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Le politiche per il carcere sono politiche per le realtà emarginate: negli anni '60 gli immigrati, negli anni '70 i figli degli immigrati, nel decennio successivo i tossicodipendenti ed infine, nei nostri giorni, gli extracomunitari.
Il 20 febbraio del 1987 il Direttore Generale degli istituti di prevenzione e pena ed il Presidente della Regione Emilia-Romagna siglarono un protocollo d'intesa per realizzare, "nell'ambito delle rispettive competenze, condizioni favorevoli al trattamento di risocializzazione e riadattamento dei detenuti". Le competenze locali alle quali si riferiva il protocollo sono - tra l'altro - quelle definite dall'art. 23 del D.P.R. 616/1977 che, in sostanziale continuità con quanto previsto dagli artt. 45 e 46 della legge 354/1975, ha trasferito alle Regioni le funzioni amministrative concernenti attività quali:
l'assistenza economica in favore delle famiglie bisognose dei detenuti e delle vittime del delitto;
l'assistenza post-penitenziaria;
gli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile
Sulla scorta del protocollo del 1987, in alcuni capoluoghi di provincia dell'Emilia-Romagna, nacquero i c.d. "Comitati Carcere Città" . Il più attivo di essi, quello bolognese, in base ad un protocollo d'intesa siglato nel 1994, era composto, in sede ristretta, da rappresentanti di vertice delle Amministrazioni locali (Assessori competenti di Provincia e Comune) e dell'Amministrazione penitenziaria (Direttori dell'Istituto penitenziario e del Centro di Servizio sociale adulti) e, in sede allargata, anche da rappresentanti delle associazioni, pubbliche e private, di assistenza e volontariato, nonché da rappresentanti di cooperative sociali, sindacati, organizzazioni professionali e dei datori di lavoro. Il suo compito era quello di determinare gli orientamenti, programmare le attività e coordinare le iniziative per l'integrazione degli interventi di rispettiva competenza delle Amministrazioni interessate, anche in base a criteri di partecipazione allargata ai rappresentanti delle parti sociali e ai rappresentanti dell'associazionismo e volontariato. Accanto al livello politico-consultivo, era previsto anche un livello progettuale del Comitato bolognese, organizzato in quattro gruppi tecnici, composti ciascuno da operatori appartenenti alle diverse Amministrazioni interessate. Nel 1994 il "Gruppo tecnico sulla preparazione alla dimissione del detenuto e sull'assistenza post-penitenziaria", del quale facevo parte in qualità di educatore penitenziario, propose l'apertura, all'interno della Casa Circondariale di Bologna, di uno sportello informativo che operasse da trait d'union tra carcere e territorio, garantendo ai detenuti l'accesso diretto ai servizi, in particolare a quelli sociali, forniti dagli enti locali. Presso tale sportello, secondo la proposta del gruppo tecnico, avrebbe dovuto operare personale degli enti locali, e comunque non alle dipendenze funzionali dall'Amministrazione penitenziaria. A seguito di tale proposta, l'Assessorato alle politiche sociali del Comune di Bologna avviò una discussione con le altre componenti del Comitato, istituzionali e non, per verificare la disponibilità a realizzare un progetto che si annunciava assai complesso e innovativo, anche perché senza precedenti nel nostro paese. Le difficoltà nascevano soprattutto dalla previsione dell'istituzione di un ufficio situato all'interno del carcere e sottratto al controllo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. Nel settembre del 1995, in seguito al consistente aumento del numero di stranieri presenti in carcere, la Giunta della Regione Emilia-Romagna, che già un anno prima aveva adottato una risoluzione con la quale si impegnava ad assumere iniziative a sostegno degli immigrati detenuti, deliberò la promozione di una "iniziativa di rilievo regionale" concernente la creazione di uno "Sportello informativo per detenuti immigrati" . Nel novembre del 1996, reperiti i fondi per finanziare il progetto, la Giunta regionale diede mandato al Comune di Bologna di presentare un progetto operativo in tempi brevissimi. Il progetto, elaborato dal "Gruppo tecnico sulla preparazione alla dimissione del detenuto e sull'assistenza post-penitenziaria" sulla falsariga della proposta presentata nel 1994, fu approvato dalla Giunta regionale il 16 dicembre del 1996 e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna con 11000.000 di vecchie lire. Nelle intenzioni dell'ente finanziatore (Regione Emilia-Romagna) doveva garantire l'attivazione di un'esperienza pilota capace di coinvolgere, progressivamente, i referenti degli altri Comuni della regione sedi di carcere nonché il personale dell'Amministrazione Penitenziaria in servizio presso sedi regionali diverse dalla Casa Circondariale di Bologna. Il finanziamento era sufficiente a coprire una fase sperimentale della durata di un anno a decorrere dall'apertura dello sportello informativo all'interno dell'istituto penitenziario bolognese . Gli obiettivi generali posti alla base del progetto erano:
favorire l'accesso dei detenuti a rischio di emarginazione alle risorse, istituzionali e non, disponibili nel contesto bolognese ed emiliano-romagnolo, realizzando una mappatura di tali risorse e promuovendo la costruzione di una rete di collegamento tra di esse e con il carcere;
produrre materiale di documentazione relativo alla fase sperimentale del progetto per favorire la nascita di analoghe esperienze in ambito regionale;
assicurare ai ristretti una migliore conoscenza dei loro diritti e dei loro doveri realizzando un opuscolo in più lingue da distribuire capillarmente all'interno del carcere. Tale opuscolo avrebbe dovuto contenere le informazioni giuridiche e pratiche essenziali sulla realtà carceraria e sulle opportunità post-penitenziarie;
fornire un servizio di mediazione linguistica-culturale ai detenuti stranieri e al personale operante all'interno del penitenziario.
Nel corso del 1997 i diversi attori istituzionali si impegnarono nell'organizzazione tecnica e nella implementazione del servizio. A questo scopo fu istituito un "Comitato tecnico di progettazione" formato da rappresentanti di Regione, Casa Circondariale, Comune, Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria (P.R.A.P.), Centro di Servizio Sociale Adulti (C.S.S.A.) e Istituzione dei servizi per l'immigrazione (I.S.I.) . Alla gestione operativa dello Sportello furono assegnati un coordinatore (il dott. Alessandro Martelli, ricercatore presso il Dipartimento di Sociologia dell'Università di Bologna, per 18 ore settimanali) e due mediatori culturali (uno di lingua araba e francese e uno di lingua albanese, ciascuno per 4 ore settimanali). La Casa Circondariale mise a loro disposizione un ufficio, localizzato all'interno della palazzina della Direzione dell'istituto, mentre il Comune si accollò le spese per l'arredamento e la linea telefonica. La consulenza legale venne assicurata dall'I.S.I., attraverso due esperti di diritto disponibili a richiesta. Completato l'allestimento dell'ufficio, lo Sportello fu ufficialmente avviato il 24 settembre del 1997. La partenza fu resa estremamente difficoltosa dalla mancanza di una qualunque previsione normativa in ordine alla presenza di un servizio comunale all'interno di uno spazio "controllato" come il carcere. Gli operatori dello Sportello furono ammessi a frequentare l'istituto ai sensi dell'art. 17 dell'Ordinamento Penitenziario, cioè a titolo di "partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa" e "sotto il controllo del direttore". Fu necessario definire un preciso protocollo operativo per permettere loro di incontrare i detenuti . In particolare, il direttore impose che il colloquio avvenisse previa sua autorizzazione, su istanza del detenuto e, <<per evitare il pericolo di una confusione di ruoli>>, in presenza di un educatore penitenziario . Per i colloqui con gli indagati e gli imputati era richiesto il nulla osta dell'Autorità Giudiziaria. Per mettere i detenuti ed il personale a conoscenza dell'apertura dello Sportello fu autorizzata l'affissione in ogni sezione del carcere di volantini tradotti in sette lingue: araba, albanese, serbo-croata, inglese, francese, portoghese e spagnola. Non furono invece autorizzate conferenze di presentazione. Oltre a quella di intermediazione linguistico-culturale tra i detenuti ed il personale, lo Sportello svolse almeno altre tre funzioni fondamentali:
attivazione delle risorse esistenti sul territorio per favorire la risoluzione di problematiche emerse nel corso dei colloqui;
creazione di una rete di comunicazione tra i diversi servizi e soggetti esistenti all'interno e all'esterno del carcere;
creazione di una banca dati sulle principali problematiche manifestate dai detenuti stranieri e a rischio di emarginazione.
Nel corso dell'anno di sperimentazione lo sportello riuscì a contattare 71 detenuti (709 i ristretti al 31/12/1997), dei quali solo 26 stranieri (348 al 31/12/1997). Quasi tutti i colloqui erano avvenuti con detenuti "definitivi", cioè in espiazione di pena (60 su 71). I principali bisogni rappresentati dai detenuti furono:
la necessità di un lavoro e di un alloggio, sia nella prospettiva di una scarcerazione, sia per consolidare la possibilità di fruire di permessi premiali e misure alternative alla detenzione;
l'esigenza di un'informazione puntuale sulle modalità di accesso a diritti ed utilità, dal permesso di soggiorno alla pensione di invalidità, dall'iscrizione all'università a quella al collocamento;
la necessità di un supporto di tipo culturale-relazionale, specialmente da parte degli stranieri.
Una delle problematiche immediatamente segnalate dagli operatori dello Sportello fu quella di avvertire una scarsa legittimazione del servizio da parte del personale penitenziario. Il mancato coinvolgimento del personale, in particolare di quello di polizia penitenziaria, nella fase di avvio delle attività dello Sportello fece sì che una larghissima parte degli agenti, infermieri, medici, collaboratori amministrativi operanti nella struttura penitenziaria bolognese ignorasse l'esistenza del nuovo ufficio. Soltanto gli otto educatori, il direttore ed i vicedirettori del carcere erano al corrente dell'opportunità di avvalersi di figure professionali quali i mediatori culturali. Un contributo determinante alla maggiore conoscenza dello Sportello da parte dei detenuti e degli operatori penitenziari venne dalla diffusione di un opuscolo informativo, intitolato "Per non perdere la bussola: orientarsi in carcere", stampato dalla tipografia interna al carcere e distribuito cella per cella dai mediatori culturali all'inizio di aprile del 1999. L'opuscolo, realizzato dal C.S.A.P.S.A. con il contributo di numerosi operatori, conteneva informazioni elementari su tutti gli aspetti della vita quotidiana nel carcere di Bologna: come fare un telegramma, ritirare un pacco postale, effettuare colloqui con parenti o con operatori penitenziari e dello Sportello, frequentare le attività in carcere, acquistare generi alimentari e non, accedere a servizi sanitari, assistere a riti religiosi, ottenere assistenza su questioni previdenziali, accedere a benefici premiali e misure alternative, eccetera. Inoltre illustrava in maniera elementare i principali istituti del diritto processuale, penale e penitenziario e della legge 40/1998 e le fondamentali regole di igiene e prevenzione per evitare la diffusione di malattie quali l'epatite, l'AIDS e la TBC. La traduzione della pubblicazione (in quattro lingue: araba, francese, albanese ed inglese) fu affidata ai mediatori culturali dello Sportello e del C.S.A.P.S.A.
In parallelo con l'iniziativa sperimentale, la cui gestione - come detto - era stata attribuita al Comune di Bologna, la Regione aveva affidato alla cooperativa sociale C.S.A.P.S.A. (Centro Studi Analisi di Psicologia e Sociologia Applicate), l'allestimento di un percorso formativo a livello regionale che coinvolgesse operatori dell'Amministrazione penitenziaria (agenti di polizia penitenziaria, educatori, assistenti sociali) e degli Enti Locali (operatori dei servizi sociali e del settore socio-sanitario, mediatori culturali). Fu organizzato un ciclo di cinque seminari con l'obiettivo di <<affrontare le questioni della mediazione e della progettualità in carcere>> e di <<creare una rete di operatori (.) per riflettere sulla gestione dello spazio carcere con un approccio aperto alle problematiche delle differenze culturali>>. Il titolo prescelto per l'intero ciclo, "Carcere-immigrazione: un problema di mediazione?", si riferiva ai diversi livelli di mediazione suggeriti dalla comparsa degli immigrati negli istituti penitenziari: <<quella tra gli operatori e i detenuti stranieri, quella tra detenuti stranieri e detenuti italiani, quella tra operatori penitenziari e operatori degli enti locali, quella tra attori istituzionali e servizi, quella tra operatori penitenziari e volontariato>> . Agli incontri - svoltisi tra il dicembre del 1997 ed il giugno del 1998 - parteciparono una cinquantina di operatori, per la gran parte assistenti sociali (dei C.S.S.A. e dei servizi sociali territoriali) ed educatori penitenziari (tra i quali il sottoscritto). Furono affrontati - tra gli altri - i temi della mediazione socio-culturale, dei rapporti inter-istituzionali, della nuova legislazione sull'immigrazione (legge 40/1998) e del ruolo del volontariato. Dagli incontri emerse uno spaccato delle conseguenze determinate dalla presenza di un numero elevato di soggetti stranieri in un luogo, il carcere, non certo funzionale alla risoluzione dei problemi sociali, familiari, economici ed umani di chi vi soggiorna coattivamente:
molti immigrati non capiscono perché sono stati imprigionati, e comunque lamentano di non sentirsi assistiti da un difensore col quale, spesso, faticano a comunicare per problemi linguistici;
molti di loro non hanno riferimenti parentali in Italia e non possono telefonare nel loro paese perché i parenti non hanno un'utenza telefonica privata;
i loro rapporti con i detenuti italiani sono spesso assai conflittuali, tanto che la direzione del carcere tende ad omogeneizzare su base etnica l'assegnazione nelle sezioni;
i rapporti con la polizia penitenziaria sono ancora più conflittuali, anche per le difficoltà di comunicazione determinate dai differenti codici linguistici, culturali e comportamentali;
l'ignoranza delle regole penitenziarie, processuali e penali è quasi totale;
la solitudine, tratto caratteristico di chiunque intraprende un percorso migratorio, è esasperata dalla condizione di reclusione, tanto che l'immigrato si trova ad essere <<socialmente, culturalmente ed etnicamente svantaggiato ed escluso>>
Molti operatori si chiedevano se valesse la pena attivare azioni rivolte a soggetti destinati ad essere espulsi alla fine della pena. Secondo il curatore dei seminari, Alain Goussot, <<si potrebbe rispondere facendo un parallelo con quello che Primo Levi affermava a proposito della cura del proprio sé in una condizione come quella del campo di concentramento: anche sapendo di essere condannato a morte, la cura della propria dignità rappresenta un fattore di umanizzazione dei rapporti, un conferimento di senso anche ad una situazione-limite>>
Il 10 marzo del 1998 la Giunta regionale deliberava l'approvazione del Protocollo d'intesa tra il Ministero di Grazia e Giustizia e la Regione Emilia-Romagna per il coordinamento degli interventi rivolti ai minori imputati di reato e agli adulti sottoposti a misure penali restrittive della libertà. Il paragrafo F) della Parte seconda del Protocollo è dedicato al tema della mediazione culturale per immigrati; in esso si afferma che il progetto di rilievo regionale "Sportello immigrati", già in corso di realizzazione, "viene assunto congiuntamente dalle parti". Le due Amministrazioni concordavano, inoltre, circa l'opportunità "di valorizzare e agevolare i progetti che abbiano gli obiettivi di:
a) realizzare un servizio interno al carcere di mediazione culturale e supporto giuridico per gli immigrati ponendo di fatto in discussione le soglie di accessibilità dei servizi stessi;
b) svolgere un'azione - esterna - di consulenza e informazione per i detenuti in relazione ai diritti di tutela giuridica e di fruizione di percorsi alternativi alla detenzione;
c) supportare i detenuti immigrati nella ricerca di condizioni idonee (lavoro, riferimento domiciliare, documenti, ecc.) per l'accesso al lavoro esterno e alle misure alternative, attraverso il contatto con la rete di risorse pubbliche e private esistenti.
In buona sostanza si creavano le condizioni per estendere il progetto Sportello a tutte le carceri della regione e si cercava di intervenire sulla discriminazione di fatto che impediva agli stranieri detenuti l'accesso ad alcuni importanti istituti giuridici previsti dall'ordinamento penitenziario (in primis le misure alternative alla detenzione). Nel paragrafo C) della Parte terza del Protocollo, sono individuati e disciplinati alcuni "strumenti permanenti di collaborazione e coordinamento con scopi di programmazione e verifica", sia per il settore minorile che per il settore degli adulti. Riguardo a tale ultimo settore, ai Comitati Carcere-Città, rinominati "Comitati locali per l'area dell'esecuzione penale adulti", si aggiunge la "Commissione regionale per l'area dell'esecuzione penale adulti", col compito di "determinare gli orientamenti, programmare le attività e coordinare le iniziative per l'integrazione degli interventi di rispettiva competenza delle Amministrazioni interessate, anche in base a criteri di partecipazione allargata ai rappresentanti delle parti sociali e ai
rappresentanti dell'associazionismo e volontariato". Ai "Comitati locali" resta la competenza circa "la rilevazione dei bisogni e la conoscenza delle dimensioni dei fenomeni, la programmazione e la sperimentazione di progetti innovativi, la formulazione di intese operative anche col settore privato, la pubblicazione, la diffusione e la verifica dei risultati".
Il 18 dicembre 1998, a conclusione della sperimentazione bolognese e del ciclo di seminari regionali, fu organizzato, a Bologna, un convegno dal titolo "Carcere, mediazione culturale, multiculturalità dei servizi" . In tale occasione l'Osservatorio Congiunto costituito dal P.R.A.P. Emilia-Romagna e dall'Assessorato Politiche Sociali, Educative e Familiari -Qualità Urbana-Immigrazione-Aiuti Internazionali della Regione Emilia-Romagna presentò un documento statistico dal quale risultava che, alla data del 15 ottobre 1998, in Emilia-Romagna su 2.883 detenuti maggiorenni presenti (di cui 92 donne) il 36,3% erano stranieri (34 donne e 1.009 uomini), rispetto ad una media nazionale del 24,5% . Nel carcere di Bologna, nel quale era stata condotta la sperimentazione, alla stessa data su 754 detenuti ben 348 (il 46,2%) erano stranieri. Il dato più significativo era quello relativo alle misure alternative alla detenzione: solo 46 stranieri, in tutta la regione, fruivano della semilibertà o dell'affidamento in prova, a fronte di quasi 2.500 italiani. Oltre che per trarre un bilancio della sperimentazione, il convegno si rivelò una buona occasione per delineare gli sviluppi futuri del progetto. Il Comune di Bologna, nella persona dell'Assessore alle Politiche Sociali, annunciò, per il 1999, un notevole incremento delle ore di mediazione fornite dallo Sportello bolognese (che sarebbero passate da 8 a 36 settimanali), con una ripartizione delle spese tra Comune e Regione. Il coordinamento dello Sportello In quasi tutti gli istituti penitenziari della regione risultavano partite, o in fase di progettazione, iniziative analoghe, anche grazie ai cofinanziamenti assicurati dalla Regione per l'anno 1999 . La formula dei cofinanziamenti, insieme all'impegno assunto dal Ministero della Giustizia con la firma del Protocollo del 10 marzo 1998 e alla formazione congiunta di operatori appartenenti alle diverse amministrazioni coinvolte, si rivelavano quindi elementi decisivi per la diffusione degli Sportelli su tutto il territorio regionale.
Tra il 1998 e il 2001 hanno iniziato ad operare, in tutte le carceri dell'Emilia-Romagna, "Sportelli informativi" con diverse denominazioni e caratteristiche, ma comunque gestiti da personale non appartenente all'Amministrazione penitenziaria e finalizzati al sostegno dei detenuti stranieri (oltre che, in qualche caso, di quelli italiani a rischio di esclusione sociale ). La relativa uniformità degli Sportelli è stata assicurata attraverso la previsione di specifiche condizioni dettate ai Comuni sedi di carcere per accedere ai finanziamenti regionali. Gli "obiettivi specifici" indicati dalla delibera del Consiglio regionale n. 1207/99, e confermati dalle delibere degli anni successivi, erano:
"realizzare un servizio specifico all'interno degli Istituti Penitenziari, tramite la creazione di un'unità organizzativa che favorisca la circolazione delle informazioni e delle opportunità che regolano la vita interna della detenzione;
svolgere un'azione di orientamento e informazione per i detenuti in relazione ai diritti di tutela giuridica e di fruizione di percorsi alternativi alla detenzione, avvalendosi dell'azione interna di un operatore per un'informazione legale;
supportare i detenuti nella ricerca delle condizioni idonee (lavoro, riferimento domiciliare, documentazione etc.) per usufruire di permessi, di misure alternative, di accesso al lavoro esterno, in stretta collaborazione con gli educatori interni alle strutture carcerarie e agli operatori del territorio;
offrire agli operatori degli Istituti Penitenziari e dei Comuni sedi di carcere l'acquisizione degli strumenti di valutazione delle proprie azioni e di confrontarsi con degli esperti (su materie come tecniche di mediazione, etnometodologia, etnopsichiatria)".
Nell'agosto del 2002, l'Assessore regionale alle Politiche sociali, Gianluca Borghi, presentando una relazione sulla situazione all'interno degli istituti penitenziari della regione, ha accennato all'esperienza degli Sportelli in termini non del tutto positivi: <<I temi della mediazione culturale vedono la Regione e gli Enti Locali impegnati dal 1995, con una spesa complessiva di circa 2 miliardi e mezzo di lire tra il 1998 e il 2001 , di cui circa 100 milioni per la progettazione, l'accompagnamento, il monitoraggio e la formazione congiunta degli operatori degli Enti Locali e del penitenziario, e il resto per la rete di sportelli informativi per detenuti stranieri, oggi utilizzati peraltro anche per detenuti italiani in particolari difficoltà, che coprono tutti i penitenziari della regione. A fronte di questo investimento dobbiamo constatare che le difficoltà interne all'Amministrazione penitenziaria (cambiamenti o assenze di direttori, carenze di personale) hanno prodotto fino ad oggi una valutazione non ottimale sull'uso che viene fatto dei mediatori culturali all'interno degli Istituti>> . Il severo giudizio espresso dall'assessore regionale trae sostanza dalle relazioni periodiche elaborate dai gruppi di progetto locali. Il monitoraggio delle esperienze sviluppatesi nei diversi istituti penitenziari della regione è stato garantito da un "Gruppo di pilotaggio" regionale, composto da funzionari del "Servizio politiche per l'accoglienza e l'integrazione sociale" della Regione, da funzionari del P.R.A.P.-Emilia Romagna, da un consulente del C.S.A.P.S.A., dai referenti di progetto dei tre C.S.S.A. e di ciascun carcere della regione (compreso l'O.P.G. di Reggio Emilia) e dai referenti delle amministrazioni locali coinvolte nel progetto. La segreteria tecnica del gruppo è affidata ai funzionari della Regione e del P.R.A.P., i quali convocano i referenti locali, due o tre volte l'anno, per:
verificare il raggiungimento dei principali obiettivi del progetto regionale;
garantire il reciproco aggiornamento circa lo stato di avanzamento dei progetti locali;
discutere le successive iniziative regionali di formazione congiunta e di monitoraggio delle realtà locali, nonché ogni altra iniziativa utile al miglioramento dei servizi offerti.
La prima riunione del "Gruppo di pilotaggio" (del quale faccio parte in qualità di referente del gruppo di progetto bolognese) si è svolta nel maggio del 2000. Ogni gruppo di progetto è periodicamente invitato a produrre una relazione in ordine all'andamento dei lavori sulla base di una griglia di rilevazione, in modo che siano evidenziati i seguenti elementi:
numero dei colloqui effettuati dallo Sportello;
attività effettivamente svolte;
tipologia delle richieste dei detenuti;
risposte fornite ai detenuti;
criticità dell'attività dello Sportello;
innovazioni promosse dallo Sportello.
Quella che segue è una sintetica rassegna delle risultanze delle verifiche finora svolte.
CASA CIRCONDARIALE DI MODENA - "Sportello informativo rivolto ai detenuti stranieri"
Lo Sportello informativo, nella struttura carceraria modenese, ha avuto un primo avvio (sperimentale) nel 1996, grazie ai finanziamenti concessi dal Comune di Modena ad una iniziativa promossa da alcune associazioni locali (ARCI e MILINDA). Nel progetto originario era previsto che gli operatori dello Sportello effettuassero i colloqui con i detenuti all'atto del loro ingresso in Istituto e prescindendo dalla loro posizione giuridica. Tale modalità fu però ritenuta poco opportuna dall'Amministrazione Penitenziaria, anche perché incompatibile con l'esigenza di verificare la sussistenza di provvedimenti di isolamento giudiziario o sanitario riguardanti i detenuti. Questa difficoltà ha rallentato la messa in opera del servizio, cosicché i primi colloqui con i detenuti furono effettuati dagli operatori dello Sportello soltanto nel gennaio del 1998, dopo un ripensamento generale dell'impostazione dell'attività. In particolare fu stabilito che ai colloqui si procedesse esclusivamente in caso di "domandina" scritta da parte del detenuto interessato, previa autorizzazione del direttore, oppure a seguito di segnalazione da parte di un operatore penitenziario o volontario. Inoltre i primi colloqui effettuati dagli operatori dello Sportello furono effettuati alla presenza degli educatori del carcere, in modo tale da evitare, da parte dei detenuti, il rischio di una confusione di ruoli e da assicurare, da parte degli operatori dello Sportello, una corretta informazione circa i meccanismi che regolano la vita quotidiana dei detenuti. All' interno dello Sportello, ubicato nella "sezione pedagogica" della Casa Circondariale ed attrezzato a spese del Centro Stranieri del Comune, operano in équipe tre figure professionali che hanno ruoli e professionalità differenti: un educatore del Centro Stranieri del Comune di Modena, una mediatrice culturale di lingua araba ed un consulente legale (volontario ARCI). Gli obiettivi dichiarati dal gruppo di lavoro sono:
realizzare un servizio permanente all'interno della struttura carceraria destinato ai detenuti stranieri per favorire la circolazione delle informazioni circa le opportunità offerte dalla struttura penitenziaria e in ordine alle norme che regolano la vita al suo interno;
svolgere un' azione di orientamento e informazione giuridica per i detenuti stranieri, in particolare al fine di agevolare il loro accesso ai diritti;
supportare i detenuti nel conseguimento delle condizioni indispensabili (lavoro, domicilio, documenti, ecc.) per usufruire di permessi, di misure alternative, del lavoro all'esterno, in collaborazione con gli educatori penitenziari e con gli operatori del territorio;
favorire le relazioni tra il detenuto straniero e l'organizzazione carceraria nel suo complesso utilizzando gli strumenti propri della mediazione interculturale.
Tra le attività poste in essere dallo Sportello, ulteriori rispetto ai colloqui, vanno segnalate:
la produzione di materiali informativi, tradotti in più lingue, sulla vita all'interno della struttura carceraria;
la realizzazione di progetti mirati (prevenzione sanitaria, orientamento al lavoro, educazione interculturale) in collaborazione con i soggetti che operano all'interno della struttura penitenziaria;
la costruzione di una rete di contatti tra soggetti, pubblici e privati, in grado di offrire opportunità e servizi ai detenuti ed agli ex-detenuti stranieri;
l'individuazione di forme di sostegno materiale ai detenuti stranieri in stato di indigenza, quali: effetti personali, schede telefoniche, ecc.;
ISTITUTI PENALI DI PARMA - "Sportello di informazione, orientamento e mediazione culturale"
Dopo che nell'anno 1999-2000 era stato realizzato un intervento a favore dei detenuti stranieri tossicodipendenti, grazie ai finanziamenti ex art 127 comma 1 del D.P.R. 309/90 , nel marzo del 2001 ha iniziato ad operare lo "Sportello di informazione, orientamento e mediazione culturale", progettato nell'ambito del "Comitato Locale" di cui al paragrafo C) della Parte terza del Protocollo e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Parma. La fase attuativa del progetto è stata preceduta da una fase preliminare nel corso della quale gli operatori dello Sportello (un coordinatore, un tutor legale, un mediatore di lingua araba ed uno di lingua albanese) hanno frequentato la struttura penitenziaria prendendo contatto con tutti i soggetti che vi operano (educatori, agenti di polizia penitenziaria, volontari ecc.) e realizzando un vademecum per i detenuti (intitolato "Le strade del reinserimento"), successivamente tradotto in albanese, arabo ed inglese. Il detenuto richiede il colloquio attraverso la c.d. "domandina" che, una volta autorizzata dal direttore, viene recapitata al coordinatore dello Sportello dall'agente addetto alle attività trattamentali. Se è necessario un nuovo incontro per fornire risposte, al detenuto viene fissato un appuntamento attraverso la direzione dell'istituto. I colloqui sono tenuti dal coordinatore dello Sportello e dal tutor legale, che compilano una scheda di rilevazione dei bisogni. Gli incontri avvengono in una saletta attigua a quella destinata ai colloqui con i magistrati e gli avvocati. Solo nel caso in cui il detenuto straniero manifesti una insufficiente conoscenza della lingua italiana si fissa un nuovo appuntamento, e al nuovo colloquio partecipa il mediatore culturale. I mediatori, oltre all'interpretariato e alla traduzione di documenti, svolgono un ruolo fondamentale negli incontri tematici (sui permessi di soggiorno, sulla religione islamica ecc.) organizzati all'interno del carcere. La direzione del carcere ha messo a disposizione dello Sportello uno spazio nell'ambito degli uffici degli educatori, per la segreteria tecnica. Il servizio è rivolto a tutti i detenuti, sia italiani che stranieri. A Parma la situazione dell'organico degli educatori penitenziari (un solo educatore attualmente in servizio per 700 detenuti, coadiuvato da un educatore in missione per alcuni giorni della settimana) ha fatto sì che lo Sportello abbia finito anche con il supplire alla mancanza di tali figure professionali, nei limiti in cui ciò è consentito dalla normativa penitenziaria. Nel 2002 il Comune di Parma e la direzione degli Istituti Penitenziari di Parma hanno siglato un protocollo d'intesa (allegato sub A alla deliberazione di giunta n. 481 del 08/04/2002) col quale si sono reciprocamente impegnati a "consolidare il servizio, al fine di orientare ed informare i detenuti in relazione alle seguenti aree tematiche:
a) orientare ed informare in relazione ai diritti di tutela giuridica e di fruizione di percorsi alternativi alla detenzione;
b) offrire ai detenuti stranieri una risposta adeguata alle molteplici difficoltà quotidianamente incontrate nella comprensione della nostra lingua e cultura, attraverso il supporto dei mediatori, attraverso la traduzione in madre lingua dei materiali di documentazione prodotti dallo sportello e la consulenza di esperti;
c) informare rispetto a realtà sociali, economiche, lavorative, scolastiche, formative presenti sul territorio;
d) raccogliere informazioni per poter individuare le modalità di integrazione tra le attività interne di formazione professionale e l'attivazione di borse lavoro interne od esterne;
e) raccogliere tutte le notizie utili in merito alle reali necessità dei liberandi al fine di provvedervi;
f) supportare e favorire nella ricerca delle condizioni idonee (lavoro, riferimento domiciliare, documentazione etc.) per un reale ed effettivo reinserimento sociale;
g) verificare, anche attraverso contatti con il Centro per l'Impiego della Provincia, la possibilità di collocamento al lavoro dei liberandi che stabiliscano la residenza nel circondario".
In base a quanto previsto dal protocollo d'intesa, il coordinatore dello Sportello:
- sottopone a monitoraggio le attività del servizio per una costante verifica dei risultati; sovrintende alla redazione di pubblicazioni e di sintesi tematiche (newsletter) a supporto degli incontri del personale dello sportello con i detenuti;
- redige periodiche relazioni al dirigente della struttura comunale competente;
- svolge una funzione di raccordo sia rispetto ai percorsi di formazione/lavoro, finalizzati al progressivo reinserimento sociale dei detenuti, sia rispetto altresì rispetto ai soggetti del privato sociale e del volontariato, operanti nel settore.
- mantiene i rapporti con l'educatore referente dell'area trattamentale all'interno agli Istituti, con cui collabora per attuare le strategie condivise fra le due amministrazioni.
Per facilitare l'informazione e l'orientamento dei detenuti "verranno realizzati materiali informativi e di documentazione di volta in volta concordati, analogamente a quelli già pubblicati". In particolare è prevista la produzione di un foglio periodico, finalizzato a favorire fra i detenuti la conoscenza delle opportunità che regolano la vita detentiva. Particolare attenzione viene riservata alla condizione dei detenuti stranieri. Ciò in considerazione del fatto che "la situazione degli stranieri in carcere presenta un quadro di netto aggravamento rispetto ai problemi di carattere sociale ed antropologico-culturale, quali: difficoltà di relazioni sia all'interno che all'esterno del carcere; difficoltà economiche e affettive per mancanza di supporto familiare; emarginazione all'interno stesso della struttura carceraria; maggiori problematicità per la fruizione delle misure alternative alla detenzione". A questo proposito ed allo scopo di poter meglio comprendere le esigenze dei detenuti stranieri il tutor dello sportello usufruisce del supporto di mediatori culturali/linguistici, facilitatori dell'approccio con i detenuti stranieri, così come è prevista la traduzione in lingua di tutti i materiali prodotti nell'ambito dello Sportello. Inoltre, sulle questioni più rilevanti che coinvolgono gruppi di detenuti (permesso di soggiorno, presentazione istanze), di volta in volta si organizzano specifiche iniziative avvalendosi anche di esperti esterni. Allo scopo di poter meglio monitorare le varie tipologie di richieste, da parte dei detenuti, a seguito dell'incontro preliminare presso lo Sportello e degli eventuali successivi colloqui, viene compilata dall'operatore dello Sportello informativo una apposita scheda di rilevazione, da conservarsi all'interno dell'istituto a disposizione di tutti gli operatori, per una documentazione quanti-qualitativa dei tempi di risposta e delle procedure attivate. La verifica dell'andamento delle attività dello sportello, sulla base dell'esperienza svolta, deve realizzarsi attraverso incontri periodici dell'équipe "composta dal referente per gli Istituti indicato dal direttore, dal referente per la Struttura Operativa Adulti del Comune, dal coordinatore dei Progetti Carcere, dal tutor legale, con la supervisione del dirigente della Struttura Operativa Adulti". Di grande rilevanza è l'impegno assunto dall'Amministrazione Comunale di "favorire l'avviamento al lavoro per i detenuti che possano usufruire di misure alternative, nel quadro di una programmazione che, partendo dal monitoraggio, nell'ambito dello Sportello informativo, delle aspirazioni formative dei detenuti, contempli, l'attivazione di stage e tirocini formativi, quali premesse per l'attivazione di borse lavoro presso cooperative sociali e/o ditte private presenti nel territorio".
CASA CIRCONDARIALE DI REGGIO EMILIA - "Sportello informativo per detenuti stranieri"
Il progetto, operativo dal 17 luglio del 2000, si pone i seguenti obiettivi:
facilitare la comprensione - da parte dei detenuti stranieri - del contesto carcerario, delle sue regole, dei vincoli e delle opportunità;
promuovere attività ed iniziative finalizzate alla conoscenza e lettura dei bisogni dei detenuti stranieri da parte degli operatori penitenziari;
promuovere la partecipazione dei detenuti stranieri alle attività di scolarizzazione e formazione organizzate all'interno dell'istituto di pena;
attivare percorsi per il superamento degli svantaggi connessi allo status di stranieri (non conoscenza della lingua, mancata o errata conoscenza delle norme in vigore, mancanza di appoggi esterni e di una rete familiare ed amicale);
supportare i detenuti stranieri nel conseguimento dei requisiti (lavoro, documentazione, domicilio, ecc.) per usufruire di permessi, di misure alternative, dell' accesso al lavoro all'esterno;
collaborare con il Centro Servizio Sociale Adulti del Ministero della Giustizia e con il Servizio post-penitenziario dell'Azienda USL di Reggio Emilia per l'individuazione di opportunità di inserimento lavorativo e/o abitativo;
produrre materiale informativo tradotto in più lingue per orientare i detenuti sulla realtà carceraria e le modalità di accesso ai servizi presenti sul territorio.
Lo Sportello svolge la sua attività, all'interno della Casa Circondariale, tre giorni la settimana: il martedì pomeriggio dalle 16.00 alle 19.00; il mercoledì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00; il venerdì dalle 16.00 alle 19.00.
Sulla base di elenchi periodici dei nuovi ingressi in Istituto, forniti dall'Ufficio Matricola, i detenuti vengono convocati dalle operatrici per un primo colloquio informativo individuale. Durante tale colloquio vengono forniti chiarimenti in merito all'attività e alla funzione dello Sportello, agli orari e ai giorni di apertura, alle competenze degli operatori, ai problemi per i quali i detenuti possono rivolgersi allo Sportello e alle modalità per poter fruire di ulteriori colloqui. Per richiedere successivi colloqui, i detenuti stranieri interessati devono, infatti, compilare un'apposita "domandina" la quale, una volta autorizzata dal Direttore, è consegnata alle operatrici dello Sportello. Queste, dopo aver consegnato la richiesta al personale di Polizia Penitenziaria, convocano allo Sportello i detenuti che ne hanno fatto richiesta.
Tre sono le figure professionali che operano nello Sportello:
l'operatrice preposta all'informazione sul sistema penitenziario e penale (la cui presenza è di due pomeriggi settimanali), che si pone l'obiettivo di facilitare la comprensione delle leggi italiane, della posizione giuridica del detenuto, degli atti giudiziari, delle fasi del processo, delle opportunità concesse ai detenuti dalla recente legislazione;
la mediatrice culturale di lingua araba (presente due pomeriggi la settimana);
l'operatrice addetta all'informazione sui servizi che operano nel territorio (presente due giorni la settimana), il cui ruolo è principalmente quello di approfondire la conoscenza del detenuto in ordine al contesto sociale nel quale si trova ed ai servizi ai quali potrà fare riferimento qualora, al termine della pena, dovesse rimanere nel territorio comunale.
CASA CIRCONDARIALE DI RIMINI - "Progetto detenuti stranieri"
Il progetto è stato elaborato da un gruppo di lavoro composto da operatori e funzionari della A.U.S.L. di Rimini, del carcere e del mondo dell'associazionismo e del volontariato. Il 21 ottobre del 1998, nel corso di un'assemblea organizzata all'interno del carcere, il progetto viene presentato ai detenuti stranieri in italiano, francese, arabo e albanese. Da quella data iniziano i colloqui con i detenuti stranieri, ogni mercoledì dalle 8,30 alle 11,30, presso la "sala magistrati" del penitenziario. Una volta al mese si riunisce il gruppo di lavoro, che comprende una rappresentanza della polizia penitenziaria. Nel 1999 viene stampato un opuscolo in quattro lingue simile, nei contenuti, a quello pubblicato a Bologna. Significative sono le collaborazioni avviate con il locale Ufficio Stranieri della Questura, con l'Ispettorato del Lavoro e con alcuni consolati. I colloqui sono effettuati - previa autorizzazione della "domandina" del detenuto da parte del direttore del carcere, da due mediatrici culturali, una di nazionalità rumena e l'altra marocchina, che curano personalmente le pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Il coordinamento del progetto è curato dalla dr.ssa Staccioli del Ser.T. di Rimini, che ha messo a disposizione i suoi uffici e le sue attrezzature per il lavoro di back office.
CASA CIRCONDARIALE DI RAVENNA - "Sportello stranieri"
La realizzazione di uno Sportello informativo all'interno della Casa Circondariale di Ravenna è iniziata nel luglio del 1998 con un progetto pilota, ed è proseguita negli anni seguenti. Tale iniziativa, condotta, sul piano operativo, dalla cooperativa sociale "Il Mappamondo", è stata realizzata grazie all'interesse della Direzione della Casa Circondariale di Ravenna ed al sostegno finanziario del Consorzio per i Servizi Sociali di Ravenna, Cervia, Russi e dell'AUSL di Ravenna. Un operatore della cooperativa si reca, per 2-3 ore ogni settimana, presso il carcere di Ravenna, per incontrare le persone straniere detenute al suo interno e per valutare le loro richieste. Per migliorare la comunicazione, in accordo con la direzione del carcere, per alcuni casi sono stati impiegati dei mediatori culturali di madrelingua. Inoltre, è stata attivata una consulenza legale esterna al carcere a cui far riferimento per questioni specifiche. Oltre all'attività di Sportello, sono programmate all'interno della Casa Circondariale attività di approfondimento di temi culturali (ad esempio, nel 1999, un ciclo di incontri sulla cultura araba e sulla religione islamica). Le richieste più frequentemente rivolte allo Sportello dai detenuti riguardano la ricerca di opportunità lavorative e abitative, la possibilità di richiedere o rinnovare il permesso di soggiorno, il passaporto ed altri documenti di identificazione, la possibilità di accedere ai sussidi di disoccupazione, l'accertamento delle utenze telefoniche (necessario per consentire ai detenuti di telefonare ai familiari all'estero). I colloqui sono richiesti dagli interessati tramite la c.d. "domandina" al direttore dell'istituto e si svolgono presso la "sala avvocati". L'informazione circa l'esistenza del servizio e le modalità per accedervi è fornita ai detenuti dall'educatore penitenziario in sede di "colloquio di primo ingresso"
CASA CIRCONDARIALE DI FORLI' - "Sportello immigrati"
Lo Sportello ha iniziato le sue attività nel marzo del 2000. Un mediatore culturale di lingua araba, presente tutti i giovedì dalle 14 alle 15, effettua colloqui individuali ed incontri collettivi. Mensilmente è convocata una riunione di verifica alla quale prendono parte, oltre al mediatore, alcuni operatori penitenziari e una assistente sociale del Comune di Forlì, finanziatore del progetto. Il coordinamento dello Sportello è curato dalla "Associazione Centro di Solidarietà della Compagnia delle Opere". Dal giugno del 2000 al mediatore si è affiancato un ministro di culto di religione musulmana.
CASA CIRCONDARIALE DI PIACENZA - "Sportello detenuti immigrati"
Nella Casa Circondariale "Le Novate" l'Associazione di Solidarietà 'La Ricerca' Onlus coordina uno sportello informativo per detenuti immigrati, con due mediatrici culturali presenti il venerdì e il sabato per un totale di 6 ore settimanali. L'associazione è presente nel carcere di Piacenza, con propri volontari e operatori, da 10 anni con lo sportello tossicodipendenze e da tre con il progetto 'Sportello detenuti immigrati', gestito in convenzione con il Comune di Piacenza.
CASA CIRCONDARIALE DI FERRARA - "Servizio informativo per detenuti stranieri"
L'attività del servizio è iniziata nel novembre del 2000. Un mediatore, presente in carcere 5 giorni la settimana, svolge colloqui individuali su richiesta del detenuto (tramite la c.d. "domandina") o su segnalazione degli operatori penitenziari. Nell'ambito degli interventi svolti, sono stati presi contatti con la Caritas ed il Centro di cultura islamica di Ferrara.
CASA CIRCONDARIALE DI BOLOGNA - "Sportello informativo per detenuti stranieri e a rischio di emarginazione"
Nel corso del 1999, rispetto ad una presenza media di 760 detenuti, lo Sportello ne ha contattati 164, (88 stranieri e 76 italiani), effettuando complessivamente 421 colloqui. Il significativo incremento del numero dei detenuti contattati rispetto alla fase di sperimentazione è da ricollegare:
alla maggiore presenza dei mediatori culturali (garantita per 36 ore settimanali a fronte delle 8 ore precedenti);
alle nuove modalità concordate con la direzione dell'istituto per l'effettuazione dei colloqui. In particolare, dal gennaio del 1999 non è più richiesta la compresenza dell'educatore penitenziario, fermo restando che un rapporto diretto e continuativo degli operatori dello Sportello con gli educatori della casa circondariale è previsto dall'ordine di servizio che ne autorizza le attività.
Inoltre una parte dei colloqui, in particolare quelli con l'utenza italiana, è stata effettuata da un'assistente sociale del Servizio Sociale Adulti del Comune di Bologna, presente in carcere per 18 ore la settimana.
A partire dal maggio del 2000 l'attività di mediazione è stata ulteriormente rafforzata (51 ore settimanali) e, soprattutto, diversificata: ai mediatori socio-culturali, che collaborano soprattutto con gli operatori del trattamento (educatori, psicologi, assistenti sociali), si sono aggiunte le mediatrici socio-sanitarie, che operano all'interno della direzione sanitaria del carcere, e sono presenti per 6 ore settimanali due giorni la settimana.
I mediatori socio-culturali svolgono compiti di:
interpretariato e traduzione linguistica;
lettura e decodifica di comportamenti, abitudini, modi di fare;
ricerca di possibili risorse da attivare dopo la dimissione dal carcere attraverso la messa in rete di servizi del terzo settore ed istituzionali;
orientamento e informazione in campo giuridico, lavorativo, amministrativo;
affiancamento di operatori penitenziari e non durante i colloqui con i detenuti stranieri;
facilitazione dei rapporti con le famiglie residenti all'estero;
facilitazione dei rapporti con le rappresentanze diplomatiche e consolari;
facilitazione dei rapporti con la Questura
segretariato sociale. Si tratta prevalentemente di prestazioni informative e di intermediazione rispetto ad altri servizi e strutture pubbliche e private. Esse riguardano soprattutto le pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno e del passaporto, quelle inerenti la residenza in carcere e la previdenza sociale, quelle indispensabili per contrarre matrimonio in carcere ed ottenere il ricongiungimento familiare una volta espiata la pena.
Le mediatrici socio-sanitarie provengono da un corso di formazione di 700 ore (di cui 350 di stage) per "mediatrici interculturali in ambito socio-sanitario", gestito dall'I.S.I. all'interno del progetto "Impresa Sociale = Femminile Plurale" . I loro compiti sono quindi molto più limitati e specializzati rispetto a quelli svolti dai mediatori socio-culturali. In particolare, nel 2002 hanno collaborato a diversi progetti finalizzati alla prevenzione sanitaria in ambito penitenziario.
Gli operatori partecipanti ai seminari organizzati dalla cooperativa sociale C.S.A.P.S.A. avevano espresso unanimemente ai loro referenti istituzionali l'esigenza di approfondire le tematiche della mediazione interculturale. La Regione Emilia-Romagna, tenendo fede all'impegno assunto con la firma del Protocollo , ha offerto a 60 operatori degli istituti penitenziari, dei C.S.S.A., degli enti locali, delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato, un percorso formativo di 120 ore, strutturato in tre edizioni (in modo da coprire l'intero territorio regionale), con l'obiettivo di fornire strumenti e competenze agli operatori coinvolti nell'erogazione di diverse tipologie di servizi finalizzate alla promozione dell'integrazione sociale e lavorativa dei soggetti detenuti ed ex detenuti. Tale percorso formativo si è svolto nell' anno 2000/2001 ed ha approfondito tematiche attinenti alla mediazione culturale con diversi moduli: le tecniche, gli strumenti e la metodologia della comunicazione interculturale, l'evoluzione del quadro normativo sull'immigrazione, il lavoro di mediazione nell'ambito carcerario, il lavoro sociale di rete. L'organizzazione è stata curata da EnAIP Emilia Romagna nell'ambito del progetto integrato "In-Out" (cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo). Una delle finalità dichiarate di tale progetto è quella di avvicinare la realtà del carcere alla società civile tramite la promozione e l'implementazione del lavoro di rete tra i diversi attori che agiscono nell'ambito del penitenziario. Nel lavoro svolto nei seminari si è teso ad individuare in modo chiaro il profilo professionale del mediatore culturale, in particolare le competenze specifiche di chi deve operare in carcere. Nel 2003 la Regione ha finanziato altri quattro seminari, la cui realizzazione è stata affidata al C.S.A.P.S.A., sui seguenti argomenti:
donne immigrate;
tecniche di colloquio e mediazione;
immigrazione e disagio psichico;
ruolo delle comunità degli immigrati nel percorso di inserimento sociale.
Per il 2004 sono in cantiere cinque seminari sulla mediazione sanitaria in carcere.
Patrizia Tarozzi lavora come assistente sociale presso il C.S.S.A. di Bologna. La frase è stata pronunciata nel corso di un seminario.
I menzionati articoli dell'ordinamento penitenziario già prevedevano, infatti, "la collaborazione degli enti pubblici e privati qualificati nell'assistenza sociale".
I Comitati Carcere Città sopperirono alla mancata costituzione dei "Consigli di aiuto sociale", previsti dagli artt. 74 ss. della legge 354, ma mai divenuti operativi, proprio perché superati - di fatto e di diritto - dal decentramento amministrativo.
Alle riunioni erano invitati, in qualità di osservatori, anche i rappresentanti della Regione e del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria.
All'inizio del 1996, presso la Casa Circondariale di Modena, su iniziativa del Centro Stranieri del Comune, era già stato aperto uno sportello informativo, ma le difficoltà operative incontrate da coloro che avrebbero dovuto - in concreto - avviarne l'attività ha fatto sì che esso abbia cominciato ad operare fattivamente soltanto a partire dal febbraio del 1998. Su tale esperienza tornerò in seguito.
L'I.S.I., primo esempio in Italia di gestione dei servizi per l'immigrazione in autonomia rispetto all'ente comunale (novità resa possibile dalla l. 142/90, sulle autonomie locali), ha operato tra il 1996 ed il 1999.
Il primo colloquio tra un mediatore e un detenuto si è svolto soltanto il 4 febbraio del 1998. Un bilancio del primo anno di attività dello Sportello si può leggere in A. Goussot, A. Malucelli, (a cura di), Mediazione Carcere Immigrazione, Documentazione e materiale di riflessione dei seminari regionali svolti a Bologna tra il 02.12.1997 e il 01.06.1998, Bologna, Lo Scarabeo, 1998, pag. 43-50.
I colloqui successivi con lo stesso detenuto potevano avvenire senza la compresenza dell'educatore che lo aveva in carico.
A. Goussot, A. Malucelli, (a cura di), Mediazione Carcere Immigrazione, Documentazione e materiali di riflessione dei seminari regionali svolti a Bologna tra il 2.12.1997 e il 1.6.1998, Bologna, Lo Scarabeo, 1998, pag. 23
Gli atti del convegno sono stati pubblicati, a cura del dott. Alain Goussot, in un libretto dal titolo Carcere, mediazione culturale, multiculturalità dei servizi. La sperimentazione bolognese e l'esperienza regionale, Bologna, Lo Scarabeo, 1999
Nel novembre del 1995 la percentuale regionale di detenuti stranieri era del 25,6% e quella nazionale del 17,2%.
L'impegno si è poi concretizzato con la delibera del Consiglio regionale n. 1207/99, che ha destinato 300 milioni di lire ai Comuni sedi di carcere, specificando che "l'entità del concorso contributivo della Regione è determinata nella misura del 50% della spesa ammessa a contributo, con variazioni connesse ad arrotondamenti".
Gli Sportelli sono assenti soltanto negli istituti penitenziari destinati alla esecuzione delle misure di sicurezza (Case di lavoro, Ospedali Psichiatrici Giudiziari), dove la presenza di stranieri è irrilevante.
La decisione di estendere il target degli Sportelli anche agli italiani "a rischio di emarginazione", in linea con quanto già praticato dal gruppo di progetto di Bologna, è stata assunta dalla "Commissione regionale per l'area dell'esecuzione penale adulti" soltanto nel 2000. Molti Sportelli continuano ad offrire il loro servizio esclusivamente a detenuti stranieri.
Lo sforzo finanziario prodotto dalla Regione e dagli Enti Locali è evidenziato dal seguente prospetto:
FINANZIAMENTI |
ANNO 1999 |
ANNO 2000 |
ANNO 2001 |
ANNO 2002 |
ANNO 2003 |
REGIONE |
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COMUNI |
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TOTALE |
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La relazione è consultabile in linea all'indirizzo internet www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/home/carcere/relazione.pdf
Informazioni fornite da Nicolas Cortelloni, educatore in servizio presso il "Centro Stranieri" del Comune di Modena
Si tratta di un modulo prestampato (mod. 393) ben conosciuto in tutti gli istituti penitenziari in quanto utilizzato dai detenuti per qualsiasi richiesta rivolta alla Direzione dell'istituto.
Il progetto, denominato "Integrazione stranieri in carcere", era affidato a due mediatori culturali (uno di lingua araba e l'altro di lingua albanese) e due psicologhe del c.d. "Presidio Tossicodipendenze", che si avvalevano della consulenza di un formatore esperto nella mediazione interculturale.
Un ampio resoconto di questo progetto è stato pubblicato nel luglio del 2002 a cura di Alessio Saponaro e Caterina Staccioli, funzionari della Azienda USL Rimini, U.O. Dipendenze Patologiche, con il titolo La popolazione carceraria tra caratteristiche e bisogni. Un'analisi nella Casa Circondariale di Rimini.
Informazioni fornite da Daniela Bevilacqua, educatrice in servizio presso la Casa Circondariale di Ravenna, e da Roberta Madera, operatrice della Cooperativa "Il Mappamondo".
Il riferimento è al colloquio previsto dall'art. 23 comma 5 del D.P.R. n. 230/2000, solitamente svolto da un educatore designato dal direttore dell'istituto.
Informazioni fornite da Mara Verderi, responsabile coordinamento delle attività culturali ricreative nel carcere di Piacenza.
Informazioni fornite da Faouzia Grichi (mediatore culturale), Maria Romano (educatrice penitenziaria) e Maria Baglioni (assistente sociale del Comune di Ferrara).
In questi ultimi due anni i mediatori hanno riscontrato un aumento del numero di persone straniere che, al momento dell'arresto sono in una posizione di regolarità (cioè in possesso di un valido permesso di soggiorno).
Si tratta di un progetto promosso dall'Ufficio "Bologna Sicura", del Comune di Bologna, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo.
Nella parte del Protocollo dedicata alla formazione si legge che "la situazione degli stranieri in carcere presenta un quadro di netto aggravamento rispetto ai problemi comuni alla generalità dei detenuti (.). Quanto sopra rimanda anche ad esigenze formative del personale, peraltro esplicitamente espresse dai sindacati di categoria (.). Il Ministero di Grazia e Giustizia e la Regione Emilia-Romagna riaffermano il comune impegno nell'organizzazione di iniziative di formazione congiunta rivolte al personale sia dell'Amministrazione penitenziaria che degli Enti locali in tutti gli ambiti in cui si realizza il rapporto di collaborazione".
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