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I principi di materialità ed offensività
Riguardano la nozione del reato. Sono di grandissima importanza al fine di poter visualizzare l'immagine del reato; ogni reato ha una sua specificità, ma vi sono alcuni requisiti che debbono caratterizzare tutti i reati (materialità ed offensività, tra loro collegati).
Il principio di materialità
"Nullum criminem sine actione"
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si sostanzia nell'esigenza che ogni reato consti quantomeno di un fatto che sia in qualche modo "osservabile", che abbia insomma riscontri "esterni" oggettivi
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il mero pensiero non è qualcosa di riscontrabile esternamente in modo oggettivo, ma è qualcosa che riguarda solo la coscienza del soggetto
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e non è possibile elevare a fatto penalmente rilevante un puro dato interno alla persona quale il pensiero (Ulpiano: nessuno può patire una pena per il [mero] pensiero).
Un es. può essere rappresentato da certi reati che implicano la punizione di mere caratteristiche della persona, a prescindere dalla realizzazione di fatti in sé rilevanti (razza, religione, fede, abbigliamento)
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all'apparenza un fatto vi potrebbe anche essere, ma nella realtà sarebbe chiaro l'intento del legislatore di reprimere penalmente un mero atteggiamento interiore del soggetto.
Qst. principio non trova riscontro in un articolo particolare della Cost.
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un indizio in tal senso la Cost. lo dà all'art. 25², quando parla di "fatto commesso"
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è chiaro che il Costituente riteneva necessario che, nell'ambito di ogni reato, fosse riscontrabile un fatto.
Il principio pare trovare conforto nello stesso "principio di laicità dello Stato e dell'ordinamento giuridico", che permea l'intera Costituzione repubblicana italiana
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impone di disegnare un'immagine del reato diversa rispetto a quella del peccato.
Quindi: contrapposizione fra reato e peccato, fra foro esterno e f. interno, fra oggettività (materialità) e soggettività (interiorità)
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impronta (soprattutto) oggettivistica del diritto penale, che ha spinto il legislatore italiano a lasciare impunito (art. 115 C.p.) il mero accordo per commettere un reato, nonché il reato impossibile (art. 49 C.p.)
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e a prevedere una pena per il tentativo inferiore a quella prevista per il reato consumato (art. 56 C.p)
Beccaria diceva che "l'unica vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione" e non "l'intenzione di chi gli commette"
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il sistema penale italiano annette notevole importanza anche al profilo soggettivo dell'illecito, quindi, nell'ambito della contrapposizione tra sistemi oggettivi puri e sistemi soggettivi puri, il nostro ordinamento appare riconducibile ad uno schema intermedio, di tipo "misto".
Trova conforto, a fortori, anche nel principio costituzionale di offensività.
Una categoria di illeciti penali che potrebbe apparire "a rischio" dal punto di vista sia dell'offensività che della stessa materialità sono i c.d. reati omissivi propri.
Il principio di offensività
"Nullum crimen sine iniuria"
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un reato per essere tale deve essere offensivo di qualcosa
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non avrebbe senso elevare a reato un fatto che non arrecasse danno (quantomeno in potenza) a nessuna persona, cosa o eventualmente alla società stessa nel suo complesso.
Il reato come offesa si contrappone, storicamente e concettualmente, al "reato come violazione di un dovere", tipico degli ordinamenti totalitari
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al "sovrano", ad es., interessa l'obbedienza cieca, la fedeltà assoluta dei sudditi; una semplice violazione di ciò sarà sufficiente ad integrare un delitto.
Il reato "come offesa" venne accolto dalla stessa Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 e divenne il manifesto della concezione liberal del diritto (penale).
Il bene giuridico
Il principio di off.tà è stato riempito di contenuti diversi in epoche ed in sistemi penali diversi.
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in Italia, sino alla fine dell'Ottocento reato come violazione (o lesione) di un diritto soggettivo
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si ritenevano da reprimere on la sanzione penale solo quelle condotte che arrecavano una diminuzione ad un diritto soggettivo altrui
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occorreva sempre trovare un soggetto capace di essere portatore di quel diritto soggettivo leso dal fatto delittuoso; ma nei delitti di falso, ad es., era difficile trovare una "vittima" in carne ed ossa portatrice di un diritto soggettivo.
A partire dalla metà dell'Ottocento si elaborò l'idea del bene giuridico; il Carrara aveva imperniato la sua costruzione del reato sulla lesione del d. soggettivo, ma partire dalla fine dell'Ottocento le cose cambiarono anche in Italia.
La nozione di bene giuridico prende spunto da un "oggetto" di riferimento della legislazione penale
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che ha valore per la collettività, perché ne rappresenta un interesse
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ad es. la vita, in quanto "bene giuridico", è oggetto di protezione penale perché rappresenta un valore per la nostra società
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che ha interesse a preservare la vita di tutti e di ciascuno di noi
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non a caso, oggetto giuridico è sostanzialmente sinonimo di bene giuridico.
Una volta spostato il baricentro della tutela penale sul bene giuridico, si può anche concepire la repressione dei delitti di falso; taluno potrebbe giustificare anche una tutela della moralità pubblica o del buon costume, rintracciando anche in tal caso un bene giuridico, un interesse della società degno di protezione penale
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ciò evidenzia che lo stesso concetto di bene giuridico, per certi versi, appare capace di fungere da "vestito per tutte le stagioni"
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non è una "formula magica" capace di risolvere da sola tutti i problemi del legislatore. È un contenitore che deve, appunto, essere riempito di contenuto
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perciò non mancano Autori che desidererebbero abbandonare l'idea del bene giuridico e rifluire magari sul diritto soggettivo, oppure, addirittura, sui diritti umani fondamentali. Per ora resta tuttavia predominante la teoria del bene giuridico.
È discusso se il principio secondo il quale non si può avere reato senza lesione di un bene giuridico sia o non sia costituzionalizzato, se possano essere tutelati beni giuridici estranei alla Costituzione; se vi sia qualche altro punto di riferimento onde individuare i beni giuridici degni di essere protetti dallo ius criminale.
Il reato come offesa ad un bene giuridico, come principio costituzionale
Il p. non è previsto espressamente da nessuna norma della Costituzione; è l'intera orditura della C. Cost.le che sembra imporre un tale principio
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dato che configura uno Stato laico e tollerante, nel quale la libertà dei cittadini è bene supremo
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perciò l'unica giustificazione del d. penale sta nella repressione e prevenzione di fatti dannosi per altre persone o per la società.
Lo stesso principio di "autonomia personale" presuppone che gli individui siano del tutto liberi di effettuare autonome e libere scelte d'azione, anche se tali scelte siano censurabili perché non "ortodosse" rispetto alla morale comune. Solo se tali azioni producono un danno può essere legittimo l'intervento del diritto penale
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"principio di laicità" (sempre più diffuso anche nella dottrina italiana).
Tutto ciò implica il riconoscimento del bene giuridico quale "stella polare" della nozione di reato. E dunque conferma la rilevanza costituzionale del principio che vede il reato, necessariamente, come lesione di un bene giuridico.
Ma servono alcune precisazioni:
Il p. di offensività richiede che il reato comporti una lesione del bene giuridico. A chi è rivolto ciò? Al legislatore o al giudice?
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in prima battuta al legislatore, il quale, nel creare una nuova fattispecie penale, deve assicurarsi che il fatto previsto come reato, in ogni sua forma di realizzazione , comporti la lesione di un bene giuridico
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quid nel caso in cui il legislatore non si adegui al principio di offensività e preveda come reato un fatto "inoffensivo" di alcun bene giuridico?
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o la Corte Cost.le dichiara incostituzionale la norma per contrasto col principio di offensività (ma è piuttosto ritrosa ad applicarlo senza il "sostegno" di concomitanti violazioni di altri parametri costituzionali), oppure è il giudice ordinario che deve cercare di "ritoccare" interpretativamente il precetto onde renderlo più conforme al principio di offensività
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facoltà (che pare tradursi in un "compito") che viene riconosciuta al giudice sia dalla C. Cost. che dalla C. di Cassazione.
Un es. è quello in cui il legislatore vieta di parlare ad alta voce per strada
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il giudice potrebbe reinterpretare la norma nel senso di restringere il concetto dell'"alta voce" ai soli casi di "schiamazzi", e dunque di applicare la norma in casi di disturbo della quiete pubblica. Il fatto, in tale ricostruzione, comporterebbe certamente una lesione di un bene giuridico.
Quid nell'ipotesi della mera messa in pericolo di un bene giuridico?
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si deve ritenere che anche la messa in pericolo che anche la messa in pericolo di un bene giuridico possa essere sufficiente a realizzare il principio di offensività
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man mano però che ci si allontana dal "danno" e il pericolo del danno si fa a sua volta remoto non ha più senso parlare davvero di "offesa" (v. reati di pericolo).
La teoria dei beni giuridici cost.li come unici possibili beni tutelabili
Nei primi anni '70 si diffuse la tesi che gli unici beni tutelabili dal diritto penale sarebbero beni di "rilievo costituzionale" (Bricola)
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partendo dal fatto che l'art. 13 Cost. eleva la libertà a diritto inviolabile dell'uomo. Il d. penale prevede sanzioni -le pene - che per definizione limitano la libertà personale
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perciò, per poter infliggere una pena ad un soggetto, occorre che egli abbia offeso un bene giuridico "di rango analogo" a quello della libertà personale
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se il bene fosse di rango inferiore non vi sarebbe proporzione fra il danno arrecato dal "delinquente" e la pena irrogata dall'ordinamento per la commissione di quel fatto
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quali sono allora i beni di pari rango o di r. analogo? Sono beni di rango costituzionale, dal momento che anche il bene della libertà personale è di rilievo costituzionale
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il problema è che la Cost. è del 1948; non erano ancora emersi nel tessuto sociale alcuni beni od interessi che poi si sarebbero affermati con forza nelle decadi successive (es. tutela dell'ambiente)
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il Bricola rifinì la sua tesi, includendo fra i beni penalmente tutelabili non solo quelli esplicitamente contenuti nella Costituzione, ma anche quelli implicitamente contenuti in essa
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così si superava anche l'obiezione dell'incapacità della Cost. stessa di adeguarsi a nuove esigenze emergenti.
Peraltro, proprio il riferimento a tali beni "implicitamente" contenuti nella Cost. limitava la pregnanza della tesi in questione, e la sua capacità di vincolare davvero la discrezionalità del legislatore
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vista l'ampiezza dei principi contenuti nella Cost. italiana, non è difficile reperire un bene "implicitamente" derivabile da tali principi.
Oggi la tesi del Bricola è dai più ritenuta cmq. suscettibile di integrazioni e/o correzioni attraverso altre "chiavi di lettura" del concetto del bene giuridico.
La stessa C. Cost. in talune sentenze ha mostrato di accogliere la teoria del bene giuridico costituzionale, anche se non risulta che fino ad oggi essa abbia provveduto a dichiarare costituzionalmente illegittime delle norme solo per il fatto che il bene giuridico protetto non era contemplato nella Cost.
Beni giuridici e norme di cultura: la teoria costituzionale-culturale del bene giuridico
Alcuni Autori hanno proposto di riservare la tutela penale ai soli diritti umani fondamentali
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così si realizzerebbe un diritto penale minimo, che avrebbe anche il pregio di limitare l'utilizzo della sanzione penale a poche ipotesi delittuose assai gravi
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ma pare eccessivo restringere in tal modo l'ambito del penalmente rilevante.
È fecondo, invece, l'utilizzo di punti di riferimento di carattere sociologico, ruotanti attorno al problema del consenso sociale
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numerosi autori hanno evidenziato che il diritto penale funziona solo se si trova in sintonia con la coscienza sociale
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altrimenti non sarebbe in grado di svolgere i suoi compiti di prevenzione del delitto e di contribuire alla sicurezza sociale dei cittadini.
La c.d. "funzione promozionale" del d. penale
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alcuni autori hanno sostenuto l'opportunità che il d. penale svolga compiti non solo di tutela, di protezione dell'esistente
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dovrebbe svolgere compiti di sviluppo sociale, attraverso l'incentivazione di comportamenti utili al progresso della società
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le norme penali, cioè, dovrebbero in certi casi "andare oltre" le norme interiorizzate dalla coscienza sociale, e spingersi ad inculcare nuovi valori nella collettività. I sostenitori di questa tesi rinunciano, in queste ipotesi, all'utilizzo della categoria del bene giuridico.
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ma il d. penale non è diritto "raffinato", capace di svolgere delicati compiti di "ingegneria sociale". Infatti, le sue sanzioni sono le più rozze e terribili che l'ordinamento conosca (non possono essere inflitte a scopo di "miglioramento" della coscienza sociale)
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perciò il bene giuridico torna prepontemente ad assumere il suo ruolo-guida della politica criminale
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e sotto il profilo contenutistico lo stesso bene giuridico si riaggancia alla coscienza sociale, unico parametro per evitare che il bene giuridico scompaia o serva a funzioni autoritarie.
Cadoppi, prendendo le mosse dalla teoria del Kulturnormen (di Mayer), sostiene che il diritto penale dovrebbe conformarsi il più possibile alle "norme di cultura", ossia alle norme sociali diffuse nella collettività in un dato momento storico
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così gli stessi beni giuridici tutelabili dal diritto penale sarebbero in definitiva solo quelli che la coscienza sociale stessa ritiene degni di tutela.
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la tesi però funziona solo in negativo
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il legislatore cioè sarebbe vincolato dalla public opinion a non prevedere come reato un fatto che la coscienza sociale non giudica degno di repressione penale.
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non vale il contrario però: una volta appurato che la coscienza sociale ritiene degno di repressione (penale) un certo fatto, non sarebbe vincolato a prevederlo come reato, perché la coscienza sociale potrebbe in certi casi essere troppo punitiva.
Parametro attraverso il quale valutare l'atteggiamento della pubblica opinione
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appurare se una parte preponderante della collettività ritiene che un fatto sia "criminoso", e cioè meriti la sanzione detentiva; solo si deve porre il problema se sia opportuno ricorrere alla sanzione penale
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in una simile concezione il bene giuridico si plasma secondo le kulturnormen diffuse nella coscienza sociale. E i beni giuridici così individuati dovrebbero preventivamente trovare una qualche collocazione (anche implicita) a livello costituzionale. Ma tali beni di rilievo costituzionale riceverebbero dal confronto con il parametro del consenso sociale una caratterizzazione più chiara e definita. Si parla in effetti di concezione costituzionale-culturale del bene giuridico.
La concezione deve servirsi dell'apporto delle indagini demoscopiche che spesso sorprendentemente rivelano la straordinaria sensibilità del quisque del populo in rapporto ad una materia quale il d. penale.
Una tale configurazione del bene giuridico trova avvallo in varie norme della Cost. (es. art. 27³), ma è la stessa intera fisionomia della nostra C. Cost. che sembra legittimarla. La stessa Corte Cost.le l'ha confermata autorevolmente nella rinomata sent. 364/'88, tema di ignorantia legis
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l'estensore Dell'Andro ha evidenziato la "necessità che il d. penale costituisca davvero l'estrema ratio di tutela della società, sia costituito da norme non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di rilievo costituzionale e tali da essere percepite anche in funzione di norme extrapenali di civiltà, effettivamente vigenti nell'ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare".
Ricadute pratiche del principio di offensività sul nostro d. penale ed altre questioni
Ricadute applicative:
vi sono delle categorie di reati particolarmente "a rischio" sotto il profilo dell'offensività
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reati di pericolo astratto ( o presunto), r. a dolo specifico, delitti di attentato, r. di sospetto, r.
senza vittime, r. omissivi propri
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il legislatore, nel prevedere reati di simile natura, dovrà astenersi dal prevedere simili tipi di
illeciti, salvo che esigenze irrinunciabili di tutela lo impongano. Ad es., i reati di pericolo
presunto (o astratto) dovranno essere utilizzati solo se, appurata una fondamentale esigenza di
tutela, si riscontri l'impossibilità di realizzare quelle esigenze tramite la previsione di un reato di
danno o di pericolo concreto
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il d. penale deve arretrare la "soglia della punibilità", e cioè deve necessariamente colpire
condotte anche semplicemente pericolose, in astratto, per il bene protetto. Potrà quindi
legittimamente prevedere, ad es., reati imperniati sulla semplice "omissione di cautele volte ad
impedire un disastro nucleare", anche se il disastro è ben lungi dal verificarsi.
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sarebbe un r. di pericolo astratto (e omissivo proprio), compatibile col principio di offensività.
Ove simili presupposti non sussistano, l'operato del legislatore che "trasgredisce" il principio di
offensività va decisamente censurato. Anche il giudice ha precisi doveri in questo campo
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se al suo cospetto giunge una fattispecie sospetta dal punto di vista dell'offensività deve cercare di
reinterpretare la fattispecie alla luce del p. di offensività o investire della questione la C.Cost.
Il p. dell'offensività è il primo parametro cui deve guardare il legislatore quando crea una fattispecie penale; ma non finisce qui
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dovrebbe cmq. accertarsi altresì che l'impiego della sanzione penale sia davvero necessario per
fronteggiare il fenomeno che egli mira a impedire. Ove riscontri che anche una diversa e meno
terribile sanzione sia sufficiente per contrastare il fenomeno, dovrebbe prevedere quella sanzione
minore e non la sanzione penale.
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principio di sussidiarietà
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deriva dal p. in base al quale il d. penale deve intervenire come "argine ultimo" contro i "flutti"
della devianza.
Laddove in concreto un fatto si mostri totalmente inoffensivo, il giudice dovrebbe ritenerlo addirittura "atipico", cioè non conforme alla fattispecie astratta prevista dal legislatore (es. il furto di un acino d'uva).
Esiguità: il fatto è "esiguo" quando è - strettamente parlando - lesivo del bene giuridico, ma in misura particolarmente scarsa. (es. furto di una mela).
L'esiguità non trova soluzioni chiare nel nostro ordinamento
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sia il legislatore che il giudice debbono fare i conti con questo problema; il primo potrebbe prevedere delle soglie quantitative al di sotto delle quali no scatta la sanzione penale, mentre il secondo può cercare di reinterpretare la fattispecie dandole maggiore spessore offensivo (avvallate più volte dalla C. cost.le).
Il p. è detto anche di "irrilevanza del fatto" (anche nel d. minorile e nell'ambito dei reati di competenza del giudice di pace).
Per quanto riguarda le prospettive di "codificazione" esso venne previsto nell'ambito di un progetto di revisione della Cost. del 1998 ad opera di una commissione bicamerale, che però non venne approvato. Nel progetto Grosso, esso è previsto come criterio di "applicazione della legge penale" (" Le norme incriminatici non si applicano ai fatti che non determinano un'offesa del bene giuridico").
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