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Il lavoro subordinato




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Il lavoro subordinato


Il LIBRO V disciplina non solo il lavoro nell'impresa, ma anche quello che si svolge al di fuori di essa. La locazione di opere e servizi, disciplinata dal codice civile del 1865, (comprendente tanto il lavoro subordinato, quanto quello autonomo) era intesa come "contratto per cui una delle parti si obbliga a fare per l'altra una cosa, mediante la pattuita mercede". Le principali specie di locazioni di opere erano: 1) quella per cui le persone obbligano la propria opera all'altrui servizio; 2) quella per cui le persone s'incaricano del trasporto di persone o cose; 3) quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo. La locatio operarum (= attività di lavoro) è il lavoro subordinato, caratterizzato dalla temporaneità o durata dell'utilizzazione delle opere, da parte del datore di lavoro, che si vede assegnare dal lavoratore la propria attività lavorativa, intesa come somma di energie erogate (si pensi, ad es., ad un sarta che si obbliga a lavorare per una sartoria, dalla quale viene retribuita, in base al tempo in cui resta a disposizione di questa e non in base agli abiti confezionati per questa). La locatio operis (=risultato del lavoratore) è il lavoro autonomo, caratterizzato da un dare aliquid faciendum (qualcosa da fare) al lavoratore che si obbliga al compimento dell'opera pattuita: può trattarsi sia di una cosa materiale, sia di un servizio (come la custodia o il trasporto). Viene considerato il risultato della prestazione di lavoro (si pensi, ad es., ad un sarto che si obbliga a lavorare per un cliente che gli commissiona uno o più abiti per i quali verrà retribuito). I rischi inerenti alla realizzazione della prestazione lavorativa sono:

  • il rischio dell'utilità del lavoro, che incide sul risultato prodotto dall'erogazione delle energie lavorative, ed è dipendente dalla difficoltà tecnico-economica del risultato medesimo. Nella locatio operis è integralmente a carico del lavoratore autonomo che si obbliga a prestare l'opera finita, indipendentemente dal costo sostenuto per realizzarla;
  • il rischio dell'impossibilità (o mancanza) di lavoro sopravvenuta per effetto del caso fortuito o forza maggiore, che si oppongano nell'esecuzione della prestazione. Tale rischio può ravvisarsi in tutte le ipotesi d'impedimento del lavoratore a prestare il proprio lavoro, sia per "cause soggettive" (gravidanza, malattia, infortunio, ecc.) sia per "cause oggettive" (mancanza di materie prime o la pioggia che impedisce l'esecuzione di lavori agricoli o edili, ecc.). La prestazione e la retribuzione si estinguono, quindi, è un rischio a carico sia del lavoratore sia del datore di lavoro.

E' stata progressivamente la giurisprudenza ad introdurre e ad utilizzare il concetto di subordinazione intesa come "sottoposizione del debitore-locatore delle opere, alla direzione o al controllo del creditore-conduttore". Quindi, un comportamento dovuto dal lavoratore, al datore di lavoro, per ottenere in cambio da quest'ultimo, una retribuzione per tutto il tempo per cui rimane a sua disposizione. L'art. 2094, anziché fornire la definizione del contratto di lavoro, prevede, invece, quella del prestatore di lavoro subordinato, per cui: "è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro (intellettuale o manuale) alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Da tale disposizione deriva la concezione della subordinazione come "tecnico-funzionale", cioè dipendenza del lavoratore, alla direzione del datore, nell'esecuzione della sua prestazione. Secondo un diverso indirizzo dottrinale, essa si configura, invece, come "presupposto economico-sociale" del contratto di lavoro, caratterizzato dalla condizione di debolezza ed inferiorità economica del lavoratore, nei confronti del debitore) che è necessitato dalle esigenze di vita ad affaire la propria forza-lavoro. Si tratta, quindi, di una posizione di soggezione economica estranea al risultato, all'organizzazione e ai mezzi di produzione dell'imprenditore. Tale dottrina non può essere, però, accolta perché situazioni d'inferiorità socio-economica potrebbe presentarsi anche in altri ambiti (come quello agricolo) e non necessariamente in quello del lavoro subordinato. Nel codice civile, il legislatore era inteso precisare il concetto della subordinazione, collegandola al momento prevalente della collaborazione che s'identifica proprio come "risultato tecnico-funzionale" della prestazione di lavoro, resa dal lavoratore, in cambio della retribuzione. Letteralmente, sta a significare "lavorare insieme" mentre, in senso ampio, il legislatore sembra che abbia fatto riferimento alla collaborazione, per definire la situazione soggettiva del prestatore di lavoro, nella sua qualità di "collaboratore dell'impresa". La collaborazione è, però, caratterizzata dalla continuità della prestazione di lavoro, da parte del lavoratore, nei confronti del datore. Nel lavoro subordinato essa deve intendersi non in "senso materiale" cioè disponibilità al lavoro nel tempo e nello spazio; ma in "senso ideale" cioè dipendenza o disponibilità funzionale del prestatore all'impresa altrui. Da ciò deriva il fatto che il lavoratore è vincolato, al suo datore, anche durante le pause interruttive di lavoro (pur non essendo tenuto ad esso) e che la responsabilità per i danni causati a terzi dal lavoratore, nell'esecuzione della prestazione, ricade sul datore. La giurisprudenza ha individuato dei requisiti del lavoro subordinato per distinguerlo da quello autonomo: continuità (stabilità nel tempo della disponibilità funzionale del lavoratore all'impresa); collaborazione (inserzione del lavoratore nell'organizzazione produttiva dell'impresa); subordinazione ed incidenza del rischio dell'attività lavorativa sul datore di lavoro. Il modello proposto dalla giurisprudenza, in realtà, non può considerarsi valido del tutto, perché, ad es., l'inserzione del  prestatore di lavoro nell'organizzazione aziendale, può aversi sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa anche nel lavoro autonomo. L'art. 2222 è dedicato al contratto d'opera e definisce il lavoratore autonomo come "quella persona che si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente". Vi è, quindi, un elemento d'atipicità che l'autonomia delle parti può introdurre nei contratti di lavoro autonomo e, in particolare, nel contratto d'opera. Alla categoria dei contratti di lavoro autonomo, sono riconducibili: l'appalto, il contratto con cui l'appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio per il committente, verso un corrispettivo in denaro; il trasporto, il contratto con cui il vettore si obbliga, verso un corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro; il deposito generico, il contratto con cui il depositante si avvale della cooperazione del depositario per custodire cose mobili (momentaneamente non utilizzate) in luogo sicuro (di cui il depositante non abbia disponibilità); il mandato (con o senza rappresentanza) con cui il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante. Vi è un forte interesse, da parte del lavoratore, a vedere riconosciuto il proprio vincolo di subordinazione dal datore, sul piano giudiziario, per una serie di effetti:

  • indiretti cioè, che incidono sulle conseguenze della costituzione del rapporto di lavoro, dalla cui esistenza derivano una serie di situazioni soggettive esterne di rilevanza previdenziale. Fra questi il cosiddetto Rapporto di previdenza sociale, che intercorre tra: lavoratore, datore ed ente previdenziale;
  • diretti cioè, che incidono sul regolamento contrattuale, in particolar modo, sulla retribuzione (per es. il diritto alle ferie o al TFR, ecc.).


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