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IL PROCESSO TRIBUTARIO
Sezione prima
Le commissioni e le parti
Il processo tributario è disciplinato dal D. Lgs. 546/1992 il cui art. 1 attribuisce la giurisdizione tributaria alle commissioni e contiene una norma generale di rinvio al c.p.c. che opera nei casi in cui il D. Lgs. 546/1992 presenti una lacuna ed a condizione che la norma del codice risulti compatibile con i caratteri del processo tributario. Le commissioni tributarie si articolano in commissioni tributarie provinciali e commissioni tributarie regionali. Il reclutamento e lo status dei membri delle commissioni tributarie sono un aspetto fortemente critico del sistema di tutela in materia tributaria, perché non sono selezionati con pubblici concorsi per esami ma sono scelti dl Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria secondo graduatorie formate in base a criteri e punteggi predeterminati. Possono infatti far parte della commissione provinciale i magistrati, i dipendenti civili dello stato, i ragionieri con dieci anni di attività, i laureati in giurisprudenza o economia da due anni, altri professionisti con dieci anni di attività. In secondo luogo non si ha ha la garanzia che i membri delle commissioni siano dotati di adeguata preparazione tecnica. I requisiti per la nomina a componente di commissione tributaria sono uno degli aspetti peggiori del sistema e non appare rispettata la direttiva della delega secondo cui i giudici tributari devono avere adeguata preparazione nelle discipline giuridiche o economiche acquisita con l'esercizio protrattosi per almeno dieci anni di attività professionali. I membri delle commissioni tributarie sono nominati con decreto dal Presidente della Repubblica su proposta del MEF.
Dal 1° gennaio 2002 la giurisdizione delle commissioni tributarie comprende tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi ed ogni genere e specie e il contributo per il servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. La giurisdizione delle commissioni comprende anche alcuni canoni. Inoltre appartengono alla giurisdizione delle commissioni alcune controversie in materia catastale. Se sorge una questione di giurisdizione è ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione dinanzi alla corte di cassazione secondo le norme del c.p.c. La competenze territoriale delle commissioni tributarie provinciali è determinata dalla sede dell'ufficio o ente che emesso l'atto che si impugna. Per l'appello è competente la commissione nella cui regione ha sede la commissione provinciale che ha pronunciato la sentenza appellata. Se la commissione si dichiara incompetente il ricorrente deve riassumerla causa dinanzi alla commissione dichiarata competente. Se la riassunzione non è fatta il processo si estingue.
Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie riguardanti l'esecuzione forzata. La competenza per tali controversie è regolata dall'art. 9 c.p.c., esse sono quindi sempre di competenza del tribunale a prescindere dal valore. Per segnare la linea di riparo tra giurisdizione delle commissioni e giurisdizione del giudice ordinario va ricordato che le questioni riguardanti il titolo esecutivo (il ruolo) devono essere sollevate mediante ricorso contro il ruolo da proporre alle commissioni tributarie; l'opposizione alla esecuzione è proponibile dinanzi al giudice ordinario solo quando concerne la pignorabilità dei beni. Anche l'opposizione agli atti esecutivi si propone al giudice ordinario ma non è ammessa quando concerne la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo. Inoltre appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le cause di opposizione di terzo, ossia le cause proposte da terzi che assumono di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Infine si propongono al giudice ordinario le cause di danni contro l'agente della riscossione.
Le commissioni tributarie possono essere adite solo mediante ricorso contro uno degli atti indicati come impugnabili; gli atti amministrativi che non sono impugnabili dinanzi al giudice tributario possono essere impugnati dinanzi al giudice amministrativo. Sono quindi impugnabili dinanzi al giudice amministrativo i regolamenti governativi o ministeriali ed i regolamenti degli enti locali che istituiscono o disciplinano tributi; tali atti possono essere disapplicati dl giudice tributario ma è fatta salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente.
Può proporre ricorso il destinatario dell'atto che viene impugnato. Il ricorrente è obbligato a farsi assistere da un difensore tecnico; ma non è necessario il difensore e la parte può agire personalmente nelle controversie di valore inferiore ad euro 2500 e nelle controversie promosse da soggetti che sono abilitati all'assistenza tecnica. Difensori tecnici possono essere non solo gli avvocati ma anche i dottori commercialisti, i ragionieri e perirti commerciali ed i consulenti del lavoro. Vi è poi un elenco di categorie di soggetti che sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni ma con capacitò limitata.
Oltre al ricorrente è parte necessaria del processo tributario il soggetto che ha emesso l'atto impugnato. Se il ricorso è proposto dopo che sia è formato il silenzio-rifiuto rispetto ad una istanza di rimborso legittimato a resistere è l'ufficio o ente cui è stata presentata l'istanza; la sede di tale soggetto determina anche la competenza territoriale della commissione. Gli uffici dell'agenzia e gli enti locali stanno in giudizio senza difensori.
Nel processo tributario vi è litisconsorzio necessario quando l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti. Secondo la giurisprudenza vi è litisconsorzio necessario nelle liti per il rimborso di ritenute: al processo devono partecipare con l'amministrazione resistente sia il sostituto sia il sostituito. Secondo tale giurisprudenza il sostituito non può agire dinanzi al giudice ordinario contro il sostituto ma deve agire dinanzi alle commissioni in contraddittorio sia del sostituto sia dell'amministrazione. Tra i casi di atti con effetti plurisoggettivi quello più ricorrente è l'atto di accertamento di obbligazioni solidali. Non si ha però una situazione di inscindibilità; la sentenza che dovesse accogliere l'impugnazione proposta da uno soltanto dei coobbligati non sarebbe inutiliter data perché comunque essa produrrebbe i suoi effetti tra creditore e ricorrente. Se quindi un atto di imposizione è indirizzato verso più soggetti gli obbligati diversi dal ricorrente sono cointeressati all'esito favorevole del ricorso proposto da uno soltanto dei destinatari dell'atto. Ciascun soggetto cui l'atto sia notificato può impugnarlo dando vita ad un autonomo processo; ma non è necessario che nel processo promosso da un coobbligato siano presenti gli altri, perché la sentenza sarebbe comunque utiliter data nei confronti del ricorrente. Devono ritenersi applicabili nel processo tributario l'art. 103 e l'art. 104 c.p.c. ossia il ricorso collettivo e quello cumulativo. Il ricorso è collettivo quando più soggetti impugnano lo stesso atto con un unico ricorso. Ricorso cumulativo è quello che ha per oggetto più atti. Il litisconsorzio facoltativo può sorgere dal fatto che altri soggetti intervengono in un processo già instaurato o sono chiamati in giudizio. L'art. 14 del D. Lgs. 546/1992 riconosce la legittimazione ad intervenire a due categorie di soggetti:
a) a chi è destinatario dell'atto impugnato;
b) a chi fa parte del rapporto controverso.
Chi interviene in giudizio deve notificare l'atto alle altre parti del processo e costituirsi secondo le regole previste per la parte resistente. L'art. 14 menziona accanto all'intervento volontario la chiamata in giudizio che può avvenire su istanza di parte o d'ufficio ma è arduo ravvisare in materia tributaria ipotesi di comunanza di causa che possono rendere operante la chiamata in causa.
Sezione seconda
Il giudizio di primo grado
L'atto iniziale del processo tributario è il ricorso che è un atto il cui contenuto tipico ed essenziale è una domanda motivata che il ricorrente rivolge al giudice. In dettaglio, il ricorso deve contenere l'indicazione:
a) della commissione adita;
b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza, nonché del codice fiscale;
c) del soggetto contro cui il ricorso è proposto;
d) dell'atto impugnato e dell'oggetto della domanda;
e) dei motivi.
Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore e deve contenere l'indicazione dell'incarico. Ne, ricorso inoltre devono essere indicati i soggetti del processo. Deve poi essere indicato l'oggetto del processo che si compone di due elementi: petitum (ossia l'oggetto della domanda) e causa petendi (ovvero motivo o motivi del ricorso). Oggetto della domanda è il provvedimento che si chiede al giudice: nei processi di impugnazione si chiede al giudice l'annullamento o la dichiarazione di nullità di un provvedimento. Nei processi di rimborso invece il ricorrente chiede al giudice l'accertamento di un suo credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria e la condanna a soddisfarlo. Il motivo del ricorso nei processi di impugnazione è costituito dalla deduzione di un vizio dell'atto impugnato. Nei processi di rimborso oltre ad impugnare il rifiuto dell'amministrazione occorre indicare il fatto da cui scaturisce il diritto al rimborso, la ragione per cui lo si ritiene indebito e chiedere la condanna dell'amministrazione finanziaria o dell'ente locale. Tranne l'indicazione del codice fiscale tutte le altre indicazioni sono prescritte a pena di inammissibilità. L'inammissibilità del ricorso è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo e non è sanata dalla costituzione del resistente. Nel ricorso possono essere inserite l'istanza di sospensione dell'atto impugnato e l'istanza di discussione in pubblica udienza.
Il ricorso deve essere prima portato a conoscenza della controparte mediante notificazione e poi portato a conoscenza del giudice mediante la costituzione in giudizio. La notifica può essere fatta in tre modi. Il più semplice e più usato è la spedizione postale. L'altro è la consegna dell'atto alla controparte. Infine la notifica può essere eseguita secondo la modalità prevista dal c.p.c. la notificazione del ricorso deve essere eseguita entro 60 giorni dalla notificazione dell'atto contro cui si ricorre. Per i ricorsi proposti contro il rifiuto tacito di restituzione non è previsto alcun termine decadenziale, il ricorso non può essere proposto prima di 90 giorni dalla presentazione della domanda di restituzione e non deve essere proposto dopo la prescrizione del diritto alla restituzione che si fa valere.
Il processo tributario può essere instaurato solo se il contribuente riceve la notifica dell'atto dell'amministrazione che rientra nell'elenco degli atti impugnabili. Il legislatore divide gli atti impugnabili in due categorie. Atti autonomamente impugnabili ed altri atti non impugnabili autonomamente. Gli atti autonomamente impugnabili sono:
avviso di accertamento;
avviso di liquidazione;
provvedimento sanzionatorio;
iscrizione a ruolo e cartella di pagamento;
avviso di mora;
atti delle operazioni catastali;
rifiuto espresso o tacito di restituzione;
diniego o revoca dio agevolazioni e rigetto di domande di definizione agevolata;
iscrizione di ipoteca sugli immobili e fermo di beni mobili registrati.
Gli atti non compresi nell'elenco non sono impugnabili autonomamente ma insieme con quelli impugnabili. Ciò significa che il contribuente ricevuto un atto non compreso tra quelli espressamente indicati come impugnabili autonomamente deve attendere che gli venga notificato un atto autonomamente impugnabile e proporre ricorso contro entrambi. Ogni atto può essere impugnato per i vizi che lo concernono e non per i vizi che riguardano altri atti: di qui il corollario che un atto non può essere impugnato per vizi di atti precedenti. Nell'elenco degli atti impugnabili, ruolo e cartella di pagamento sono indicati come atti distintamente impugnabili: ma poiché la cartella di pagamento è l'atto con cui il ruolo viene portato a conoscenza del contribuente il ricorso si rivolge di regola contro il ruolo così come conosciuto dal contribuente attraverso la cartella di pagamento. La distinzione tra i due atti viene in luce solo quando vi è discordanza tra l'uno e l'altro.
Nel processo tributario possono essere esperite innanzitutto azioni di impugnazione rivolte ad ottenere l'annullamento dell'atto impugnato. Il carattere impugnatorio del processo tributario comporta tra l'altro:
a) che il ricorrente non può agire in via preventiva con azione di mero accertamento senza che l'amministrazione abbia emesso un atto impugnabile;
b) che il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all'atto impugnato;
c) che l'amministrazione finanziaria costituendosi in giudizio non esercita un autonomo potere di azione ma si limita a difendere l'atto impugnato e quindi non può fondare la sua difesa su ragioni giuridiche diversa da quelle indicate nell'atto impugnato;
d) che l'amministrazione non può proporre domande riconvenzionali.
Anche secondo la giurisprudenza il processo tributario è un processo di impugnazione di un provvedimento amministrativo che si conclude con decisioni costitutive. Ma la giurisprudenza distingue:
quando l'impugnazione verte su vizi formali dell'atto e il giudice riconosce fondato il ricorso si ha l'annullamento dell'atto impugnato: il giudizio quindi ha i caratteri del giudizio di annullamento ed in tale annullamento si esaurisce;
quando il giudizio verte sull'an o sul quantum dell'imposta la sentenza che accoglie il ricorso ha un contenuto complesso perché il giudice non si limita ad eliminare l'atto ma emette una sentenza sostitutiva dell'atto impugnato;
il giudizio tributario quindi mette capo a sentenza di mero accertamento. Nel processo tributario possono essere esperite anche azioni di nullità. Ciò è un riflesso della norma secondo cui è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Le azioni di condanna possono essere esercitate solo dopo che l'amministrazione ha rifiutato espressamente o tacitamente il rimborso. Hanno carattere impugnatorio anche le azioni di rimborso sia quando il ricorso è proposto contro il provvedimento di rifiuto sia quando il ricorso è preceduto dal silenzio-rifiuto dell'amministrazione. Ma il mero annullamento del rifiuto di per sé non soddisfa il bisogno di tutela del ricorrente; alla domanda di annullamento del rifiuto deve aggiungersi la richiesta di una sentenza di condanna in base alla quale agire in via esecutiva o in ottemperanza. Con il ricorso il contribuente deve dunque proporre una domanda dal contenuto complesso chiedendo che accertato il suo credito il rifiuto di rimborso sia annullato e l'amministrazione condanna a pagare. In materia di termini occorre distinguere il termine entro cui deve essere presentata la domanda di rimborso all'amministrazione da quello entro cui deve essere proposto il ricorso. La domanda di rimborso va presentata entro i termini previsti da ciascuna legge di imposta; se le singole leggi non dispongono nulla il termine è di due anni. il ricorso contro il rifiuto espresso va presentato entro sessanta giorni dalla notificazione dell'atto; invece in caso di rifiuto tacito non vi è alcun termine decadenziale ma va rispettato il termine di prescrizione del diritto al rimborso.
Il ricorrente entro 30 giorni dalla notifica del ricorso deve costituirsi in giudizio depositando il suo fascicolo nella segreteria della commissione. Nel fascicolo deve essere inserito il ricorso con i documenti che vengono prodotti. Deve costituirsi in giudizio anche la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso. La parte resistente se non si costituisce non riceve l'avviso di fissazione dell'udienza né la notifica della istanza di pubblica udienza né la comunicazione del dispositivo. Inoltre se vi è rinuncia al ricorso del ricorrente il processo si estingue senza bisogno di accettazione della parte non costituita.
I fascicoli delle parti sono inseriti nel fascicolo del processo che la segreteria deve formare e sottoporre al presidente della commissione. Il presidente compie un esame preliminare del ricorso e se riscontra uno dei casi di inammissibilità manifesta espressamente previsti la dichiara. Altrimenti assegna il ricorso ad una sezione. Il presidente della sezione ha il potere di dichiarare la sospensione, l'interruzione e la estinzione del processo. Contro i provvedimenti presidenziali è ammesso reclamo al collegio. Il passo successivo del processo è la fissazione da parte del presidente della sezione dell'udienza di trattazione di cui deve essere dato avviso alle parti costituite almeno trenta giorni liberi prima; l'omissione di questo adempimento o la violazione del termine incidono sul contraddittorio; se l'udienza si tiene senza che le parti o una delle parti siano state ritualmente avvertite la decisione è nulla. Le parti possono fino a 20 giorni liberi prima dell'udienza depositare documenti e fino a 10 giorni liberi depositare memorie. Il doppio termine è fissato per dar modo alle parti di predisporre le memorie tendo contro dei documenti prodotti dall'avversario.
La trattazione della controversia da parte del collegio può avvenire in pubblica udienza o in camera di consiglio. La trattazione in pubblica udienza deve essere richiesta da una delle parti con atto autonomo o nel ricorso o in altri casi atti processuali purché si tratto di atti notificati alle altre parti costituite e depositati in segreteria 10 giorni liberi prima della udienza. In mancanza di istanza di pubblica udienza la trattazione avviene in camera di consiglio. L'udienza pubblica si svolge nel modo seguente: dopo la relazione di uno dei componenti del collegio le parti sono ammesse alla discussione; quindi il collegio delibera la decisione in camera di consiglio ma la sentenza è resa pubblica con il deposito. La controversia è decisa con sentenza secondo gli artt. 276 ss c.p.c. non sono ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande. Come nel processo civile la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella segreteria della commissione. Il segretario deve far risultare il deposito apponendo sulla sentenza la firma e la data. La segreteria della commissione deve quindi notificare il dispositivo alle parti costituite.
Possono accadere eventi che arrestano lo svolgimento del processo. Alcune volte si tratta di un arresto temporaneo altre di arresto definitivo: nei casi di sospensione e interruzione il processo riprende il suo percorso. In altri invece il processo non può proseguire e si estingue senza pervenire al suo epilogo naturale. Per regola generale il processo deve essere sospeso in ogni caso in cui la decisione della causa dipenda dalla risoluzione di un'altra controversia da parte di un altro giudice. Nel processo tributario però l'art. 39 del D. Lgs. 546/1992 dispone che il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacitò delle persone salvo che si tratti della capacità dio stare in giudizio. La pregiudiziale civile (cioè la pendenza di una causa pregiudiziale davanti al giudice civile) rende necessaria la sospensione del processo tributario solo nei due casi previsti dall'art. 39 e quando debba essere decisa una questione sullo stato o sulla capacità delle persone. In altri casi di pregiudizialità esterna il processo tributario non deve essere sospeso. La giurisprudenza ritiene che l'art. 39 riguarda solo le pregiudiziali civili per cui è esclusa l'applicabilità dell'art. 295 c.p.c. se sussiste una pregiudiziale tributaria. Questo orientamento è fondato sul presupposto che l'art. 39 regola i rapporti tra giudice tributario e giudice ordinario, non i rapporti tra giudizi pendenti dinanzi al giudice tributario. Il processo tributario quindi deve essere sospeso quando la causa pregiudiziale sia pendente dinanzi ad altro giudice tributario ma solo se le parti della causa pregiudiziale sono le medesime della causa dipendente. Secondo le regole comuni a tutti i processi anche il processo tributario deve essere sospeso a seguito di eventi interni al processo nei seguenti casi:
a) quando viene presentato regolamento preventivo di giurisdizione;
b) quando viene sollevata una questione di costituzionalità;
c) quando viene sollevata una questione di interpretazione di norme comunitarie;
d) quando viene presentato ricorso per ricusazione del giudice.
La sospensione è dichiarata con ordinanza: durante la sospensione non possono essere compiuti atti del processo. Quando cessa la causa della sospensione deve essere presentata istanza di trattazione nel termine di sei mesi altrimenti il processo si estingue.
L'interruzione del processo tributario è disciplinata in modo assai simile al processo civile. Si ha interruzione del processo quando muore la parte privata o il suo legale rappresentante o il suo difensore. L'interruzione si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi in cui la causa dell'interruzione riguardi il difensore. Negli altri casi l'interruzione si ha quando l'evento è dichiarato dal difensore in sede processuale. In altri termini quando muore il contribuente il processo si interrompe solo se il difensore lo dichiara in sede processuale. Le conseguenze dell'interruzione sono analoghe a quelle della sospensione.
Possono darsi casi in cui il processo non giunge al suo epilogo naturale e estingue per rinuncia al ricorso, per inattività delle parti o per cessazione della materia del contendere. La rinuncia non ha effetto se non è accettata dalle altre parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo. Per inattività delle parti il processo si può estinguere nei casi in cui l'impulso di parte è previsto come necessario per la prosecuzione del giudizio: e quindi nel caso in cui la parte non si attivi a seguito di sospensione o interruzione o nel caso in cui non ottemperi all'ordine di integrare il contraddittorio o non riassuma dopo una sentenza declinatoria della competenza o dopo una sentenza di rinvio della cassazione. Si ha cessazione della materia del contendere quando viene meno l'oggetto del processo ossia l'atto impugnato: ad esempio quando avviene la conciliazione.
Anche nel processo tributario le parti possono raggiungere un accordo per effetto del quale cessa la materia del contendere. La conciliazione tributaria non ha natura transattiva e non costituisce una deroga alla c.d. indisponibilità della obbligazione tributaria. La transazione implica reciproche concessioni: le parti private per mettere fine alla lite possono disporre liberamente dei loro diritti. L'amministrazione tributaria invece non può disporre dell'obbligazione tributaria. La conciliazione tributaria ha quindi natura diversa da quella di diritto civile pur avendo anch0'essa la comune funzione di dirimere una lite perché l'amministrazione non è libera di disporre del suo diritto e può accordarsi con il contribuente ma solo per realizzare la giusta composizione della lite. La conciliazione insomma consta di un atto autoritativo al quale si aggiunge dall'esterno il consenso del contribuente. Quali controversie possono essere conciliate? Il legislatore non indica quale sia l'oggetto possibile della conciliazione. Ciò non comporta per l'amministrazione esonero dalle regole che disciplinano il suo agire come se il legislatore le avesse espressamente conferito poteri di disposizione, simili a quelli di un privato. La conciliazione trova il suo campo di naturale esplicazione nelle liti estimative e nelle questioni di fatto quando siano di incerta soluzione. Nelle questioni di diritto la giusta soluzione della lite non è data da soluzioni intermedie sicchè la conciliazione implica che una parte accolga in pieno il punto di vista dell'altra. Non sono conciliabili le questioni che riguardano le sanzioni pur se si tratta di questioni riguardanti solo il quantum. Tale ultimo limite si deduce dalla norma che fa seguire alla conciliazione la riduzione delle sanzioni irrogate. Infatti la conciliazione comporta per il contribuente oil beneficio della riduzione delle sanzioni ad un terzo delle somme irrogabili in rapporto all'ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima. La conciliazione può avvenire solo mentre la lite pende in primo grado e può avvenire in udienza o in sede extraprocessuale. Una delle parti può proporre la conciliazione nella istanza con cui domanda la discussione della causa in pubblica udienza; l'accettazione della proposta può aver luogo in udienza. L'iniziativa può essere assunta anche dalla commissione che può sollecitare le parti a raggiungere un accordo. La conciliazione deve avvenire non oltre la prima udienza ma se l'accordo non viene raggiunto la commissione può assegnare alle parti un termine non superiore a 60 giorni per la formazione di una proposta in via stragiudiziale. Quando in udienza è raggiunto l'accordo viene redatto un processo verbale che chiude il processo e costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute. La conciliazione può essere però realizzata fuori del processo; in tal caso l'ufficio deve depositare in giudizio il documento che formalizza l'accordo. L'atto di conciliazione se è depositato prima della fissazione della data dell'udienza collegiale è esaminato dal presidente della sezione che dopo aver verificato che sussistono i presupposti e le condizioni di ammissibilità della conciliazione dichiara con decreto l'estinzione del processo. Dopo tale data la conciliazione è esaminata dal collegio all'udienza già fissata: in tale sede si redige il processo verbale della conciliazione riportando il contenuto dell'accordo stragiudiziale. La conciliazione è sottoposta al vaglio del giudice tributario che ha il potere-dovere di valutare la legittimità formale e l'ammissibilità. La conciliazione si perfeziona con il versamento entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione delle predetta garanzia sull'importo delle rate successive comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa data e per il periodo di rateazione di detto importo aumentato di un anno. In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive l'agenzia delle entrate provvede alla iscrizione a ruolo delle predette somme a carico del contribuente e dello stesso garante.
Sezione terza
Le prove
La materia delle prove è regolata sia da norme del D. Lgs. 546 sia da norme del c.p.c. La norma cardine in tema di prove è quella secondo cui il giudice salvi i casi previsti dalla legge deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. La raccolta delle prove è quindi denominata dal principio dispositivo. Le parti possono produrre documenti in giudizio inserendoli nel fascicolo con cui si costituiscono in giudizio oppure come allegati delle memorie difensive o con apposita nota fino a venti giorni liberi prima della udienza. A norma dell'art. 115 c.p.c. il giudice deve tener conto anche dei fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
I poteri istruttori delle commissioni tributarie rispecchiano quelli degli uffici impositori. Dispone infatti l'art. 7 del D. Lgs. 546 che le commissioni tributarie ai fini istruttori e nei limiti di dati dedotti dalle parti esercitano tutte le facoltà di accesso di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferiti agli uffici tributari e all'ente locale da ciascuna legge di imposta. Infine le commissioni tributarie quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello stato eo di altri enti pubblici compreso il corpo della guardia di finanza ovvero disporre consulenza tecnica. Pertanto il giudice di sua iniziativa può:
disporre accessi e ispezioni;
richiedere dati, informazioni e chiarimenti;
richiedere relazioni tecniche ad organi dello stato;
disporre lo svolgimento di una consulenza tecnica.
Nel processo tributario è applicabile inoltre l'art. 113 c.p.c. a norma del quale il giudice può richiedere d'ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa che è necessario acquisire al processo. La commissione tributaria non può avvalersi di mezzi istruttori previsti dall'art. 7 o non compatibili con le caratteristiche del processo tributario. Il processo tributario è un processo di parti ed il potere di indicare i fatti rilevanti per il giudizio appartiene in via esclusiva alle parti. Il giudice pertanto non può indagare su fatti che non siano stati indicati dalle parti come precisa l'art. 7 che circoscrive i poteri istruttori del giudice nei limiti dei fatti dedotti dalle parti; inoltre i poteri probatori del giudice sono esercitati a fini istruttori e non a fini decisori. In appello i poteri istruttori del giudice possono riguardare soltanto prove che siano ritenute necessarie per la decisione o che la parte non ha potuto fornire in primo grado per causa ad essa non imputabile; tale norma sembra però priva di rilievo pratico perché in appello è sempre ammessa la produzione di documenti.
Nel D.P.R. 600/1973 è previsto che le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Il contribuente può superare questa preclusione probatoria se deposita con il ricorso i documenti non esibiti in fase amministrativa dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste dell'ufficio per causa a lui non imputabile. In materia di iva e di imposte sui redditi i documenti di cui nel procedimento amministrativo il contribuente abbia rifiutata l'esibizione non possono essere utilizzati nel processo.
Nel processo tributario come nel processo penale non sono utilizzabili le prove acquisite illegittimamente. Prima che nel processo le prove acquisite illegittimamente non sono utilizzabili in sede amministrativa. Non sono utilizzabili i documenti acquisiti nel corso di un accesso che sia stato eseguito senza autorizzazione del procuratore della repubblica o dell'autorità giudiziaria o a seguito di autorizzazione illegittima, essendo qui in gioco la tutela del domicilio. Invece non è stata ritenuta invalidante la mancanza di autorizzazione della direzione regionale dell'agenzia e del comandante di zona della guardia di finanza per lo svolgimento di indagini bancarie trattandosi di atto interno. Analogamente sono state considerate utilizzabili le prove acquisite in sede penale e trasmesse all'amministrazione finanziaria senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria essendo tale autorizzazione intesa a tutelare il processo penale non interessi del contribuente.
Nel processo tributario sono esclusi il giuramento e la testimonianza; il processo tributario è dunque un processo essenzialmente scritto e documentale. L'esclusione del giuramento è una regola tradizionale del processo tributario che si può giustificare in molti modi e che comunque non pone problemi. Meno giustificabile è l'esclusione della prova testimoniale. La prova testimoniale se ammessa opererebbe in ambito limitato; in pratica per la dimostrazione di fatti non documentabili per iscritto. Il divieto esclude che possano essere applicate dalle commissioni le norme del c.c e del c.p.c. in materia di testimonianza. L'esclusione della prova testimoniale non comporta secondo la giurisprudenza consolidata l'inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi riprodotti nei processi verbali della guardia di finanza o dell'amministrazione o delle dichiarazioni di terzi introdotte nel processo con il documento che le riproduce. La corte costituzionale distinguendo tra testimonianze raccolte nel processo e dichiarazioni di terzi, ha affermato che il divieto delle prime non impedisce al giudice tributario di prendere in considerazione le seconde ma come semplici indizi sicchè la decisione non può essere fondata soltanto su di esse ma sono necessari anche altri elementi di prova. Anche la cassazione ammette l'utilizzo di dichiarazioni assunte in sede amministrativa riconoscendo anche alle parti private la facoltà di produrre in giudizio dichiarazioni scritte da terzi al fine di contrastare l'efficacia probatoria delle dichiarazioni assunte dall'ufficio in sede di istruttoria primaria. Si ritiene che le dichiarazioni rese da terzi siano utilizzabili in giudizio seppur con semplice valore indiziario.
La confessione non è espressamente disciplinata come prova del processo tributario per cui si applica l'art. 116 c.p.c. Valgono come prova le dichiarazioni che il contribuente faccia nel processo o in atti extraprocessuali di fatti a se sfavorevoli. La stessa dichiarazione dei redditi e le altre dichiarazioni fiscali possono essere viste come indicazioni di fatti sfavorevoli al dichiarante e dunque come confessioni stragiudiziali. Valore di confessione stragiudiziale viene data anche alle dichiarazioni rese nelle risposte ai questionari o documentate nei verbali redatti in seguito a convocazioni del contribuente presso l'ufficio.
Accade sovente accade sovente che nel corso di indagini di polizia giudiziaria siano rinvenuti documenti o siano assunte dichiarazioni che potrebbero essere rilevanti in ambito tributario. L'utilizzabilità in sede fiscale di tale dati è però da conciliare con la segretezza delle indagini preliminari. In linea di principio tali prove e notizie non sono utilizzabili perché coperte dal segreto istruttorio ma il magistrato penale se ritiene che non via sia pregiudizio per le indagini può autorizzarne l'utilizzazione fiscale. Altra questione attiene alla efficacia nel processo tributario degli accertamenti di fatto contenuti nelle sentenze penali passate in giudicato. Tali accertamenti vincolano gli altri giudici secondo l'art. 654 c.p.p. ma a condizione che la legge regolatrice del processo in cui si vuole far valere il giudicato penale non ponga limitazioni di prova. Ora poiché nel processo tributario vi sono numerosi probatori estranei al processo penale il giudicato penale secondo la giurisprudenza consolidata non vincola il giudice tributario. Ciò non significa che non abbia valore per il giudice tributario ma solo che è liberamente valutabile.
Il giudice valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento salvo che la legge disponga altrimenti. Ad esempio per il giudice tributario non è vincolante una perizia di stima redatta ai sensi dell'art. 2343 c.c. Ma sono numerosi i casi nei quali l'efficacia di un mezzo di prova è predeterminata dalla legge. L'atto pubblico a norma dell'art. 2700 c.c. fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti alla sua presenza o da lui compiuti. I verbali delle verifiche quindi fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti compiuti dal verbalizzante in sua presenza.
Il diritto tributario è ricco di presunzioni legali. La presunzione legale è assoluta se non è ammessa alcuna prova contraria, è relativa se sono ammesse prove contrarie. È detta presunzione mista quella contro la quale la prova contraria è ammessa ma soltanto con determinati mezzi. Nel diritto tributario le presunzioni legali abbondano. Si pensi ad esempio alle presunzioni collegate ai dati bancari. Se vi sono incassi non registrati si presume che si tratti di corrispettivi non registrati. Quando vi sono prelevamenti non registrati si presume che essi abbiano genearto ricavi o compensi non registrati. Il contribuente ha l'onere di provare di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure se sono estranei alla produzione del reddito. In materia di iva si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni. La presunzione non opera se è dimostrato che io beni sono stati impiegati per la produzione perduti p distrutti o consegnati a terzi in lavorazione deposito mo altro titolo non traslativo della proprietà. I beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono acquistati se il contribuente non dimostra di averli ricevuti in base ad un titolo non traslativo della proprietà. In tema di presunzioni semplici va detto innanzitutto che non si applica in diritto tributario l'art. 2729 c.c. secondo cui le presunzioni semplici sono escluse nei casi in cui non è ammessa la prova testimoniale. Le presunzioni semplici non sono ammesse quando il legislatore pone un sistema chiuso di regole probatorie imponendo determinati mezzi di prova e così escludendo implicitamente le presunzioni semplici. In certi casi è richiesta la prova certa e diretta in altri è espressamente previsti il ricorso alle presunzioni in altri ancora è ammesso l'uso di presunzioni prive dei requisiti di precisione gravità e concordanza. Le presunzioni semplici devono essere basate su elementi gravi precisi e concordanti. La norma è interpreta nel senso che gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi potendo anche essere costituti da un solo elemento preciso e grave. Se vi è pluralità di elementi la valutazione del giudice si articola in due momenti: in primo luogo occorre che valuti in maniera analitica ciascuno degli indizi; successivamente occorre una valutazione complessiva di tutti gli elementi. È consolidata la massima secondo cui è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria. Gli studi di settore sono atti amministrativi generali di organizzazione di per sé inidonei a dare fondamento all'accertamento del reddito; solo dopo il contraddittorio con il contribuente gli studi di settore possono essere utilizzati come fonte di presunzione. Il diritto tributario conosce anche presunzioni che possiamo indicare come semplicissime non essendo richiesto che gli indizi siano gravi precisi e concordanti. Nell'accertamento induttivo sono ammesse dalla legge presunzioni semplici anche se non basate sopra elementi gravi, precisi e concordanti.
Il problema dell'onere della prova si presenta al giudice quando al momento della decisione di un fatto non esista né la prova che è avvenuto né la prova che non è avvenuto. Interviene in tale ipotesi la regola dell'onere della prova che indica al giudice in quale modo decidere la controversia. In passato la dottrina e la giurisprudenza avevano elaborato una particolare teoria quella della presunzione di legittimità dell'atto amministrativo secondo cui un fatto assunto come presupposto dell'emanazione di un atto amministrativo si aveva per processualmente provato fino a che il ricorrente non avesse fornito la prova negativa. In tal modo all'amministrazione veniva accordata una posizione privilegiata nel processo perché i fatti affermati nell'atto amministrativo venivano presi per veri senza bisogno di prova. Anche se solo in tempi recenti questo privilegio è stato ripudiato dalla giurisprudenza. Prima che nel processo il problema della prova si pone nel procedimento amministrativo ove l'amministrazione ha l'onere di acquisire la prova dei fatti sui quali si basa il provvedimento. Nel procedimento l'amministrazione ha il potere di richiedere e il contribuente ha l'onere di fornire i documenti che dimostrano la sussistenza di circostanze da cui deriva una esenzione o una agevolazione. Questa realtà procedimentale si proietta nel processo ove la distribuzione dell'onere di prova dipende dal diritto sostanziale. Nel processo tributario d'impugnazione sono in discussione i fatti sui quali si fonda e dai quali trae legittima l'atto impugnato, la mancata prova di quei fatti se contestati dal ricorrente equivale alla prova negativa; il che tradotto in termini di onere della prova vuol dire che l'amministrazione finanziaria ha l'onere di provare i fatti sui quali si fonda l'atto impugnato. Nel processo tributario l'amministrazione finanziaria deve provare i fatti costitutivi del presupposto del tributo e della base imponibile; il contribuente invece ha l'onere di provare i fatti che riducono o elidono il tributo. Nei processi di rimborso il ricorrente ha l'onere di dimostrare che sussistono i fatti costitutivi del diritto che deduce in giudizio. Non ha l'onere di provare che non ha traslato su altri l'onere del tributo.
Sezione quarta
I provvedimenti
Il giudice tributario come il giudice ordinario può emettere tre tipi di atti: sentenza, ordinanza e decreto. I provvedimenti collegiali hanno la forma di sentenza o di ordinanza. Il collegio si pronuncia con sentenza in tutti i casi in cui definisce il giudizio e cioè non solo quando decide il ricorso nel merito ma anche quando dichiara l'estinzione del giudizio o l'inammissibilità del ricorso. Il collegio pronuncia ordinanza in tutti i casi in cui non definisce il giudizio. Ad esempio quando dispone la sospensione cautelare dell'atto impugnato, la sospensione o l'interruzione del processo, l'assunzione di mezzi di prova, la riunione dei processi. I decreti per lo più regolano lo svolgimento del processo e sono atti del presidente. Sono dunque atti generalmente ordinatori. Il presidente della commissione pronuncia decreto ad esempio quando assegna il ricorso ad una sezione. Il presidente della sezione emette decreto quando fissa la trattazione della controversia e nomina il relatore e quando dispone la riunione dei processi. Il presidente della sezione dichiara con decreto l'inammissibilità manifesta del ricorso, la sospensione e l'estinzione del processo.
Il ricorso proposto contro uno degli atti impugnabili non ne impedisce di per sé l'esecuzione o la impedisce solo in parte: se viene impugnato un avviso di accertamento l'atto impugnato può essere eseguito mediante iscrizione a ruolo; se è impugnata una iscrizione a ruolo e/o la cartella di pagamento può richiedere alla stessa amministrazione di sospendere la riscossione nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela. Di solito il bisogno di tutela cautelare sorge nel momento della iscrizione a ruolo, se il ruolo non è affetto da vizi propri ed è stato impugnato l'avviso di accertamento l'istanza di sospensione potrà essere presentata al giudice del processo relativo all'avviso di accertamento e la sospensione dell'avviso propagherà io suoi effetti sulla iscrizione a ruolo. Quando si impugna la cartella di pagamento la sospensione riguarderà la iscrizione a ruolo. La sospensione può riguardare qualunque contenuto dell'atto impugnato. Per ottenere la sospensione debbono sussistere due presupposti: il fumus boni juris (ossia la probabile fondatezza del ricorso) e il periculum in mora (ossia il pericolo che nelle more del processo si verifichi un danno grave ed irreparabile). La decisione sulla domanda cautelare spetta alla commissione ma in caso di eccezionale urgenza il presidente può disporre la sospensione in via interinale ossia fino alla decisione del collegio. La sospensione è dunque accordata dal collegio il quale decide in camera di consiglio dopo aver sentito le parti e dopo aver delibato il merito; la pronuncia ha la forma della ordinanza, deve essere motivata e non è impugnabile. La sospensione può anche essere parziale; inoltre la sospensione può essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia. Gli effetti delle sospensione cessano con la pubblicazione della decisione di primo grado; pubblicata la sentenza diviene operante la norma sulla riscossione o non riscossione collegata ad essa. Il provvedimento che respinge la domanda di sospensione non può essere appellato; e secondo la giurisprudenza la commissione regionale non può sospendere la riscossione della imposta ma solo la riscossione delle sanzioni.
Prime di decidere il merito il giudice deve verificare d'ufficio se sussistono i presupposti per affrontare il merito: deve verificare se la causa appartiene alla sua giurisdizione e alla sua competenza, se il ricorso è ammissibile. In generale il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Dinanzi al giudice tributario non si possono impugnare né gli atti amministrativi generali né i regolamenti; ma se ne può però dedurre come questione pregiudiziale la illegittimità in un ricorso contro un atto impugnabile per ottenerne la disapplicazione. Ciò significa che il ricorrente può impugnare un atto deducendo come motivo di ricorso il vizio di un regolamento che si riflette viziandolo sull'atto impugnato. Il giudice dovrà allora valutare se sussiste il vizio del regolamento denunciato e se ritiene che il vizio sussiste dovrà giudicare l'atto impugnato come se non esistesse la norma regolamentare ritenuta viziata ovvero come atto su cui riflette il vizio dell'atto regolamentare.
Anche nel processo tributario le spese di lite sono a carico del soccombente. Le spese sono, liquidate con la sentenza ma vi può anche essere compensazione. I compensi sono liquidati secondo le tariffe professionali.
Le sentenze con cui sono respinte le domande di impugnazione sono sentenze di mero accertamento in quanto si limitano a dichiarare l'insussistenza dei vizi dedotti con il ricorso e del diritto all'annullamento dell'atto impugnato. Da ciò deriva che l'atto impugnato sopravvive al giudizio e non è sostituito dalla pronuncia del giudice. Se l'atto impugnato non è illegittimo non vi è ragione di sostituirlo. Gli effetti dell'atto impugnato continuano ad essere effetti dell'atto ma sono novati dalla sentenza. Perciò quando un avviso di accertamento iscrive a ruolo la somma da riscuotere non esegue la sentenza ma esegue l'avviso di accertamento. In relazione a quanto detto in tema di nullità e di azioni di nullità possiamo avere nel processo tributario sentenze dichiarative di nullità dell'atto impugnato. Nei casi invece in cui l'atto è impugnato per vizi che lo rendono illegittimo la sentenza di accoglimento del ricorso è una sentenza che annulla l'atto. La giurisprudenza ritiene invece che la sentenza che accoglie i ricorsi di puro annullamento solo nel caso in cui l'eliminazione dell'atto impugnato è fondata su vizi formali o difetto di motivazione; nel caso invece in cui risulta viziato il contenuto dell'atto impugnato il giudice non si limiterebbe ad eliminarlo ma lo sostituirebbe. Le sentenze che accolgono le domande di impugnazione come contenuto caratteristico l'annullamento totale o parziale dell'atto impugnato. Ma il contenuto dispositivo di tali sentenza è duplice perché esse contengono da un lato l'accertamento del diritto e all'annullamento e dall'altro l'annullamento dell'atto impugnato. Con l'impugnazione che da vita al processo tributario si mira all'annullamento non alla sostituzione dell'atto: l'impugnazione è di tipo rescindente non di tipo rescissorio. Se il giudice accoglie totalmente una domanda di annullamento integrale dell'atto l'atto è eliminato e cadendo l'atto cadono anche i suoi effetti.
Le azioni di rimborso sono proposte o con ricorso contro un provvedimento di diniego o a seguito del silenzio dell'amministrazione. Per conseguire una tutela completa il contribuente non deve limitarsi a impugnare il provvedimento negativo o a censurare il silenzio ma deve chiedere che venga il suo diritto al rimborso e che l'amministrazione sia condannata a rimborsare. Il ricorrente dunque quando agisce per un rimborso deve chiedere una decisione dal contenuto complesso con cui viene statuito l'annullamento dal diniego e l'accertamento del credito e la condanna dell'amministrazione. Nel caso di ricorsi proposti a seguito di silenzio non c'è alcuna statuizione di annullamento ma soltanto l'accertamento del credito e la condanna dell'amministrazione. La sentenza di condanna quando sia passata in giudicato ha valore di titolo esecutivo con cui il contribuente può esperire il giudizio di ottemperanza o promuovere il processo di esecuzione forzata secondo le norme del c.p.p.
Le decisioni di merito quando diventano definitive producono un particolare effetto detto cosa giudicata sostanziale che è costituito dall'accertamento di una situazione giuridica soggettiva. Per cosa giudicata sostanziale si intende dunque quel particolare effetto di diritto sostanziale della sentenza che scaturisce dalla statuizione dio esistenza o i inesistenza del diritto fatto valere in giudizio. La cosa giudicata formale invece indica la stabilità che una sentenza acquisisce quando non è più impugnabile in via ordinaria. Le sentenze passate in giudicato possono essere impugnate solo con revocazione straordinaria.
L'oggetto dell'accertamento che fa stato ad ogni effetto riflette l'oggetto della domanda. Il giudicato ha perciò per oggetto l'accertamento del diritto soggettivo fatto valere in giudizio che il giudice dichiara esistente o inesistente. Ciò che si dice nella motivazione della sentenza circa la sussistenza o insussistenza dei fatti posti a bas4e dell'atto non passa in giudicato perché è oggetto del giudicato tributario soltanto la decisione della questione principale della causa ossia l'accertamento del diritto all'annullamento. Al giudicato è estraneo anche ciò che segue l'accertamento ossia l'annullamento dell'atto impugnato. In conclusione oggetto del giudicato è la conclusione ultima del ragionamento del giudice non le sue premesse. Il giudicato vale solo tra le parti i suoi eredi o aventi causa. Non vale per i terzi e soprattutto non può pregiudicarli. In diritto tributario la corte costituzionale con la sentenza 48/1968 in tema di solidarietà ha condannato un sistema che toglie ad alcuni condebitori di un tributo ogni possibilità di difesa autonoma del proprio interesse perché fa espandere fino a loro gli effetti del giudicato ottenuto nei confronti di altro coobbligato. Ne è derivata una svolta radicale nella configurazione degli effetti soggettivi del giudicato. Dopo quelle sentenze è necessario ritenere che il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di esserne parte. Ne scaturisce che gli atti amministrativi e il giudicato non operano ultra partes. Il giudicato pronunciato dall'amministrazione finanziaria e un condebitore non può essere opposto ad altri condebitori come il responsabile di imposta. Il terzo se una norma lo prevede può profittare del giudicato inter alios ma non può essere pregiudicato. Il giudicato pronunciato nei confronti della società di persone non può essere opposto ai singoli soci. Il giudicato pronunciato nei confronti di una società non vale nei confronti dell'amministratore.
Il creditore sulla base di una copia della sentenza di condanna spedita in forma esecutiva a norma dell'art. 475 c.p.c. può promuovere l'esecuzione forzata secondo le norme del c.p.c o il giudizio di ottemperanza dinanzi alle commissione. I due processo possono essere attivati contemporaneamente. Per le sentenze emesse nei processi di impugnazione non è configurabile una esecuzione in senso astratto. Le sentenza che annullano un atto amministrativo non hanno bisogno di esecuzione perchè si eseguono da se. Le sentenze che invece respingono l'impugnazione di un atto impositivo sono sentenze puramente dichiarative. Esse dichiarano la non fondatezza del ricorso e non modificano la situazione sostanziale; resta in vita l'atto impugnato e quindi il precetto che deve essere portato ad esecuzione non è quello contenuto nella sentenza ma quello contenuto nell'atto impugnato.
Il ricorso per ottemperanza può essere proposto dopo che è scaduto il termine per l'adempimento degli obblighi posti dalla sentenza a carico dell'agenzia fiscale o di altro ente impositore. In mancanza di un termine il ricorso è proponibile dopo che sono trascorsi trenta giorni da un atto di messa in mora notificato a mezzo ufficiale giudiziario. La competenza spetta alla commissione tributaria provinciale quando la sentenza cui ottemperare è dio tale organo. Quando cioè una sentenza che non è stata appellata o è stata impugnata ma la commissione regionale ha dichiarato inammissibile o improcedibile l'appello. Invece se la commissione regionale si è pronunciata nel merito e la sentenza è passata in giudicato la competenza per l'ottemperanza spetta sempre alla commissione regionale dato che la pronuncia di appello sostituisce quella appellata anche se è una sentenza di rigetto del gravame. Se la sentenza della commissione tributaria regionale è stata impugnata e la cassazione respinge il ricorso il giudicato cui si riferisce l'ottemperanza promana dalla sentenza della commissione tributaria regionale dinanzi a cui deve essere proposto il ricorso per ottemperanza. Se invece la pronuncia della corte di cassazione è una pronuncia di merito l'ottemperanza alla sentenza della cassazione appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo. La disciplina del procedimento di ottemperanza diverge da quella ordinaria. Il ricorrente deve depositare il ricorso in doppio originale presso la segreteria della commissione; sarà poi la segreteria a comunicarlo alla controparte che può entro 20 giorni trasmettere le proprie osservazioni alla commissione tributaria allegando la documentazione dell'eventuale adempimento. Decorso tale termine il presidente della commissione fissa il giorno per la trattazione del ricorso non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso. Il ricorso è trattato in camera di consiglio ma con facoltà di intervento delle parti che devono essere avvisate almeno 10 giorni prima. il collegio adotta le disposizioni intese a realizzare l'ottemperanza con sentenza. Realizzata l'ottemperanza il collegio dichiara chiuso il procedimento con ordinanza. Il giudizio di ottemperanza p un giudizio sui generis caratterizzato da un misto di poteri cognitori ed esecutivi nel quale il giudice deve individuare gli obblighi non adempiuti valutando la portata del dispositivo della sentenza da ottemperare in una con la motivazione. Segue la tipica attività di merito dell'ottemperanza che consiste nell'adozione di provvedimenti in luogo dell'amministrazione inadempiente. Il giudice deve individuare il complessivo oggetto dell'ottemperanza per il ripristino dell'integrità della posizione del ricorrente e per realizzare la sostituzione coattiva dell'attività amministrativa che l'ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto o ha svolto in maniera difforme dal giudicato. Il giudizio tributario di ottemperanza ha un oggetto limitato da decisum della sentenza da eseguire per cui non può riconoscere un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello su cui ha statuito la sentenza da eseguire ancorchè conseguente e collegato. È stata ritenuta ammissibile la domanda di interessi legali anche se non previsti dalla sentenza da eseguire trattandosi di domanda accessoria rispetto alla condanna al rimborso; ma è stata ritenuta inammissibile la domanda di condanna dell'amministrazione finanziaria alla corresponsione degli interessi anatonistici se tale condanna è estranea alla sentenza da eseguire. Appartiene ella discrezionalità del giudice dell'ottemperanza individuare i mezzi idonei ad assicurare l'esecuzione del giudicato. L'art. 70 dispone che il collegio se lo ritiene opportuno può delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi. Può essere dunque nominato un commissario ad acta cui può essere conferito il potere di avvalersi della struttura dell'amministrazione finanziaria che è tenuta a fornire l'assistenza necessaria per la sollecita adozione del provvedimento commissariale. Le sentenza della commissione tributaria provinciale emesse nel giudicato di ottemperanza non sono appellabili e possono essere impugnate solo dinanzi alla corte di cassazione. Sono impugnabili tutte le sentenza non soltanto quelle che prevedono sulla ottemperanza. Inoltre la disposizione secondo cui il ricorso per cassazione contro le sentenza di ottemperanza è ammesso per inosservanza delle norme sul procedimento è stata interpretata alla luce dell'art. 111 Cost. nel senso che la denuncia di violazione di norme procedurali dell'azione e quindi ogni violazione di legge con riferimento tanto alla legge regolatrice del rapporto sostanziale controverso che a quella regolatrice del processo.
Sezione quinta
Le impugnazioni
I mezzi di impugnazione provocano un nuovo giudizio per porre rimedio ai vizi di una sentenza; essi devono essere distinti in due tipi fondamentali: impugnazioni rescindenti e impugnazioni sostitutive. Le prime conducono ad una pronuncia di mero annullamento della sentenza impugnata, le seconde ad una pronuncia che sostituisce a tutti gli effetti quella impugnata. Tipica impugnazione rescindente è il ricorso per cassazione; tipica impugnazione sostitutiva è l'appello. Questa caratteristica della distinzione si arricchisce se ne consideriamo le implicazioni:
per quanto riguarda l'oggetto mentre le impugnazioni sostitutive sottopongono al giudice ad quem lo stesso oggetto di giudizio del grado precedente, nelle impugnazioni rescindenti l'oggetto del nuovo giudizio è la sentenza impugnata;
per quanto riguarda i motivi le impugnazioni rescindenti sono proposte solo per motivi che riflettono quei vizi della sentenza impugnata e che sono considerati dal legislatore come rilevanti ai fini della impugnazione; nelle impugnazioni sostitutive invece i motivi non sono predeterminati;
per quanto riguarda la cognizione nel giudizio di impugnazione rescindente il giudice limita la sua cognizione ai motivi della impugnazione; nei giudizi sostitutivi sono devoluti al nuovo giudice tutti i materiali già acquisiti nel processo;
infine la decisione rescindente se giudica fondati i motivi di gravame elimina la precedente sentenza aprendo così la strada ad una nuova decisione, se giudice non fondati i motivi lascia in vita la pronuncia impugnata; la decisione sostitutiva invece prende il posto in ogni caso della pronuncia impugnata.
Nel c.p.c. vi è una serie di disposizioni che disciplinano le impugnazioni in generale; nel decreto legislativo sul processo tributario l'art., 49 richiama tutte le norme del codice sulle impugnazioni in generale escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto. I mezzi di impugnazione conosciuti dal processo tributario sono:
l'appello alla Commissione tributaria regionale contro le sentenze della commissione tributaria provinciale;
il ricorso per cassazione contro la sentenza della commissione tributaria regionale;
la revocazione contro le sentenze di primo e secondo grado.
Non è invece proponibile l'opposizione di terzo e non è esperibile il regolamento di competenza.
Le sentenze delle commissioni tributarie provinciali possono essere appellate con ricorso alle commissioni tributarie regionali. L'atto di appello deve essere proposto nel termine di 60 giorni dalla notificazione ad istanza di parte della sentenza di primo grado; in assenza di notificazione opera il termine lungo previsto dall'art. 337 c.p.c., ossia sei mesi dal deposito della sentenza. Se il ricorso non è notificato a mezzo di ufficiale giudiziario l'appellante deve a pena di inammissibilità depositare copia dell'appello presso la segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.
L'appello deve contenere a pena di inammissibilità l'esposizione dei fatti, l'oggetto della domanda e i motivi specifici della impugnazione. L'appellante ha un doppio onere: riproporre i motivi di critica del provvedimento, dedotti nel ricorso di primo grado e censurare la sentenza che non li ha accolti. Poiché l'appello non è un rimedio rescindente ma sostitutivo non hanno rilievo i vizi di procedura del primo grado salvo quelli che comportano la rimessione. L'appellante deve necessariamente formulare motivi e conclusioni di merito; può dedurre motivi solo di rito se ne deriva la rimessione in primo grado.
L'oggetto del giudizio di appello è delimitato dall'atto di appello e cioè dai motivi e dal petitum dell'appello che deve indicare i capi della decisione di primo grado su cui viene richiesto un nuovo giudizio. Se non viene richiesta la riforma integrale si avrà una scissione della prima sentenza perché vi sarà una parte che sarà sostituita dalla pronuncia di appello ed una parte non impugnata che passerà in giudicato. Si forma così il giudicato intero o parziale derivante dalla c.d. acquisizione impropria. Non sono ammesse domande nuove. Non sono ammesse neanche nuove eccezioni; il divieto è da riferire alle eccezioni in senso proprio. Il contribuente che deduce un vizio dell'atto impugnato non formula una eccezione in senso proprio ma deduce un motivo a sostegno della sua domanda. L'amministrazione a sua volta che si oppone ai motivi di ricorso non formula eccezioni in senso proprio ma semplici difese; il divieto di nuove eccezioni non impedisce dunque nuove deduzioni difensive. In relazione ai capi che hanno formato oggetto di impugnazione si ha il c.d. effetto devolutivo per cui le deduzioni ed i materiali acquisiti in primo grado passano automaticamente all'esame del secondo giudice. L'effetto devolutivo automatico non opera però in modo illimitato in quanto è espressamente stabilito che le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate. Questa norma non riguarda l'appellante ma la parte vittoriosa in primo grado: essa ha l'onere di riproporre le questioni non accolte altrimenti si presume che vi abbia rinunciato.
Anche le decisioni di appello possono avere contenuto soltanto processuale o contenuto di merito. Le decisioni di merito sostituiscono quelle di primo grado sia quando accolgono sia quando respingono l'appello. Le sentenze di puro rito sono:
decisioni dichiarative della inammissibilità dell'appello;
decisioni di estinzione del giudizio di appello;
decisione di rimessione al primo giudice.
Nei primi due casi cessa il processo e passa in giudicato la decisione di primo grado; nel terzo caso il processo prosegue in primo grado. Il giudice di appello decide la causa; deve invece rimettere la causa al primo giudice solo quando in primo grado si siano verificate anomalie particolarmente gravi che giustificano un rifacimento del primo giudizio. Si tratta di casi tassativamente previsti e cioè:
a) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice;
b) quando nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato;
c) quando la sentenza impugnata ha erroneamente dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;
d) quando il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto;
e) quando manca la sottoscrizione della sentenza di primo grado.
Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili dinanzi alla corte di cassazione che stabilisce l'applicabilità al ricorso e al procedimento delle norme del c.p.c. il ricorso per cassazione è proponibile per i motivi indicati nell'art. 360 c.p.c. e cioè:
per motivi attinenti alla giurisdizione;
per violazione delle norme sulla competenza quando non è prescritto il regolamento di competenza;
per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
per nullità della sentenza o del procedimento;
per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
È da notare che non possono essere riproposte al giudice di cassazione questioni di fatto: se una questione di fatto è stata risolta in modo sfavorevole il ricorrente non può censurare il merito della decisione; può sollevare solo questioni di diritto o questioni che riguardano la motivazione. Il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto o questioni che riguardano la motivazione. Il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa e quando è manifestatamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo. Il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto a pena di inammissibilità da un avvocato iscritto nell'apposito albo munito di procura speciale. Il termine per proporre ricorso in cassazione è quello breve di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza della commissione tributaria regionale. Se la sentenza non è notificata il ricorso deve essere proposto entro sei mesi dal deposito. La parte contro cui è proposto il ricorso può contraddire mediante un controricorso che può contenere anche il ricorso incidentale. I ricorsi in materia tributaria sono assegnati ad una apposita sezione. Non vi è in cassazione una fase istruttoria per cui la causa viene disposta oralmente in un'unica udienza. Prima della udienza possono essere depositate memorie. Il giudizio di cassazione se viene accolto il ricorso si conclude con una sentenza che annulla la sentenza impugnata senza rinvio o con rinvio dinanzi alla commissione tributaria regionale. La cassazione può anche eccezionalmente pronunciare sul merito ma solo quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto.
La cassazione rinvia alla commissione tributaria provinciale quando accerta anomalie del giudizio in primo grado e cassa una sentenza della commissione tributaria regionale che avrebbe dovuto rinviare ed erroneamente non ha rinviato alla commissione provinciale. Altrimenti la cassazione rinvia alla commissione regionale ed il rinvio si caratterizza in modo diverso a seconda del motivo di rinvio. Il giudizio di rinvio è promosso con impulso di ufficio quando il rinvio è disposto da una commissione tributaria; occorre invece l'impulso di parte quando il rinvio p disposto dalla corte di cassazione. La riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza della cassazione, nelle forme previste per il giudizio di primo o secondo grado. Il processo si estingue se la riassunzione non è tempestiva. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice di rinvio: le parti conservano la posizione processuale che avevano nel precedente procedimento; restano ferme le domande assunte in precedenza e non sono ammesse nuove produzioni p acquisizioni probatorie.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che si propone allo stesso giudice che ha emesso la sentenza di revocare. Si fonda sul presupposto che i vizi della sentenza che possono essere addotti come motivi di revocazione siano tanto gravi ed evidenti da far ritenere che la sentenza impugnata sarà riformata dallo stesso giudice che l'ha pronunciata. Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c. la revocazione è un mezzo di impugnazione proponibile:
se le sentenze sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra;
se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza o che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
se la sentenza è l'effetto di errore di fatto risultante dagli atti della causa;
se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata purchè non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
se la sentenza è l'effetto del dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato.
Tra i motivi per i quali può essere richiesta la revocazione presenta notevole rilievo pratico il vizio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. cioè l'errore di fatto revocatorio che consiste in una svista una falsa rappresentazione della realtà rilevabile sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio senza che si debba ricorrere alla utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongono una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi. Deve trattarsi di un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. L'errore revocatorio deve emergere da un atto o da un documento acquisito agli atti del processo e deve interessare un profilo decisivo della sentenza. La revocazione delle sentenze tributarie è ammissibile anche nel caso di contrasto con un precedente giudicato quando non si sia tenuto conto di un precedente giudicato. La revocazione si distingue in ordinaria e straordinaria a seconda del tipo di vizio lamentato. La distinzione rileva ai fini del decorso dl termine per la proposizione del ricorso. È definita ordinaria la revocazione fondata su vizi palesi di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. che possono essere desunti dalla stessa sentenza o sono relativi ad altri elementi già noti o conoscibili. La revocazione ordinaria deve essere proposta entro sessanta giorni dalla notificazione p nel termine lungo di sei mesi dal deposito della sentenza. La revocazione straordinaria invece è quella proposta per motivi previsti dagli altri numeri dell'art. 395 c.p.c. (1, 2 , 3 e 6) , tale forma di impugnazione si basa su circostanze non desumibili dal testo della sentenza ci cui la parte può venire a conoscenza anche a notevole distanza di tempo dalla decisione. Anche la revocazione straordinaria deve essere proposta entro il termine di sessanta giorni che decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice. La revocazione è proponibile contro le sentenze delle commissioni tributarie che non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate. Ciò significa che le sentenze di primo grado non sono soggette a revocazione. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate con ricorso per revocazione straordinaria. Il riesame della sentenza di primo grado non può mai avvenire per i motivi specificati nei numeri 4 e 5 dell'art., 395 c.p.c. perché se non è esaurito il termine per l'appello è questo l'unico rimedio contro la sentenza viziata; al contrario se è scaduto quel termine la revocazione è proponibile solo per i motivi previsti ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. Le sentenze di secondo grado sono impugnabili per revocazione sia ordinaria che straordinaria perché suo vizi relativi al giudizio sul fatto non può porre rimedio il ricorso per cassazione. La revocazione è ammessa da subito perché le sentenze di appello non sono ulteriormente impugnabili sotto il profilo degli accertamenti di fatto. Le sentenze di secondo grado sono impugnabili per cassazione per i motivi indicati dall'art. 360 c.p.c. e sono impugnabili per revocazione per tutti i motivi indicati dall'art. 395 c.p.c. Le sentenze della suprema corte sono soggette a revocazione ordinaria. Il ricorso per revocazione deve contenere a pena di inammissibilità gli stessi elementi del ricorso in appello e la specifica indicazione del motivo di revocazione. La revocazione è un giudizio a due fasi. La prima fase quella rescindente ha ad oggetto il motivo di revocazione e si conclude con una pronuncia a carattere esclusivamente processuale. Se si è accertata la esistenza del motivo la sentenza impugnata viene meno e si passa alla seconda fase. La fase rescissoria ha lo stesso oggetto della sentenza revocanda e si conclude con una sentenza che decide il merito della causa sostituendosi a quella revocata. La sentenza di secondo grado può essere impugnata sia per revocazione sia per cassazione. La duplicazione è ammessa perché i due mezzi di impugnazione sono proponibili per motivi diversi. Con la revocazione sono fatti valere vizi attinenti al merito della controversia e quindi al giudizio di fatto esperito dal giudice, con il ricorso per cassazione sono denunciate invece le violazioni o le false applicazioni di norme sostanziali e processuali. L'art. 398 c.p.c. prevede che il ricorso per revocazione non sospende di per sé il termine del ricorso per cassazione o il relativo procedimento ma il giudice della revocazione può su istanza di parte e qualora ritenga non manifestatamente infondata la domanda di revocazione sospendere il termine o il procedimento fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione.
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