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Vademecum per gli enti sotto processo




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Promiscuità pericolose


D.lgs 231/2001 ibrido tra sistema penale e amministrativo. Rimozione parziale del principio societas delinquere non potest, tertium genus di responsabilità, terzo binario del diritto penale criminale, tra la pena e le misure di sicurezza, quartum genus a cavallo tra responsabilità civile aquiliana, penale e punitivo-amministrativa. Criteri di imputazione penali, ma la pena non è strettamente penale ( perchè non incide sulla libertà personale) valenza special preventiva. Legge delega 300/2000 disciplina la responsabilità amministrativa degli enti e non tout court la responsabilità degli enti. Il legislatore delegato ha attuato la delega in senso penalistico. La delega propendeva per una responsabilità amministrativa, sia perchè consentiva di escludere la copertura dell'art 27 Cost.[1], sia per le opportunità di risparmio di garanzie (determinatezza delle fattispecie punitive sulla base dell'art 23 e non 25, maggiore tolleranza nella garanzia del diritto di difesa derivante dall'art 242 e 111 cost). Le cause: incremento dei delitti individuali agevolati dall'appartenenza a macrostrutture organizzative e dei delitti di riciclaggio. L'ibrido generato dal d.lgs coniuga regole di accertamento della giurisdizione penale con comminatorie di natura amministrativa, facendo sopravvivere proprio quel principio societas delinquere non potest dal quale ci si voleva distaccare.

La relazione al decreto legislativo conclama la natura penale-amministrativa ma tutti parlano di responsabilità penale o para-penale.

Novità assoluta: processo penale come sede di accertamento dell'illecito amministrativo e di formazione del giudicato applicativo di sanzioni non penali (Cordero). Dall'impropria sovrapposizione può discendere la crisi anticipata dell'impresa che dovrebbe attendere, di regola, la sentenza di condanna definitiva (Fiorella). Il malessere che si avverte nel contesto processuale è di carattere ideologico funzionale: il D.lgs 231/2001 può essere considerato l'ultimo tassello di una concezione del processo cui si vorrebbero conferire i compiti non di mero accertamento e repressione ma generalpreventivi (intimidazione, prevenzione, rieducazione, recupero individuale e sociale) ad esempio le misure cautelari contra societatem vengono piegate ad esigenza di emenda e rieducazione. Non per questo la scelta operata dal D.lgs 231/2001 di eleggere il processo penale a sede dell'accertamento della responsabilità amministrativa è priva di solide giustificazioni. L'idea di sfruttare sia le potenzialità di accertamento e che gli istituti di garanzia del processo penale è presidiata dalla connotazione fortemente afflittiva di alcune delle sanzioni comminabili all'ente, soprattutto, sul piano pratico, dalla connessione oggettiva tra reato e illecito amministrativo. Rischi: l'appesantimento del processo determinato dal moltiplicarsi di azioni accessorie: disimpegno giudiziario dall'accertamento degli illeciti degli enti. N.B. vi sono casi in cui il processo penale inizia congiuntamente nei confronti della persona fisica e di quella giuridica ma poi continua solo nei confronti della prima all'esclusivo fine dell'accertamento della responsabilità amministrativa. E' possible una degenerazione di questo fenomeno a causa del presunto stato di impotenza in cui la parte pubblica si potrebbe trovare quando nel processo penale a carico della persona fisica, pur nutrendo la certezza che il dominus di una determinata società era al corrente del metodo illecito seguito dal funzionario, non avesse altra carta che quella di sostenere che il dominus non poteva non sapere. Il D.lgs 231/2001 viene a colmare questa lacuna perché è vero che quel dominus non subirà una sanzione come persona fisica ma la subirà come titolare dell'impresa tutte le volte in cui ha colposamente consentito al suo sottoposto di ricorrere a metodi antigiuridici. I rischi di deviazione dai fini istituzionali e di ingestibilità del processo penale non scalfiscono la giustezza della scelta di fondo, operata dal D.lgs 231/2001, di attrarre nell'orbita della giurisdizione penale l'accertamento della responsabilità amministrativa degli enti. Non sarebbe auspicabile devolvere tale compito alla P.A. trattandosi di esperimento già tentato con scarsi risultati dalla L. 689/1981; inoltre si tratterebbe di giudicare un illecito amministrativo la cui esistenza dipenderebbe dall'accertamento di una violazione costituente reato, infliggendo, in caso di esito positivo, sanzioni dotate di elevata afflittività. La scelta del processo penale è dunque da difendere (secondo Paolozzi)con la consapevolezza però che le imprese dovrebbero introdurre al proprio interno un efficace apparato di garanzia della legalità aziendale visto che la trasparenza costituisce un valore quantificabile in borsa. La relazione al D.lgs 231/2001 segnala che la tendenza più generale spinge verso una progressiva assimilazione dei due modelli di responsabilità che tendono a confluire in una sorta di diritto sanzionatorio unitario soprattutto in materia economica. Il riconoscimento di un pieno statuto penalistico alla responsabilità delle società e degli enti è incoraggiato anche dagli imput provenienti dal Consiglio dell'U.E. che, in più di una decisione-quadro, qualifica "penale" la responsabilità delle persone giuridiche. Si assottiglia il confine tra sanzioni penali e sanzioni amministrative che hanno assunto valenza punitiva. Problemi: la carica simbolica in termini di disvalore (nuova qualificazione della condotta) può essere avvertita come sproporzionata o ingiusta, nonostante i più elevati livelli di copertura costituzionale. Il passaggio da una fattispecie di agevolazione colposa di natura amministrativa ad un reato in senso proprio porterebbe a riconfigurare i rapporti tra autore dell'illecito e ente in termini di autentico "concorso di persone nel reato" (come nell'ordinamento francese) rischio di lesione del principio di personalità della responsabilità penale. Tuttavia l'assetto attuale della materia sembra quello più equilibrato. Ma resta la necessità di una lettura attenta del nuovo congegno: solo precisandone le regole e fissando su binari sicuri il modus operandi è infatti possibile mettere un freno al pericolo che da strumento volto a favorire la trasparenza si trasformi in strumento giudiziario di controllo sul mercato.











Capitolo I - Le coordinate sostanziali


  1. Il D.lgs 231 del 2001 scelta europeista coatta

Quello tracciato dal D.lgs 231/2001 è, per Paolozzi, un ordinamento satellitare autonomo, denso di aspetti problematici. Con la legge 29 sett 2000 n.300 è stato delegato il governo ad emanare la disciplina concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica. Tale intervento fu dovuto e imposto da impegni pattizi da onorare a livello europeo (con tale legge vennero ratificati atti internazionali come la Convenzione sulla corruzione dei funzionari della comunità europea , Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee-conv PIF-, Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche straniere), i quali vincolavano gli stati a prevedere forme di responsabilità e corrispondente accertamento aventi una specifica connotazione penale o amministrativa. Così il comitato dei Ministri del Consiglio d'europa nel 1998 invitava gli stati membri a promuovere l'adozione di misure finalizzate a rendere le imprese responsabili per i reati connessi nell'esercizio della loro attività. Da tale legge nacque il dlgs 8 giugno 2001 n 231.

Il diritto positivo italiano già conosceva modelli di corresponsabilizzazione sanzionatoria della societas in ambiti normativi diversi e secondo distinti criteri di imputazione (concorrenza, banca, violazione di norme tributarie). Non era possibile però rivisitare tali istituti per due motivi:

1). la responsabilità degli enti doveva qualificarsi come autonoma e non sussidiaria rispetto all'autore del reato, al fine di ricalibrare un sistema in cui di regola le elevatissime sanzioni pecuniarie venivano corrisposte dalle persone giuridiche

2). la inadeguatezza della p.a. nella gestione del procedimento di cui alla 689/1981 che finiva con il demandare al giudice penale l'accertamento dei nuovi illeciti e l'inflizione delle corrispondenti sanzioni amministrative.

Perciò, la creazione di tale disciplina è stata una "scelta europeista coatta"


  1. La colpevolezza dell'ente: fatti generativi.

Il D.lgs 231/2001 pur contenendo prevalentemente disposizioni processuali, introduce le novità di maggior spicco nelle disposizioni di diritto sostanziale. Il nuovo sistema è calibrato nei confronti di imprese nelle quali la deviazione della legalità rappresenta l'eccezione e non la regola: l'impresa criminale invece esige moduli repressivi drastici diversi da quelli previsti dal D.lgs 231/2001 (pena di morte dell'ente con il suo scioglimento). Eppure il D.lgs 231/2001 all'art 16 dispone che, nell'eventualità in cui l'ente o una sua unità organizzativa risultino utilizzati all'unico o prevalente scopo di consentire o agevolare la commissione dei reati da cui può scaturire la responsabilità dell'ente stesso, il giudice applichi, obbligatoriamente e in via definitive, la sanzione dell'interdizione dallo svolgimento della specifica attività.

Designata dalla formula "responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato", la colpevolezza della persona giuridica postula il nesso di dipendenza tra due categorie di illecito ( amministrativo e penale) la cui essenza si chiarisce raccordando tra loro gli artt. 1, 5, 6, 7 del D.lgs 231/2001 che delineano i criteri di imputazione oggettivi e soggettivi e le persone giuridiche che possono venir chiamate a rispondere per gli illeciti.

Alla base della responsabilità del soggetto collettivo si colloca il "rapporto organico" tra la persona fisica autore del reato e l'ente che porta quest'ultimo a tenere una condotta illecita nell'interesse o a vantaggio dell'ente (ex art. 5 è suff. che l'illecito penale sia stato commesso "anche" nell'interesse o a vantaggio dell'ente e non solo " nell'esclusivo interesse o a vantaggio"). Si dice che l'ente è soggetto in grado di indirizzare, per via della sua organizzazione i comportamenti dei propri membri..tutto ciò per salvaguardare il nuovo modello di imputazione da addebiti di incostituzionalità nei confronti del principio di personalità della responsabilità penale e della sanzione (art 27 cost ).

Si dice che l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: i due elementi sono autonomi e alternativi? Dare una risposta affermativa alla domanda comporterebbe che l'interesse verrebbe valutato ex ante, e il vantaggio ex post, con la conseguenza che persino un'azione nata in contrasto con l'interesse dell'ente collettivo potrebbe produrre un vantaggio per il medesimo. D'altra parte l'espressione non può neppure essere considerata un'endiadi in quanto i due elementi della condotta non sono sinonimi. Per superare l'impasse ci si può muovere su due piani diversi: quello del reato tentato e quello del reato consumato l'inciso "nell'interesse di" si collega ad un'azione autonoma (disgiunta dal vantaggio procurato)nel solo caso in cui il resto sia reato tentato, mentre "a vantaggio di" si collega al reato consumato e ad un'azione geneticamente volta a realizzare l'interesse dell'ente. Ci si chiede se si debba dare rilevanza all'atteggiamento psichico del reo?! La risposta negativa sembra desumersi dall' art. 5 che non contiene neppure un accenno al fatto che l'interesse o vantaggio debbano costituire motivo a delinquere.

C'è poi un distinguo di tipo organizzativo tra appartenenti all'ente; infatti il criterio di collegamento tra individuo autore del reato e persona giuridica si specifica a seconda che gli appartenenti all'ente siano collocati in posizione apicale o subordinata e ciò influisce sulla predisposizione di protocolli di comportamento e gestione dell'ente. In alcuni casi il legame ente-persona-reato si stempera tanto che l'ente è responsabile anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (art 8). Ciò conferma l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella della persona fisica ma suscita dei dubbi sotto il profilo del principio di colpevolezza ( la responsabilità penale è personale). Inoltre c'è il pericolo che nel caso in cui le indagini preliminari abbiano consentito di raccogliere elementi di prova deboli a carico della persona fisica presunta autrice del reato, l'organo dell'accusa potrà giocare la carta aggiuntiva della contestazione dell'illecito amministrativo alla persona giuridica rischiando così che la responsabilità dell'ente surroghi quella individuale e che la parte pubblica fruisca dei più lunghi termini per la prescrizione. A complicare la situazione vi è il contrasto tra l'art 1 che configura l'illecito extrapenale come un fatto diverso dal reato anche se ad esso legato da un rapporto di causalità ( ci si riferisce infatti a illeciti amministrativi dipendenti da reato) e l'art 5 ( "..per i reati commessi.") che evoca la piena coincidenza tra reato e illecito extrapenale.

A questo punto ci si dovrebbe soffermare sulla natura di tale responsabilità ma non solo per risolvere un dubbio classificatorio, ma per individuare i livelli di garanzia: in termini di risparmio, affermare la natura amministrativa della responsabilità significa affrancarsi dal rigido canone della personalità della responsabilità penale (art 27 Cost.), dall'esigenza di stretta puntualità descrittiva delle fattispecie punibili (art 25 Cost.), dalle garanzie collagate dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo alla natura penale della responsabilità. Connotati penalistici si rinvengono nell'accertamento di tale responsabilità, non affidato all'autorità amministrativa ma al giudice penale, che applicherà una sanzione penale a termine di un procedimento cui si applicano disposizioni dettate dal codice di procedura penale. Connotazione penalistica hanno pure le finalità chiaramente preventive della configurazione della responsabilità e il collegamento diretto e non solidale all'ente. In ultimo, la previsione di un'Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative offusca i caratteri distintivi dell'illecito amministrativo che di solito non proietta alcuno stigma sul suo autore ad ifferenza dell'illecito penale. Nonostante ciò, ostacoli di ordine ontologico si frappongono alla qualificazione di questa responsabilità come penale: innanzi tutto il rapporto di carattere organico tra ente e persona e l'idea di una responsabilità penale ascrivibile soltanto all'uomo in grado di apprezzare l'antigiuridicità della propria condotta e di autodeterminarsi (art 27 Cost.-il principio di colpevolezza funge da ostacolo all'abbattimento del canone societas delinquere non potest). La responsabilità dell'ente infatti, nonostante ogni sforzo, resta una forma di responsabilità per fatto altrui che solo attraverso una fictio si può riconvogliare nell'alveo della responsabilità per fatto proprio. Non esiste invece alcun artificio che possa attribuire all'ente la consapevolezza dell'antigiuridicità della propria condotta.


  1. Gli ambiti soggettivi di applicazione.

La materia della responsabilità degli enti si colloca a metà strada tra la disciplina delle sanzioni amministrative e la disciplina penale e quindi vige il divieto di applicazione analogica e di interpretazioni estensive. Ciò è rafforzato dalla previsione, nell'art 2, del c.d. principio di legalità (responsabilità e sanzioni espressamente previste dalla legge) che influisce sul numero chiuso dei soggetti collettivi destinatari di questa disciplina. Ex art 1 comma 2 del dlgs n231/2001 " le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica"

(1.persone giuridiche private- p.g.p. riconosciute, fondazioni comprese e istituzioni non aventi come scopo lo svolgimento di un'attività economica;

2. società di persone- società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice (autonomia patrimoniale più soggettività giuridica)ma anche le società di fatto e irregolari (no pers. giuridica) ;

3. società di capitali- Spa, in accomandita per azioni , Srl, società estere con sede secondaria nello stato, società cooperative anche di mutua assicurazione

4. enti pubblici economici- che siano inseriti nell'ambito soggettivo della disciplina si desume dal fatto che sono esclusi espressamente gli enti pubblici non economici. Essi operano iure privatorum in quanto svolgono un'attività economica. Per via della privatizzazione ex l. 359 /1992 sono destinati a scomparire (si pensi all'IRI, ENEL, INA, ENI, Ferrovie dello Stato) e a trasformarsi in s.p.a.

5. associazioni non riconosciute e comitati- soggetti privi di personalità giuridica che non svolgono istituzionalmente un'attività impostata sul profitto).

Agli enti appena identificati sono addebitabili sia i reati commessi all'interno dello Stato italiano, sia quelli commessi all'estero. Infatti ex art 4, nei casi degli artt 7, 8,9, 10 cp, gli enti possono essere perseguiti anche per I reati commessi in territorio alieno qualora abbiano in Italia la sede principale e nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. Suscita dei dubbi la riconosciuta applicabilità della normativa da parte di alcuni giudici a carico di un ente straniero avente la sede principale all'estero e che avrebbe operato nel nostro territorio tramite un'associazione temporanea di imprese resesi responsabili di reati. Il limite a questa scelta si rileva nell'art 4 che si riferisce soltanto a reati commessi all'estero da ente italiano e non da un'ente estero che operi in Italia. Nè basta l'art 6 c.p. ("chiunque commette un reato nel territorio dello stato è punito") perché in questo caso il principio di territorialità non si applicherebbe ad un'ipotesi di resp penale derivante da un reato, bensì ad una responsabilità qualificata amministrativa dipendente da illeciti di uguale natura. Tale canone potrebbe vigere solo se fosse espressamente richiamato dal D.lgs 231/2001, cioè se vigesse un principio di sussidiarietà rispetto al diritto penale sostanziale analogo a quellao contenuto nell'art 34 che impone l'applicabilità delle disposizioni del codice di procedura penale. Né si può procedere in via estensiva per via del principio di legalità contenuto nell'art 2.

In ogni caso dalla lettura della Relazione al dlgs, si evince che l'art 12 si indirizza ad enti che, seppur sprovvisti di personalità giuridica, possono cmq ottenerla.con l'esclusione dunque dell'impresa individuale che si identifica con l'imprenditore ex art 2082 cc. Ciò è stato confermato dalla Corte di Cassazione in una sent del 2004 con cui ha accolto il ricorso di un'impresa individuale ( esercente l'attività di parrucchiere) la quale sosteneva di non rientrare nel novero dei soggetti di cui all'art 1 .

La demarcazione della sfera di attività del D.lgs 231/2001 è completata dal 3 comma dell'art 1 il quale esclude alcuni soggetti dalla responsabilità per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato: lo Stato, gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), gli altri enti pubblici non economici (qui il legislatore ha dilatato l'ambito dei non imputabili rispetto alla delega) e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. L'equiparazione allo Stato degli enti pubblici territoriali è conforme all'art 197 c.p. che in materia di obbligazione al pagamento di pene pecuniarie esonera dall'obbligazione stessa lo Stato, le regioni, le province e i comuni. Dubbi sorgono con riferimento ad enti dotati di soggettività pubblica che non esercitano pubblici poteri, ma che non possono qualificarsi economici (enti pubblici associativi come l'ACI, enti pubblici associativi istituzionali come gli ordini e i collegi professionali, enti pubblici che erogano un pubblico servizio come le università e gli ospedali).

In linea con la delega, appare l'esclusione dalla responsabilità di enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (il presidente della repubblica, le camere, il governo e la corte costituzionale rientrano nella nozione di Stato). Ci si chiede quail siano gli enti che svolgano funzioni di rilievo costituzionale e di sicuro il legislatore, prescindendo da ogni distinguo in ordine alla soggettività pubblica dell'ente e alla sua organizzazione o personalità, abbia inteso alludere ad enti che svolgono funzioni preoridinate alla tutela di un bene o di un interesse costituzionalmente protetto( anche i sindacati e i partiti politici sono enti dediti allo svolgimento di funzioni di rilievo costituzionale). Nella tematica dell'ambito soggettivo resta un capitolo ancora aperto circa i gruppi di imprese e gli illeciti amministrativi dipendenti da reati commessi nell'interesse o a vantaggio di aziende esterne che godono di una posizione di dominanza strategica (società capogruppo) nei confronti di quella cui appartiene la persona fisica autrice dell'illecito penale.L aquestione nasce dall' assenza nel Dlgs di qualsiasi riferimento ai gruppi di società che sottrae dunque questi ultimi al sistema sanzionatorio (spostano un'azienda dalla società originariamente destinataria della sanzione a un'altra del gruppo). Stesso discorso vale per i consorzi tra imprenditori (a meno che - come mette in luce Selvaggi - non si decida di farli rientrare nella "associazione" o lo scopo consortile - rileva Pecorella - venga perseguito avvalendosi di una società commerciale dotata di personalità giuridica). L'ostacolo insormontabile è, come al solito, il principio di legalità dettato dall'art 2 che preclude qls dilatazione della responsabilità amministrativa dell'ente " non espressamente prevista da una lex entrata in vigore prima della commissione del fatto". Non pare curarsene la giurisprudenza che colma d'autorità il vuoto normativo; molti propongono un'interpretazione estensiva dell'art. 5 nella parte in cui assoggetta l'ente a responsabilità per i reati commessi da coloro che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso.

  1. Protocolli di comportamento.

Ex artt 6 e 7 del D.lgs 231/2001, ai fini dell'imputazione della responsabilità all'ente, oltre al collegamento oggettivo tra ente e persona fisica (art 5) sono necessari altri requisiti a seconda che il reato sia commesso da soggetti posti in posizione apicale ( cioè che rivestono un elevato livello di potere all'interno dell'organizzaione) o subordinata. In concreto occorre che l'addebito rivolto all'ente sia ancorato alla mancata adozione di modelli comportamentali calibrati sul rischio di reato che fungono da criteri soggettivi di imputazione in conseguenza del "mancato impedimento dei reati dovuto a illegale politica d'impresa o a colpa di organizzazione o vigilanza". Per converso dalla efficace messa in atto di idonei "plannings" di gestione e controllo consegue l'esenzione dalla responsabilità dell'ente. Si tratta di verificare se la mancata adozione dei modelli organizzativi costituisce elemento costitutivo dell'illecito materiale o soggettivo. Il rischio di reati è ineliminabile e connaturato all'esistenza dell'impresa, ma può essere contenuto entro certi limiti. Stimolando gli enti alla fissazione di regole di condotta, gli artt. 6 e 7 intendono circoscrivere i limiti entro cui il rischio collegato all'attività di impresa risulta permesso. Il modus operandi della predisposizione di protocolli di comportamento è simile a quello delle cause oggettive di esclusione del reato. Si tratta comunque di un modello di "scriminante sui generis" dal momento che neppure la predisposizione di modelli organizzativi idonei a prevenire il reato commesso da soggetti apicali è idoneo a salvaguardare l'ente dalla confisca (art.154) da ciò si capisce che nepure il legislatore crede nella totale separazione della volontà sociale da quella dei suoi vertici. Tali modelli organizzativi se posti in essere ex ante fungono da scriminanti (risulta esaltata la dimensione difensiva) ma anche da prove precostituite in ordine alla mancanza di agevolazioni date dall'ente per la commissione del reato (ruolo cautelare). Se vengono attuati ex post consentono la sospensione delle misure cautelari (art.49); se adottati prima dell'apertura del dibattimento riducono la sanzione pecuniaria e impediscono la sanzione interdittiva (art.17); in corso di esecuzione comportano la conversione delle sanzioni interdittive in sanzioni pecuniarie. Poco credibile è l'idea di poter attribuire a questi modelli funzione preventiva perché l'art 7 parla di misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio e quindi sembra che più che alla prevenzione, si mira ad affrancare la persona giuridica da responsabilità. La dotazione di tali modelli organizzativi è del tutto facoltativa. Qui il rischio è di creare un millenium bug all'interno del nuovo sistema in cui i costi di dotazione sono di molto superiori ai benefici e di rendere il ricorso a tali strumenti esclusivo per i soggetti abbienti( medie e grandi imprese o gruppi aziendali). Risulterà probabile che l'ente preferirà ottenere uno sconto più basso di pena attuando le condotte riparatorie e risarcitorie di cui all'art 12 o optando per un rito speciale piuttosto che sopportare gli altissimi oneri finanziari collegati all'adozione dei codici di comportamento. L'interesse a ricorrere a tali modelli organizzativi, nel caso di una contestazione ex art 59, sorgerà dal timore di vedersi inflitta una sanzione interdittiva e in questo caso l'introduzione dei protocolli di comportamento risulta più che altro come sanzione.

Gli artt 6 e 7 non individuano i soggetti incaricati di predisporre tali modelli, lasciando alla prassi il compito di stabilire se la competenza sia del solo organo dirigente o anche dell'assemblea (quest'ultima sarebbe la soluzione più logica: i codici dovrebbero essere adottati con delibera assembleare e poi iscritti nello statuto societario). L'art 6 detta una serie di linee guida al fine di evitare modelli meramente "di facciata". La redazione dei modelli può essere affidata ad associazioni rappresentative degli enti: in tal caso su di essi il Ministero della giustizia può formulare osservazioni sull'idoneità dei protocolli a prevenire i reati mediante un procedimento che consta di due fasi: 1.fase preliminare con verifica dei requisiti soggettivi del proponente 2. fase valutativa con esame nel merito dei codici di comportamento da parte del Direttore generale della giustizia penale che, interpellati i Ministeri competenti, se ritiene inidoneo il codice, entro 30 giorni dalla data di ricevimento dei protocolli, fornisce le osservazioni in merito al loro adeguamento e le comunica all'associazione di categoria. Si tratta di semplici linee guida, perché la concreta verifica sull'idoneità e attuazione dei modelli spetta al giudice. Infatti è stata prevista come un'espressione di sofferenza la pratica del silenzio-assenso che prevede che . "il codice di comportamento, decorsi 30 giorni, dalla data di ricevimento del codice di comportamento, senza che il Ministero della Giustizia abbia formulato osservazioni, acquista efficacia"..Il ministero ha altro da fare.


  1. Il modello sanzionatorio.

L'art 2 enuncia il principio di legalità per la responsabilità amministrativa : "l'ente non puo' essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilita' amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

Rispetto alla legge delega il numero dei reati per i quali viene prevista la "responsabilità degli enti collettivi" si è drasticamente ridotto: sono stati eliminati quei reati che ricadono nel cono d'ombra della criminalità di impresa (reati contro l'incolumità pubblica, reati di lesioni e omicidio colposi commessi con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative alla tutela della salute o dell'igiene sul lavoro, nonché reati in tema di tutela dell'ambiente e del territorio), mentre rispetto alle previsioni contenute negli obblighi internazionali pattizi si è registrato un ampliamento. La scelta minimalista del D.lgs 231/2001 è giustificata da ragioni di ordine costituzionale fondate sull'art 27 (rispetto del principio di colpevolezza) e di ordine pratico (ingresso soft dei nuovi meccanismi), anche se il serrato succedersi di provvedimenti legislativi e disegni di legge hanno prodotto una spinta verso l'allargamento della sfera oggettiva di operatività del D.lgs 231/2001. Basti ricordare la decisione quadro del Consiglio dell'U.E. del 2005 che ha ampliato la gamma di reati informatici da cui dipende la responsabilità della persona giuridica. Nell'ambito dei disegni di legge invece spicca la l. 146/2006 che ha esteso la responsabilità degli enti a determinati delitti e il cui art.10, pur rinviando all'osservanza delle norme dettate dal d.lgs 231/2001, ha previsto la sanzionabilità delle persone giuridiche per illeciti amministrativi dipendenti da reato non inseriti nell'elenco della sezione III del decreto, la peculiarità dei quali risiede nella loro natura "transnazionale".

Quanto all'apparato punitivo predisposto per sanzionare gli enti, questo è strutturato seguendo le linee di un modello essenzialmente binario (artt 9-23): sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive. Il quadro è completato però da due ulteriori istituti: la confisca e il commissariamento dell'ente. Tutte attengono direttamente (sanzioni pecuniarie e confisca) o indirettamente (sanzioni interdittive) al profitto o cmq utile economico dell'ente e sono dirette a perseguire esigenze di prevenzione generale e speciale. Ancora una volta dubbi di costituzionalità sono sollevati anche in questo caso con riferimento al principio "nulla poena sine culpa", di personalità della responsabilità penale e della pena, il principio retributivo della pena e il suo finalismo rieducativo che mal si prestano ad essere trasposti dalla persona fisica a quella giuridica. Una volta ammessa la capacità di colpevolezza della persona giuridica risulterebbe senza senso non sanzionare l'agire illecito. A chi oppone la possibile incidenza delle sanzioni su terzi incolpevoli (associati all'ente, legati da vincoli partecipativi) si può obiettare che qualsiasi pena potrebbe incidere indirettamente su terzi innocenti legati al condannato. Detto altrimenti l'assoggettamento dell'ente a sanzione fa parte del normale rischio di impresa che qualsiasi associato corre e la pena pecuniaria serve a cancellare i vantaggi ingiustamente ottenuti dagli azionisti i quali hanno beneficiato del reato di impresa (senza contare che i soci non subiscono alcun pregiudizio, rispondendo della pena soltanto l'ente, con il proprio patrimonio o fondo comune).

E' fondatamente ipotizzabile un contrasto con l'art. 273 Cost. potendosi dubitare della valenza rieducativa delle sanzioni rivolte alla società; pare indiscutibile infatti che il dettato costituzionale si riferisce esclusivamente alla rieducazione di soggetti in carne ed ossa e cioè dotati di una personalità su cui incidere.



  1. Pecunia doloris.

Il vero fulcro del sistema punitivo è dato dalle sanzioni pecuniarie, obbligatoriamente applicate a tutti gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (art 10) a differenza delle sanzioni interdittive che sono soltanto aggiuntive, in casi di particolari gravità. Il meccanismo di determinazione del quantum della pena è nuovo, per quote, e abbandona il tradizionale modello "per somma complessiva". Ha struttura bifasica: 1) ex art 111 il giudice determina, sulla base della cornice edittale, il numero delle quote da addebitare all'ente in base alla gravità dell'illecito, al grado di responsabilità dell'ente e all'attività eventualmente svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto o per prevenire ulteriori rischi; 2) ex art 112 il giudice assegna un valore ad ogni singola quota sulla base della capacità economica e patrimoniale dell'ente. L'art 104 preclude espressamente la sospensione condizionale della pena e il pagamento in misura ridotta della stessa anche se l'art 12 prevede un congegno di riduzione della pena pecuniaria che serve a compensare della perdita pecuniaria e ha connotazione special preventiva. La decurtazione si realizza però, qualora ricorrano determinate condizioni (che fungono da circostanze attenuanti):

A)   l'autore del reato l'ha commesso nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio (o un vantaggio minimo) e il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità riduzione della metà (comunque la pena non può essere superiore a 100.000 euro);

B)   se l'ente ha risarcito integralmente il danno o ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato o si è comunque efficacemente impegnato in tal senso (se l'eliminazione delle conseguenze sia stata oggettivamente impossibile) o se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati dello stesso tipo riduzione da un terzo alla metà.

Finalità ancor più special-preventive ha l'art 17 che prevede un meccanismo di esclusione delle interdizioni quando al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado l'ente ha risarcito integralmente il danno ed ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, o si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; quando l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati dello stesso tipo; quando l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Le sanzioni interdittive, inoltre, ex art 78, possono essere convertite in pene pecuniarie entro 20 giorni dalla notifica dell'estratto della sentenza qualora l'ente abbia posto in essere tardivamente le condotte richieste dall'art 17. Altamente improbabile è il verificarsi della prescrizione dell'illecito disciplinata dall' art 22 e a cui si applica una disciplina di matrice civilistica specie con riferimento all'interruzione. Due sono le cause interruttive della prescrizione: la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive; la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'art 59 ( ma qui la prescrizione inizierà a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza). In entrambi i casi la prescrizione decorre ex novo, senza limiti massimi come nel c.p., per ulteriori 5 anni. Operando la prescrizione del reato e quella dell'illecito amministrativo su due piani diversi può accadere che risulti estinto il reato e non l'illecito amministrativo. L'art 60 attenua solo parzialmente questo meccanismo precludendo la contestazione dell'illecito amministrativo quando il reato presupposto risulta estinto per prescrizione.

Il sistema così delineato si presenta molto gravoso per imprese piccole e medie e del tutto inefficace nei confronti di quelle grandi e dell'attività criminale svolta nell'attività di impresa: una sanzione pecuniaria massima di un milione e 500.000 euro apparirà come un semplice costo di gestione peraltro ammortizzabile conn la stipula di polizze assicurative o deducibile dal reddito di impresa (sono indeducibili costi e spese collegati a reati, ma se la sanzione risulta collegata all'illecito amministrativo, il divieto appare raggirabile). Ulteriore rischio di inefficienza delle sanzioni si corre in caso di eventi modificativi dell'ente (artt 28-33) in caso di trasformazione la responsabilità per i reati compiuti anteriormente resta ferma, in caso di fusione l'ente che ne risulta è responsabile dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti, in caso di scissione resta ferma la responsabilità dell'ente scisso, in caso di cessione d'azienda nella cui attività è stato commesso il reato il cessionario è solidalmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria . Si vuole evitare che attraverso mutazioni genetiche il soggetto collettivo venga posto in grado di sottrarsi alle sanzioni stesse, tuttavia restano ampi gli spazi di elusione dei divieti. Ad esempio, attraverso il combinato disposto della disciplina della fusione e della limitazione della responsabilità all'ente nel cui interesse o vantaggio la persona ha agito (art 5) è possibile affrancare l'ente da responsabilità. Se poi si pensa alla scissione parziale risulterebbe facile scaricare le sanzioni su un ente di nuova costituzione. Discorso analogo vale, in caso di cessione d'azienda, con riferimento alle sanzioni pecuniarie.


  1. Una nuova deterrenza: le sanzioni interdittive e la confisca.

Per le grandi imprese, per cui i provvedimenti sanzionatori non risultano efficaci, l'effetto deterrente è demandato più che alle sanzioni interdittive (che pure sono facilmente schivabili), alla confisca. Strumento più incisivo e temibile che non incontra limiti di valore e che può essere eseguita su una qualsiasi somma di denaro o bene dell'ente, di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (art 19). È una pena principale e ha una connotazione punitiva che però risulta mancare solo nell'ipotesi disciplinata dall'art. 65  secondo cui è. "disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato" commesso da soggetto in posizione apicale ancorchè l'ente stesso non sia stato reputato responsabile dell'illecito e quindi, indipendentemente della condanna all'ente, il profitto tratto dal reato è confiscato in funzione del ristoro dell'equilibrio economico alterato. La confisca è sempre obbligatoria anche in caso di patteggiamento (L. 134/2003). La capacità di deterrenza della confisca è valorizzata dalla possibilità di esproprio anche per equivalente del prezzo o del profitto del reato (art 192). Diversamente dall'analoga ipotesi prevista dall'art 6446 c.p., in cui permane la pericolosità tra la res e il suo titolare, qui viene meno ogni rapporto diretto tra il reato ed i beni oggetto di apprensione. L' efficacia dissuasiva raggiunge il suo picco nell'art 154 quando si dispone la confisca del profitto anche in caso di prosecuzione dell'attività, disposta dal giudice al fine di evitare gravi pregiudizi alla collettività, sotto la gestione di un commissario.

Il sistema sanzionatorio è infatti completato dal commissariamento, alternativo alle misure interdittive. Ha la stessa natura della pena in quanto ha durata identica alla misura interdittiva che il giudice avrebbe inflitto ed è associato alla confisca del profitto. Consiste nella prosecuzione dell'attività gestita da un commissario, ove il giudice reputi di poter recuperare l'ente alla legalità

(se ne esclude l'applicazione nel caso in cui devono venire inflitte pene interdittive basate su una prognosi di irrecuperabilità della persona giuridica) e voglia evitare gravi pregiudizi di tipo occupazionale o legati alla tipologia del servizio. È il p.m. che richiede la nomina del commissario in sede di esecuzione della sentenza che ha disposto la prosecuzione dell' attività e vi provvede senza formalità il giudice dell'esecuzione (art.79). Diversamente dall'art 2409 c.c., né l'art 15, né l'art 79 prevedono che il commissariamento determini la revoca dei sindaci e degli amministratori che pertanto restano in carica.

Il rischio di un sistema così delineato risiede nel dilatare la sfera di operatività dell'art 402 c.p., ai sensi del quale "non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.


Capitolo II - La sagomatura del processo agli enti: scelte di sistema.


Processo ad un quasi imputato.


Il capo III del D.lgs 231/2001 è dedicato al procedimento di accertamento e applicazione delle sanzioni amministrative. Sebbene l'art 11 della delega prevedesse l'applicazione delle norme del codice di procedura penale, l'art.34 del D.lgs 231/2001 prevede che.. "per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonche', in quanto compatibili, le disposizioni del c.p.p. e del d.lgs. 27/1989"

Parte della dottrina ha espresso dubbi di incostituzionalità dell'intero Capo III, per contrasto con gli artt 76 e 77 della Costituzione (inosservanza della delega). Per Paolozzi, tale conclusione, drammatica, non è condivisibile, specie considerando che l'ente non subisce pregiudizi a causa di questa inversione di fonti normative (godono di piene garanzie). Il D.lgs 231/2001 infatti struttura i meccanismi processuali di accertamento sul presupposto della convergenza di responsabilità e demanda al giudice penale l'accertamento di tale illecito in un contesto giudiziario riunito a quello che concerne la responsabilità penale. Ecco quindi che il giudice sarà identificato sulla base dei canoni attraverso cui, nel contesto ordinario si individua l'organo giurisdizionale competente per materia, territorio, connessione (art.36). Il potere cognitivo del giudice resta immutato anche quando, nel caso previsto dall'art. 8 (la persona fisica non risulta identificata o identificabile: autonomia della responsabilità dell'ente) il processo debba istaurarsi o proseguire nei confronti del solo soggetto collettivo, anche se in questo caso l'organo investito del giudizio non è in grado di stabilire quali siano i criteri soggettivi di attribuzione della responsabilità, se il reato sia stato commesso da soggetti posti ai vertici dell'ente o in posizione subordinata, la sussistenza del presupposto oggettivo fissato dall'art 5 (interesse o vantaggio per l'ente), e infine il grado di responsabilità prevista dall'art. 11 per la quantificazione della pena pecuniaria, ignorando la collocazione dell'autore nella scala gerarchica dell'ente.

Il sistema delle garanzia è reso più efficace non solo per l'articolazione del rito secondo lo schema penale, ma anche per l'equiparazione dell'ente all'imputato (art 35), figura ibrida di imputato . Tale equiparazione consente di riconoscere all'ente tutti i poteri, doveri, oneri, facoltà aspettative che possono essere riconosciute all'imputato come soggetto processuale e non come persona fisica. La non piena corrispondenza tra ente e imputato risulta confermata da alcune incongruenze:

1. il rappresentante legale dell'ente, nel corso del procedim. penale a carico della persona giuridica, di regola è considerato imputato ma in alcuni casi viene considerato come un testimone (art 44);

2. il modello di partecipazione al processo, da parte dell'ente, richiama quello del convenuto nel proc.civile e infatti ex art 39 è necessaria la sottoscrizione del difensore munito di apposita procura e la dichiarazione o elezione di domicilio;

3. in caso di mancata comparizione del rappresentante legale della persona giuridica, vi è la rappresentanza legale necessaria dell'ente da parte del difensore (art 394);

4. nel sistema delle notificazioni l'ente, per alcune operazioni è accomunato all'imputato, altre alle diverse parti private ex art 43.

Tanto basta per considerare tale processo come divergente rispetto al modello codicistico, senonché l'impostazione general-preventiva che lo caratterizza, giunge ad ulteriore conferma di ciò.

Il rischio insito in un sistema siffatto è un'ipertrofia funzionale del preesistente sistema processuale penale, a discapito della durata ragionevole dei tempi del processo; a dimostre ciò basta sottolineare come sia possibile una quadruplicazione dell'oggetto del giudizio in ragione della competenza assegnata al giudice penale dall'art 36 e e del favor nei confronti del simultaneus processus ex art 38; infatti in un'ipotesi limite, il giudice si troverebbe ad accertare la responsabilità penale dell'imputato, quella amministrativa dell'ente e se è esercitata l'azione civile, la responsabilità civile dell'imputato e la responsabilità civile dell'ente citato in qualità di responsabile civile o civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Ecco perchè non è stata prevista la costituzione di parte civile del danneggiato dall'illecito penale, nei confronti dell'ente, che inoltre presupporrebbe un nesso tra reato, autore del medesimo e danno accampato, cosa non riscontrabile con riferimento all'illecito dell'ente. Da escludere anche la legittimazione dell'ente imputato a costituirsi parte civile nei confronti dell'imputato persona fisica, perché l'ente collettivo ( la società), ove ammesso all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, verrebbe ad assumere due ruoli processuali in antitesi: quello di responsabile amministrativo ex d.lgs. 231/2001 e quello di parte civile cioè titolare di una pretesa risarcitoria. Altra questione è quella relativa all'esperibilità da parte dell'ente condannato per l'illecito amministrativo dipendente da reato dell'azione di rivalsa e di risarcimento. Sebbene si ritenga che l'ente possa convenire l'autore del reato per il ristoro delle conseguenze economiche che sono gravate sull'ente, l'assunto trova vari ostacoli:

-si deve osservare che in tal caso il modello di responsabilità sopraindividuale del D.lgs 231/2001 verrebbe riconvogliato nell'alveo individuale-personalistico da cui intende distaccarsi

-comporterebbe una contraddizione nel sistema perchè non avrebbe senso predicare l'autonomia della colpevolezza del soggetto metaindividuale se poi si consentisse all'ente di scaricare I costi della propria diorganizzazione sull'autore del reato che risponderebbe così del fatto proprio e indirettamente del fatto altrui. (il dlgs diventerebbe una legge manifesto svuotata di qualsiasi efficacia special preventiva);

-peraltro l'art 27 prescrivendo che la sanzione inflitta grava soltanto sull'ente dichiarato responsabile dell'illecito amministrativo, salvaguarda l'autore del reato da un regime di corresponsabilizzazione per le obbligazioni dell'ente e da un bis in idem sotto il profilo sanzionatorio.

- la sentenza di condanna pronunciata a carico della persona giuridica ex art 651 c.p.p. non fa stato nel giudizio civile di danno in quanto le due res iudicandae non sono state cumulate (art 382). Non si deve dimenticare di aggiungere che il legislatore ha espressamente previsto il potere di regresso in alcune ipotesi mentre qui no. Il diritto di rivalsa, quindi, può riconoscersi solo all'ente assolto dall'addebito o nei cui confronti il processo penale non sia mai nato e purché ricorra il presupposto del danno diretto ex art.2935 c.c.


Riunione coatta.


L'art 38, in controtendenza rispetto al codice di procedura penale (ispirato al favor separationis), disciplina la riunione e la separazione dei procedimenti favorendo il cumulo (preferenza per trattazione congiunta del procedimento sul reato e del procedimento sull'illecito amministrativo) a fronte del rapporto di dipendenza intercorrente tra reato e illecito amministrativo e dell'esigenza di evitare giudicati contrastanti e di ridurre l'applicazione dell'art 238 che assoggetta la circolazione degli atti probatori tra processi a regole molto rigorose. Il cumulo processuale ivi descritto non è "necessario", sebbene "preferenziale", e lascia aperte ipotesi di separazione tutte le volte in cui "l'osservanza delle disposizioni processuali la rende necessaria". In questo modo si rompe la tassatività delle deroghe al regime della riunione e si evitano chiavi di lettura tendenti a dar corpo ad una sorta di cumulo ad oltranza dei processi. La preferenza verso il cumulo si deduce dalla formula "il procedimento per l'illecito amministrativo è riunito al procedimento penale" che chiaramente svincola la riunione dalla ricorrenza dei presupposti di cui all'art 17 lett a) e c), ma lascia intatto il divieto di cumulo qualora i processi versino in uno stato o in un grado diversi, risultando impossibile il cumulo tra elementi eterogenei. La regola dell'accertamento congiunto è derogabile quando "l'osservanza delle regole processuali lo rende necessario", espressione da cui dottrina e giurisprudenza hanno desunto una serie di situazioni da cui la separazione scaturisce: eventi connessi al processo penale come temporanee interruzioni o anticipate definizioni; accadimenti collegati al procedimento per l'illecito amministrativo. Quale che ne sia la matrice, nel separare i procedimenti si corre il rischio di decisioni contrastanti e di conflitto tra giudicati. Ne può soccorrere in questi casi l'art 18 c.p.p. che, essendo in rapporto di specialità con l'art 38, non può essere applicato per estensione e quindi se anche il giudice reputasse la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti, non potrà evitare di dar corso alla separazione. La separazione dei processi non dissolve il rapporto di pregiudizialità di fatto che lega l'illecito amministrativo a quello penale; e il giudice investito del giudizio sulla responsabilità amministrativa sarà chiamato a risolvere incidenter tantum la questione penalistica a meno che manchi una condizione di procedibilità nei confronti del reo o il reato si sia estinto per prescrizione (non dovendosi in tali casi procedere all'accertamento dell'illecito amministrativo). La separazione ex art 38 è prevista in tre casi: a) è stata ordinata la sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato a partecipare coscientemente al processo (con conseguente separazione del processo riguardante la persona giuridica che seguirà il proprio corso) e ciò si desume a fortiori dal fatto che la responsabilità sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (art 8); b) il procedimento penale è stato definito con giudizio abbreviato o patteggiamento senza che l'ente si sia avvalso degli stessi strumenti e viceversa, ovvero se il p.m. abbia ottenuto decreto penale di condanna: per la separazione si dovrà attendere la definizione dei giudizi ( nel caso di emississione del decreto penale di condanna, ci sarà separazione direttamente alla sua emissione); in attesa di ciò il giudice cui è stata indirizzata la richiesta di patteggiamento o giudizio abbreviato sospenderà il procedimento (stasi del tutto opportuna considerato che tali riti sono soggetti al rischio di abortire). Qui la riunione non sarà possibile neppure in appello (nel giud. ordinario si svolge con pubblico dibattimento; in quello abbreviato si svolge in camera di consiglio); c) "l'osservanza delle disposizioni processuali lo rende necessario" 1. desumibile dall'art.8 è il caso della mancata identificazione dell'autore del reato, estinzione del reato per causa diversa dall'amnistia, dichiarazione di non imputabilità dell'autore, eventi riguardanti il procedimento sull'illecito amministrativo) 2. la scelta del giudizio direttissimo o del g. immediato operata dall'accusa nei confronti della persona fisica o giuridica 3. il caso previsto dall'art 434   che dispone che, qualora non sia stato possibile effettuare le notificazioni all'ente nei modi previsti dall'art 43, primi 3 commi, e siano risultate infruttuose anche le nuove ricerche obbligatoriamente disposte, è prevista la sospensione del processo su richiesta del p.m. (rischio: potrebbe avvantaggiarsene l'ente che abbia fatto perdere le proprie tracce puntando a una sospensione a tempo indeterminato equivalente all'impunità, posto che non sono stabiliti termini di durata della sospensione né i casi di revoca dell'ordinanza di sospensione) 4. situazione simile individuata da parte della dottrina nell'art 65 che sospende il procedimento qualora l'ente, prima dell'apertura del dibattimento, richieda di provvedere alla riparazione delle conseguenze del reato e dimostri di essere stato nell'impossibilità di effettuarle sino a quel momento. Qui però ci sono differenze rispetto all'art 43 non essendo la sospensione sine die, venendone fissata la durata dal giudice, e ciò rende ingiustificata la separazione dei procedimenti e più tollerabile invece la loro contemporanea stasi per un periodo rigorosamente determinato di tempo.

L'art 38 non affronta la questione della compatibilità del giudice che abbia pronunciato sentenza nei confronti dell'ente, a partecipare al giudizio a carico dell'autore del reato (o viceversa). Opera o no l'art 34 c.p.p.? Se il procedimento a carico dell'ente è stato definito per primo a seguito di separazione, sicuramente non potrà partecipare al giudizio contro la persona autrice del reato, perché del reato-presupposto ha avuto cognizione, seppur incidenter tantum al fine di stabilire se il reato rientrasse nel catalogo degli illeciti previsti dal D.lgs 231/2001 e se l'imputato potesse includersi nell'elenco di persone individuate dall'art 5. Ciò è confermato dalla sent 371/1996 Corte Cost. Maggiori incertezze solleva l'opposta eventualità: il giudice che abbia pronunciato sentenza nei confronti della persona fisica può partecipare al giudizio nei confronti dell'ente? A rigore sia perché il giudice non ha accertato criteri oggettivi o soggettivi di responsabilità dell'ente, sia per la mancanza di "correità" tra ente e reo, non si dovrebbe reputare il giudice incompatibile, senonché questi argomenti non convincono del tutto perché nel giudizio a carico dell'autore del reato il giudice si pronuncia sulla sussistenza di almeno due fondamentali presupposti della responsabilità amministrativa, e cioè il perfezionamento del reato cui l'illecito è legato da un nesso di dipendenza e l'attribuzione del reato a un soggetto collegato alla persona giuridica da un rapporto di carattere organico. D'altra parte l'equiparazione dell'ente all'imputato e la configurazione come concorso necessario di persone del rapporto tra persona giuridica e autore del reato ( desumibile dal criterio oggettivo di ascrizione della responsabilità ex art 5) non consentono di affermare che il giudice che ha definito il giudizio a carico del reo sia terzo e imparziale nel giudizio sulla responsabilità amministrativa.

La riunione o separazione dei procedimenti non modifica la disciplina sull'individuazione del giudice competente a conoscere l'illecito amministrativo che resta quello competente a conoscere del reato da cui dipende l'illecito amministrativo. In regime di separazione dei procedimenti, nulla preclude il travaso di atti (ex art 238, e art 238 bis cpp per le sentenze emesse nel giudizio ordinario o abbreviato e divenute irrevocabili) che quindi potranno essere utilizzati contro l'imputato purché il difensore abbia partecipato all'assunzione della prova e solo se l'ente ha partecipato in qualità di responsabile civile al processo contro la persona fisica ovvero se il difensore dell'ente ha prestato consenso.


La fase prodromica.


La fase prodromica dovrebbe svolgersi contemporaneamente nei confronti del presunto autore del reato e della persona giuridica, quando ictu oculi il delitto ipotizzato rientri tra quelli previsti dal D.lgs 231/2001. Ciò si evince dall'art 56 che colloca l'accertamento dell'illecito amministrativo nel contesto delle I.P. e negli stessi termini previsti per le I.P. realtive al reato causa. Il procedimento inizia con l'iscrizione della notizia dell'illecito amministrativo nel registro delle notizie di reato ( art 55), formato ex art 355 cpp, con la particolarità dell'annotazione degli elementi identificativi dell'ente (quindi no notizie non soggettivizzate) e delle generalità del rappresentante legale e l'indicazione del reato da cui dipende l'illecito. Gli strumenti ufficiali grazie ai quali l'ente prende conoscenza del procedimento sono uguali a quelli di cui fruisce l'indagato. Infatti è permesso l'accesso al registro delle notizie di reato da parte della persona alla quale il reato è stato attribuito, della persona offesa e dei rispettivi difensori. Solo in rari casi si avrà la segregazione della notizia di reato. La conoscenza del procedimento si può avere anche dall'iniziativa del p.m. che compie atti nei confronti dell'ente, come l'interrogatorio del rappresentante legale, in cui il difensore ha diritto di assistere (meccanismo dell'informazione di garanzia). Non è previsto però il diritto per il sogg collettivo a venir edotto del nome del presunto autore del reato che potrebbe restar ignoto fino alla conclusione delle indagini, quando l'accusa dovrà dar conto del rapporto funzionale tra autore del reato e l'ente. Le indagini preliminari avranno la stessa durata sia per l'accertamento del reato presupposto sia per l'accertamento dell'illecito amministrativo. L'ente gode degli stessi diritti dell'imputato "in quanto compatibili"; sarà però necessaria, per la capacità d'agire all'interno del processo, vista l'imperfetta equiparazione della persona giuridica a tale soggetto processuale, la costituzione e nomina di un individuo chiamato a svolgere la funzione di rappresentante legale secondo le forme d'intervento previste per le parti private, visto che il rappresentante legale si trova in una "posizione ontologicamente diversa rispetto a quella dell'imputato del reato presupposto". Però se il rappresentante legale coincide con l'imputato del reato presupposto, l'art 39 ne vieta la rappresentanza: l'ente potrà optare per una partecipazione contumaciale, per la nomina di un nuovo rappresentante legale o per la nomina di un rappresentante legale ad processum ossia con poteri limitati alla gestione del processo. Il sistema denuncia però un' incoerenza che sta nel consentire all'imputato, cui è preclusa la rappresentanza, di ricevere le notificazioni destinate all'ente (art 432) e di proporre impugnazione contro un provvedimento cautelare o di richiedere un rito semplificato. Altre effeti di questa imperfetta equiparazione si colgono in tema di difesa: mentre l'imputato si fa rappresentare da un difensore, l'ente è rappresentato da un soggetto con due anime, di "rappresentante legale" e di "parte". Si tratta di un congegno di autodifesa riconosciuto all'ente, che però suscita dei dubbi; in particolare il caso del conferimento della rappresentanza necessaria al difensore nominato ex art 392 qualora il rappresentante legale non si sia presentato all'udienza preliminare o in dibattimento, lascia perplessi perché il legislatore ha abbinato l'assenza e la contumacia dell'ente all'omessa costituzione e non alla mancata presentazione in udienza del suo rappresentante legale. Il difensore, cumulando i poteri assegnatigli con procura speciale con quelli spettanti al rappresentante legale finisce con il sovrapporre il proprio volere all'effettiva voluntas dei soggetti cui spetta il diritto di partecipare al processo (può optare ad esempio per un rito alternativo). Diviene difficile sostenere che assenza e contumacia siano espressione di scelte consapevoli dell'ente e che il diritto di partecipazione dell'ente-imputato goda di adeguata tutela. Quanto alla difesa tecnica, l'ente ha diritto di nominare ex art 96 cpp un difensore di fiducia indipendentemente dall'atto formale di costituzione ex art 39. Se l'ente decide di partecipare al processo con il proprio rappresentante legale, separatamente alla dichiarazione di costituzione deve conferirgli tale potere con procura speciale ad litem ex art 100 cpp. L'impostazione della difesa potrà seguire la linea del mettere in discussione l'episodio penale da cui dipende la responsabilità amministrativa (negandone la rappresentazione storica, o affermando la presenza di scriminanti, negandone l'illiceità o la riconducibilità nel novero dei reati previsti dal D.lgs 231/2001) oppure si potrà affermare l'insussistenza dei requisiti oggettivi di imputazione della responsabilità all'ente ex art 5, o dimostrare la correttezza della gestione d'azienda (idonei modelli organizzativi) provando la fraudolenta elusione del compliance program da parte della persona fisica autrice del reato. La difesa potrà inoltre optare per riti alternativi o per la riparazione delle conseguenze del reato. È ovvio che in un simile scenario sono consentite indagini difensive. È possibile se non addirittura vantaggioso che il difensore sia lo stesso per l'imputato e per l'ente anche se normalmente gli enti preferiscono prendere le distanze; non si applica il patrocinio congiunto (art 106 c.p.p.) per i casi di incompatibilità: è chiaro che se l'ente voglia sostenere l'idoneità dei modelli organizzativi e l'accusa verte sulla loro inidoneità e inefficienza, il cumulo di difesa sarà incompatibile. Il calcolo costi-benefici può condizionare le scelte difensive della persona giuridica la quale preferirà optare per riti alternativi, per la rimozione delle conseguenze del reato o addirittura per l'inerzia difensiva qualora non si prospettino sanzioni interdittive e il costo della difesa si riverberi sull'ente in misura superiore rispetto all'incidenza di una sanzione pecuniaria.


Vicende modificative dell'ente e partecipazione al processo.


Può accadere che le conseguenze patrimoniali dell'illecito si riverberino su soggetti diversi dall'ente nel cui seno è stato commesso l'illecito penale. Ciò avviene a causa di vicende modificative che incidono sul piano soggettivo o organizzativo contrattuale: trasformazione, fusione, scissione o trasferimento del ramo di attività al cui interno è stato commesso il reato, cessione, conferimento d'azienda. Gli artt 27-33 specificano in che modo e in quale misura la persona giuridica gemmata dalle vicende modificative, risponde del fatto illecito, mentre gli artt 42 e 70 attribuiscono all'ente subentrato una veste processuale coincidente con quella dell'imputato derivandone l'incondizionata operatività delle garanzie difensive (scelta obbligata per rispettare l'art 3, 242, 111 cost). Si verifica dunque la perpetuatio del procedimento nei confronti degli enti originati dalle vicende modificative che rappresentano un semplice "cambio d'abito" dell'ente che seppur con una nuova struttura organizzativa, o privo del patrimonio iniziale, resta responsabile (traslazione della responsabilità in capo ai nuovi soggetti -art 28-301-). Non assume invece veste di parte processuale il cessionario e il conferitario d'azienda (art 33) risultando escluso ogni fenomeno di "contagio" della responsabilità del cedente o conferente: cessione e conferimento, infatti, costituiscono fattispecie di successione a titolo particolare non influenti sull'identità del cedente o del conferente.

Se le vicende modificative si realizzano quando il processo è ancora in corso, il procedimento prosegue nello stato in cui si trova, nei confronti degli enti risultanti da tali vicende. La scelta dei tempi di intervento è fondamentale per la possibile incidenza sul piano sanzionatorio (la partecipazione prima dell'epilogo consente di porre in essere condotte riparatorie o la richiesta di sostituzione di pene interdittive). Può accadere che il beneficiario di una fusione o scissione non fosse consapevole dell'esistenza del processo penale gravante sul suo dante causa perchè l'ente originariamente responsabile non ha un obbligo di informativa; il nuovo ente può anche non avere la debita conosapevolezza dei presupposti su cui si fonda l'imputazione e non possa così preparare adeguatamente la propria difesa. Inoltre se il "nuovo" ente restasse all'oscuro del procedimento, vedrebbe comunque inflitta una sanzione (art 70) potendo il processo procedere dichiarando l'ente contumace. Non infondati appaiono, allo stato delle cose, dubbi sulla costituzionalità di tali disposizioni. Se l'ente invece è a conoscenza del procedimento può parteciparvi depositando la dichiarazione di costituzione ai sensi dell'art 39 (Quid succede se però il neo nato non si costituisce? Sarà dichiarato contumace). Subirà le sanzioni (non solo in via diretta ma anche solidale) che sarebbero state inflitte all'ente originario, con l'unica eccezione del beneficiario della scissione che subisce la sola sanzione pecuniaria nei limiti del patrimonio netto trasferitogli, a meno che non gli sia stato trasferito il ramo d'azienda in cui è stato commesso il reato (in tal caso patisce le sanzioni pecuniarie senza limiti e le sanzioni interdittive). L'ente che entra nel procedimento può porre in essere le condotte riparatorie fino all'apertura del dibattimento, può chiedere la sostituzione della sanzioni interdittive alle condizioni fissate dall'art 31 e senza limiti di tempo e se la fusione o la scissione è avvenuta dopo la conclusione del giudizio può rivolgersi al giudice dell'esecuzione per chiedere la conversione delle sanzioni interdittive in sanzioni pecuniarie. Restano dubbi di ordine costituzionale legati al rispetto del principio di personalità della responsabilità e della pena, in quanto abbiamo un'ipotesi di sostanziale imputazione per fatto altrui.


Gli interventi cautelari.


Le sanzioni interdittive in funzione cautelare che possono coinvolgere l'ente durante la fase prodromica investono direttamente la persona giuridica, non i suoi beni, e garantiscono l'efficacia deterrente inibendo l'attività dell'ente. Non puntano ad un'utile istruttorio.

L'art 45 individua due presupposti per l'adozione di provvedimenti cautelari: a) fumus delicti: cioè la presenza di gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e b) periculum in mora: cioè pericolo desunto da fondati e specifici elementi di reiterazione di illeciti della stessa indole di quello per cui si procede. A differenza del codice di rito, il carattere strumentale è attenuato e vi è il disinteresse per la salvaguardia di esigenze probatorie C'è però un presupposto implicito derivante dall'istituita corrispondenza tra sanzioni interdittive e cautele contra societatem che non possono prescindere dal principio di legalità ex art. 13. Quindi le sanzioni interdittive, anche se in funzione cautelare, devono trovare supporto in una legge antecedente allo loro predisposizione (principio di legalità) e nel rispetto dei criteri oggettivi di imputazione (interesse o vantaggio). Ritornando sui presupposti, l'accertamento del primo comporta un duplice giudizio probabilistico: sulla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell'illecito amministrativo e sull'attribuibilità di uno degli illeciti di cui al D.lgs 231/2001 in base a elementi di natura logica o rappresentativa che fondano una qualificata probabilità di colpevolezza (Cass. Sez. Unite 21 aprile 1995). Con riferimento al periculum in mora le differenze rispetto alla corrispondente disciplina codicistica sono più nette: non occorrono "le specifiche modalità e circostanze del fatto" e "la personalità dell'imputato desunta da atti o comportamenti concreti o da precedenti penali", ma bastano "fondati e specifici elementi": la vaghezza precettiva è sintomatica di un momento di discrezionalità nell'apprezzamento dell'esigenza cautelare che solleva dubbi di aderenza agli standards di determinatezza cui occorre conformare anche l'interdizione cautelare, pena la violazione del principio di legalità. Il vuoto normativo potrebbe comunque essere colmato applicando l'art 274 cpp all'ente (modalità e circostanze dell'illecito come l'entità del profitto, contegno dell'ente con riferimento a carenze organizzative) anche se si rischia di assicurare all'ente un livello di tutela inferiore rispetto a quello garantito alla persona. La scelta delle misure viene operata sulla base dei criteri di adeguatezza e proporzionalità sanciti dall'art 46, analogo all'art 275 c.p.p, ma con la particolarità che il giudice deve verificare che lo strumento prescelto si conformi ai parametri dell'economicità e della specificità dell'intervento cautelare, che impongono, il primo di non far luogo a un'interdizione più gravosa laddove il periculum si possa evitare con una forma più lieve e, il secondo, di tenere conto della specifica attività cui si riferisce l'illecito (ad esempio limitare il divieto di contrattare con la p.a. a determinati tipi di contratto o amministrazioni). La scelta della misura più adeguata impone al giudice un ulteriore approfondimento: dovrà svolgere un giudizio prognostico sulla natura e misura della sanzione che verrà inflitta, dovendo "ogni misura cautelare essere proporzionata.alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata all'ente" (art 462). Criterio da adottare nella scelta sarà dunque quello dell'afflittività graduale dell'intervento, nel senso che l'interdizione dall'attività costituisce extrema ratio, soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. L'impiego, in funzione cautelare, delle pene interdittive non ne altera la fisionomia ma è previsto il divieto di applicazione congiunta della cautele e il termine di durata sono commisurati ai termini di durata massima previsti per l'omologo trattamento sanzionatorio (prima della pronuncia di primo grado max 1 anno, dopo la pronuncia stessa durata della sanzione, in ogni caso non può superare i 2/3 del termine massimo indicato dall'art 13 e cioè 2 anni).

Gli strumenti cautelari applicabili sono: interdizione all'esercizio dell'attività, sospensione o revoca di licenze, autorizzazioni, concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la P.A. (salvo le prestazioni di un p.serv.), esclusione di agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi (o revoca di quelli già concessi), divieto di pubblicizzare beni e servizi. L'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività "se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico e prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità" ex art 163 non è inserita nell'elenco delle misure cautelari in quanto sarebbe stato un controsenso l'adozione provvisoria di una provvedimento qualificato "definitivo" e richiedendo un accertamento pieno, ben diverso dal fumus. Nell'elenco non compare neppure la pubblicazione della sentenza, inidonea ad essere utilizzata per esigenze cautelari. Ad evitare il pregiudizio per la collettività o crisi occupazionali, l'art 453 prevede il commissariamento, in funzione sostitutiva delle misure cautelari interdittive, per un tempo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, se l'ente svolge un pubblico servizio o di pubblica necessità (art 15). Poiché l'art 15 prevede altresì che il commissario adotti e attui efficacemente modelli di organizzazione idonei a prevenire i reati, si determina un'anomalia: un simile onere non è giustificato, posto che non è ancora intervenuta una sentenza di accertamento della responsabilità dell'ente, dalla quale risultino specifiche carenze organizzative cui il commissario è tenuto a porre rimedio. Il nuovo sistema cautelare coincide con quello ordinario ex art 291: il procedimento cautelare è avviato da una domanda dell'accusa rivolta al g.i.p. contenente una selezione di materiale probatorio mediante il quale supportare il petitum. La variante di maggior spicco consiste nell'innesto, prima dell'emissione del provvedimento coercitivo, di un momento di contraddittorio anticipato (art 47 2/3) in udienza pubblica, qualora sia stata ivi presentata la relativa richiesta, ovvero in udienza camerale fissata ad hoc dal giudice, a cui partecipa il rappresentante legale dell'accusa, l'ente e il difensore (maggiore garantismo rispetto all'analogo procedimento nei confronti della persona fisica ex art 289 cpp, per via delle forti implicazioni socio-economiche delle misure interdittive). Nel procedimento agli enti non risulta applicabile la celebrazione dell'interrogatorio ex art. 294 cpp perchè sarebbe inutile, in termini di garanzie, visto il contraddittorio anticipato. Le molteplici chances offerte alle imprese per evitare l'inflizione delle sanzioni interdittive, elevano il rischio che quelle cautelari risultino le sole misure interdittive ad avere una reale applicazione.


Mutazioni del regime cautelare.


L'intervento cautelare vale per quel determinato momento in cui è previsto, ma mutando i presupposti, si esigono misure quali la sospensione, la revoca e la sostituzione delle misure interdittive ex art 49/50.

La sospensione, sconosciuta al sistema cautelare ordinario, tende a favorire condotte di ravvedimento e a indurre il ritorno della persona giuridica a una politica di impresa in linea con i canoni della legalità. Ha natura premiale. Ai sensi dell'art 49 le misure cautelari possono essere sospese se l'ente chiede di poter realizzare gli adempimenti cui la legge condiziona l'esclusione delle sanzioni interdittive (art 17). La sospensione potrà convertirsi in revoca se risulterà effettivamente reintegrata l'offesa. Con la presentazione della domanda di sospensione (al giudice che ha disposto la misura) si instaura un procedimento incidentale a più tappe, in cui il giudice verifica in primis le condizioni, consultando il p.m e godendo di ampi margini di discrezionalità (deve sempre dar conto nel provv 1.della valutazione dell'attendibilità delle promesse in base a un giudizio prognostico da condursi circa obiettivi, modalità di realizzazione e piano finanziario 2. del divieto ex art.16 di sospensione quando questa viene chiesta da un ente votato all'illecito). Se il giudice decide di accogliere la richiesta ordina la sospensione, fissa un termine per adempiere alle promesse riparatorie e impone una cauzione non inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l'illecito, da depositarsi presso la cassa delle ammende. In luogo del deposito della cauzione è ammessa la prestazione di una garanzia (ipoteca o fideiussione). Una volta scaduto il termine fissato dal giudice, si procede al riscontro di conformità ai dettami dell'art 17 che giungerà alla revoca o al ripristino della misura interdittive. Dopo di che il processo prosegue normalmente. Revoca e sostituzione sono previste anche nel sistema processuale ordinario.

La revoca si verifica quando risultano mancanti le condizioni di applicabilità previste dall'art 45 o risultino adempiuti gli oneri riparatoridi cui all'art 17. L'art 50 autorizza la revoca d'ufficio del giudice che valuta sia fatti antecedenti, coevi che sopravvenuti, in deroga alla disciplina dell'art 299 c.p.p. .

La sostituzione può avvenire con due interventi ben distinti: o con il subentro di una misura meno afflittiva rispetto all'originaria che si estingue oppure rideterminando in senso meno gravoso le modalità esecutive dell'interdizione, senza dunque estinguere la misura cautelare. Si applica di fronte a un'attenuazione del pericolo o quando la misura originaria appaia sproporzionata rispetto all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere applicata in via definitiva (art 50). Il giudice interviene su richiesta del p.m. o dell'ente e decide de plano, cioè senza contraddittorio.

Le cautele si estinguono anche per decorso dei termini massimi di durata ex art 51, per archiviazione dell'illecito amministrativo, per la pronuncia di sentenza di esclusione della responsabilità ex art 66 o dichiarativa di una causa di non procedibilità ex art 67.


Cautele reali.


Si tratta di misure cautelari attingenti al patrimonio introdotte dal legislatore delegato (non apparivano nella legge delega) e sono: sequestro conservativo e sequestro preventivo.

Sequestro conservativo. È richiesto dal p.m. in ogni stato e grado del procedimento di merito al giudice procedente indicando i beni mobili e immobili dell'ente o le somme o cose allo stesso dovute sui quali deve costituirsi il vincolo quando via sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie del pagamento della sanzione pecuniaria e delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato. L'art 54 evoca quasi integralmente la disciplina ordinaria (art 316-317c.p.p.) gli effetti del sequestro cessano in seguito a emanazione di sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere: il p.m. cancellerà la trascrizione del sequestro di immobili (altrimenti si aprirà un incidente in esecuzione, ex art 666 c.p.p.).

Sequestro preventivo. Ha poco in comune con l'omologo strumento previsto in via ordinaria (art 321 c.p.p.) ed è finalizzato all'eventuale esecuzione della confisca (art 19). È disposto inaudita altera parte ossia al di fuori del procedimento camerale in contraddittorio ex art 47. I modelli di sequestro descritti dagli art 53 e 3211, stante la loro diversa funzionalità possono coesistere; più problematico è il concorso il concorso tra sequestro preventivo ex art 53 e sequestro ex art 3212 perchè risultando identici le finalità e ibeni attiniti, comporterebbe un bis in idem. Uno sguardo più attento consente di verificare che le due tipologie di sequestro non coincidono: mentre il primo è un provvedimento ablativo di natura obbligatoria che ha ad oggetto il profitto e il prezzo dato o promesso per determinare o istigare la commissione del reato, nel sistema ordinario il profitto o prodotto del reato è oggetto di apprensione facoltativa ed il solo prezzo di acquisizione obbligatoria. Il carattere obbligatorio della confisca del profitto e del prezzo del reato si riflette sui presupposti del sequestro preventivo disciplinato dall'art 53: la presunzione ope legis di pericolosità dei beni oggetto di confisca affranca da ogni indagine in ordine al presupposto del periculum in mora (non c'è qui la necessità di una consistenza indiziaria paragonabile a quella ex art. 273 cpp per le misure cautelari tipiche).


Il sistema dei controlli in materia cautelare.


Tutti i provvedimenti adottati in materia di misure cautelari (applicazione, sospensione, revoca, sostituzione, dichiarazione di estinzione, rigetto delle richieste di misure cautelari) sono impugnabili con l'appello su richiesta del p.m. o del difensore dell'ente con indicazione contestuale dei motivi. L'esclusività dell'appello si deduce anche dal combinato disposto degli artt 52 comma 2 e 311 co. 3 e 4 e 325 c.p.p. da cui si evince che il ricorso per cassazione è consentito solo per le ordinanze cautelari emesse in sede di appello cautelare e quindi è da escludersi il ricorso per saltum. L'erronea proposizione del ricorso per saltum non determina l'inammissibilità ma la trasformazione in appello (infatti a prescindere dal nomen attribuito all'atto di impugnazione, basta che soddisfi i requisiti formali e sia rivolta nei confronti di un provvedimento oggettivamente impugnabile). Per una serie di rinvii a cascata, il modello di impugnazione seguito è quello previsto per le misure interdittive ( e nonmeccanismi di controllo più garantiti come il riesame), da cui deriva un minor livello di garanzia: termine di 20 giorni ha semplice natura ordinatoria e non perentori, riduzione di spazi istruttori, atteso che possono essere posti a base della decisione elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. La competenza spetta al tribunale in composizione collegiale della provincia in cui è stata emanata l'ordinanza impugnata, l'esecuzione della quale non viene sospesa dalla proposizione del gravame. Per il resto il procedimento si svolge secondo le forme e cadenze ex art 310 cpp.

La decisione d'appello può essere impugnata in Cassazione solo "per violazione di legge" (non i vizi di motivazione ex art 606 lett e cpp -mancanza o manifesta illogicità della manifestazione-) e questo solleva dei dubbi di Costituzionalità, posto che, stante la coincidenza genetica tra misure inerdittive ed omologhe sanzioni, risulta arduo giustificare il divario di trattamento rispetto alle interdizioni in funz sanzionatoria, non subendo il ricorso contro le sentenze che le applicano, analogo limite. Quanto alle cautele reali, per il sequestro preventivo è possibile il riesame anche nel merito ex art 324 cpp e sono appellabili le ordinanze che respingono la richiesta di sequestro del pm o lo revochino o rifiutino la revoca richiesta, nonchè quelle di convalida del sequestro preventivo ad opera degli ufficiali di p.g. Il richiamo operato dall'art 54 all'art 318 cpp, legittima la richiesta di riesame dell'ordinanza che dispone il sequestro conservativo( poco comprensibile la dissonanza tra il sistema di controllo delle misure interdittive e quello delle misure cautelari reali cui è riservato un trattamento più favorevole).


L'archiviazione della notizia dell'illecito amministrativo.


Come nel procedimento ordinario due sono gli sbocchi delle indagini preliminari: la contestazione dell'addebito o l'archiviazione. In caso di archiviazione c'è molta differenza con il rito ordinario: il pm è libero di archiviare con un'ovvia conseguenza, l'azione penale amministrativa nei confronti degli enti non ha carattere obbligatorio, tant'è che il giudice non interviene nel procedimento di archiviazione (mentre nel procedimento ordinario il g.i.p. effettua il vaglio in camera di consiglio senza contraddittorio, con decreto motivato, art 405 c.p.p.)- il pm ha il potere di disporla con decreto motivato (art 58). La compatibilità con l'art 112 Cost non può essere fatta salva richiamando la qualifica amministrativa dell'illecito, ma a onor del vero va detto che il rischio di violazione del divieto di preferenze appare molto ridotto, posto che il decreto motivato di archiviazione va comunicato al procuratore generale presso la Corte d'appello, che entro 6 mesi - svolti gli accertamenti indispensabili - potrà optare per la contestazione dell'illecito amministrativo all'ente (si tratta di una sorta di avocazione simile a quella disciplinata dall'art 412 c.p.p.). Inoltre la verifica giurisdizionale indirettamente si avrà in tutte le ipotesi di procedimento congiunto in cui il p.m. avrà disposto l'archiviazione sia nei confronti dell'ente che dell'autore del reato. In caso di riapertura delle indagini, tacendo il d.lgs 231/2001, si osservano le disposizioni del c.p.p. alla stregua della clausola di sussidiarietà contenuta nell'art 34 e quindi il pm per riaprire le indagini, deve essere autorizzato dal g.i.p., se sopravvengono esigenze di nuove investigazioni, che decide de plano accogliendo la richiesta di riapertura rivoltagli dal p.m., con decreto motivato (incoerenza: prima si lascia libero il p.m. sull'archiviazione, poi si consente un controllo giurisdizionale!).

Se il p.m. invece non reputa di archiviare, effettua la contestazione (atto simmetrico all'imputazione formulata contro la persona fisica), ex art 59, mediante richiesta di rinvio a giudizio (cui consegue l'u.p.) o a seguito di decreto penale di condanna o a seguito di richiesta di patteggiamento. Certamente l'imputazione all'ente potrà innestarsi anche sulla richiesta di giudizio direttissimo o immediato. Il rinvio all'art 405 cpp, operato dall'art 59, non è esaustivo dei modi di contestazione, dovendo tener conto, che alcune fattispecie penali da cui può derivare la responsabilità dell'ente rientrano nella competenza del giudice monocratico , punite con una pena non maggiore a 4 anni e la cui contestazione avviene mediante citazione diretta giudizio (art 552 cpp). Se il procedimento è cumulativo il p.m. effettua la contestazione contestualmente. E' da sottolineare il contenuto dell'art 60 ("non può procedersi alla contestazione di cui all'articolo 59 quando il reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente è estinto per prescrizione") che disciplina la decadenza dalla potestà sanzionatoria amministrativa che è rafforzata dall'art 67 ( "il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere nei casi previsti dall'articolo 60 e quando la sanzione è estinta per prescrizione"). Anche nel procedimento a carico degli enti la contestazione dell'illecito amministrativo deve essere preceduta dall'avviso di conclusione delle indagini ( art 415 bis cpp).



Capitolo III - Dalla contestazione all'esecuzione


Incompatibilità testimoniali

L'art 44 è l'unica norma dedicata alla tematica probatoria ed offre indicazioni incerte sul coordinamento con le norme del codice di rito.

("Non può essere assunta come testimone: 


a.la persona imputata del reato da cui dipende l'illecito amministrativo;


b.la persona che rappresenta l'ente indicata nella dichiarazione di cui all'articolo 39 comma 2, e che rivestiva tale funzione anche al momento della commissione del reato.

Nel caso di incompatibilità la persona che rappresenta l'ente può essere interrogata ed esaminata nelle forme, con i limiti e con gli effetti previsti per l'interrogatorio e per l'esame della persona imputata in un procedimento connesso")

Ex primo comma lettera a), non può testimoniare il presunto autore del reato che debba essere ascoltato sui fatti su cui si fonda la responsabilità amministrativa dell'ente ( infatti oltre a trovarsi nella posizione corrispondente a quella in cui si trova l'ente, può vantare interessi in conflitto con quelli di quest'ultimo); la sua inidoneità a testimoniare era scontata, soprattutto se il processo è celebrato in un contesto cumulativo, risultando palese che la persona autrice del reato dovesse collocarsi nella posizione corrispondente a quella del coimputato nel medesimo reato ( quindi no obbligo di presentarsi, di rispondere alle domande in sede d'esame, di rispondere secondo verità). In realtà, anche nell'eventualità in cui l'autore del reato venga chiamato a rendere dichiarazioni nel processo separato a carico dell'ente si ha incompatibilità dovuta al rapporto di pregiudizialità logico giuridica tra illecito penale e fatto da cui discende la responsabilità amministrativa dell'ente che determina un legame tra i procedimenti riconducibile alla connessione per concorso necessario di persone (art 12 lett a) c.p.p.); di qui l'operatività dei canoni dettati dall'art 197 cpp, in relazione alle persone imputate in un procedimento connesso e la conseguente incompatibilità testimoniale, salvo che sia già stata pronunciata nei loro confronti sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o applicazione della pena.

Ex primo comma lettere b), non può testimoniare -in questo incompatibilità testimoniale non assoluta- il rappresentante legale in presenza di due presupposti che devono ricorrere congiuntamente: il rappresentante legale è stato indicato nell'atto di costituzione in giudizio ( art 392)e gli sono state conferite funzioni di rappresentanza anche al momento della commissione del reato. Tale impianto è discutibile perché in buona sostanza lascia che sia l'ente a decidere se il rappresentante possa o meno essere assunto quale testimone nel processo, quando subordina la testimoniabilità alla non costituzione in giudizio. È inoltre difficile sostenere con coerenza rispetto al principio "nemo testis in causa propria" che da un lato la figura del rappresentante legale sia equiparata a quella dell'imputato, potendo così essere sottoposto a interrogatorio "per conto dell'ente" godendo di tutte le facoltà e i diritti riconosciuti all'imputato , e al contempo possa essere testimone qualora non fosse rappresentante legale al momento del reato; non basta dire che è l'ente ad essere equiparato all'imputato, perché il soggetto collettivo può rendere dichiarazioni solo tramite il soggetto fisico che lo personifica. Questo comporta che il rappresentante legale "subentrato" dopo la commissione del reato verrà costretto ad assumere la veste di testimone nel processo proprio!

Se anche il rappresentante legale non fosse tale al momento della commissione del reato, e se però imputato del reato presupposto e rappresentante legale coincidono, non può assurgere a ruolo di testimone. Inoltre al correo in procedimento connesso o collegato (non se la connessione avviene a ex art 12 lett c) o è collegato ex art 371) non può essere conferita la rappresentanza dell'ente nel corso del giudizio, pena la sua sostituzione. In secondo luogo in caso di cessazione della persona dalla carica di rappresentante anche se al momento del reato era tale, non fa permanere l'incompatibilità testimoniale. Dovrà essere nominato un rappresentante ad processum. Lo stesso discorso varrà per il procedimento, eventualmente autonomo, sul reato presupposto, perché illecito amministrativo e reato sono interdipendenti e condividono un "nucleo fattuale".

Quanto alle modalità di ascolto dell'imputato e del rappresentante legale, soggetti per nulla disinteressati verso le dinamiche dell'accertamento, valgono le regole vigenti nel c.p.p. L'imputato del reato presupposto sarà sottoposto a interrogatorio durante le indagini preliminari e ad esame durante il dibattimento cumulativo; piuttosto che acquisire i verbali (art 503) con il recupero quindi di elementi probatori formati senza il contraddittorio dell'ente, sarebbe preferibile procedere ai sensi dell'art 500 (esame di persona imputata in un procedimento connesso). Il rappresentante legale testimonialmente incompatibile verrà sentito mediante interrogatorio o esame con le stesse garanzie previste per la persona imputata in un processo connesso (ha la facoltà di non rispondere e non ha l'obbligo di verità). L'anomalia qui si ravvisa nella possibilità di rendere l'interrogatorio per conto di un altro. Nel processo separato a carico dell'autore del reato presupposto, il rappresentante legale dell'ente va sentito a norma dell'art 210 c.p.p. (essendo qui equiparato all' imputato di procedimento connesso ex art 12 lettera a) cpp).


Sfide probatorie.


Combinando gli artt 5, 6, 7 relativi ai criteri di imputazione della responsabilità con l'art 59 relativo alla contestazione dell'illecito alla persona giuridica ricaviamo ulteriori e importanti informazioni sul tema della prova, soprattutto sull'onere della prova. Nel processo ordinario l'onere della prova grava sempre sul p.m., mentre nel D.lgs 231/2001 è ripartito a seconda della posizione occupata nella gerarchia aziendale dalla persona alla quale il reato presupposto è addebitato. Se il p.m. ipotizza la commissione del reato da parte dei vertici aziendali, dopo aver enunciato in forma chiara e precisa il fatto che può comportare l'applicazione di sanzioni amministrative, procede ad acquisire prove in ordine al tipo di reato (che deve rientrare nel catalogo dei reati per cui si applica il D.lgs 231/2001 e la cui responsabilità amministrativa deve essere prevista da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto); ai soggetti (indicati all'art 5 lettera d) comma 1) e all'interesse o vantaggio per l'ente. Proprio in ordine a questo tema l'ente dovrà provare quella "frattura" nel rapporto di immedesimazione organica secondo cui l'autore del reato ha agito nell'interesse o vantaggio proprio o di terzi. Inoltre, poiché la predisposizione di idonei modelli organizzativi atti a prevenire reati della specie di quello realizzato impedisce l'imputazione, la relativa prova grava sull'ente (ex art 6). Gravare di quest'ultimo onere l'ente, non è apparso del tutto convincente nonostante rappresenti un avanzamento rispetto alla presunzione di colpevolezza dell'ente in caso di reati commessi dai vertici aziendali prevista dal Progetto di codice penale redatto dalla Commissione Grosso. Parziale deroga rispetto alle direttive della legge delega perchè si è conferito ai modelli organizzativi efficacia esimente anzichè diminuente della sanzione; ciò si giustifica con la necessitò di evitare il contrasto con l'art 27 Cost (principio di non colpevolezza impone un ulteriore accertamento dell'imputazione della responsabilità o comunque la possibilità di superare la presunzione; colpa come requisito minimo per sottoporre qualcuno a sanzione): si è voluto mitigare il principio di identificazione tra ente e organi di vertice accordando all'ente la possibilità di dimostrare la predisposizione di efficaci dispositivi di contrasto del reato, trasformando la presunzione iuris et de iure in una presunzione iuris tantum. Nonostante si apprezzi "l'inversione di tendenza" come dicevamo, le perplessità restano di fronte a tale inversione dell'onere della prova: i modelli organizzativi fungono da prove precostituite in ordine alla volontà dell'ente di prendere le distanze dal reato e dal reo e di dissociarsi da condotte illecite dei propri vertici, ma la loro predisposizione, ai fini dimostrativi, vale quanto una dichiarazione di intenti ed occorre un impegno più pregnante per assolvere all'onere probatorio: si deve dimostrare l'adozione ed efficace attuazione di plannings di gestione e di controllo (adottati dalla persona giuridica ex ante, in funzione di "minimizzazione del rischio") idonei a prevenire reati della stessa specie ( art 6 comma 1 lett a); occorre poi attestare la costituzione all'interno dell'ente di un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo (art 6 comma 1 lett b); si deve dimostrare che l'autore del reato si è dissociato fraudolentemente dagli standards comportamentali fissati dall'ente di appartenenza (art 6 comma1 lett c) (a conferma indiretta dell'efficacia dei modelli che per essere surclassata deve essere artificiosamente aggirata), e che i soggetti che hanno posto in essere il reato non possono giustificarsi con l'ignoranza delle direttive aziendali o con l'errata valutazione delle direttive stesse derivante dalla loro equivocità. Infine si deve provare che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo deputato al controllo. In una simile sfida probatoria si esalta l'impiego della prova documentale che fornirà la prova della predisposizione del modello di organizzazione corroborata poi da consulenze, perizie, esami testimoniali volti a provare che tali modelli hanno realmente funzionato. Paradossalmente l'ente finisce con il provare la sua non imputabilità sul piano oggettivo (art 52): una dissociazione così brusca dagli standards comportamentali fissati dall'ente, sottende la commissione del fatto per interessi del tutto estranei alla sfera della persona giuridica (rischio che il congegno ex art 6 si risolva in una probatio diabolica, in una valutazione ex post di misure che per la loro valenza precauzionale potrebbero essere valutate solo ex ante e che consegua come risultato proprio quella presunzione iuris et de iure che si puntava ad evitare, risultando infatti impossibile la prova nel caso di enti a base manageriale ristretta o dove l'organo di direzione abbia assunto funzioni di vigilanza )

Se il p.m. ipotizza la commissione del reato da parte di soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza (art 51 lett b), il peso dell'onere della prova si accentua in capo alla parte pubblica che deve dimostrare l'inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte dei subordinati. L'onere è particolarmente gravoso perché si tratta di dimostrare il legame eziologico tra l'inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza e la realizzazione del reato, reso ancora più complicato dalla nascita di figure estranee alla società (procacciatori di affari e consulenti). La parte pubblica dovrà poi provare che l'ente ha adottato un modello di organizzazione, gestione e controllo inidoneo a prevenire reati della specie di quello che si è verificato ovvero che è mancata o è stata insufficiente l'attuazione del modello stesso. L'ente si limiterà a dimostrare di aver adottato un modello organizzativo prima della realizzazione del reato (art 7) e ciò basta per provare (prova legale) l'osservanza degli obblighi di direzione, vigilanza e controllo. Di fronte a questo aggravio non sembra lontana l'ipotesi che il p.m. sia tentato di ascrivere il reato secondo le modalità previste per l'apice in tutti i casi in cui la differenza tra vertice e subordinato tenda ad appannarsi.

La questione del riparto di onere probatorio non è sempre risolta con la dovuta coerenza dal legislatore: nell'art 25-ter, che estende la responsabilità amministrativa degli enti ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, prevede l'onere imposto all'accusa di provare che il fatto criminoso non si sarebbe realizzato qualora gli amministratori, direttori generali o liquidatori, avessero vigilato in conformità agli obblighi inerenti alla loro carica. Aggravio probatorio non giustificato.


L'udienza preliminare.


Si rinvia al codice di rito per la disciplina dell'udienza preliminare e l'art 61 fa da raccordo. Anche qui la contestazione, contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, rappresenta l'atto propulsivo dell'udienza preliminare e il successivo iter processuale è scandito dalle cadenze ordinarie; tuttavia per la peculiarità della fattispecie si esigono degli aggiustamenti. In primo luogo, con riferimento alla verifica della regolare costituzione delle parti (art 420 c.p.p.) se è impossibile notificare l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare non si può adottare la tecnica prevista dall'art 159 c.p.p. per gli imputati irriperibili, ma l'udienza sarà sospesa ex art 434. Circa l'impedimento a comparire (art 420-ter c.p.p.) la disciplina ordinaria si applica alla persona del rappresentante legale dell'ente che, se legittimamente impedito, determinerà il rinvio dell'udienza. Se l'ente si è legittimamente costituito, la mancata comparizione sortirà il solo effetto dell'assunzione della rappresentanza legale in capo al difensore dell'ente. Quanto alla modificazione dell'imputazione (art 423 c.p.p.), il nesso di dipendenza tra illecito amministrativo e illecito penale comporta che la modifica dell'imputazione a carico della persona fisica determina il riassetto dell'addebito mosso all'ente laddove ciò si riverberi sull'applicazione delle sanzioni amministrative.

L'art 61 prevede espressamente due adattamenti circa la pronuncia della sentenza di "non luogo a procedere":

a. accadimenti procedurali: il giudice dell'u. p. pronuncia sentenza di non luogo a      procedere anche quando la sanzione amministrativa si sia estinta (prescrizione, decadenza (60)dalla contestazione) o sia improcedibile (mancanza di una condizione di procedibilità, amnistia, contestazione dell'illecito successiva all'estinzione per prescrizione dell'illecito penale)

b. questioni di merito: il giudice dell'u. p. pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando l'illecito amministrativo non sussiste e cioè in tutti i casi in cui mancano i presupposti del reato o la prova della consumazione o la coincidenza del reato con le fattispecie previste dal D.lgs 231/2001 e quando l'illecito non può essere imputato alla stregua dei criteri di imputazione oggettivi e soggettivi. All'ente non potrà essere addebitato l'illecito amministrativo sia nel caso in cui emergano elementi di prova positiva in ordine alla "non colpevolezza", che nel caso in cui manchino gli elementi dimostrativi della colpevolezza (inidoneità probatoria per insufficienza o contraddittorietà degli elementi sulla base dei quali sostenere la responsabilità in giudizio).

Il tema dell'onere della prova merita un ulteriore approfondimento. Guardando al fenomeno ci si rende conto che l'onere della prova è inversamente proporzionale rispetto alla posizione occupata dall'autore del reato nella gerarchia aziendale: se il soggetto è posto in posizione di vertice il compito probatorio del p.m. è agevole (gli basta provare che il reato rientri nella fattispecie richiamate dal D.lgs 231/2001, che l'autore sia uno dei soggetti di cui all'art 5 lett a) e che abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente) mentre l'ente collettivo dovrà dimostrare l'integrazione della fattispecie scusante di cui all'art 6, con alte probabilità non solo di approdare al dibattimento, ma di sfociare in una sentenza di condanna; se il soggetto imputato del reato è sottoposto all'altrui direzione o vigilanza il p.m. dovrà dimostrare i criteri di imputazione oggettivi e soggettivi (inosservanza di obblighi di direzione o vigilanza). Affinché non venga emessa sentenza di non luogo a procedere occorre che gli elementi addotti dalla parte pubblica siano idonei a sostenere la responsabilità in giudizio.

Nel caso in cui al rinvio a giudizio dell'imputato si abbini anche il rinvio a giudizio dell'ente, ciascuno con decreto autonomo, la vocatio in iudicium dovrà contenere: contestazione dell'illecito amministrativo dipendente dal reato, enunciazione del fatto che può comportare l'applicazione delle sanzioni, indicazione del reato da cui l'illecito dipende e dei relativi articoli di legge, elencazione degli elementi identificativi dell'ente, indicazione delle fonti di prova (art 612). La mancanza di questi elementi comporta una nullità generale di regime intermedio. Collegare la nullità anche all'omessa indicazione di fonti di prova comporta una sovrabbondanza di garanzie, trattandosi di dati ricavabili dal fascicolo del p.m. Gli ulteriori requisiti del decreto con cui si dispone il rinvio a giudizio sono contenuti nell'art 429 c.p.p.: è necessaria l'indicazione della persona offesa dal reato (non dall'illecito), per consentire all'ente il risarcimento del danno e l'eliminazione delle conseguenze dannose dell'illecito penale. Nel silenzio sull'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, si deve ritenere che sia impugnabile ai sensi dell'art 428, stante il rinvio dell'art 34 alle norme del codice di rito per quanto non espressamente previsto.


Percorsi semplificati.


Gli artt 62, 63, 64 prevedono il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, e il giudizio monitorio che però non recepiscono totalmente la logica deflativo-premiale che sottende le corrispondenti varianti nel processo ordinario. Il giudizio abbreviato e il patteggiamento sono subordinati a un limite: le relative domande sono respinte se per l'illecito amministrativo è prevista l'applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva. Si sollevano dubbi di costituzionalità con riferimento all'art 3 Cost perché il trattamento riservato all'ente è più rigoroso di quello riservato alla persona fisica, ma la relazione al D.lgs 231/2001 sottolinea che uno scomputo di pena determinato dalla scelta del rito avrebbe comportato la trasformazione della sanzione interdittiva da definitiva a temporanea con la conseguenza di non estromettere dal circuito produttivo enti irrecuperabili alla legalità. La richiesta dei riti speciali può essere effettuata solo dall'ente collettivo con le modalità di cui agli artt 62 e 63.

Giudizio abbreviato La domanda è presentata dal rappresentante legale dell'ente ex art 39 o da un procuratore speciale nominato dal primo. Domanda, la cui ammissibilità dovrà essere valutata dal giudice che, esercitando un potere discrezionale basato su una valutazione ex ante in ordine all'applicazione di una sanzione interdittiva definitiva, dovrà diagnosticare che le sanzioni interdittive temporanee siano inidonee a soddisfare esigenze special preventive e che l'ente sia irrecuperabile alla legalità. A complicare ulteriormente le cose è il dovere di tener conto, ai fini della valutazione di ammissibilità della domanda, della riparazione delle conseguenze del reato (art 17) che impediscono l'applicazione delle sanzioni interdittive, perché il termine per la riparazione delle conseguenze del reato (prima dell'apertura del dibattimento) e quello per la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato (fino alla formulazione delle conclusioni) non coincidono. La domanda di semplificazione del rito, quindi, potrebbe essere stata respinta quando l'attività di riparazione risulta ancora in corso. L'unico modo per risolvere la discrasia è provvedere a eliminare le conseguenze dannose del reato prima della scadenza del termine per la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato. Il giudizio è definito con quattro tipi di provvedimenti: sentenza di esclusione della responsabilità dell'ente, sentenza di non doversi procedere, provvedimento sulle misure cautelari, sentenza di condanna. In caso di condanna, l'effetto premiale, incide sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria ma non sulla confisca (che deve essere sempre disposta) e sulla pubblicazione della sentenza. Sull'esito del giudizio può influire la pronuncia eventualmente emessa nei confronti dell'autore del reato. Ove il giudizio semplificato dovesse concludersi con una condanna all'ente e quello nei confronti dell'imputato con un assoluzione perché "il fatto non sussiste" o "il fatto non costituisce reato" si determinerebbe un contrasto di giudicati risolvibile in sede di revisione ex art 73 (o di appello mediante l'acquisizione della pronuncia favorevole all'imputato in sede di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale).

Applicazione della pena su richiesta delle parti. È istituto tradizionalmente finalizzato alla deflazione processuale. L'ipotesi più semplice di accesso al rito è data dalla richiesta di applicazione della pena per fattispecie di illecito amministrativo connotate da minore gravità ( venendo punite con la sola sanzione pecuniaria): si applica interamente l'art 444 c.p.p. e quindi occorrerà verificare la corretta qualificazione del reato da cui l'illecito amministrativo dipende, il diliegente impiego dei criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria e dello sconto, la congruità della sanzione da rapportare all'entità del vantaggio economico derivante dal reato o alla gravità della violazione degli obblighi di direzione e vigilanza, la probabilità che l'ente si astenga in futuro dalla commissione di ulteriori illeciti. Ipotesi più complicata di accesso al rito si ha quando per il reato da cui l'illecito amministrativo dipende è prevista una sanzione interdittiva. In questo caso l'ente è ammesso al patteggiamento solo se il giudizio nei confronti dell'imputato è definito o definibile a norma dell'art 444 c.p.p. e cioè quando 1.l'imputato abbia già definito la propria posizione processuale attraverso il patteggiamento, 2. quando la richiesta di patteggiamento sia stata formulata sia dalla persona fisica che dall'ente nel processo cumulativo, 3. quando la richiesta di patteggiamento sia stata avanzata solo dall'ente ma quest'ultimo convinca il giudice che qualora l'imputato avesse optato per il patteggiamento non vi sarebbero state ragioni per respingere la domanda. La richiesta è rigettata se il giudice ritiene che debba essere applicata una sanzione interdittive definitiva, quindi a seguito di una valutazione operata in concreto e non in astratto. Prima di ratificare l'accordo sulla sanzione, il giudice deve verificare che dagli atti non emerga una causa di non punibilità essendo tenuto in caso contrario a pronunciare sentenza di esclusione della responsabilità per insussistenza dell'illecito amministrativo. La decurtazione della pena è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria. La sentenza che ne deriva non viene iscritta nel certificato dell'anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative. L'esecuzione è immediata non essendo possibile la sospensione condizionale della pena. È concesso alla persona giuridica che ha patteggiato il beneficio della non menzione della pronuncia nel certificato rilasciato dall'anagrafe delle sanzioni amministrative, trattamento più favorevole rispetto a quello accordato alla persona fisica che gode di questo beneficio solo se la pena detentiva sia inferiore a 2 anni. Non si applica l'art 445 nella parte in cui si occupa di pene accessorie e misure di sicurezza visto che l'art 9 del dlgs non fa alcun distinguo tra queste e le pene principali. L'art 445 si applica però alla confisca che "è sempre disposta" (art 19) e che quindi non può essere esclusa, neppure in presenza di sentenza patteggiata che ex art 4451-bis è equiparata ad una sentenza di condanna. D'altra parte se così non fosse il sistema sanzionatorio sarebbe visibilmente irragionevole: posto che l'art 6 comma 5 dispone che la confisca è sempre disposta, anche quando è stata esclusa la responsabilità dell'ente, se il reato è commesso da soggetti posti in posizione apicale, ammettere che con il patteggiamento, e quindi con l'ammissione di responsabilità da parte dell'ente, sia possibile evitare la confisca è palesemente irragionevole! D'altra parte la confisca è espressamente configurata dall'art 9 come pena principale. Non si applicano neppure le disposizioni concernenti l'efficacia del patteggiamento nei giudizi civili, amministrativi di danno o disciplinari. Le ulteriori scansioni del procedimento sono regolate dalle disposizioni ordinarie. La scelta del giudizio abbreviato e del patteggiamento dovrebbe essere particolarmente favorita negli illeciti dipendenti da reati societari, per i quali sono previste soltanto sanzioni pecuniarie e non interdittive.

Procedimento monitorio. (art64) È spendibile esclusivamente in casi in cui si reputi che per l'illecito possa essere inflitta la sola sanzione pecuniaria (la spendibilità di tale procedimento è altresì agevolata dall'adozione di condotte riparatorie). Si applica l'art 459 c.p.p. Entro sei mesi dall'annotazione del reato nel registro delle notizie di reato e previa trasmissione del fascicolo delle indagini, il p.m., qualora ritenga applicabile la sola pena pecuniaria, richiede al g.i.p. decreto di applicazione della sanzione pecuniaria, indicandone la misura. L'acquiescienza al decreto penale è incentivata dal p.m. grazie a consistenti riduzioni della pena (fino alla metà del minimo dell'importo applicabile) e la non iscrizione del provvedimento nel certificato dell'anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative. Il g.i.p. può decidere di respingere la richiesta restituendo gli atti al p.m. affinché proceda con le forme ordinarie oppure rigettare la richiesta pronunciando sentenza di esclusione della responsabilità dell'ente per mancanza, insufficienza, contraddittorietà della prova (no riferimento all'art 129!!). Il giudice, se accoglie la richiesta del p.m., non deve disporre la confisca, perché l'art 19 abbina la confisca alla sentenza di condanna e perché presupposto del giudizio monitorio è l'esclusività della sanzione pecuniaria. Il contenuto del decreto e l'eventuale opposizione sono regolati dall'art 557 c.p.p.

Non vi sono norme dedicate al giudizio immediato e al giudizio direttissimo, ma poiché l'art 34 rinvia al codice di rito per quanto non espressamente previsto, si deve ritenere che entro 90 giorni dall'annotazione dell'illecito amministrativo, il p.m. potrà optare per il giudizio immediato ove ritenga di aver raccolto elementi di prova aidonei ad integrare la prova evidente della sua responsabilità amministrativa e abbia interrogato o invitato per rendere l'interrogatorio il rappresentante legale dell'ente. È praticabile anche il giudizio direttissimo anche se l'impiego sarà limitatissimo, nel solo caso di confessione resa durante l'interrogatorio dal rappresentante legale dell'ente. Per logica conseguenza è pienamente ammissibile la conversione sia del g. direttissimo che di quello immediato nel g. abbreviato o nel patteggiamento.


Il giudizio: dall'avvio alla deliberazione.


Anche per quanto riguarda il giudizio e i suoi epiloghi si rimanda alla disciplina ordinaria, anche se manca un'armonizzazione.

L'art 65 stabilisce che l'ente che chieda di provvedere alle condotte riparatorie di cui all'art 17 e dimostri di essere stato nell'impossibilità di effettuarle prima (deve trattarsi di impedimento irresistibile cioè di difficoltà nel ripristino dello status quo ante o come tardiva conoscenza del procedimento da parte dell'ente), beneficia di un termine per porre in essere tali condotte. L'art 65 mostra la vocazione special-preventiva del nuovo sistema, che privilegia la prevenzione dei reati e l'eliminazione delle conseguenze dannose dall'illecito. Infatti così l'ente potrà evitare l'inflizione di sanzioni interdittive, in caso di condanna, o ottenere la revoca di quelle applicate in via cautelare. La richiesta potrà essere effettuata dal momento in cui viene depositato presso la cancelleria il fascicolo per il dibattimento. Se il giudice pensa di poter accogliere la richiesta fissa un termine entro il quale porre in essere le condotte riparatorie e dispone la fissazione di una cauzione. Fissa inoltre la data della nuova udienza sino alla quale restano sospesi il processo e le misure cautelari eventualmente disposte, ma non i termini per la prescrizione del reato. Pare che tale termine non sia prorogabile. Decorso il termine senza che le condotte riparatorie siano state poste in essere, riprendono efficacia le misure cautelari ed eventualmente la cauzione è devoluta alla cassa delle ammende. In ogni caso è escluso che in seguito, nel corso del procedimento, si possa accordare la possibilità di riparare le conseguenze del reato. Qualora debba pronunciarsi sentenza anticipata di proscioglimento per mancanza di una condizione di procedibilità o per estinzione del reato per prescrizione, il processo può esaurirsi nella fase degli atti preliminari al dibattimento. Tale sentenza potrebbe creare qualche complicazione nei confronti dell'ente non costituitosi, contumace, dovendo l'imputato prestare personalmente il consenso alla declaratoria di non doversi procedere o opporvisi. In questo caso quindi verrà pronunciata sentenza contumaciale di non doversi procedere e verrà instaurato il dibattimento. Si procede alla dichiarazione di apertura del dibattimento (art 492 c.p.p.). Durante il dibattimento può accadere che il giudizio a carico dell'autore del reato si arresti per la declaratoria di una condizione di non punibilità (fatto non commesso, estinzione per morte del reo, prescrizione, amnistia cui l'ente abbia rinunciato) e invece prosegua il giudizio sulla responsabilità amministrativa. Potrà anche accadere che l'imputazione a carico della persona fisica sia modificata e quindi anche l'addebito mosso all'ente dovrà essere rivisto, sempre che ciò si riverberi sulla configurazione del fatto che può comportare l'applicazione di sanzioni amministrative. Quanto agli epiloghi del giudizio a carico dell'ente l'art 66 contempla la sentenza di esclusione della responsabilità dell'ente quando l'illecito amministrativo non sussiste e quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova dell'illecito amministrativo, l'art 67 contempla la sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato o della sanzione ma anche quando una legge posteriore non preveda più la responsabilità amministrativa della persona giuridica dipendente da un determinato reato; quando l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita per mancanza di una condizione di procedibilità; quando sia stata concessa amnistia; bis in idem cincernenete la vicenda giudiziaria amministrativa o derivante dalla contemporanea celebrazione del processo contro l'ente da parte dello Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto; quando manchi o sia insufficiente o contraddittoria la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità; quando vi è dubbio su una causa di estinzione del reato o della sanzione amministrativa. Quando ricorrono una delle due ipotesi dell'art 67, il giudizio di merito sulla sussistenza dell'illecito amm. resta precluso. L'art 69 prevede che il giudice emetta sentenza di condanna se l'ente risulta responsabile dell'illecito amministrativo contestato e applica le sanzioni previste dalla legge e condanna al pagamento delle spese processuali. Si applicano le regole dell'art 527 c.p.p. sulla deliberazione della sentenza. Bisogna osservare che per il vincolo che lega l'illecito amministrativo al reato, i due giudizi si intersecano continuamente e il procedimento sull'illecito amministrativo risente degli esiti del giudizio penale. Non tutte le sentenze a contenuto liberatorio, però si riverberano favorevolmente sulla persona giuridica: ad es, l'assoluzione dell'imputato "per non aver commesso il fatto" rappresenta la mancata identificazione del reo (ex art 8) e quindi non basta per escludere la responsabilità dell'ente. In altre parole la responsabilità dell'ente persiste in tutti quei casi in cui non viene meno l'illiceità penale del fatt. Quindi l'ente continuerà a rispondere anche quando dietro la formula "il fatto non costituisce reato" vi sia la mancanza dell'elemento soggettivo essendo l'ente punibile tutte le volte in cui il reato sia integrato in tutti i suoi elementi oggettivi. Sul piano giuridico si deve verificare la corrispondenza dell'addebito mosso all'ente con i requisiti oggettivi e soggettivi variando il percorso ricostruttivo a seconda che il reato sia commesso dai vertici o da subordinati. Nel primo caso, il vantaggio e interesse per l'ente devono essere valutati secondo un giudizio prognostico e cioè verificando l'astratta idoneità della condotta a procurare vantaggio o interesse a prescindere dalle situazioni contingenti; quindi il rischio di fondare su elementi insufficienti la responsabilità dell'ente è più alto in quanto si potrebbe presumere l'interesse dal solo dato della posizione soggettiva dell'agente. Se il reato è commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza i fatti costitutivi attengono alla commissione del reato a vantaggio o interesse della persona giuridica e all'agevolazione al reato indotta dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. La responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore non è stato identificato o non è imputabile o se il reato si estingue per causa diversa da amnistia.


La sentenza: punti essenziali e disposizioni accidentali.


Sentenze dichiarative dell'insussistenza dell'illecito amministrativo

Obbligo di indicare la causa del "proscioglimento" (mancanza, insufficienza, contraddittorietà della prova dell'illecito, prova certa dell'esclusione dell'illecito) art 66. Contenuto accessorio: cessazione delle misure cautelari eventualmente applicate. Ai sensi dell'art 6 comma 5 la sentenza contiene disposizioni relative alla confisca.

Sentenze di condanna

Infliggono la sanzione. Se si tratta di sanzione interdittiva devono essere specificate attività o strutture oggetto dell'interdizione inflitta, le modalità di applicazione e la durata. Possono contenere la nomina di un commissario giudiziale per la prosecuzione dell'attività dell'ente: devono essere indicati i compiti e i poteri del commissario che verrà poi nominato su richiesta del p.m. in sede di esecuzione della sentenza. Si aggiunge il capo accessorio circa la condanna al pagamento delle spese processuali. Tra i punti essenziali della sentenza rientrano anche le statuizioni relative alla confisca del prezzo o del profitto del reato, che qui si configura come sanzione principale, mentre nella sentenza liberatoria (perché sono stati adottati idonei modelli organizzativi) rappresenta lo strumento inteso al ristoro dell'equilibrio economico. Il legislatore ha omesso di fornire adeguate indicazioni in ordine ai criteri che devono guidare l'organo giudicante nel calcolo della confisca. Quando si parla di profitto del reato si deve far riferimento al ricavo complessivo per l'ente o al margine di guadagno lucrato grazie al reato, detratte le spese? Nel caso di sentenza di esclusione della responsabilità il calcolo va fatto solo sull'utile netto conseguito dall'impresa, essendo il provvedimento ablativo privo di qualsiasi connotazione sanzionatoria. Se la confisca è contenuta in una sentenza di condanna, per le finalità special-preventive è preferibile l'adozione del criterio di calcolo del profitto del reato al netto delle spese. Chi teme che la finalità della sanzione rischia di essere compromessa può essere rassicurato dal fatto che l'ente, a differenza dell'autore del reato, non è interamente inserito in un contesto illecito (la prestazione contrattuale dell'ente potrebbe essere lecita, ancorché scaturente da un reato). Nel caso in cui fattori extravaganti entrino nel calcolo del profitto del reato da sottoporre a confisca, sono scarsi gli elementi su cui fondare una prognosi a questo riguardo. L'oggetto della confisca non sarebbe costituito solo da cose, ma da qualsiasi acquisizione della ricchezza. In caso di vicende modificative dell'ente, la sentenza si estende ai nuovi soggetti collettivi risultati da trasformazione, fusione, scissione. Qualora l'organo giudicante non sia a conoscenza delle vicende modificative può richiedere accertamenti ad hoc qualora vi sia motivo per ritenere che l'ente abbia assunto una diversa entità, ma logica vuole che, difettando dati certi, destinatario della sentenza sia il soggetto collettivo individuato nell'atto di contestazioneanche se cmq poi vige l'art 702. Nonostante l'art 70 non contenga alcun riferimento alla confisca, si deve ritenere che sia applicabile, altrimenti le vicende modificative potrebbero diventare strumenti elusivi.


Il sistema delle impugnazioni.


L'equiparazione dell'ente all'imputato, la notevole afflittività delle sanzioni e le scelte operate in tema di riunione e separazione dei procedimenti ha portato alla predisposizione di strumenti di impugnazione (art71) corrispondenti a quelli accordati alla persona fisica sottoposta a procedimento penale e di strumenti idonei ad evitare il contrasto di giudicati.

Soggetti. "l'ente può proporre impugnazione" (art 711) nella persona del legale rappresentante o del difensore (di fiducia o d'ufficio). Legittimato a impugnare è anche il p.m.

Oggetto. Sentenze di condanna diverse da quelle interdittive (cioè quelle che infliggono sanzioni pecuniarie, che prevedono la pubblicazione della sentenza, che dispongono la confisca) sono soggette allo stesso regime di impugnazione cui è assoggettata la sentenza concernente la persona fisica (in caso di patteggiamento da parte della persona fisica, l'ente non potrà appellare la sentenza che abbia inflitto sanzioni diverse da quelle interdittive, perché la pronuncia che ratifica l'accordo sulla pena non è appellabile ex art 448 c.p.p.). Difficoltà sorgono quando il processo all'ente e il processo alla persona fisica si sono svolti separatamente, perché potrebbe accadere che il processo a carico dell'autore del reato sia ancora in corso (si può accettare l'idea di un'iniziale diversificazione e poi conversione del gravame nel mezzo più favorito). Quando si tratta di condanna a sanzioni interdittive le impugnazioni della persona giuridica e dell'autore del reato sono autonome. L'ente potrà appellare anche quando l'autore del reato non potrà avvalersi di tale strumento (art 712) e non è soggetto ai limiti all'esperibilità dell'appello. Tale asimmetria non determina disparità di trattamento perché troverà applicazione l'art 580 (quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi nello stesso processo, il ricorso si converte in appello), ma ciò vale solo in caso di scelte identiche in ordine al rito e quindi il processo si è sviluppato in un contesto cumulativo. Le sentenze di esclusione della responsabilità dell'ente (art 66) e quella di non doversi procedere (art 67) sono in suscettibili di appello da parte della persona giuridica ex art 711-2, ma restano ricorribili nei limiti dell'interesse all'impugnazione. Il p.m. può proporre le stesse impugnazioni consentite per il reato da cui l'illecito amministrativo dipende: appello contro le sentenze di condanna e di proscioglimento dell'ente, ferme restando le limitazioni di cui agli artt 443 commi 1 e 3 (giudizio abbreviato) e 448 comma 2 (patteggiamento) nonché 469 (proscioglimento prima del dibattimento) c.p.p. In caso di separazione dei procedimenti ex art 38 comma 2 a) se si è concluso prima il procedimento nei confronti dell'autore del reato l'eventuale impugnazione avverso la pronuncia sulla responsabilità amministrativa si conformerebbe a quella esperibile nei confronti della sentenza avente ad oggetto il reato (non potrebbe far nulla il p.m. se la sentenza sul reato risulta inappellabile e se la sentenza sull'illecito amministrativo ne dichiara l'insussistenza), b) se si è concluso prima il procedimento sull'illecito amministrativo perché l'ente ha optato per un rito speciale il p.m. potrà impugnare la pronuncia con lo stesso mezzo che gli sarebbe accordato qualora l'autore del reato avesse optato per identiche scelte in ordine al rito.

Anche nel settore delle impugnazioni vale il canone della sussidiarietà (art 34).

L'art 72 trasle nel processo agli enti l'estensione soggettiva dell'impugnazione prevista dall'art 587 cpp: le impugnazioni proposte dall'imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo e dall'ente, giovano, rispettivamente, all'ente e all'imputato, purché non fondate su motivi esclusivamente personali (doglianze sulla sussistenza del reato, diversa ricostruzione del fatto, modifica del titolo del reato, ma non doglianze della persona giuridica che riguardano soltanto l'imputazione a proprio carico). Il soggetto non appellante dovrà essere citato in modo che possa intervenire, ma dovrà meditare attentamente perché l'eventuale appello incidentale del p.m. potrebbe portare a una reformatio in peius nei suoi confronti. Tale effetto estensivo si giustifica alla luce della stretta correlazione di posizioni processuali e da quel nucleo fattuale comune che suggerisce la trattazione cumulativa in primo grado. In caso di separazione dei procedimenti nulla quaestio se esiste una decisione unica non da tutti impugnata; se però tale unitario accertamento manchi (perché per esempio l'imputato abbia optato per il patteggiamento), non ci sarà la possibilità di benefiche interferenze della sentenza emessa in sede di appello o cassazione nei confronti dell'imputato.

La revisione, nonostante la strategia del processo cumulativo, resta lo strumento più adeguato per eliminare l'eventuale contrasto di giudicati. L'art 73 richiama le norme del codice di rito e quindi il soggetto legittimato a chiedere la revisione è l'ente che abbia subito una condanna i cui fatti posti a fondamento sono inconciliabili con quelli stabiliti in un'altra sentenza; se la condanna è conseguenza di una decisione pregiudiziale posta a fondamento e poi revocata; se sono sopraggiunte nuove prove non conosciute o non valutate in precedenza; se la condanna è frutto di provata condotta illecita. Questa impugnazione straordinaria è applicabile per la risoluzione di contrasti prodotti dalla coesistenza di sentenze pronuniciate per lo stesso fatto a carico di soggetti diversi e non solo del medesimo soggetto.

Calibratura delle regole esecutive, pubblicazione della sentenza ed esecuzione delle sanzioni pecuniarie.


Esecuzione presto e bene. (presto)Nel processo agli enti l'esecuzione tanto delle pene quanto delle sanzioni amministrative spetta a un unico giudice al fine di assicurare la rapidità e (bene) secondo le regole stabilite per il procedimento ordinario, al fine di assicurarne l'efficacia. Ai tradizionali compiti del giudice in executivis se ne aggiungono altri volti ad adeguare la funzionalità della giurisdizione esecutiva al nuovo sistema sanzionatorio, con il rischio di un sovraccarico di funzioni e di disfunzioni operative (si pensi ai poteri di vigilanza del giudice in caso di commissariamento giudiziale dell'ente).

Compiti del giudice. Il giudice, in forza del rinvio contenuto nell'art 34 alle disposizioni del codice di procedura penale, dovrà risolvere le questioni in materia di conflitto pratico di giudicati, effettuare le verifiche sul titolo esecutivo, dichiarare la cessazione dell'esecuzione per effetto di successione di leggi che abbiano abrogato l'illecito o il reato presupposto o per estinzione del reato per amnistia, applicare la confisca e restituire le cose sequestrate, determinare la pena in caso di pluralità di illeciti e cumulo di sanzioni, autorizzare l'ente al compimento di atti di ordinaria amministrazione che non comportino la prosecuzione dell'attività interdetta, qualora gli sia stata inflitta l'interdizione dall'attività, pubblicare la sentenza di condanna, convertire le sanzioni interdittive, nominare e vigilare sull'attività dell'ente commissariato. Ogni questione sul titolo è risolta dal giudice dell'esecuzione su richiesta del p.m., dell'interessato o del difensore e nel contraddittorio tra le parti (salvo che l'intervento giurisdizionale si svolga in contraddittorio successivo ed eventuale ex art 667, nei casi tassativamente previsti dall'art 74). Promotrice dell'attuazione dei provvedimenti irrevocabili è la parte pubblica, nella persona del pubblico ministero presso il giudice individuato. La pubblicazione della sentenza avviene ex art 694, a spese dell'ente. L'esecuzione delle sanzioni pecuniarie costituisce un esempio di caducità normativa, resta autonoma per circa un anno, dopo di chè diviene un profilo del più generale fenomeno della riscossione delle somme di natura giudiziaria. Una decisione quadro del consiglio dell'Unione Europea del 2005 ha previsto l'esecuzione su tutto il territorio comunitario delle pronunce definitive, comprese quelle emesse nei confronti degli enti che infliggono sanzioni pecuniarie, anche se lo Stato di esecuzione non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche (si vuole evitare che uno Stato eccepisca l'irrilevanza penale della condotta dell'ente), come avviene nel nostro ordinamento in cui viene attribuita natura amministrativa.Si potrebbero profilare disparità di trattamento in funzione del luogo di commissione dell'illecito. L'art 20 della decisione quadro consente agli stati membri, per 5 anni dal 2005, di non dare attuazione all'esecuzione qualora la previsione dell'illecito alla base della sanzione pecuniaria e la natura della connessa responsabilità promanino da scelte legislative autonomamente operate dallo Stato della decisione e non imposte da atti comunitari.

L'esecuzione delle sanzioni interdittive e il sistema di pubblicità dei carichi pendenti e delle sanzioni.


Modalità di esecuzione sui generis per le sanzioni interdittive. E' sufficiente la notifica del p.m.

Per dare esecuzione alle sanzioni è sufficiente infatti notificare ex art 43 all'ente l'estratto della sentenza di condanna, specificando l'attività o le strutture oggetto delle sanzioni stesse (presunzione di conoscenza da parte dell'ente del provvedimento notificatogli). Dalla notificazione decorre il termine di durata della sanzione e il termine di 20 giorni entro cui l'ente può porre in essere le condotte riparatorie, che permetteranno all'ente di godere della conversione delle sanzioni interdittive in sanzioni pecuniarie realizzata dal giudice che esamina la documentazione che attesta l'avvenuta esecuzione e la relativa richiesta e decide in camera di consiglio entro 10 gg. In il giudice potrà rigettare la domanda irrituale o manifestamente infondata oppure sospendere momentaneamente l'esecuzione con decreto motivato revocabile al fine di verificare l'effettivo adempimento degli obblighi riparatori e poi convertire le sanzioni interdittive. Infine può accogliere la domanda con ordinanza. Il giudice non gode quindi di un potere discrezionale: laddove effettivamente vi sia stato un ravvedimento dell'ente, seppur in limine, il giudice deve convertire le sanzioni. Anche nel computo della conversione il giudice ha scarsa discrezionalità: il corrispettivo non può essere inferiore alla sanzione pecuniaria già irrogata e non superiore al doppio. L'esecuzione di sanzioni interdittive nei confronti di enti che svolgono un pubblico servizio presenta varianti dovute al fatto che l'attività è proseguita sotto l'egida di un commissario (nominato su richiesta del p.m.) per un periodo uguale alla durata della sanzione interdittiva. Il commissario relaziona ogni tre mesi il giudice dell'esecuzione e il pm sull'andamento della gestione esercitata e, alla scadenza dell'incarico, trasmette una relazione sull'attività svolta e sulle modalità con cui è stata data attuazione ai modelli organizzativi, unitamente al conto della gestione e all'indicazione del profitto da sottoporre a confisca. Il provvedimento ablativo è adottato senza formalità, fatta salva la possibilità di opposizione. Se il giudice si rende conto dell'inefficienza o dell'inattuazione dei modelli adottati dal commissario può: sostituire il commissario o prendere atto delle inadempienze tenendone conto in caso di futuri reati. È escluso che possano essere comminate ulteriori sanzioni all'ente per l'inadeguatezza del modello organizzativo o per la mancata attuazione o che possano essere modificate le prescrizioni attinenti i compiti e i poteri del commissario. Comunque i pericoli di malfunzionamento del modello organizzativo in extremis sono rari perché è prevista la periodica messa a punto del compliance program.

Il sistema di pubblicità delle sentenze irrevocabili di condanna emesse a carico degli enti comprende l'istituzione di un'Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative presso il casellario giudiziale centrale in cui è ricavata una sezione dedicata alle sanzioni amministrative dipendenti da reato. Le iscrizioni sono cancellate alla cessazione della qualità di ente sottoposto al procedimento di accertamento. I provvedimenti definitivi vengono cancellati dopo 5 anni di astensione da ulteriori illeciti amministrativi. L'ente ha diritto a ottenere i certificati senza motivare la domanda. I certificati non contengono le iscrizioni relative alle sentenze patteggiate o all'applicazione della sanzione pecuniaria in sede di giudizio monitorio.


La disciplina di attuazione, coordinamento e regolamentare.


L'art 83 contiene norme di coordinamento tra le nuove norme sanzionatorio e quelle di analogo contenuto in altri settori dell'ordinamento. L'art 84 è una disposizione d'attuazione.

Capitolo IV - I modelli atipici


  1. Consulenti di prestigio.

Vengono in luce modelli atipici cui si applica la disciplina del d.lgs 231/2001 ove non sia diversamente stabilito.

Il primo ha ad oggetto illeciti amministrativi dipendenti da reati commessi dalle banche e da specifici intermediari finanziari, previsto dal d.lgs 197/2004 il quale apporta alcune varianti al modello generale. Dal punto di vista soggettivo, la disciplina si rivolge alle banche (anche succursali di banche comunitarie ed extracomunitarie) e agli intermediari finanziari (SICAV, SIM, SGR). Sono fatti salvi gli adattamenti formali dovuti alla specificità del destinatario e alla ripartizione di competenza tra CONSOB e Banca d'Italia. La disciplina processuale dettata per le due categorie di enti è identica.

Indagini preliminari: il p.m. contestualmente all'annotazione nell'apposito registro dell'illecito amministrativo, deve comunicare tale annotazione alla CONSOB o alla Banca d'Italia in funzione di impulso ai poteri di vigilanza ispettiva, informativa e regolamentare e di sollecitazione all'adozione delle misure cautelari contemplate dall'art 55 del TUF nei confronti degli intermediari finanziari (sospensione dall'esercizio dell'attività per un periodo massimo di 60 giorni o un anno disposta dalla CONSOB) essendo preclusa l'adozione delle misure cautelari e del commissariamento previsti dal d.lgs 231/2001. Le misure cautelari non risultano adottabili nei confronti della banche in quanto precluse dal d.lgs 197/2004 e non contemplate dal TUB.

Forme di interlocuzione della Banca d'Italia e della CONSOB: iniziativa del P.M., iussu iudicis, su richiesta di una delle parti in ogni stato e grado del giudizio di merito e su iniziativa degli stessi istituti.

a)     Iniziativa del P.M. Gli artt 8 e 10 del d.lgs 197/2004 prevedono che "ove il p.m. ne faccia richiesta, la CONSOB e la Banca d'Italia vengono sentite". La richiesta è formulata alle autorità affinché designino la persona che dovrà farsi loro portavoce e rendere sommarie informazioni. Solo in sede di giudizio il p.m. chiederà l'autorizzazione alla citazione in sede di atti preliminari al dibattimento. Anche nel corso dell'udienza preliminare dovendosi escludere una deviazione dal modello ordinario, non sembra possibile l'assunzione di sommarie informazioni testimoniali a richiesta di parte.

b)     Iussu iudicis: La cooperazione della Banca d'Italia o della CONSOB può essere disposta anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio di merito (non nel corso delle indagini preliminari, in fase di impugnazione davanti al giudice di legittimità e in fase di esecuzione): non si tratta di una vocatio in ius, ma di un invito a rassegnare le proprie conclusioni in seguito all'esercizio del potere di vigilanza ispettiva, informativa e regolamentare. Tale informativa viene acquisita dal giudice, indipendentemente dall'assunzione della qualità di testimone, ma è fatto salvo il diritto delle parti di chiedere l'ammissione di tale mezzo di prova. Tali informazioni non potranno essere utilizzate in sede cautelare nella prospettiva della conversione in sanzioni interdittive. Ne appare consentito l'uso ai fini della verifica dell'adempimento delle attività di cui all'art 17 (riparazione delle conseguenze del reato) qualora sia stata concessa la sospensione del processo. Mentre nell'audizione promossa dal p.m. si ha l'acquisizione di sommaria informazione o di testimonianza, qui l'inquadramento è più difficile. Poiché tali notizie vengono acquisite in un momento anteriore alla sentenza e quindi in pieno dibattimento, l'informativa assume valenza probatoria documentale. Tale informativa dovrebbe fungere da mero riscontro della realtà oggettiva, tuttavia non raramente tenderanno ad assumere le sembianze di pareri e quindi di "perizie di fatto" elaborate senza le garanzie di cui agli artt 220-233 c.p.p. Resta fermo il parere del Ministero della Giustizia (art 6 comma 3).

c)     Iniziativa della CONSOB e della Banca d'Italia: indipendentemente dalla convocazione da parte del p.m. o dalla richiesta di informazioni iussu iudicis, la CONSOB e la Banca d'Italia possono presentare relazioni scritte ( si celano in realtà consulenze tecniche di fatto) sulla gestione dell'ente sottoposto a procedimento e sul modello organizzativo adottato.

Misure cautelari: le banche e gli intermediari finanziari godono di un trattamento più favorevole rispetto agli altri enti destinatari della disciplina dettata dal d.lgs 231/2001 in quanto gli art 8 e 10 del d.lgs 197/2004, nel garantire la stabilità finanziaria dei clienti e degli investitori, precludono l'interdizione dall'esercizio dell'attività e la sospensione o revoca delle licenze o autorizzazioni funzionali alla commissione dell'illecito, nonché la nomina del commissario giudiziale per la prosecuzione dell'attività. Restano applicabili le altre fattispecie interdittive previste dall'art 9 (il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi). Continua ad essere precluso il commissariamento sia per il timore di ingerenze aliene, sia per il riconosciuto potere di nomina e revoca di commissari da parte della B.I. o della CONSOB (il commissariamento è ad esclusivo appannaggio di CONSOB e B.I,).

Esecuzione delle sanzioni interdittive: il d.lgs 197/2004 è disegnato nel senso di una maggiore responsabilizzazione della Banca d'Italia o della CONSOB le quali, dopo il decorso del termine per l'eventuale conversione delle sanzioni interdittive in sanzioni pecuniarie e la trasmissione della sentenza, sono chiamate a gestire l'esecuzione disposta dal giudice e a proporre o adottare i provvedimenti previsti dal TUB e dal TUF (divieto di intraprendere nuove operazioni, ordine di chiusura delle succursali). Possono inoltre elevare l'afflittività delle sanzioni originarie (all'interdizione temporanea si può sostituire la liquidazione coatta amministrativa): in manifesta dissonanza con il principio delle piena giurisdizionalità del procedimento esecutivo, Banca d'Italia e CONSOB finiscono con l'avere un potere tanto ampio da decidere la scomparsa dell'ente condannato. Nulla esclude un decremento dell'afflittività della sanzione originaria disponendo l'amministrazione straordinaria o la gestione provvisoria in luogo della sanzione interdittiva ad effetto interdittivo dell'attività dell'ente.





  1. L'accertamento degli illeciti amministrativi dipendenti da "illeciti amministrativi".

Un'ulteriore forma atipica è stata aggiunta dall'art 9, comma 2 lett a) della L. 62/2005 che ha introdotto il Titolo I-bis del TUF e ha configurato due tipi di illeciti connotati dalla stessa condotta: delitti di abuso di strumenti privilegiati e di manipolazione del mercato da un lato, e le omologhe figure di illecito amministrativo dall'altro. Entrambi prevedono la responsabilità amministrativa per il contegno delle persone fisiche che hanno agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente con cui avevano un rapporto organico, ma in caso di condotta penalmente rilevante (i delitti) si segue lo schema del d.lgs 231/2001, mentre in caso di condotta penalmente irrilevante si parla di responsabilità amministrativa dipendente da illecito amministrativo (art 187 quinquies del TUF). Dubbi sull'inquadramento della responsabilità sorgono per via della formula "l'ente è responsabile del pagamento" diversa da "l'ente è responsabile per i reati" di cui all'art 5 d.lgs 231/2001 e che sembra presupporre una solidarietà passiva tra l'ente persona giuridica o non e il suo rappresentante o dipendente autore della violazione (mutuata dall'art 6 l. 689/1981) o il pagamento a carico dell'ente persona giuridica di una somma corrispondente alla multa o ammenda inflitta al condannato insolvente (art 197 c.p.). In realtà la responsabilità dell'ente non è né sussidiaria, mancando nell'art 187 quinquies qualsiasi riferimento all'insolvibilità della persona fisica autrice dell'illecito, né solidale trattandosi di responsabilità diretta del soggetto collettivo per un illecito a lui autonomamente ascritto. Se non fosse così, non opererebbe la possibilità di ridurre la sanzione qualora la persona giuridica avesse posto in essere determinate condotte riparatorie e la sanzione inflitta sarebbe senza titolo, in contrasto con l'art 3 della 689/1981 secondo cui le conseguenze sanzionatorio possono scaturire soltanto da comportamenti tipizzati. Gli artt 184 e 187 bis e gli artt 185 e 187 ter contengono condotte identiche e risulta difficile distinguere tra fattispecie penalmente rilevante e illecito amministrativo. La scelta, benché discutibile, si fonda sull'indefettibilità delle sanzioni amministrative: sia che l'illecito costituisca reato, sia che costituisca illecito amministrativo alla persona fisica si applicano le sanzioni amministrative previste dagli artt 187-bis e 187-ter e all'ente le sanzioni previste dall'art 187-quinquies del TUF che vanno ad accumularsi con quelle previste dagli artt 184 e 185 del TUF per l'autore del reato e con quelle previste dal D.lgs 231/2001. a fronte di un unico reato è possibile che si instaurino due procedimenti a carico della persona giuridica: uno secondo gli schemi del D.lgs 231/2001 nell'ipotesi in cui il fatto costituisca reato, e uno ai sensi degli art 187-bis e 187-ter per l'acceertamento della responsabilità dell'ente per gli illeciti amministrativi dipendenti da illeciti amministrativi posti in essere da persone fisiche. Lo stesso avviene in relazione alla persona fisica (illecito amministrativo ex art 187-bis e ter, reato ex art 184 e 185). I rapporti tra i procedimenti sono regolati dall'art 187-duodecies che esclude che la pendenza di un procedimento determini la sospensione dell'altro procedimento. Si tratta di procedimenti fondati su diverse tecniche di accertamento e diversi meccanismi sanzionatori: il procedimento ex D.lgs 231/2001 segue struttura e regole del processo penale ordinario, il procedimento disciplinato dal TUF costituisce un modello autonomo, anche in relazione all'organo giudicante (CONSOB o Banca d'Italia). Inoltre, il procedimento del TUF (all'art 187 septies) prevede un contraddittorio di natura prevalentemente cartolare (mediante deduzioni scritte) e benché le funzioni istruttorie e decisorie siano demandate a soggetti fisicamente diversi, si svolgono all'interno di un unico organo di appartenenza (la CONSOB ad esempio); la disciplina dell'onere della prova non si differenzia rispetto al D.lgs 231/2001 essendo stati mantenuti i criteri oggettivi e soggettivi di imputazione della responsabilità di cui agli artt 5, 6, 7 e lasciando inalterata la funzione esimente dei modelli organizzativi. Più complicato è il meccanismo di acquisizione della prova a discarico (richiesta da parte del destinatario dell'addebito di essere ascoltato e di far pervenire deduzioni scritte alla CONSOB entro 30 giorni dalla contestazione). Il procedimento sanzionatorio, celebrato cumulativamente a carico della persona fisica autrice dell'illecito amministrativo (di abuso di strumenti privilegiati e manipolazione del mercato) e della persona giuridica cui la prima è legata da un rapporto organico, si instaura con la contestazione dell'addebito da parte della CONSOB (mossa dopo aver svolto l'attività istruttoria) in forma scritta e notificata agli interessati residenti o aventi sede nel territorio della Repubblica entro 90 giorni (o 360 se residenti all'estero) dall'accertamento. Decorsi 30 giorni da tale notificazione, la CONSOB è tenuta all'ascolto personale degli interessati che ne abbiano fatto richiesta, dopo di cui decide emettendo un provvedimento motivato sulla base di tutte le deduzioni presentate. È la stessa CONSOB ad applicare le sanzioni alla persona fisica e all'ente responsabile del pagamento di una somma pari all'importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Spicca l'assenza di un qualsiasi intervento giurisdizionale. Soltanto il ricorso in opposizione avverso il provvedimento applicativo della sanzione coinvolge l'organo giurisdizionale: la Corte d'appello civile davanti alla quale il procedimento si svolge ai sensi della L. 689/1981 che dà la possibilità di acquisire i mezzi di prova e la citazione dei testimoni anche d'ufficio. Tale procedimento risulta avere delle connotazioni peculiari: possono essere irrogate sanzioni interdittive anche al di fuori del processo penale, l'ente sanzionato ha un obbligo di regresso nei confronti della persona fisica responsabile della violazione amministrativa.


  1. Fonti probatorie in condominio.

Come abbiamo già sottolineato l'art 187-duodecies stabilisce che i procedimenti instaurati si sviluppano su piani indipendenti. Restano, tuttavia, punti di tangenza. L'art 187-decies del TUF impone al p.m. di comunicare al Presidente della CONSOB l'avvenuta iscrizione del reato nel registro delle notizie di reato al fine di sollecitare l'iniziativa della CONSOB sul piano ispettivo. Vige un regime di reciprocità: anche il Presidente della CONSOB è tenuto a rendere edotto il p.m. della scoperta di un reato e a trasmettergli la documentazione relativa all'attività ispettiva svolta. D'altra parte la CONSOB non ha una funzione di filtro in ordine all'attitudine degli elementi da essa raccolti a confermare la sussistenza del reato. I dipendenti della CONSOB, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, sono pubblici ufficiali e hanno l'obbligo di riferire alla Commissione tutte le regolarità, anche quando integrino ipotesi di reato. Se la CONSOB si è avvalsa dell'ausilio della Guardia di Finanza (essendo istituzionalmente investita di funzioni di polizia giudiziaria), essa comunica l'eventuale notitia criminis al p.m. in osservanza del disposto di cui all'art 37 c.p.p. anche se qualche dubbio sorge con riferimento all'art 187-octies del TUF secondo cui "tutte le notizie, le informazioni e i dati acquisiti dalla guardia di finanza sono coperti dal segreto d'ufficio e vengono comunicati esclusivamente alla CONSOB". I dubbi sono risolti dall'art 4 del TUF che espressamente esclude il segreto d'ufficio nei casi di indagini relative a violazioni sanzionate penalmente. L'art 187-decies quindi, realizza un coordinamento informativo tra autorità di vigilanza e organo inquirente che non si limita a realizzare l'attivazione dei poteri spettanti a ciascuna attività ma intensifica il lavoro coordinato attraverso un flusso informativo biunivoco.

Ci si chiede che tipo di impiego possa avere la documentazione trasmessa dalla CONSOB al P.M. nel simultaneus processus. Il fatto che l'art 187-octies del TUF legittima l'organo di vigilanza alla raccolta di informazioni, mediante l'audizione personale di qualsiasi soggetto a conoscenza dei fatti e verbalizzazione delle relative dichiarazioni, all'acquisizione degli sbobinati delle intercettazioni, al sequestro di beni che possono formare oggetto di confisca, al compimento di ispezioni e perquisizioni e imponga l'osservanza delle norme del codice di procedura penale sulla tutela del segreto familiare, professionale, d'ufficio e di Stato, pare suggerire l'equiparazione degli atti di indagine compiuti dalla CONSOB agli omologhi atti disciplinati dal c.p.p. Un simile assunto, però, forzerebbe eccessivamente la portata del dettato normativo né basterebbe dire che la maggior parte degli accertamenti deve essere autorizzata dal Procuratore della Repubblica, in quanto non tutti gli strumenti rientrano nella sua autonomia investigativa e spesso è necessario il placet del giudice. Che l'impiego di tali accertamenti è circoscritto al procedimento amministrativo si evince da altre disposizioni. In primo luogo si dice che le perquisizioni vengono operate nei modi previsti per gli accessi e le verifiche in materia di accertamento delle imposte sui redditi (art 187-octies lett f) ); non solo le perquisizioni, ma anche i sequestri, avvengono in assenza di partecipazione difensiva al loro compimento; la Guardia di Finanza agisce con i poteri di indagine ad essa attribuiti ai fini dell'accertamento dell'I.V.A. e delle imposte sui redditi (si evince la funzione di polizia amministrativa!); l'art 431 c.p.p. preclude l'inserimento dei verbali degli atti compiuti in sede amministrativa nel fascicolo dibattimentale; nonostante degli atti investigativi effettuati sia redatto processo verbale, ne è esclusa l'acquisizione sia per il disposto dell'art 495 c.p.p. (e comunque risulterebbe esclusa in quanto resta possibile citare come testimone il redattore dei verbali) sia perché tali processi verbali si sono formati in assenza di adeguate garanzie. Nonostante i rilievi appena messi in luce, sarebbe incongruente ritenere che i risultati dell'attività investigativa svolta dalla CONSOB siano del tutto inerti ai fini dell'accertamento penale. Il TUF non offre appigli, ma se analizziamo il combinato disposto dell'art 191 c.p.p. e dell'art 220 delle disposizioni di coordinamento al codice di procedura penale. Se l'art 220 mira a consentire la successiva utilizzazione degli atti investigativi compiute da pubbliche autorità in funzione di accertamento e di repressione di violazioni amministrative, l'art 191 esclude l'utilizzabilità di prove illegittimamente acquisite dopo la notitia criminis con forme e modalità diverse da quelle imposte dal procedimento penale. In questo modo i risultati delle indagini compiute dalla CONSOB prima della notitia criminis possono essere trasmessi al p.m. al solo fine di informarlo che l'indagine ha portato alla luce materia di sua possibile spettanza: il p.m. potrà inserire l'informativa nel suo fascicolo e assumere sommarie informazioni dai soggetti che hanno redatto la documentazione. Se invece le indagini sono state svolte dalla CONSOB dopo la notitia criminis, le relative risultanze possono essere acquisite nel procedimento penale se il relativo accertamento è avvenuto con il compimento degli atti necessari ad assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale con l'osservanza delle disposizioni del codice (svolgimento di attività di indagine preliminare da parte dell'organo di vigilanza solo se svolta da organi di polizia amministrativa e giudiziaria). Se il funzionario della CONSOB non ha la predetta qualifica, deve limitarsi agli atti indispensabili e a trasmettere la denuncia al p.m. tramite il Presidente della CONSOB. Nulla preclude l'eventuale importazione di verbali di prove formati nel giudizio davanti alla corte d'appello (in caso di opposizione al provvedimento sanzionatorio adottato dalla CONSOB).


  1. Rapporti tra procedimenti.

Vigilando sull'andamento del sistema finanziario e sull'osservanza delle disposizioni disposte a tutela la CONSOB è l'autorità più idonea a farsi portatrice nel processo penale dell'interesse alla credibilità e liquidità dei mercati lesi dai reati ( di insider trading o manipolazione del mercato) di cui agli artt 184-185 TUF (può costituirsi parte civile nel processo a carico dell'autore del reato, le sono concesse istanze istruttorie). Come si è visto, i procedimenti penali e amministrativi che ne scaturiscono sono autonomi tra di loro e non esistono vincoli di pregiudizialità in virtù dei quali uno dei procedimenti venga sospeso. Nonostante siano raccomandati flussi informativi tra il giudice e la CONSOB, è possibile che ne derivino decisioni contrastanti:

Il procedimento di cui all'art 187-septies giunge a conclusione più celermente di quello penale e la CONSOB decide di astenersi dall'infliggere sanzioni alla persona fisica e all'ente. Tale decisione nel processo penale vale come argomento che convince ma non vincola (come le opinioni espresse dai consulenti), quindi siamo al di fuori dell'ambito della revisione (che comunque presuppone sentenze in contrasto logico)

La decisione liberatoria è contenuta in una sentenza irrevocabile della Corte d'appello, emessa in conseguenza all'opposizione al provvedimento sanzionatorio emanato dalla CONSOB: l'accertamento può essere acquisito ai fini della prova del fatto.

Il giudice penale smentisce il provvedimento liberatorio emanato dalla CONSOB, condannando la persona fisica e l'ente: la CONSOB riapre il procedimento ex art 187-septies e infligge le sanzioni. A questo punto è possibile l'opposizione davanti alla Corte d'appello che potrà decidere favorevolmente all'opponente. La pronuncia della corte d'appello costituirà presupposto per poter chiedere la revisione della sentenza di condanna.

Il giudice penale assolve persona fisica ed ente, escludendo altresì l'illiceità sul piano amministrativo, mentre la CONSOB irroga le sanzioni. Non essendo più possibile l'opposizione alle sanzioni amministrative l'ingiustizia del provvedimento della CONSOB non è rimediabile

Il sistema sanzionatorio, così come è configurato, produce il cumulo delle sanzioni pecuniarie. L'art 187-terdecies sembra aggiungere un correttivo: quando per lo stesso fatto è applicata a carico del reo o dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria, l'esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'Autorità amministrativa. Secondo un'esegesi benevola l'importo riscosso nei confronti della persona fisica si scomputa da quanto è dovuto dall'ente, ferma restando la sanzione comminata ex D.lgs 231/2001. Questa chiave di lettura si scontra con la previsione contenuta nell'art 195 secondo cui dall'ipotizzata compensazione sono estromesse le sanzioni irrogate conseguentemente al procedimento ex art 187-septies. In definitiva quest'ipotesi compensativa si riferisce a sanzioni pecuniarie diverse da quelle inflitte alla persona fisica e da quelle inflitte all'ente ex D.lgs 231/2001 e il cumulo di sanzioni sembra evitabile.



Art. 27. La responsabilità penale è personale.L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.Non è ammessa la pena di morte.

Resta la contraddizione, non discussa dalla corte, dovuta al fatto che l'impresa individuale può però ugualmente patire il regime sanzionatorio in caso di cessione o conferimento d'azienda (art. 33)

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