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Il diritto comunitario è costituito dall'insieme delle norme che regolano l'organiz-zazione e lo sviluppo delle Comunità Europee e i rapporti tra queste e gli Stati membri.
Il diritto comunitario costituisce una fonte del diritto del lavoro, inquadrata nell'abito delle fonti sopranazionali.
Il diritto comunitario si distingue in:
Il diritto comunitario del lavoro, è quella parte del diritto comunitario che riguarda sia i datori di lavoro che i lavoratori dei paesi membri, presi in considerazione come diretti destinatari delle norme. Le disposizioni fondamentali in materia riguardano la politica sociale dell'occupazione e della formazione professionale contenute rispettivamente nel titolo VIII del Trattato e nel Titolo XI, integralmente ristrutturato dal Trattato di Amsterdam ed in parte riformulato dal Trattato di Nizza.
L'art. 136 del Trattato afferma che gli Stati membri hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione ed il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori che consenta la parificazione nel progresso. Ciò avviene:
Per consentire l'obiettivo della massima promozione dell'occupazione e del miglioramento delle condizioni di lavoro, l'art. 137, così come ampliato dal Trattato di Nizza, è dichiarato l'impegno delle Comunità a sostenere e completare l'azione degli Stati membri nelle seguenti materie:
L'adozione delle direttive in tali settori seguirà una particolare procedura, con la previsione della consultazione delle parti sociali a livello comunitario e della valorizzazione del dialogo sociale.
Inoltre l'art. 140 del Trattato prevede la cooperazione tra gli Stati membri nel campo sociale in particolare per le materie riguardanti:
l'occupazione;
il diritto del lavoro e le condizioni di lavoro;
la formazione ed il perfezionamento professionale;
la sicurezza sociale;
la protezione contro gli infortuni;
l'igiene di lavoro;
il diritto di associazione e la contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori.
Dal punto di vista dell'incidenza diretta del diritto comunitario derivato nell'ordinamento interno quest'ultima ha segnato l'evoluzione della disciplina lavoristica, in particolare con l'introduzione di nuovi istituti o la modifica di quelli già esistenti: gli effetti più significativi si sono avuti in materia di parità uomo - donna, crisi e ristrutturazione delle imprese, sicurezza del lavoro e, più recentemente, orario di lavoro.
La norma sulla libera circolazione dei lavoratori, definita il momento centrale del diritto comunitario del lavoro, assume particolare rilievo: essa persegue l'obiettivo di tutelare gli individui che intendono esercitare nel territorio di uno Stato membro una attività economica o lavorativa e ciò con riferimento ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e agli imprenditori e agli esercenti attività professionale o arti.
Tutta la materia si impernia su due principi fondamentali uniformi, e cioè:
il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità;
la parità di trattamento con i cittadini nazionali.
Per tutti i lavoratori vigono alcune norme, e precisamente:
quelle che riguardano l'ammissione, il soggiorno, l'espulsione dal territorio dello Stato, che rappresentano il presupposto dell'esercizio di qualsiasi attività;
quelle che limitano la libertà di circolazione delle persone per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica tentando di conciliare la riserva di sovranità degli Stati in questa materia con l'esigenza di evitare discriminazioni.
Il par. 3 dell'art. 39 del Trattato, enuncia una serie di diritti dei lavoratori strettamente connessi alla libertà di circolazione. Tali diritti sono:
di rispondere a offerte di lavoro effettive;
di spostarsi liberamente al tal fine nel territorio degli Stati membri;
di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro alle stesse condizioni stabilite per i lavoratori nazionali;
di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
Il trattato firmato a Roma già prevedeva una serie di disposizioni relative alla politica sociale, in particolare norme di sicurezza sociale e riguardanti il divieto di discriminazione tra lavoratori e lavoratrici. Un primo impulso ad una più incisiva politica sociale è stato dato con l'approvazione dell'Atto unico europeo, che rivisita le procedure di approvazione degli atti comunitari e amplia notevolmente le competenze in materia sociale. Lo stesso trattato cercava di ampliare e sviluppare il dialogo tra le parti sociali a livello europeo, prefigurando contratti collettivi applicabili su tutto il territorio comunitario. Nonostante tali novità la politica sociale stentava a decollare. Per tale motivo durante i lavori preparatori del Trattato di Maastricht fu decido di ampliare notevolmente la dimensione sociale della Comunità, estendendo le sue competenze anche a settori fino ad allora esclusi. Tale decisione incontrava, però, la netta opposizione del Regno Unito, formalmente deciso a contrastare qualsiasi intervento comunitario in questo campo. La contrapposizione fu superata aggiungendo al Trattato CE un accordo sulla politica sociale, sottoscritto da 11 stati (escluso il Regno Unito), che in pratica riscriveva gli articoli del trattato.
Soltanto il Trattato di Amsterdam è stata
superata questa anomalia, dal momento che il Regno Unito ha aderito pienamente
alle politiche comunitarie in questo settore. Nel procedere alla revisione dei
trattati si è provveduto a trasfondere il contenuto dell'Accordo sulla politica
sociale nei nuovi articoli da
Il fondamento della politica sociale poggia sull'art. 136 del Trattato CE, una disposizione programmatica che prevede un esplicito invito alla Comunità e agli Stati membri di tenere presente i diritti sociali fondamentali così come stabiliti nella Carta sociale europea del 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.
Nell'intento di rendere più incisiva l'attività comunitaria nel campo della politica sociale, il Trattato di Nizza ha riformulato, ampliandolo, l'art. 137.
Innanzitutto, ai precedenti cinque settori di intervento puntualmente individuati, il Trattato di Nizza ne aggiunge ben sei, in modo da coprire anche ambiti più specifici. In particolare:
sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;
protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro;
rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione;
condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio della Comunità;
lotta contro l'esclusione sociale;
modernizzazione dei regimi di protezione sociale.
Una completa rivisitazione è stata effettuata per l'art. 147 Trattato CE dove è prevista l'istituzione del Comitato per la protezione sociale incaricato:
di studiare la situazione sociale e lo sviluppo delle politiche di protezione sociale negli Stati membri e nelle comunità;
di
facilitare gli scambi di informazioni, esperienze e buone prassi tra gli Stati
membri e con
di elaborare relazioni, formulare pareri o intraprendere altre attività nei settori di sua competenza, su richiesta del Consiglio o della Commissione o di propria iniziativa.
L'intervento comunitario nell'ambito della formazione professionale è diretto a migliorare la qualità di quelle forme di insegnamento che preparano all'esercizio di una determinata professione. L'art. 150 del Trattato CE prevede un impegno comunitario volto al perseguimento dei seguenti obiettivi:
il miglioramento della formazione professionale iniziale e della formazione professionale continua;
lo sviluppo della mobilità degli istruttori e dei giovani in formazione;
lo sviluppo della cooperazione fra istituti di formazione degli Stati membri;
l'adeguamento della formazione ai mutamenti industriali.
La direttiva del Consiglio dell'Unione del 29 giugno del 200, n. 2000/43/CE, attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. Secondo quanto stabilito dalla direttiva sono vietate le discriminazioni diretta (trattamento meno favorevole) ed indirette (atti che mettono in posizione di svantaggio alcuni soggetti).
Il 9 febbraio 2005
il miglioramento delle condizioni lavorative, gli incentivi e la formazione continua;
la rimozione delle barriere che impediscono ai lavoratori di cambiare sistema pensionistico quando si trasferiscono in altri Stati mantenendo inalterati i diritti acquisiti;
la modernizzazione del diritto del lavoro necessaria ai nuovi cambiamenti nell'economia.
Con il Trattato di Amsterdam si è provveduto ad aggiungere al Trattato CEE un nuovo titolo dedicato all'occupazione e, all'art. 2, si è specificato che tra i compiti della Comunità rientra anche quello di promuovere un elevato livello di occupazione. Nel successivo art. 3 si precisa che l'azione della Comunità comporta la promozione del coordinamento tra le politiche degli Stati membri con lo sviluppo di una strategia coordinata per l'occupazione. L'attività di coordinamento passa attraverso un primo esame della situazione occupazionale in Europa svolto dal Consiglio Europeo, che adotta le relative conclusioni. Su questa base il Consiglio dell'Unione elabora, annualmente, gli orientamenti cui devono tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione. Tali indicazioni sono adottate con votazione a maggioranza qualificata previa consultazione del Parlamento, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle Regioni e del Comitato per l'occupazione.
Per quanto riguarda le azioni di sostegno ed integrazione (art. 123 Trattato CE) il Consiglio dell'Unione può, deliberando secondo la procedura di codecisione, adottare misure volte a sviluppare gli scambi di informazione e delle migliori prassi, a fornire analisi comparative ed indicazioni, nonché a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze realizzate, in particolare mediante il ricorso a progetti pilota. È comunque esclusa qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
Primo risultato del Trattato di Maastricht è la direttiva 94/45/CE circa la costituzione dei Comitati aziendali europei, che sono finalizzati a migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione del lavoratori nei gruppi e nelle imprese di dimensioni comunitarie. In attuazione della Direttiva è stato emanato il Dlgs n. 74 del 2002 inteso a migliorare il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie. In deroga a siffatta previsione, allorché un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, comprenda uno o più imprese o gruppi di imprese che hanno dimensioni comunitarie (cioè che impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almeno due Stati), il CAE viene istituito a livello di gruppo. I poteri e le competenze dei CAE e la portata delle procedure per l'informazione e la consultazione dei lavoratori, riguardano, nel caso di un'impresa di dimensioni comunitarie, tutti gli stabilimenti situati negli Stati membri e, nel catodi un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, tutte le imprese facenti parte del gruppo, lì situate. Dall'ambito di operatività del Dlgs n. 74 del 2002 è escluso il personale navigante della marina mercantile.
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