134 ha inteso indubbiamente precludere alla corte ogni sindacato concernente il merito delle scelte legislative, vale a dire la loro opportunità politica e tecnica. Si può trarne conferma, a contrario, dal quarto comma dell'art. 127 Cost., che conferisce da un lato al governo il potere di "promuovere la questione di legittimità davanti alla corte costituzionale, ma d'altro lato riserva alle camere la soluzione delle parallele questioni "di merito per contrasto di interessi". Ed è in questo senso che va interpretato il disposto dell'art. 28 della legge 87, onde "il controllo di legittimità della corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del parlamento". Secondo le correnti impostazioni dottrinali, la summa divisio intercorre fra i vizi formali ed i vizi sostanziali: i primi concernenti il procedimento formativo delle leggi e degli atti equiparati; i secondi relativi, invece al contenuto normativo degli atti medesimi. Non giova replicare che il parlamento può porre qualsiasi norma, purché si serva del procedimento costituzionalmente adeguato allo scopo. Nell'ordinamento vigente si danno limiti del tutto insuperabili cui dunque corrispondono altrettanti vizi sostanziali. In secondo luogo, il discorso kelseniano rimane inapplicabile alle fonti "specializzate" sul tipo delle leggi regionali. In terzo luogo, è radicale la diversità dei rispettivi parametri: nel caso dei vizi formali si tratta, in particolar modo, degli art. 70 della costituzione, mentre nel caso dei vizi sostanziali vengono in rilievo i più vari precetti e principi costituzionali. Né va dimenticato che soltanto i vizi sostanziali sono sindacabili dalla corte costituzionale quanto alle leggi anteriori al 1° gennaio 1948. Più precisamente, si suole sostenere che quelli formali si risolvono in vizi inficianti l'atto legislativo; ed anzi si tende a pensare che i vizi medesimi involgano l'atto considerato "nella sua interezza". Quest'ultimo assunto è stato però contestato da una notevole corrente dottrinale, in nome del canone utile per inutile non vitiatur: donde la conseguenza che l'invalidità formale di una singola disposizione non dovrebbe comportare l'incostituzionalità dell'intera legge. Anche la corte costituzionale ha tratto argomento dal "principio generale di conservazione degli atti" per desumerne che il vizio formale "non comporta, per sé considerato, l'annullamento integrale della legge., ma può solo incidere sulla parte specificamente viziata". Sia che colpiscano l'intero atto, sia che riguardino singole parti di esso, i vizi formali possono risultare così gravi, da far dubitare che il loro accertamento spetti alla corte. I vizi stessi potrebbero implicare addirittura la giuridica inesistenza delle leggi, secondo il principio jura novit curia. Non diversamente dalle leggi anteriori alla costituzione anche le leggi infirmate si prestano ad essere disapplicate da ogni autorità giurisdizionale competente. Quanto ai vizi sostanziali è assai controverso se essi riguardino le norme o le disposizioni delle leggi e degli atti equiparati. Il dilemma presenta una notevole importanza, concettuale e pratica, giacchè per disposizioni s'intendono i testi legislativi, mentre le norme sono il frutto dell'interpretazione dei testi medesimi. Ma i dati ricavabili in proposito dalla costituzione e dalle leggi integrative ed attuative dei essa non sono affatto concordi. Ma la disputa può essere composta, ricordando che la necessaria indicazione di determinati testi legislativi da parte del giudice a quo non esclude affatto, ma anzi comporta, che i testi medesimi debbano venire interpretati, tanto in sede d'impugnativa quanto e soprattutto in sede di giudizio sulla loro legittimità. È per questa via che le norme sono dunque "dedotte" dalle disposizioni o dalle statuizioni di legge; ed è sulle norme che la corte concentra il proprio sindacato: come risulta con particolare evidenza nel caso delle sentenze interpretative, di rigetto o di accoglimento. Senonché, nel momento in cui la corte si pronuncia, dichiarando illegittime le norme impugnate, i dispositivi delle relative decisioni fanno sempre riferimento alle leggi o agli articoli di legge sui quali essi incidono, eliminandone talune parti od anche integrando i testi in questione.


Resta il problema concernente la classificazione dell'incompetenza in cui possono incorrere gli organi e gli enti dotati di questa o quella specie di potestà legislativa: donde un vizio che alcuni finiscono per ritenere formale, mentre altri preferiscono considerarlo come un tertium genus, intermedio fra i vizi degli atti e i vizi delle norme testè analizzati. Per incompetenza s'intende il vizio riguardante il soggetto titolare di una certa legislazione, che la eserciti fuori del campo ad essa attribuito dalle norme costituzionali. Così concepito, però, il vizio stesso tende a confondersi con quelli consistenti nella violazione di qualunque altro parametro, che valga a condizionare l'utilizzazione delle potestà in esame.


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