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Il diritto in Inghilterra: cenni storici




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Il diritto in Inghilterra: cenni storici




1 Il periodo anglo-sassone e normanno (2)



Come nell'Italia nel XIII secolo, in Inghilterra prima della conquista normanna (nel periodo c.d. "anglo-sassone") non vi era un diritto uniforme e comune a tutto il paese ma una congerie di regole consuetudinarie particolari, di disparata estrazione(3), che oltre a disciplinare aspetti limitati del vivere civile variavano da distretto a distretto.

Nel 1066 i Normanni guidati da Guglielmo il Conquistatore invasero l'Inghilterra e, dopo la celebre vittoria di Hastings, vi si insediarono realizzando un accentrato ed organizzato sistema di amministrazione di tipo feudale. Il superamento del particolarismo giuridico, ad opera del "capolavoro amministrativo di Guglielmo il Conquistatore e dei suoi immediati successori"(4), porterà alla formazione della common law, cioè di un diritto comune a tutto il regno d'Inghilterra: è documentato(5) come già alla fine del XIII secolo, sotto il regno di Edoardo I, l'espressione "common law" (o ius commune per usare il gergo canonistico) fosse di uso corrente.

Prima della conquista normanna - quindi - la giustizia era amministrata da tribunali locali (Corti della Contea e Hundred Courts, suddivisioni ad essa interne) che applicavano il diritto locale; con l'avvento del feudalesimo tali tribunali non furono smantellati ma soppiantati da nuovi tribunali locali di tipo nobiliare (Courts Baron, Court Leet, Manorial Courts), a cui si aggiunsero tribunali municipali e commerciali con competenza limitata e specifica nonché tribunali ecclesiastici. Nonostante la capillare presenza e la massiccia fioritura di organi giurisdizionali decentrati, il primo organo di amministrazione della giustizia era la persona del Re in seno al suo King's Council (o Curia Regis), con potere all'occorrenza di modifica sulle decisioni dei tribunali locali.

In questo ricco, variopinto e prolifico contesto giuridico i c.d. "justiciae errantes" furono la longa manus giusdicente del Sovrano e, percorrendo ogni anno ad intervalli regolari tutto il regno distretto per distretto, riuscirono a trovare soluzioni comuni per analoghe controversie giudiziali.

I giudici itineranti ebbero modo di raccogliere, unificare, fissare e accordare le discordanti consuetudini dando inizio a quel processo che portò alla progressiva formazione di un corpus unico di diritto consuetudinario, universalmente applicato, di matrice essenzialmente giurisprudenziale, cuore pulsante di un intero ordinamento giuridico designato - proprio per questo - come Common Law.

A partire da metà del XIII secolo, le competenze diffuse e le funzioni dei giudici erranti furono attribuite alle tre Corti regie di Giustizia con sede stabile a Westmister: la Corte dello Scacchiere (Exchequer), la Corte delle Liti Comuni (Common Pleas) e la Corte del Banco del Re (King's Bench); le sentenze di queste Corti, daranno un ulteriore decisivo contributo al suddetto processo di stratificazione ed accumulo di precedenti giudiziari.


Il diritto dei giudici (judge-made-law), che avrà come fonte non il diritto romano ma le consuetudini locali(6), è il fulcro della common law; per dirla con le parole vibranti di Cheshire: "La common law si è sviluppata continuamente da quei giorni, è ancora piena di vita, (), è il prodotto del senso comune giuridico applicato ai bisogni mutevoli della società, () basata su massime di diritto già formulate nei più antichi precedenti, rappresenta la parte(7) più vigorosa e progressiva del diritto inglese"(8).


2 Dalla nascita ed affermazione della giurisdizione di Equity ai Judicatures Acts



Le tre Corti centrali di Westmister (ciascuna nata per coprire un preciso riparto di competenze speciali), come detto, divennero ben presto accreditati organi di giustizia per tutto il regno e per qualunque causa rientrante nella giurisdizione regia. Il procedimento di fronte ad esse annoverava tra i mezzi di prova la testimonianza, in luogo del duello e dell'ordalìa ancora praticati nei tribunali feudali locali; l'efficacia esecutiva delle sentenze delle Corti del Re era assicurata da strumenti la cui azione poteva dispiegarsi ben oltre le mura del feudo, più incisivi e penetranti di quelli di cui disponeva il

lord feudale.

La necessità di una più effettiva garanzia di tutela condusse perciò molti sudditi a chiedere giustizia alle corti regie, capaci di risolvere le liti con maggiore efficienza.

Colui che adiva il giudice della common law, tuttavia, si trovava non di rado di fronte ad un sistema non adeguato a rispondere alle sue esigenze: nessuna azione poteva essere intentata se prima non fosse stato presentato un writ al convenuto ed i writs erano un numero limitato e tassativo. Secondo uno schema improntato sul modello del processo formulare del diritto romano (forms of action), qualora non esistesse già un writ adatto alle circostanze del caso, l'attore rimaneva privo di rimedio: "ubi remedium ibi jus", ergo "no writ, no remedy".

Così per avere giustizia si iniziarono a rivolgere petizioni direttamente al Re perché accordasse, dietro pagamento di una somma, il privilegio di formulare lui stesso un ordine scritto (un nuovo writ, ad hoc, per il caso concreto) che intimasse al convenuto di comparire in giudizio. Con il tempo per la crescente e corposa mole di petizioni che giungevano a Corte, il Re incaricò l'Ufficio

della Cancelleria di predisporre - in Sua vece - i writs(9); per questa via, oltre a donare elasticità ed efficienza all'intero sistema di amministrazione della giustizia, la Cancelleria maturò una notevole esperienza nella gestione e composizione dei conflitti.

La fuga dei sudditi verso la giurisdizione regia causò un grave e crescente malcontento fra i feudatari i quali, nel 1258, riuscirono ad ottenere da Enrico III l'emanazione delle Provisions of Oxford con l'intento di arginare questo fenomeno e vietare la creazione di nuovi writs, fissandone quello che doveva essere un incontrovertibile

numerus clausus. Successivamente, con lo Statute of Westmister II, tale divieto fu mitigato: potevano essere emessi nuovi writs ma solo per dirimere casi che fossero simili a casi precedenti già risolti (c.d. writs "in consimili casu" o "on the case" ).

L'aspra reazione dei potentati locali ed i due provvedimenti che ne conseguirono non sortirono l'effetto sperato dai loro fautori ma anzi, nella terza fase della storia del diritto inglese, ossia nel periodo compreso tra l'inizio della dinastia dei Tudor (1485) ed i Judicatures Acts (1873-75)(10), la "giustizia del Re" raggiunse il suo massimo sviluppo; verso la fine del XIV secolo il Lord Chancellor, segretario e cappellano del Re, fu ufficialmente delegato ad occuparsi delle numerose petizioni dei sudditi.

La giurisdizione di equity (del Cancelliere) da quel momento in poi fu inesorabilmente destinata a perdere le originali sembianze di eccezionale privilegio e a progredire, superando ostilità e resistenze dei common lawyers, fino a diventare peculiare tassello nel codice genetico dell'ordinamento giudiziario e giuridico inglese.

Il Cancelliere, primo magistrato del paese, che deliberava seguendo le norme giuridiche - ma soprattutto quelle etiche e di coscienza - fu un ecclesiastico fino al 1529 dopodiché il ruolo fu assunto da un laico(11), scelto nella rosa dei più grandi giureconsulti del regno. I giureconsulti fecero dell'equity un vero e proprio apparato - ancorché inizialmente asistematico - di diritto giurisprudenziale (case law), basato non più solo sul concetto di giusto ed ingiusto secondo coscienza ma soprattutto su quel patrimonio distillato di principi ricavati e ricavabili dai precedenti giudiziari.

Cheshire spiega che la giurisdizione del Cancelliere, dotato di forti poteri inquisitori, aveva la caratteristica (caratteristica che fu la causa principale della sua fortuna) di essere giurisdizione in personam: il Cancelliere agiva personalmente contro il convenuto emanando per l'attore un apposito writ sub poena, egli quindi chiamava in giudizio la controparte che doveva costituirsi - pena il pagamento di un'ingente somma di sterline - e sottoporsi, dopo aver prestato giuramento, ad un esame viva voce per difendersi puntualmente dalle accuse.

L'equity agiva in personam(12): il Cancelliere, che in esito al processo emanava un decreto favorevole all'attore, aveva il potere di trattenere in prigione il convenuto soccombente - qualora disertasse l'ordine imposto dalla sua statuizione decisoria - poiché questi, non adempiendo, commetteva un grave atto di dispregio nei confronti della Corte (contempt of court). La procedura in equity, denominata "bill procedure" (dal nome dell'atto introduttivo del giudizio, appunto, una petizione), era estremamente sommaria proprio per rispondere alle esigenze per cui era nata e si era sviluppata: fornire una tutela effettiva, caso per caso.

Ecco perché si può parlare di un "sistema dell'equity" (13), indipendente e separato sia dalla statute law che dalla common law strictu sensu, solo nel XVII secolo con l'avvento della dinastia degli Stuart; ancor più corretto sarebbe parlare - non già di sistema - bensì

di un lungo processo di sistematizzazione dell'equity che passerà attraverso la Restaurazione fino alle gradi riforme giudiziarie del 1800. La nota regola del "precedente vincolante" (c.d. leading case)


- valevole anche per la common law - trovò qui, nel succedersi e dispiegarsi di questi anni, la sua piena affermazione e consacrazione.

"Una glossa(14) apposta alla common law", così Cheshire definisce l'equity nella sua prolusione invitando ad immaginare la common law come un sistema di diritto di fonte giurisprudenziale, non scritto e completo, di cui l'equity rappresenta l'integrazione ed il complemento laddove questo, così formale e rigido, non riesca a soddisfare le cangianti e sempre nuove istanze del caso concreto,

della giustizia - per così dire - naturale(15).


Si racconta, addirittura, che nel 1616 per dirimere una accesa querelle sorta tra il lord Chancellor Ellesmere e il Chief Justice Coke, Giacomo I si espresse sancendo la supremazia, in caso di conflitto, dell'equity rispetto alla common law poiché solo la prima poteva dirsi squisita espressione del potere assoluto ed insuperabile del

Re(16).


L'equity è giunta a tre importanti risultati: ha innovato rispetto alla common law, regolando istituti ben noti ed invalsi nella prassi ma non contemplati nel corpus del diritto (ad es., il trust); ha apportato modifiche ampliando l'ambito di operatività della common law, elaborando ed arricchendo il significato di istituti già esitenti (

ad es., la frode); ha creato e plasmato nuovi rimedi e garanzie, per rendere effettiva ed efficace la tutela di ogni situazione giuridica(17) (ad es., adempimento specifico: decree of specific performance, ed ingiunzione: injunction).

Fino al 1873 equity e common law, venivano amministrate da tribunali distinti, Corti di Chancery e Corti di Common Law (o di Westmister, che dir si voglia): con il Judicature Act di quell'anno, il primo di una serie di Acts successivi emanati nel segno di una forte ondata di riforme giudiziarie e procedurali, tali organi furono aboliti e fu disegnata una nuova organizzazione giudiziaria; ogni tribunale doveva applicare indistintamente equity e common law e, nel conflitto tra norme, dare prevalenza alla norma di equity.



3 Dallo "use of lands" al Trust



"Il Trust può considerarsi come uno dei prodotti più originali, se non forse il frutto più significativo, di quella peculiare fonte del diritto inglese, ignota ai sistemi continentali, che è l'equity"(18).

Già prima della conquista normanna esisteva la prassi di porre la terra "in use" cioè di attribuire per alcune ragioni la terra ad un soggetto X, a beneficio - per l'uso - del trasferente, con l'obiettivo di perseguire determinati scopi(19); con l'avvento del feudalesimo

questo fenomeno assunse portata dilagante.


Il diritto feudale poneva ed imponeva ai proprietari terrieri (tenants of land) notevoli limiti e gravami (incidents of tenure) in favore del lord: imposte, vincoli alla libertà di disporre delle terre, restrizioni che, oltre ad opprimere il proprietario, toglievano valore a quella che era la fonte principale di ricchezza del tempo(20).

Il sovrano cedeva la terra in concessione a feudatari (tenants in chief), costituendo con loro un rapporto avente duplice natura: reale (diritto sulla terra e giurisdizione) e personale (obbligo di fedeltà suggellato nel giuramento di allegiance), fedeltà alla quale erano parimenti tenuti anche eventuali tenants inferiori, cioè coloro a cui il tenant in chief poteva a sua volta assegnare porzioni di terra (c.d. sistema di vassallaggio).

Emergono, a determinare sotto il profilo reale il regime giuridico del feudo, i concetti di tenure, di estate e di seisin.

Con la tenure il sovrano attribuiva diritti e al contempo determinava le condizioni e gli obblighi del concessionario: tali vincoli potevano essere di natura militare, economica, personale, religiosa (free tenures) e, qualora la concessione fosse precaria, essi erano del tutto rimessi alla discrezione del lord (unfree tenures).

L'estate(21) aveva ad oggetto la durata della concessione che poteva essere indeterminata (freehold estate) e trasmissibile agli eredi, o determinata, quindi a termine, assimilabile ad un contratto di

locazione con conseguente corresponsione di un canone (detto leasehold). L'estate poteva essere vested o contingent: cioè riguardante un diritto effettivo e soggettivo su un determinato bene, oppure una mera aspettativa. Tenure ed estate concorrevano a configurare quello che era l'interest in land, la posizione giuridica di colui che deteneva la terra.

La seisin, corrispondente alla Gewere di diritto germanico, indicava il peculiare diritto di godimento discendente dalla concessione feudale, essa non coincideva né con il mero possesso né con il semplice diritto di trarre frutti o vantaggi economici dalla res.

Il tenant non poteva disporre per testamento delle sue terre(22), l'erede delle terra doveva pagare all'overlord come privilegio della successione un importo (feudal dues) pari alla rendita di un anno e, se fosse stato un minore, non lui ma il suo lord tutore avrebbe potuto percepire i frutti del patrimonio e persino combinare le nozze del pupillo dietro pagamento di una cospicua somma di denaro.

A suggerire ai nobili un modo per eludere questi oneri furono i frati francescani: questi, giunti missionari in Inghilterra agli inizi del XIII secolo, non potendo - in ossequio all'assoluta povertà cui erano votati - essere possessori di alcuna ricchezza ma avendo comunque necessità di assicurarsi fonti di sostentamento, erano soliti trasferire le donazioni dei loro benefattori in mano a privati che le amministrassero in loro favore, per loro conto (o meglio, "ad opus" dei frati)(23).

Cheshire offre di questa pratica sia una ricostruzione storica che filologica, non tralasciando di tracciare lo sviluppo etimolgico del termine "use": opus si trasformò nel francese antico in oes, poi ues, da cui l'anglismo use(24).


Quando i latifondisti compresero l'utilità di tale espediente iniziarono a frequentarlo, per aggirare la gravosa e stringente normativa in materia di proprietà a cui erano costretti dal rigido regime feudale: A (feoffer) trasferiva la proprietà immobiliare (legal estate) a B (feoffee to use), per l'uso dello stesso A.

Posto che tra A e B ci fosse uno specifico accordo in tal senso ed appurato che, in capo a B, avvenisse un vero e proprio trasferimento di proprietà: in che modo potevano essere tutelate la volontà e le disposizioni di A sull'uso dei beni, dal momento che A per la common law non era più proprietario e - quindi - non aveva alcun rimedio giudiziale per costringere B a rispettare le sue indicazioni?

La common law non riconosceva né le obbligazioni fiduciarie né la causa fiduciaria e concedeva uno spazio del tutto irrisorio alle obbligazioni ex contractu, dava però pieno valore al trasferimento della proprietà tra settlor e trustee.

Di tutelare la buona fede del feoffer(25) si occupò allora - fin dal XV secolo - il Cancelliere, difensore dei principi di giustizia naturale non ancora assistiti da un writs, attraverso i suoi rimedi in equity: a fronte delle numerose petizioni egli diede protezione giuridica allo use, senza urtare contro il diritto di proprietà del fiduciario coperto dalle garanzie della common law. I desideri e le istruzioni che il trasferente impartiva in sede pattizia dovevano acquisire la forza

cogente di vere e proprie obbligazioni, vincolanti ed invalicabili per il fiduciario: era l'uso a favore e secondo i dettami del disponente che doveva essere assicurato e corredato, contro eventuali violazioni(26), di appropriati presidi processuali di tipo esecutivo (executed).

Da qui ebbe origine il concetto dualistico - tipicamente anglosassone - di proprietà: proprietà legale e proprietà equitativa (legal estate ed equitable estate). La proprietà legale, protetta e disciplinata dalla common law, era quella che il disponente cedeva validamente tramite idoneo atto di trasferimento (conveyance) al fiduciario, che diveniva perciò proprietario - appunto - legale dei beni.

Il feoffer era invece il proprietario "equitativo", le cui volontà rispetto all'uso dei beni ceduti trovavano protezione giuridica nell'equity del Cancelliere.

Questo sdoppiamento del concetto di proprietà rappresenta un unicum nella storia del diritto e non trova eguali nella tradizione giuridica romanistica, la sua origine è piuttosto da ricercare nel germanico Salmann o Treuhaender, cioè colui a cui i Germani - con atto solenne detto sala - solevano cedere la proprietà affinché venisse utilizzata secondo le direttive del trasferente.

Attraverso atti di trasferimento della proprietà inter vivos ad uno o più proprietari di common law, il dante causa riusciva ad eludere - come sopra detto - i divieti ed i doveri feudali: egli, senza disporre formalmente testamento, forniva ai suoi fiduciari direttive sul modo

di gestire le res loro cedute così, al momento della sua morte, i debiti successori - secondo la common law non esigibili finché non fossero venuti meno tutti i proprietari - rimanevano insoluti(27).

Nel 1535, giacché la diffusione di questo fenomeno andava causando seri danni alle casse dei vassalli e soprattutto del sovrano, con lo Statute of Uses Re Enrico VIII abolì - nei suoi intendimenti in modo assoluto e definitivo - gli usi. Con lo Statute cambiava radicalmente la posizione giuridica del feoffee to use poiché, non essendo più possibile ricorrere allo use, qualunque negozio traslativo della proprietà nei suoi confronti, tamquam non esset, era di per sé inidoneo a conferirgli la titolarità del diritto: unico proprietario legale delle res per l'ordinamento era e rimaneva il primo proprietario.

I tenants of lands, tutt'altro che propensi ad onorare il perentorio divieto, dopo quasi un secolo dall'abolizione degli usi trovarono, grazie all'opera ingegnosa degli interpreti del diritto, un efficace - e per noi felice - escamotage.

Nacque lo "use upon use" e, dallo use, il nostro Trust.


I beni - adesso - venivano trasferiti a B "per l'uso di A, per l'uso di C"; in questo modo B era investito della proprietà sostanziale, legale, dei beni e - non più A! - ma C, il beneficiario finale, ne diveniva proprietario equitativo o formale.

Nel 1634 nel risolvere il caso Sambach vs Dalston il Cancelliere reintroducendo il concetto di equitable estate, distinta da quella legale, restituì vigore e riabilitò giuridicamente la prassi dello use

con una configurazione nuova (non solo dal punto di vista strutturale): nell'atto di trasferimento la formula "all'uso di A, all'uso di C" fu sostituita inserendo la dicitura " a e per l'uso di B, in trust per C".

Diventava indispensabile - a fronte del patto (trust deed) disciplinato dalla legge - riconoscere in capo al terzo beneficiario, titolare di un equitable interest, una posizione soggettiva attiva che gli consentisse di difendersi in via equitativa da un eventuale inadempimento di B.

Il neonato Trust, confondendosi originariamente con lo use, ebbe ad oggetto solo immobili che, ad esempio in occasione della partenza per una crociata, mediante vendita o donazione venivano costituiti in trust e trasferiti dal proprietario (settlor) ad un soggetto di fiducia (trustee), con l'obbligo per quest'ultimo di conservare ed amministrare il cespite di beni e di ritrasferirlo alla persona designata (beneficiary o - arcaico - cestui que trust), nel nostro esempio l'erede legittimo del disponente qualora quest'ultimo non avesse fatto ritorno.

Da questo momento in poi il secondo use fu sempre definito "trust", gli acquirenti in base allo Statute of Uses divenivano - all'atto di trasferimento della trust property - titolari (legittimati da un legal title, quindi owners at law) della proprietà legale dei beni e al contempo fiduciari (trustees, appunto) di C, proprietario (owner at equity) del c.d. trust (equitable) estate, protetto dall'equity del Cancelliere.

I giudici di equity non ragionarono in termini di rapporto obbligatorio ma, vista la scarsa rilevanza di tale categoria nel diritto inglese, attinsero a piene mani dalla law of property modellando sul beneficiario una tutela sostanzialmente reipersecutoria.

La nostra indagine si è spinta sino agli albori del Trust non per mero interesse antiquario, ma per comprenderne a fondo la natura e l'essenza: si tratta infatti di un istituto giuridico emblematico, come dicevamo nella nostra premessa, la cui storia è completamente immersa nella storia del diritto inglese e ad essa intrecciata.

Il Trust, che ha ereditato dallo use la struttura di fondo, con il tempo è andato evolvendosi dimostrando la sua estrema versatilità ed ampia possibilità di utilizzo, ha assunto forme e finalità capaci di assecondare negli anni le mutevoli necessità del contesto socio- economico.

Alla Court of Chancery, nel suo progressivo e tenace sviluppo attraverso vicende e stagioni spesso avverse, si deve "l'invenzione" - per dirla con Maitland - e la diffusione del Trust: la sua giurisdizione secolare, autonoma e parallela ma complementare rispetto a quella delle corti di common law, andò vieppiù assumendo le caratteristiche e lo scopo precipuo di colmare le lacune e temperare il rigore del

diritto "positivo" (28), ora integrando ora innovando.


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