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IL MATRIMONIO NEL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO
INTERPRETAZIONE DEL NUOVO CODICE
Il nuovo codice di diritto canonico del 1983 pone, in linea preliminare, rilevanti problemi ermeneutica per il giurista. Esso, infatti, in forza delle indicazioni metodologiche contenute nell'enciclica di promulgazione, rompe gli schemi classici delle codificazioni moderne. I codici moderni nascevano da un'esigenza di totalità e di completezza, sicché il giurista con uno sforzo di ricostruzione sistematica, doveva rinvenire nello stesso codice i principi utili alla risoluzione di tutti i casi concreti. Ma la codificazione giovanneo-paolina va molto più avanti perché essa non prevede solo clausole di apertura eccezionali, ma s'inscrive in una più radicale volontà di rottura della pretesa dei codici moderni alla totalità e alla completezza. Le norme del nuovo codice devono esser interpretate non più come un sistema chiuso in se stesso, ma facendo ricorso a due fondamentali criteri di etero-integrazione:
La verità è che il Concilio contiene in sé una novità di fondo proprio sul piano dei canoni metodologici di ricerca: sì da richiedere uno sforzo di conversione da parte del giurista poiché non si esaurisce in principi giuridici, ma contiene enunciazione teologiche, culturali, sociali. Ma dal Concilio vengono due indicazioni di metodo atipiche che devono condurre alla rottura del vecchio formalismo e delle sue strettoie. Il Concilio ha suggerito due strade maestre per l'approccio al fatto cristiano: la prima è l'antropologia, il radicamento della Fede nella storia, la seconda è la teologia, la contemplazione della Fede che è nella storia, ma insieme di là della storia. Il crocevia ove viene l'incontro di queste due strade è la liturgia; il canonista deve quindi aprirsi alle scienze psicologiche, sociologiche e antropologiche ed anche alle scienze teologiche.
IL MATRIMONIO
Le norme del nuovo codice canonico sulla definizione del matrimonio e della sua essenza vanno lette nel contesto del Concilio, per il quale domina su tutto, il Sacramentum amoris: il Sacramento è la forma e l'amore ne è la materia. Il problema è quello della trascrizione del Sacramento nel linguaggio proprio dei giuristi: utilizzando formule che non tradiscano la sua essenza di sacramento dell'amore umano. Il vecchio codice ricorreva alla categoria del contratto. Nello schema successivo il matrimonio diviene un foedus. Il nuovo codice definisce il matrimonio sia come foedus, sia come contratto. Il termine foedus, patto d'alleanza, appare però più proprio per diverse ragioni:
a. esso è l'unico termine che da sempre compare nei testi liturgici;
b. esso ha radici bibliche saldissime;
c. esso è l'unico termine che compare nel Concilio.
D'altro canto la definizione contratto è una definizione legislativa. Il matrimonio è e rimane un Sacramento, ciò che muta è solo il modo di rappresentare l'intentio e di individuare il suo oggetto: che è la mutua donazione che i coniugi fanno di sé medesimi.
I supremi principi conciliari sono divenuti criterio d'interpretazione di tutte le norme del codice.
Per quanto attiene la struttura del matrimonio le modifiche apportate dal codice giovanneo-paolino sono meno radicali di quanto di potrebbe pensare. I fini del matrimonio sono il bonum coniugum e la procreatio educatio prolis. Tra di essi però, non si dà una gerarchia, come seguiva nel codice pio-benedettino, che proclamava la procreazione fine primario. Essi vengono messi sullo stesso piano. Rimangono ancora le proprietà del matrimonio l'unità e l'indissolubilità. Cadono invece, come riferimento linguistico, i bona matrimonii.
LA CAPACITA' A CONTRARRE MATRIMONIO
Nel codice di diritto canonico del 1917 la nozione di presupposto soggettivo, propria della teoria moderna dell'atto giuridico, mancava del tutto ai canonisti. Il nuovo codice del 1983 contiene sotto questo profilo due novità di grande rilievo:
Entrambe le situazioni hanno come risultato la nullità del matrimonio.
Nel nuovo codice la capacità si sdoppia in due momenti: la capacitas corporis che è l'idoneità a porre in essere gli atti afferenti dalla procreazione od anche la capacità a porre in essere un atto sessuale completo; la capacitas animi, che è la capacità di intendere e di volere riferita al vincolo matrimoniale. Il legislatore canonico si garantisce l'esistenza di questi due requisiti fissando l'età matrimoniale minima. Ma vi sono soggetti in cui tale capacità psico-fisica può risultare compromessa. Alla mancanza della capacitas animi corrisponde un caput nullitatis riconosciuto dalla giurisprudenza come defectus discretionis judicii: turbe psichiche circa i diritti e i doveri del matrimonio. Alla mancanza della capacitas corporis corrisponde l'impedimento di impotenza. La presenza di entrambi questi elementi rende nullo il matrimonio. Il concetto tradizionale di discretio judicii nel nuovo codice si è allargato ad abbracciare, oltre alle ipotesi classiche di turbe psichiche, anche altre ipotesi, in cui la personalità, senza esser affetta da una sindrome psichiatrica, rivela un immaturo sviluppo senza una particolare psicopatologia. Nel nuovo codice il defectus discrezioni judicii prevede distinte ipotesi:
a. il caso di coloro che sufficientis rationis usu carent, che sembra colpire le tradizionali figure della capacità di intendere e di volere;
b. il caso di coloro che hanno un grave defectus discretionis judicii circa i diritti e i doveri essenziali del matrimonio: che cioè hanno la generica capacità di intendere e di volere e non sono affetti da turbe psichiche, ma hanno una personalità inadeguata ad assumere un impegno grave come il matrimonio;
c. incapacità ad assumere gli oneri coniugali (es. ninfomani, omosessuali).
L'incapacità di assumere gli oneri coniugali non rientra né nel caput dell'impotenza, né nel caput del defectus discretionis judicii. Questa categoria non rientra nell'impotenza perché gli omosessuali e le ninfomani non sono fisicamente incapaci alla copula; non rientra nel defectus discretionis judicii perché essi non sono affetti da nessuna turba psichica. Essi costituiscono un tertium genus che deve esser fatto oggetto di un distinto trattamento assiologico, e che è causa di nullità.
GLI IMPEDIMENTI
Col nuovo codice muta la distinzione degli impedimenti in impedienti e dirimenti, infatti questi ultimi vengono descritti non come circostanze che dirimono il matrimonio, ma come circostanze che rendono inabili a contrarre matrimonio. Il nuovo codice attribuisce in linea di principio il potere di dispensa al Vescovo. Alla Santa Sede restano espressamente riservati solo due impedimenti:
a. l'impedimento proveniente dai Sacri Ordini o dal Voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso di diritto pontificio;
b. l'impedimento di crimine.
Gli impedimenti dirimenti sono:
Per quanto attiene al soggetto del potere di dispensa, questo compete al Vescovo. Per quanto concerne le condizioni cui è subordinata la dispensa, il codice pio-benedettino richiedeva:
a. che vi fossero giuste e gravi cause;
b. che il coniuge acattolico avesse prestato garanzie circa il rispetto degli orientamenti religiosi dell'altra parte;
c. che entrambi i coniugi avessero prestato garanzie circa l'educazione cattolica della prole.
Il nuovo codice introduce radicali innovazioni in materia, perché esonera del tutto la parte acattolica dalla prestazione delle garanzie. Queste devono essere prestate dalla parte cattolica e la parte acattolica deve esserne semplicemente informata. La parte cattolica deve solo impegnarsi a fare quanto è in suo potere per l'educazione cattolica della prole.
IL CONSENSO
L'elemento costitutivo del matrimonio è, per il codice del 1983, il consenso. La volontà, nel matrimonio, è, nella sua radice, un'intentio sacramentalis: e perciò la sua sostanza è nel voler fare ciò che la Chiesa prevede senza esclusione dei fini del matrimonio. Non vi è spazio cioè, per l'autonomia del volere, né la possibilità di far entrare entro lo schema dell'atto di volontà i mutevoli scopi del singolo. L'oggettività del Sacramento, che è la direzione dell'atto di volontà non può far dimenticare che il matrimonio è l'unione, la comunione di vita e d'amore, tra l'uomo e la donna. Se il codice del 1917 riconosceva efficacia invalidante alla sola esclusione dei bona matrimonii, la dottrina postconciliare ha ritenuto rilevante, altresì, l'esclusione dello jus ad vitae comunionem; per evitare il caso della simulazione. Un fenomeno analogo si verifica per quanto attiene ai vizi del volere. Per quanto concerne l'errore motivo il codice del 1983 abroga la norma relativa all'errore sulla condizione servile e, nel ribadire la rilevanza dell'errore sull'identità, allarga le ipotesi di rilevanza dell'errore su una qualità. Non più solo l'errore su una qualità identificante, ma anche l'errore su una qualità di genere, purché questa sia intesa direttamente e principalmente. Oltre l'errore di fatto, anche l'errore di diritto sull'unità o l'indissolubilità o la dignità sacramentale, può produrre la nullità, se sia stato determinante. Per quanto riguarda il dolo è invalido il matrimonio quando per effetto di un'attività dolosa uno dei coniugi sia stato tratto in errore circa una qualità la cui esistenza o inesistenza possa gravemente perturbare la comunità di vita coniugale. Per quanto riguarda la violenza morale questa produce la nullità del matrimonio quando si concreti in un timore grave, anche non incusso intenzionalmente. Oltre al requisito del timore è richiesto quello che esso provenga dall'esterno, non consista, quindi, in preoccupazioni sorte autonomamente nell'animo del soggetto. Nel nuovo codice è prevista la celebrazione in via ordinaria e vi sono forme straordinarie, come il matrimonio segreto e il matrimonio coram testibus. Le innovazioni principali riguardano il rito della celebrazione: sia per quanto concerne la possibilità che a ricevere il consenso degli sposi sia delegato, oltre al sacerdote, anche un diacono o un laico; sia per quanto concerne la facoltà delle Conferenze Episcopali di redigere un proprio rito del matrimonio adeguato alle esigenze dei luoghi e dei popoli conformate allo spirito cristiano.
LO SCIOGLIMENTO E L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO
Tutta la materia dei rapporti tra i coniugi ruota, dopo il concilio, attorno all'idea che il matrimonio è una comunità di vita e d'amore. Laddove nell'età della Controriforma il modello di organizzazione familiare era quello che si fondava sulla supremazia funzionale dell'uomo sia sotto il profilo dell'esercizio della potestà maritale che sotto il profilo della patria potestà, nel nuovo contesto storico si ha una tendenziale affermazione del principio di uguaglianza tra i coniugi nella conduzione della vita familiare. Quando non c'è più amore e la convivenza è impossibile la Chiesa non riconosce il divorzio perché il matrimonio è legato al principio della sua indissolubilità. Ma il divorzio canonico, detto scioglimento, è limitato ai soli matrimoni non consumati o ai matrimoni che non hanno natura di Sacramento. Quando due cattolici vogliono liberarsi dal vincolo coniugale devono cercar di percorrere la procedura di annullamento, devono ricercare un vizio che renda il patto nuziale invalido sin dal primo momento. Questa la posizione tradizionale della Chiesa, che si fonda sulla distinzione teorica tra annullamento, sempre consentito ove ci siano i presupposti, e scioglimento o divorzio, in linea di principio non consentito per i matrimoni rati e consumati.
Il nuovo codice prevede, se la convivenza diviene impossibile, due ipotesi. La prima si verifica quando uno dei due coniugi si renda colpevole di adulterio, senza che l'altra parte vi abbia acconsentito o abbia causato l'adulterio col suo comportamento o sia essa stessa colpevole di adulterio. In questa ipotesi la causa deve esser deferita entro sei mesi dal coniuge innocente all'autorità giudiziaria, che provvederà dopo aver fatto un tentativo di conciliazione. Il coniuge innocente, per la carità cristiana e per il bene dei figli, è vivamente esortato a condonare la colpa. La seconda ipotesi si verifica quando uno dei coniugi sia causa di grave pericolo per l'anima o per il corpo dell'altro coniuge o in altro modo renda la vita comune troppo dura. In questa ipotesi può chiedere la separazione che viene disposta per decreto, in forma amministrativa. Caratteristica comune delle due ipotesi è la tendenza ad attenuare le conseguenze afflittive della colpa. La colpa resta sempre il presupposto per la concessione della separazione. È in ogni caso il coniuge incolpevole che può mettere in moto il meccanismo di separazione.
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