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PRINCÌPI GENERALI SULLA PROVA
Il codice del
Al giudice è riservato il potere di decidere; alle parti è attribuito il potere di ricercare le prove, di chiederne l'ammissione, di contribuire alla formazione delle stesse.
Il giudice prima accerta se è avvenuto il fatto storico che è stato addebitato all'imputato e se questi ne è responsabile; poi interpreta la norma incriminatrice al fine di ricavarne quale è il fatto tipico punibile; infine, valuta se il fatto storico, che ha accertato, è "conforme" al fatto tipico previsto dalla legge.
Dal punto di vista formale, la decisione pronunciata dal giudice si presenta come una "sentenza".
Essa è composta da una motivazione e da un dispositivo.
Nella motivazione il giudice, in base alle prove che sono state acquisite nel corso del processo, ricostruisce il fatto storico commesso dall'imputato (motivi "in fatto"); quindi interpreta la legge e precisa il "fatto tipico" previsto dalla norma penale incriminatrice ("motivi "in diritto"); infine valuta se il fatto storico rientra nel fatto tipico (giudizio di conformità).
Nel dispositivo il giudice trae le conseguenze dal giudizio di conformità: se il fatto storico commesso dall'imputato è conforme al fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice, il giudice condanna (533); se il fatto storico non è conforme al fatto tipico, il giudice assolve l'imputato con una delle formule previste dal codice (530).
Il giudice ricostruisce il fatto storico usando come strumento la ragione.
"Provare" vuol dire indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto in un determinato modo.
Tale fatto deve essere rappresentato al giudice mediante altri fatti.
La prova è quel procedimento logico in base al quale da un fatto noto si deduce l'esistenza del fatto storico da provare e le modalità con le quali si è verificato.
Il risultato di una prova deve essere messo a confronto coi risultati di altre prove: se vi è una contraddizione, questa deve essere risolta.
Infine, il giudice deve riportare nella motivazione il percorso logico che ha seguito nella ricostruzione del fatto storico.
L'accertamento, effettuato dal giudice, può dar luogo a due soluzioni alternative.
Può consistere in un giudizio sull'esistenza di un fatto storico così come esso è stato descritto nell'imputazione; oppure, in un giudizio che esclude che il fatto storico si sia verificato nel modo ipotizzato nell'imputazione.
In ogni caso si tratta di un giudizio su di un fatto e non sul diritto.
Il termine prova può avere almeno quattro diversi significati:
a. fonte di prova è tutto ciò che è idoneo a fornire un elemento di prova (una persona o una cosa);
b. mezzo di prova è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione (ad es. mezzo di prova è una testimonianza);
c. elemento di prova è l'informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova;
d. il giudice valuta la credibilità della fonte e l'attendibilità dell'elemento ottenuto, ricavandone un risultato probatorio.
Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena.
Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; si tratta ad es. dei fatti che servono per stabilire la credibilità di una persona che rende dichiarazioni.
Col termine prova rappresentativa (o "prova in senso stretto") si fa riferimento a quel procedimento logico che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l'esistenza del fatto da provare.
Col termine indizio (definito anche prova logica o prova critica) si allude a quel procedimento mediante il quale, partendo da un fatto provato (la circostanza indiziante), si ricava, attraverso massime di esperienza o leggi scientifiche, l'esistenza di un fatto storico da provare.
La massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi: essa è una regola che è ricavabile da casi simili al fatto noto (circostanza indiziante).
Si ragiona in base al principio: "in casi simili, vi è un identico comportamento".
Il ragionamento deduttivo si basa
sulle leggi della logica elaborate fin dai tempi di Aristotele (384-
Il ragionamento induttivo parte da casi particolari per arrivare al generale.
Il ragionamento abduttivo muove da un fatto particolare per arrivare ad affermare l'esistenza di un altro fatto particolare, che costituisce l'antecedente causale del primo, passando attraverso una regola scientifica o di comune esperienza.
Anche le leggi scientifiche che appartengono al patrimonio conoscitivo comune dell'uomo medio possono essere usate dal giudice nel suo ragionamento sul fatto.
Viceversa, in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina.
Le leggi scientifiche hanno la caratteristica della generalità, della sperimentabilità e della controllabilità, mentre le regole di comune esperienza sembrano essere carenti dei predetti caratteri.
L'indizio non è una prova minore, bensì una prova che deve essere verificata.
Esso è idoneo ad accertare l'esistenza di un fatto storico di reato solo quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell'accaduto.
Il principio è formulato nel 192.2: L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.
La gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è grave l'indizio resistente alle obiezioni.
Gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni.
Infine, gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la medesima conclusione.
Se l'oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico operata nell'imputazione, è sufficiente anche un solo indizio: intendiamo riferirci all'alibi.
Il procedimento probatorio è regolamentato dal codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell'ammissione, dell'assunzione e della valutazione della prova.
La ricerca delle fonti di prova spetta alle parti: in primo luogo al p.m., sul quale incombe l'onere della prova, e cioè l'onere di convincere il giudice della reità dell'imputato; successivamente spetta all'imputato, al fine di confutare le tesi dell'accusa, ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità dell'elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente.
L'ammissione del singolo mezzo di prova deve essere chiesta, di regola, dalle parti al giudice (190.1).
Il giudice decide di ammettere la prova in base a quattro criteri.
La prova deve essere pertinente, e cioè essa deve tendere a dimostrare l'esistenza del fatto storico enunciato nell'imputazione o l'esistenza di uno dei fatti indicati nel 187 (Oggetto della prova: Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato).
La prova non deve essere vietata dalla legge.
Inoltre, la prova non deve essere superflua, e cioè non deve tendere ad ottenere un risultato conoscitivo già acquisito.
Infine, la prova deve essere rilevante, e cioè tale che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l'esistenza del fatto da provare.
Il giudice decide sulla richiesta di ammissione con un'ordinanza motivata.
L'assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni, col metodo dell'esame incrociato.
Spetta alle parti (e cioè al p.m. e ai difensori) il compito di rivolgere le domande al dichiarante secondo l'ordine indicato nel 498.
Se, invece, si tratta di documenti o di documentazione, il codice usa il termine acquisizione.
Spetta al giudice la valutazione dell'elemento di prova raccolto.
Il principio del libero convincimento non esime il giudice dal motivare la sua valutazione.
Per quanto riguarda l'onere della prova, il 27.2 Cost. dichiara che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
In un'unica formula si sono volute combinare una regola di trattamento ed una regola di giudizio.
La regola di trattamento vuole che l'imputato non sia assimilato al colpevole sino al momento della condanna definitiva; e cioè impone il divieto di anticipare la pena.
La regola di giudizio vuole che l'imputato sia presunto innocente (vuole cioè l'effetto del 2728.1 c.c.: Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite).
Pertanto l'onere della prova ricade sulla parte che sostiene la reità dell'imputato.
L'onere è definibile come la situazione giuridica attraverso la quale l'ordinamento impone ad un soggetto di comportarsi in un determinato modo se questi vuole ottenere un qualche vantaggio.
Alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti o l'inattendibilità delle prove d'accusa; ovvero spetta di dare la prova dell'esistenza di fatti favorevoli alla difesa (ad es. di una causa di giustificazione o di non punibilità).
L'imputato può anche voler provare direttamente che egli non ha tenuto la condotta asserita dall'accusa o che un evento non è avvenuto: si tratta della c.d. prova negativa.
Un esempio può essere l'alibi.
Le parti hanno l'onere di ricercare le fonti e di introdurre nel processo i mezzi di prova: si tratta di un onere formale, che appare distinto dall'onere sostanziale della prova.
L'onere formale è previsto nel 190.1, secondo il quale Le prove sono ammesse a richiesta di parte.
Una parte soddisfa l'onere invece sostanziale della prova solo dopo che ha convinto il giudice dell'esistenza del fatto storico da essa affermato.
Per quanto riguarda il c.d. quantum di prova, nel processo penale colui che accusa ha l'onere di provare la reità dell'imputato in modo da eliminare il dubbio.
Ove residui un dubbio ragionevole, l'imputato deve essere assolto.
Il dubbio sull'esistenza di un fatto impeditivo o estintivo va a favore dell'imputato.
E passiamo ad analizzare il diritto alla prova.
Spetta alle parti il potere di ricercare le fonti e di chiedere al giudice l'ammissione del relativo mezzo di prova (190.1: Le prove sono ammesse a richiesta di parte).
Il "diritto alla prova" è un'espressione di sintesi che comprende il diritto di tutte le parti di ricercare le fonti di prova, di chiedere l'ammissione del relativo mezzo, di partecipare alla sua assunzione e di presentarne una valutazione al momento delle conclusioni.
Il 111.3 Cost. tra le altre cose prescrive che la persona accusata di un reato abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore.
Il giudice ex 190 è obbligato ad ammettere i mezzi di prova escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.
Il giudice è vincolato anche in un aspetto di carattere procedimentale: ex 190.1 deve provvedere sulla richiesta di ammissione senza ritardo con ordinanza.
Il codice prevede espressamente il diritto alla prova contraria: ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall'accusa, l'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico (495.2).
Il medesimo diritto spetta al p.m. in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.
Le parti hanno anche il diritto di offrire al giudice una valutazione degli elementi di prova.
Le parti illustrano le proprie conclusioni in un ordine che rispetta le cadenze dell'onere della prova: al p.m. seguono i difensori dell'eventuale parte civile e dell'imputato.
Il presidente dell'organo collegiale dirige la discussione ed impedisce ogni divagazione, ripetizione ed interruzione.
Il codice prescrive che nella sentenza il giudice debba indicare le prove poste a base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie (546.1 lett. e).
In prima approssimazione al termine oralità si può attribuire il significato di "comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole destinate ad essere udite".
Si ha oralità in senso pieno solo quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante.
Il principio di immediatezza è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l'assunzione della prova e la decisione finale sull'imputazione.
Il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova.
L'oralità è funzionale al contraddittorio perché permette il massimo della dialettica processuale.
Ex 111.4 Cost. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Il
Si parla di "questione pregiudiziale", quando vi è una questione dalla cui soluzione dipende o meno l'esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice che deve essere applicata.
Il codice di regola attribuisce al giudice penale il potere di risolvere ogni questione da cui dipende la decisione sia sull'esistenza del reato, sia sull'applicazione di una norma processuale (2.1).
Quando la questione pregiudiziale ha per oggetto una controversia sullo stato di famiglia e di cittadinanza, il giudice penale è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili.
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