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Diritto privato




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Diritto privato


IL POSSESSO, IN PARTICOLARE L'INTERVERZIONE DEL POSSESSO


Il possesso è il potere di fatto sul bene che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale. Il possessore quindi è colui che esercita tale potere di fatto. Due sono gli elementi che integrano questo istituto: uno soggettivo, rappresentato dall'intenzione di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà; uno oggettivo consistente nel potere di fatto sul bene. Dal possesso vero e proprio occorre distinguere la detenzione ed il possesso mediato solo animo. Si ha detenzione, quando colui che ha comunque un potere materiale sulla cosa si comporta rispetto ad essa con l'animus detinendi e non possidendi ossia con la volontà di avere la cosa a propria disposizione per qualsiasi fine giuridico, senza intenzione, tuttavia di esercitare i poteri del proprietario o di altro diritto reale. Laddove il detentore riconosca l'animus possidendi altrui, si parla di laudatio possessionis. Il possesso è mediato invece, se il soggetto, non detiene la materiale disponibilità del bene, ma vi esercita una signoria per mezzo d'altra persona che ha la detenzione del bene. Il possesso in ogni caso è una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici, per questo è disciplinato dal codice civile; ne costituiscono oggetto i beni materiali, fatta eccezione per quelli demaniali, le universalità giuridiche, le cose non separabili, etc.. L'acquisto del possesso può avvenire, o in modo originario quando vi è l'apprensione del bene e l'esercizio su esso di poteri di fatto corrispondenti a quelli che spettano al titolare di un diritto reale di godimento od in modo derivativo, se vi è la consegna del bene. Quando l'acquisto del possesso, invece, ricade in capo a più persone si parla di compossesso. Per quel che riguarda la durata del possesso, esso ha vita finché sussistono gli elementi che lo caratterizzano, per i casi che possono creare problemi in capo al possessore il legislatore interviene con due presunzioni di legge, la prima è la presunzione di possesso intermedio, il possessore in questo caso deve fornire la prova di possedere ora ed aver posseduto in passato il bene, quindi si presume che lo abbia posseduto anche nel periodo intermedio, l'onere di fornire prova dell'interruzione spetta a chi affermi il contrario. La presunzione di possesso anteriore invece, sussiste quando il possessore, esercita il suo potere sulla base di un titolo, si presume quindi, che abbia cominciato a possedere il bene dalla data del titolo stesso. La perdita di tale situazione si verifica col venir meno di uno o di entrambi degli elementi del possesso, ossia la signoria sul bene o la volontà di tenerlo per se. Come abbiamo gia detto la detenzione si differenzia dal possesso per l'elemento soggettivo che lo caratterizza, se però il soggetto ha semplicemente la detenzione della cosa, ciò non gli impedisce di modificare il proprio atteggiamento nei confronti del bene, con l'intenzione di possederlo, ciò può avvenire soltanto nei casi in cui, un terzo affermi di essere proprietario della cosa e trasferisca tale diritto al detentore(causa proveniente da un terzo), o il detentore renda nota al possessore l'intenzione di continuare a tenere la cosa come possessore (opposizione del detentore). È questa l'interversio possessionis 1164 c.c.. Il proprietario del bene può agire nei confronti del possessore per far riconoscere il suo diritto ed ottenere la restituzione del bene. Se la domanda di rivendica del proprietario è accolta il possessore è obbligato a restituire la cosa con gli eventuali frutti prodotti dal bene, tuttavia a tal fine, non può non avere rilevanza la situazione di buona o di mala fede in cui il soggetto abbia posseduto il bene, se vi sia stata buona fede il possessore acquista i frutti maturati in data anteriore alla domanda di rivendica e già separati, deve restituire quelli percepiti dal momento della domanda, nonché quelli che avrebbe potuto percepire da tale momento se avesse usato la diligenza del buon padre di famiglia, invece, il possessore in mala fede deve restituire tutti i frutti percepiti fin dal momento in cui ha iniziato a possedere. L'autotutela è la prima e più immediata forma di difesa del possesso, che concede a chi sia stato illegittimamente spogliato di difendersi, in base al principio di legittima difesa, con la forza, mentre è ancora in atto l'offesa e con mezzi proporzionali. In generale però, quando si fa riferimento alla tutela possessoria, ci si riferisce esclusivamente alle azioni possessorie, cioè, a quei rimedi giudiziari che hanno come fine immediato la tutela del possesso contro qualsiasi turbativa, attraverso il ripristino di una situazione che appare illegittimamente turbata o compromessa. L'azione di reintegrazione è l'azione con cui il possessore spogliato del possesso, chiede entro un anno dallo spoglio la reintegrazione nel possesso del bene. Presupposto dell'azione di reintegra è quindi uno spoglio violento o clandestino, per spoglio si deve intendere la privazione arbitraria del possesso compiuta da un soggetto in modo consapevole, deve quindi esserci un animus spoliandi, consistente nella consapevolezza dello spogliante di operare contro la volontà del possessore e la privazione del possesso, consistente nella perdita del potere di fatto sulla cosa. Lo spoglio deve avere i requisiti della violenza e della clandestinità, la prima è una qualsiasi azione che altera lo stato di fatto in cui si trova il possessore, in contrasto con la sua volontà. Il carattere della clandestinità si rileva, quando, lo spoglio è avvenuto all'insaputa del possessore, il quale se ne renda conto in un momento posteriore. Legittimato attivo alla reintegra è il possessore o il detentore che vi ha interesse, legittimato passivo è invece, l'autore materiale dello spoglio o l'ideatore. Il termine per proporre l'azione è quello di un anno dalla sofferta lesione, che decorre in caso di spoglio palese, dalla data dello stesso, in caso di spoglio clandestino, dalla sua scoperta ed in caso di più atti continuativi di spoglio, dal primo atto. L'azione di manutenzione è diretta a tutelare i possessori contro quella particolare forma di lesione che è la molestia, di fatto o di diritto, concessa altresì contro lo spoglio semplice. La molestia consiste in uno o più atti che ostacolano il possesso o mutano o limitano il modo con cui era precedentemente esplicato, deve avere un animus turbandi, deve cioè essere volontaria. Lo spoglio semplice invece è quello che non è né violento né clandestino, per questo non rientra nella disciplina dell'articolo 1168 c.c Non per tutti i tipi di possesso è prevista l'azione di manutenzione, è esperibile soltanto, quando ha ad oggetto beni immobili o un'universalità di mobili, inoltre deve avere un carattere ultrannuale, che duri quindi da più di un anno, continuo e non interrotto e non deve essere stato acquistato con violenza o con clandestinità. Legittimato attivamente all'azione è solo il possessore dell'immobile o dell'universalità di mobili il cui possesso abbia i caratteri individuati precedentemente, il detentore invece non è legittimato ad agire. La legittimazione passiva invece ricade sull'autore morale e materiale della molestia o dello spoglio non violento né clandestino, il termine per proporre l'azione è di un anno dalla molestia o dallo spoglio. La azioni di enunciazione invece sono affini alle possessorie, ma hanno diversa natura giuridica, sono azioni cautelari, che tendono alla conservazione di una situazione di fatto, mirando a prevenire un danno od un pregiudizio che potrebbe derivare da una nuova opera o da una cosa altrui. Tali azioni sono poste a tutela, oltre che del proprietario e del titolare di un diritto reale di godimento, anche del possessore escludendo il detentore. La denunzia di nuova opera è l'azione con cui il proprietario o chi ne abbia diritto, denunzia un'opera da altrui intrapresa e non terminata quando tema che da essa possa derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o possesso. Se sussisteranno tali presupposti, il giudice potrà vietare la continuazione dell'opera, o anche autorizzarla con le opportune cautele. Altra azione cautelare è la denunzia di danno temuto con cui il proprietario o chi ne abbia diritto si rivolge all'autorità giudiziaria, quando tema che da cose esistenti, un albero una costruzione etc. stia per derivare un danno grave o prossimo al bene oggetto del suo diritto.



LA FIDEIUSSIONE OMNIBUS


La fideiussione è una tipica garanzia personale, che crea un nuovo rapporto obbligatorio, accessorio rispetto il primo, tra il creditore ed un altro debitore chiamato fideiussore che si aggiunge con il suo patrimonio a garantire l'adempimento del creditore, che quindi può soddisfarsi sul patrimonio del fideiussore, creando un nuovo rapporto obbligatorio rispetto ad un'obbligazione principale. Il fideiussore è colui, che assume la garanzia del pagamento di un debito altrui, indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore, rispondendone con tutti i suoi beni, in ogni caso tale volontà deve essere espressa. Il fideiussore è obbligato in solido con il debitore e può quindi avvalersi dell'azione di regresso verso quest'ultimo, anche nel caso in cui questi non sia a conoscenza della fideiussione.Vi è, poi un altro tipo di fideiussione, quella omnibus, che consiste nell'impegno assunto da un soggetto, con cui egli garantisce tutti i debiti, anche futuri, che il debitore principale risulterà avere al momento della scadenza di un termine predeterminato, o nel momento in cui il creditore deciderà di recedere tale rapporto, chiedendo il saldo dei propri crediti. Se il debitore principale non possa adempiere, in parte o per l'intero ammontare del debito, il creditore potrà rivolgersi al fideiussore omnibus, che non potrà opporre di non essere a conoscenza dell'entità dei debiti. Per assicurare il fideiussore da un'onerosa richiesta da parte del creditore, il legislatore ha predisposto che egli possa specificare nella garanzia l'importo massimo oltre al quale non intende adempiere.




INADEMPIMENTO E MORA


Il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta, se a ciò non provvede è inadempiente, con la conseguenza di dar vita ad una responsabilità di tipo contrattuale come disciplinato dall'articolo 1218 c.c.. L'inadempimento è imputabile al debitore qualora sia conseguenza di una sua precisa scelta, ovvero, di una sua incapacità ad effettuare la prestazione, di negligenza, di errori di condotta nell'eseguire la prestazione, ecc. Il debitore, quindi, ne risponde con il risarcimento dei danni che, per la mancata esecuzione della prestazione provoca al creditore. Per evitare la responsabilità che il mancato adempimento dell'obbligazione fa sorgere in capo al debitore, egli può provare che il motivo dell'inadempimento o il ritardo sono da far risalire a cause a lui non imputabili, deve quindi trattarsi di vera impossibilità che il debitore non poteva prevedere o impedire. L'inadempimento viene distinto in, quello di tipo definitivo, relativo ed in quello inesatto. Si fa riferimento al primo quando la prestazione non è adempiuta e non potrà più verificarsi, o perché l'esecuzione della prestazione è divenuta impossibile o per il decorso del termine essenziale entro il quale l'adempimento doveva verificarsi. Nel caso esaminato alla prestazione originariamente dovuta se ne sostituisce una consistente nel risarcimento del danno provocato al creditore. Si ha invece inadempimento relativo, quando il debitore non ha ancora eseguito la prestazione dovuta ma può ancora adempiere, in questo caso, alla prestazione originaria si aggiunge il risarcimento del danno provocato al creditore. Parliamo invece, di adempimento inesatto quando la prestazione eseguita differisce da quella dovuta o dal punto di vista quantitativo o da quello qualitativo. Il creditore che agisce in giudizio nei confronti dell'inadempiente per il risarcimento del danno o per l'adempimento tardivo ha l'onere di fornire la prova del suo diritto di credito che vanta nei confronti di quest'ultimo, sul quale grava l'onere di provare di aver eseguito la prestazione dovuta. Laddove il debitore sia inadempiente la prima conseguenza che il codice prevede è la cosiddetta mora del debitore o mora debendi, che si riscontra quanto concorrano tre presupposti: il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione, l'imputabilità del ritardo al debitore, l'intimazione per iscritto da parte del creditore al debitore ad adempiere, anche se con ritardo, questi sono i casi si riscontrano nella mora ex persona, ossia quando il debito è pagabile presso il debitore o quando manchi il termine per l'adempimento ed il creditore non l'abbia fatto fissare al giudice. Vi è l'ipotesi in cui non è necessaria l'intimazione per scritto e la mora scatta automaticamente col solo ritardo del debitore, sono i casi in cui l'obbligazione nasce per fatto illecito, o il debitore dichiara per scritto di non voler adempiere all'obbligazione, in questi casi si parla di mora ex re, si tratta quindi, di obbligazioni che vanno eseguite al domicilio del creditore ed il termine sia scaduto, se il debito derivi da atto illecito ed in fine quando il debitore dichiari per iscritto di non voler adempiere. La mora debendi esplica i suoi effetti nell'obbligo del pagamento degli interessi moratori sulle somme dovute, tenendo conto, del rischio dell'impossibilità sopravvenuta, che sta in capo al debitore che dovrà indennizzare il creditore anche della conseguenze della forza maggiore verificatesi dopo la mora. Cosi se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile al debitore, lo stesso viene egualmente ritenuto responsabile. Tuttavia il debitore, può dimostrare che anche se avesse adempiuto per tempo, l'oggetto della prestazione sarebbe perito anche presso il creditore. La responsabilità contrattuale consiste come disciplina l'articolo 1218 c.c. nell'obbligo a carico del debitore di risarcire il danno che ha cagionato al creditore, e come sopraenunciato la situazione si differenzia a seconda che l'inadempimento sia assoluto o relativo, inoltre si distingue ancora, a seconda se sia dipeso da colpa o da dolo del debitore, il risarcimento è quindi limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione, per tutelare il debitore da conseguenze più onerose rispetto a quelle che aveva potuto calcolare, quando ha assunto l'obbligo di adempiere alla prestazione, se invece l'inadempimento è stato doloso, il debitore è tenuto a risarcire anche i danni imprevisti e imprevedibili. Al creditore spetta, invece, l'onere di provare le singole voci del danno, per le quali chiede il risarcimento. Ma ex ante le due parti possono aver stabilito, grazie una clausola penale, quanto dovrà il debitore in caso d'inadempimento. Dal giorno della mora la parte che non ha puntualmente pagato la somma dovuta è tenuta automaticamente a pagare, in aggiunta al capitale oggetto dell'obbligazione, gli interessi moratori. Ove il creditore dichiari di aver subito danni maggiori rispetto quelli che, detti interessi, vogliono risarcire, spetta a questi, ancora una volta, l'onere di fornirne la prova, per poter chiedere interessi risarcitori più remunerativi rispetto al danno maggiore subito. La liquidazione del danno può essere o di tipo convenzionale, ove le parti si mettano amichevolmente d'accordo al riguardo, oppure giudiziale quanto le parti sono costrette a ricorrere al giudice per stabilire l'importo degli interessi.

Non è escluso il caso in cui l'inadempimento sia da far risalire alla condotta del creditore, si parla in questi casi di mora credendi. Si verifica, quando senza legittimo motivo quest'ultimo non riceve il pagamento offertogli o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione. Il primo degli effetti della mora del creditore consiste nell'impedire che scattino a carico del debitore le conseguenze pregiudizievoli che qualora fosse lui il soggetto inadempiente. Tuttavia non si estingue l'obbligazione e neppure si elimina o attenua la responsabilità del debitore, ma egli può pretendere il risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli abbia procurato, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute per la custodia e la conservazione dell'oggetto della prestazione. Quando il creditore è in mora è a suo carico il rischio per l'ipotesi che la prestazione divenga impossibile per causa non imputabile al debitore.



LA RAPPRESENTANZA


La rappresentanza è l'istituto che comporta la sostituzione di un soggetto ad un altro nel compimento di un negozio, per cui un individuo, rappresentante, ha il potere di agire in nome e per conto di un altro soggetto, rappresentato, e gli effetti dei negozi compiuti dal primo ricado direttamente nella sfera giuridica del secondo. Esistono diversi tipi di rappresentanza, si ha quella diretta, quando il rappresentante agisce non solo per conto del rappresentato ma anche nel nome di questo. Vi è quindi la spendita del nome altrui, attraverso cui si rende palese al terzo di agire per conto del rappresentato e il verificarsi degli effetti del negozio direttamente ed unicamente nella sfera giuridica del rappresentato. Nella rappresentanza indiretta, il rappresentante agisce per conto ma non nel nome del rappresentato, non vi è la spendita del nome altrui e gli effetti del negozio giuridico si realizzano verso il rappresentante, soltanto con il compimento di un'attività ulteriore tali effetti si trasferiranno in capo al rappresentato. Per alcuni tipi di negozi è esclusa la rappresentanza, sono quei negozi che per la loro natura devono essere esperiti dalla persona interessata, come i negozi di diritto familiare ecc.. Il rappresentante per poter agire in nome altrui deve averne il potere, tale potere deve derivare o dalla legge, quindi si ha la rappresentanza legale o deve essere conferito dall'interessato, rappresentanza volontaria. La prima fattispecie è riscontrabile, quando il soggetto rappresentato è incapace o minore, oppure quando si è davanti ad un tipo di rappresentanza organica, se il potere di rappresentare un ente è dato ad un organo dello stesso in base allo statuto. Il negozio con il quale una persona conferisce ad un'altra il potere di rappresentarla è la procura, che è un atto a rilevanza esterna, in quanto il rappresentante agendo in nome e per conto del rappresentato lo può impegnare direttamente nei confronti di terzi. La procura può essere espressa, tacita, generale, speciale, revocabile ed irrevocabile. La natura giuridica del negozio di procura ha un carattere unilaterale, che si perfeziona cioè, con la dichiarazione di volontà di un unica parte, un carattere recettizio in quanto la sua efficacia è subordinata alla sua ricezione da parte del rappresentante ed infine preparatorio in considerazione che il potere di rappresentanza viene conferito mediante la procura per il compimento di uno o più negozi giuridici. La procura deve essere conferita con la stessa forma prescritta per il negozio che il rappresentante deve concludere, tranne alcune ipotesi però, la forma della procura è libera, può essere conferita anche verbalmente o per comportamenti concludenti. L'estinzione invece avviene per scadenza del termine o per il verificarsi della condizione risolutiva, per il compimento del negozio, in caso di morte o la sopravvenuta incapacità o il fallimento di una delle parti, per rinunzia del rappresentante, per l'estinzione del rapporto di gestione oppure in fine, di regola per revoca del rappresentato. La legge vuole tutelare i terzi che si trovano in rapporto col rappresentante, infatti, il terzo ha il diritto di chiedere al rappresentante la giustificazione dei suoi poteri, con l'esibizione della procura, il rappresentante ha l'obbligo di restituire tale documento nel momento in qui i suoi poteri non sussistano più, con l'obbligo di farne venire a conoscenza i terzi. La capacità di diventare titolare dei rapporti giuridici negoziali, deve essere valutata con riferimento alla persona del rappresentato, perché è nella sfera giuridica di questo che si produrranno gli effetti del negozio concluso dal rappresentante, quindi il rappresentato che conferisce la procura, deve avere la capacità di agire, mentre per il rappresentante è sufficiente la capacità di intendere e di volere. La volontà costitutiva del negozio compiuto nell'esercizio del potere di rappresentanza è quella del rappresentante, quindi è ad esso che si fa riferimento per quel che riguarda i vizi della volontà e per gli stati soggettivi di buona o mala fede, il negozio è quindi annullabile, se è viziata la volontà del rappresentante per errore, violenza o dolo. Il rappresentante deve agire nell'interesse del rappresentato, se il primo, pur fornito di potere di rappresentanza ne faccia cattivo uso, agendo per un fine diverso da quello stabilito, si ricorre nell'abuso di potere, in questo caso il rappresentante va contro gli interessi del rappresentato agendo in favore proprio o di terzi, in via esclusiva. Il codice disciplina due diverse fattispecie d'abuso di potere, il contratto concluso in conflitto di interessi può essere annullato su domanda del rappresentato, ma resta valido se il terzo non ne conosceva e non avrebbe potuto farlo usando la normale diligenza. Un'ipotesi particolare di conflitto d'interessi si ha nel contratto che il rappresentante conclude con se stesso, nella duplice veste di contraente in proprio e di rappresentante di un altro soggetto, o anche di rappresentante di due distinti soggetti. In questo caso l'abuso di potere del rappresentante è palese, il contratto è quindi annullabile tranne che vi sia stata esplicita autorizzazione del rappresentante o che il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto di interessi. Il codice civile sancisce che il contratto concluso dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato, lo vincola solo in riferimento ai limiti della facoltà conferitagli. Se il rappresentante oltrepassa tali limiti si ricorre nell'eccesso di potere, si ha invece difetto di potere quando un soggetto abbia agito come rappresentante senza averne il potere, il contratto concluso da questi non è nullo, perché non difetta di alcun elemento essenziale, ne è annullabile, in quanto il contratto annullabile e pur sempre produttivo di effetti fino all'annullamento, ma esso resta inefficace, a meno che l'interessato non lo ratifichi. Tale inefficacia vale verso il rappresentato in quanto, non esisteva il potere di rappresentanza e verso il rappresentante perché, non era con questi che il terzo intendeva concludere il contratto. Il rappresentante senza potere è tenuto a risarcire il terzo contraente, per il danno ad esso causato nell'affidarsi al falsus procurator. Solo con la ratifica, considerata una procura successiva, il rappresentato può conferire efficacia al negozio compiuto in eccesso o difetto di potere di rappresentanza, con tale negozio unilaterale e recettizio il rappresentato accetta gli effetti del contratto nella propria sfera giuridica.


LA TRASCRIZIONE


La legge prescrive ed organizza la pubblicità di alcune categorie di fatti giuridici, al fine di soddisfare l'interesse generale e che tali fatti siano conoscibili da chiunque. Un mezzo di pubblicità dichiarativa relativo agli immobili ed ai mobili registrati è la trascrizione, che assicura la conoscibilità riguardo tali beni. La sua funzione è quella di ridurre il più possibile i rischi che affronta l'acquirente, in un sistema caratterizzato da una relativa facilità nella circolazione dei beni. La trascrizione ricopre il ruolo di atto di prudenza, rappresentando un onere per le parti non un obbligo, per evitare di essere pregiudicati, nell'ipotesi in cui, colui che ha venduto ad un soggetto venda anche ad altri e questi trascriva per primo. La trascrizione invece è un obbligo, per il notaio o per il pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l'atto soggetto a trascrizione. Tali soggetti devono infatti curarsi che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile, in caso di ritardo sono tenuti al risarcimento dei danni. Il conflitto che può nascere tra più acquirenti dello stesso bene viene risolto grazie alla trascrizione, chi per primo ha fatto trascrivere in pubblici registri il titolo costitutivo del proprio diritto è preferito rispetto all'acquirente che non l'abbia fatto o l'abbia fatto dopo anche se quest'ultimo sia stato il primo ad acquistare il bene. Il nostro ordinamento tutela pertanto, l'acquirente che si vede leso da un altro soggetto per effetto della trascrizione, dandogli la possibilità di rivolgersi contro il suo autore, responsabile, con il secondo atto posteriore nel tempo ma trascritto per primo, per averlo pregiudicato e chiedergli il risarcimento dei danni. Azione che spetta anche al primo acquirente che non abbia compiuto puntualmente la trascrizione, esso infatti può agire con l'azione di risarcimento dei danni, soltanto però, qualora dimostri che il secondo acquirente era in mala fede nel momento in cui ha acquistato il bene. Gli atti soggetti a trascrizione sono elencati nel codice civile all'articolo 2643 e sono i contratti che trasferiscono la proprietà dei beni immobili o che trasferiscono, modificano o costituiscono diritti reali su beni immobili e gli atti di rinuncia di quanto detto, anche i contratti che conferiscono diritti personali di godimento su beni immobili in relazione al tempo ed in fine le sentenze costitutive, i provvedimenti giudiziari con i quali si trasferisce la proprietà o altri diritti reali su beni immobili nell'esecuzione forzata. La trascrizione produce un effetto negativo, che si sostanzia nel presupposto che gli atti non trascritti si presumono ignoti ai terzi e quindi non possono essere opposti a chi ha acquistato e trascritto tempestivamente il suo titolo ed un effetto positivo per cui gli atti trascritti si presumono conosciuti e sono quindi efficaci contro chiunque. La trascrizione deve essere fatta a favore e contro una persona fisica o giuridica, quindi è il soggetto non il bene ad essere al centro delle registrazioni, la continuità delle trascrizioni vuole evitare che chi consulta i pubblici registri per controllare la posizione di un determinato soggetto non sia in grado di rendersi conto di una trascrizione di un acquisto precedente del dante causa del soggetto rispetto al quale la verifica viene condotta, per cui chi acquista beni immobili deve assicurarsi oltre che della trascrizione del proprio titolo d'acquisto, anche delle eventuali trascrizioni dei precedenti proprietari del bene. La trascrizione in alcuni casi svolge una diversa funzione da quella sopra esaminata, nell'accettazione dell'eredità e l'acquisto del legato, per esempio lo scopo è quello della continuità della trascrizione, tale istituto è un mezzo di risoluzione dei conflitti tra diversi acquirenti per atto tra vivi. Anche la trascrizione delle divisioni è prescritta al fine di salvaguardare il principio di continuità, se non risultasse trascritta l'assegnazione del bene, in sede di divisione, ad uno dei partecipanti alla comunione, non si saprebbe a chi trascrivere un successivo atto di alienazione, in altri casi è prevista trascrizione per rendere pubblico un vincolo di indisponibilità che grava su determinati beni, la trascrizione di domande giudiziali, infine si ispira al principio del diritto processuale, secondo il quale la sentenza che accoglie la domanda retroagisce al momento della domanda stessa, in alcuni casi produce anche l'effetto sostanziale di salvaguardia del diritto nei confronti del terzo acquirente. La trascrizione trova applicabilità per gli acquisti a titolo derivato, le norme della trascrizione non valgono nel caso in cui il conflitto da dirimere sia tra soggetti acquirenti da diverso alienante, in questo caso bisogna risalire al comune autore rispetto al quale vale il principio della priorità dell'acquisto. Nel caso che nessuno dei due o più soggetti abbia effettuato la trascrizione, si applica il criterio della priorità dell'acquisto, invece se due soggetti hanno acquistato dalla stessa persona, uno un diritto reale e l'altro un diritto di credito, prevale il diritto reale anche se non trascritto. La trascrizione deve essere eseguita presso l'ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono ubicati i beni oggetto della stessa. Nel caso in cui un bene sia riportato su più registri, la trascrizione dovrà essere effettuata presso tutti gli uffici per la parte di loro competenza. La conservatoria dei registri immobiliari è il luogo in cui vengono effettuate tutte le trascrizioni riguardanti beni immobili, in tutti gli uffici viene seguito il criterio personale, facendo riferimento alle persone che compiono l'atto da trascrivere, quindi il bene risulta iscritto a nome di questi.



LE CLAUSOLE VESSATORIE E LA TUTELA  DEL CONSUMATORE


Le condizioni generali di un contratto sono le clausole che un soggetto, utilizza per regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali. Il predisponente, che può anche essere un imprenditore che ha interesse a mantenere uniforme la contrattazione con la sua clientela, predispone, con limitazione dell'autonomia negoziale della controparte, le clausole che connotano il contratto. Al cospetto di tale situazione chi intenda stipulare un contratto con il soggetto che ne ha già predisposto il contenuto può solo scegliere se accettare o meno. In vero, nella materia di cui si tratta è oggi opportuno operare delle distinzioni a seconda delle parti contraenti. Quanto sopra detto vale soprattutto con riferimento ai contratti stipulati tra professionisti, ossia le persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private, che nel quadro della loro attività professionale, utilizzano contratti di cessione di beni o prestazione di servizi, mentre, per quanto concerne quelli stipulati tra professionista e consumatore, oggi vige la disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss anch'essi oggetto di recente riforma in forza dell'istituzione del codice del consumo. Tanto premesso, è necessario procedere ad una distinzione tra l'originaria disciplina codicistico contenuta nei citati articoli 1341 e 1342 c.c. e la nuova regolamentazione dei contratti tra professionista e consumatore, questi è la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Con le norme codicistiche di cui al 1341 e 1342 c.c. il legislatore vuole proteggere il contraente più debole sotto un duplice profilo. L'articolo 1341 c.c. dispone, la validità delle condizioni generali di un contratto nei confronti dell'altro contraente soltanto se al momento della conclusione del contratto questi le abbia conosciute o avrebbe potuto farlo usando l'ordinaria diligenza. La seconda tutela è rappresentata dalle clausole vessatorie, ossia quelle particolarmente gravose per la controparte, dovendo essere approvate separatamente per iscritto, affinché su di esse sia richiamata l'attenzione di chi vi aderisce. L'articolo 1342 stabilisce che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, le clausole aggiunte prevalgano su quelle del modulo, se siano incompatibili con esse ed anche se queste ultime non siano cancellate. Questo è il caso del cosiddetto contratto-tipo il quale racchiude l'intero schema contrattuale, ed è utilizzabile mediante il riempimento dei punti in bianco e la sottoscrizione.

Le norme sin qui esaminate realizzavano, tuttavia, solo una tutela formale dell'aderente in quanto era sufficiente la doppia sottoscrizione al fine di consentire che le clausole fossero valide. Per questo, il legislatore recependo alcune direttive dell'unione europea, aveva inserto all'interno del codice, a chiusura del titolo dedicato ai contratti in generale, un capo dedicato ai contratti del consumatore. Ma, per una maggior tutela del consumatore è stato introdotto il decreto legislativo del 6 settembre 2005 n 206, il codice del consumo, che ha riunito al suo interno gli articoli 1469bis e seguenti. Il codice regola in particolare i rapporti tra professionista e consumatore, si fa menzione alle clausole vessatorie, individuate in quelle condizioni che, nonostante vi possa essere buona fede, determinano a carico del consumatore uno scompenso dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e che, quindi, risultano particolarmente gravose. Sono varie le ipotesi in cui si può parlare di clausole vessatorie, ma l'elencazione è indicativa e non tassativa: Si usa distinguere le clausole che comportano una sproporzione tra diritti e obblighi del contraente e quelle che alterano l'iter d'esecuzione del contratto. Esiste l'opportunità per il professionista di fornire prova contraria riguardo le clausole che si presumono vessatorie, consistente tale prova nel riscontro che detta clausola è stata oggetto di trattativa individuale; in questo caso, il legislatore esclude la vessatorietà, ma non sempre la trattativa è efficace a far sopravvivere la clausola. Per accertarne questo carattere lesivo si deve tener conto della natura del bene o del servizio che è oggetto del contratto, facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Le clausole considerate vessatorie sono nulle, ma il contratto per il resto rimane valido in tutti i suoi effetti, tale nullità opera solo a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.


L'IMPRESA


Il codice civile non si occupa direttamente dell'impresa, ma prende in considerazione il ruolo dell'imprenditore, lasciando alla Costituzione il dettato di alcune norme al riguardo. L'iniziativa economica viene intesa come libera, subordinandone però tutte le attività alla legge, che vuole imporre alle imprese oneri e limiti, che tendono a tutelare l'ambiente e i lavoratori, ma anche ad incentivarne l'operato grazie a contributi ed agevolazioni, sotto il controllo della Comunità Europea. L'imprenditore è colui che esercita professionalmente un attività economica che produce beni o servizi, in modo organizzato, con criteri di economicità e di professionalità. È quindi necessaria un attività produttiva di beni o sevizi, che sia professionale ed abituale, svolta con finalità economiche, attuata tramite un'apposita organizzazione che spetta all'imprenditore, il quale ha il compito di decidere cosa produrre, in che modi ed in che tempi. Grazie alla Comunità Europea anche nel nostro ordinamento si ha maggior tutela della libertà di concorrenza, che consente ai consumatori di conseguire un buon rapporto qualità-prezzo sui beni o servizi, dato dalla rivalità tra le imprese e si incentiva l'innovazione delle aziende. Scopo principale della CE è l'eliminazione delle barriere tra gli stati membri, la libera circolazione di persone, capitali, beni e servizi, nonché la tutela che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno. Vietando cosi, ogni accordo che possa nascere tra imprese di una stessa nazione a rendere difficoltoso il commercio degli Stati membri nel mercato interno e qualsiasi altra attività volta a sfavorire gli obiettivi dell'Unione Europea. Per questo motivo è nata in Italia l'autorità garante del commercio e della concorrenza che ha il compito di vigilare e di denunciare all'organo competente dell'UE ogni anomalia e distorsione nel mercato interno, applicando le norme più idonee nel caso in cui manchi l'iniziativa comunitaria ed ha il potere di tutelare la libera concorrenza. La concorrenza sleale è vietata ciò tende a tutelare le imprese concorrenti che vengono lese da azioni di questo tipo e sono quindi autorizzate a intervenire in contrapposizione a tali atti, chiedendo al giudice di inibire le azioni di concorrenza e provvedere al fine di eliminarne gli effetti e a chiedere il risarcimento degli eventuali danni subiti. Le imprese collettive sono fondate sul concetto di società che ha molteplici significati, può essere visto come il contratto costitutivo di una società, che si istaura tra due o più persone con il conferimento di beni o servizi per l'esercizio di un'attività economica al fine di dividerne gli utili. Oppure un soggetto economico che diventa titolare di diritti ed obblighi per mezzo dei soci che lo rappresentano. Altro modo di intendere la società è il rapporto esistente tra i soci. Il contratto di società è caratterizzato da vari elementi, la prima fase è il conferimento di beni e servizi da parte dei soci, ognuno per la propria quota, questo serve a creare il patrimonio della società, che rimane separato dal patrimonio dei soci. In secondo luogo la società deve avere come finalità un'attività economica con l'obiettivo della produzione e dello scambio di beni o servizi e può ma non deve, procurare un guadagno. La società deve essere costituita per l'esercizio di un'attività economica comune tra i soci, con lo scopo di dividere gli utili proporzionalmente alla quota di ognuno. La responsabilità amministrativa ricade tra le persone che rivestono un ruolo di rappresentanza, amministrazione o direzione per i reati commessi a vantaggio della società, portando alla confisca del profitto dato dal reato od a una sanzione pecuniaria. Esistono vari tipi di società che si differenziano rispetto lo scopo, l'oggetto, il ruolo dei soci ed il tipo di mercato dove possono svolgersi le loro attività economiche. Lo scopo può dar vita a società di lucro o a società cooperative, l'oggetto distingue le società commerciali e non commerciali, possono esserci poi, società di persone o di capitali secondo il rilievo che hanno i soci.



OBBLIGHI DEL VENDITORE, GARANZIA DEI VIZI ED EVIZIONE


L'articolo 1476 c.c. disciplina le obbligazioni principali del venditore individuandole nella consegna del bene al compratore; nel fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è l'effetto immediato del contratto; nel garantirlo dall'evizione e dai vizi della cosa. La consegna del bene al compratore da la possibilità a quest'ultimo di immettersi materialmente nel possesso della cosa acquistata; per quanto concerne la seconda delle obbligazioni sopramenzionate, essa va intesa con riferimento alle ipotesi in cui l'acquisto non è l'effetto automatico dello scambio (es. vendita di cosa altrui). La norma sopra citata, infine, al numero 3 indica quale obbligazione del venditore quella di salvaguardare il compratore dalla garanzia per i vizi e per l'evizione. Quest'ultima assolve alla funzione fondamentale della vendita, che fa si che il compratore acquisti la titolarità del diritto trasferito e la libera disponibilità del bene, nei confronti di terzi che potrebbero eventualmente disturbare il suo godimento sul bene o far valere su di esso pretese. L'evizione può essere totale, quando il compratore è privato dell'intera cosa acquistata per effetto di un giudizio istaurato contro di lui da un terzo che pretende di essere proprietario del bene e che riesce a far condannare l'acquirente a consegnarli tale bene. Il compratore in questo caso ha l'onere di chiamare in causa il venditore (denunzia della lite), per fornire le prove necessarie a dimostrare che l'azione intentata dal terzo è infondata. Se tuttavia ciò non avviene e l'acquirente subisce l'evizione il venditore è tenuto a restituire al compratore il prezzo del bene, rimborsando le spese fatte per il contratto e quelle sostenute per il giudizio di evizione. Ma qualora l'acquirente convenuto da un terzo non chiami in causa il venditore e sia condannato con sentenza passata in giudicato, perde il suo diritto alla garanzia, qualora il venditore dimostri che ove fosse stato chiamato in giudizio avrebbe potuto addurre ragioni sufficienti per far respingere la domanda proposta contro il compratore dal terzo; il compratore, perde anche la garanzia nel momento in cui riconosce spontaneamente il diritto affermato dal terzo.

Si parla invece, di evizione parziale quando l'acquirente è privato di una parte del bene, in seguito ad una pronuncia del giudice che accerti un difetto nel diritto del venditore, a vantaggio di un terzo che è titolare su quella parte, di un diritto di proprietà; il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto se si ritiene che non avrebbe acquistato il bene senza la parte per la quale ha subito l'evizione oppure la riduzione del prezzo in base a quanto disciplina l'articolo 1492 c.c..

La garanzia per i vizi, invece vuole tutelare il compratore dalle imperfezioni o dai difetti del bene dovute alla sua produzione o alla sua conservazione, il venditore è tenuto alla garanzia che la cosa sia immune da vizi tali da rendere il bene inidoneo all'uso a cui è destinato o a diminuirne in modo apprezzabile il valore. Il compratore se vuole far valere la garanzia cui il venditore è tenuto, ha l'onere di denunciare l'esistenza di vizi entro otto giorni che decorrono dalla consegna della cosa se si tratta di vizi apparenti o dalla scoperta se si tratta di vizi occulti, a pena di decadenza, ha altresì il diritto di chiedere a sua scelta o la risoluzione del contratto restituendo il bene e facendosi restituire il prezzo pagato oppure farsi ridurre il prezzo del bene.


PRESCRIZIONE E DECADENZA


Il decorso di un determinato periodo di tempo, insieme ad altri elementi può dar vita all'acquisto od all'estinzione di un diritto soggettivo. Nella prima ipotesi l'istituto preso in considerazione è l'usucapione, nel secondo caso si distinguono due diversi istituti la prescrizione e la decadenza. La prescrizione è la perdita di un diritto soggettivo causata dall'inerzia del titolare protratta per un periodo di tempo stabilito dalla legge, i presupposti di tale istituto quindi, sono un diritto soggettivo che può essere esercitato, il mancato esercizio di tale diritto ed il decorso del tempo stabilito dalla legge. La disciplina della prescrizione è inderogabile, quindi è nullo ogni patto che vuole modificarne i termini stabiliti dalla legge, le parti non possono rinunciare alla prescrizione prima che questa si compia. La rinuncia successiva alla prescrizione si effettua dopo che la prescrizione si è compiuta, può essere espressa o tacita e deve essere eccepita da parte di chi vi ha interesse. Tutti i diritti si estinguono per prescrizione tranne i diritti indisponibili, perché sono attribuiti al loro titolare in vista di un interesse generale, come il diritto di proprietà, della personalità, di stato, le potestà del diritto familiare ed altri diritti indicati dalla legge. La prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato, da questo momento può essere fatta valere la sospensione, che è determinata da particolari rapporti tra le parti o dalla condizione del titolare, quando l'inerzia è giustificata da disposizioni tassativamente previste dalla legge, la sospensione opera come una parentesi, quando riprende la prescrizione il tempo che decorre si somma a quello precedente. L'interruzione invece si ha quando viene a mancare l'inerzia del titolare del diritto, o perché compie un atto con il quale esercita il suo diritto o perché il diritto stesso viene riconosciuti dal soggetto passivo del rapporto, in questo caso non si tiene conto del tempo trascorso prima, ma inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione. La prescrizione si distingue in rapporto alla durata in ordinaria e breve, la prima viene applicata quando la legge non dispone diversamente e dura dieci anni, mentre la prescrizione breve riguarda casi particolari previsti dalla legge. La prescrizione presuntiva tende a presumere che un determinato credito sia stato pagato o comunque si sia estinto per un'altra causa, quindi la legge presume che la situazione si sia estinta per il verificarsi di una qualche causa, il debitore è quindi liberato dall'obbligo di fornire la prova che abbia adempiuto ad una qualche obbligazione. La decadenza è anch'essa un istituto collegato al trascorrere del tempo, che si caratterizza nelle perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento di una determinata attività o di un dato atto entro i termini previsti dalla legge. Il presupposto della decadenza è quindi la mancanza di esercizio del diritto nel tempo stabilito, l'unico modo per evitare la decadenza è il compimento dell'atto previsto dalla legge nel tempo stabilito, in quanto viene a mancare il presupposto che tiene in vita la decadenza. Esistono due tipi di decadenza quella legale e quella convenzionale, la prima prevista dalla legge e deroga al principio generale secondo cui i diritti soggettivi non possono essere sottoposti a limiti di tempo, può essere stabilita o per ragioni d'interesse generale o individuale di una delle parti. La decadenza convenzionale invece è disposta dalle parti nel caso di diritti disponibili e quando il termine stabilito non renda troppo gravoso l'esercizio del diritto.

LA FILIAZIONE


La filiazione è il rapporto che si crea tra il genitore e le persone da lui procreate, attribuendo al primo il diritto-dovere di istruire ed educare la prole. Vi sono diversi tipi di filiazione, se la procreazione è avvenuta in costanza di matrimonio e tra marito e moglie nel periodo che intercorre tra 180 giorni dal matrimonio e 300 dallo scioglimento o dall'annullamento, i figli sono legittimi, se invece la procreazione è avvenuta in mancanza di un vincolo matrimoniale i figli sono naturali, se uno dei coniugi da vita ad un figlio fuori dal matrimonio, quindi con persona diversa dal coniuge il figlio è adulterino, sono figli incestuosi, quelli nati tra parenti ed infine vi è un'altra forma che non è conseguenza della procreazione, che prende il nome di filiazione adottiva. Da ognuna di queste forme di filiazione deriva un particolare status per il figlio. Lo status di figlio legittimo si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile, tale atto indica le generalità dei genitori e se sono uniti in matrimonio, se la madre non consente di essere nominata nell'atto di nascita il figlio non può essere riconosciuto come legittimo, non acquista tale status anche, quando i genitori al momento del concepimento erano separati, come indicato nei tempi sopraelencati. Dallo status di legittimo derivano per il figlio il diritto di essere educato, istruito e mantenuto, tenendo conto delle sue capacità e aspirazioni, il diritto di successione, il diritto agli alimenti, il dovere di obbedienza ai genitori. L'azione di disconoscimento ha lo scopo di eliminare la presunzione di paternità del marito ed in caso di accoglimento il concepito risulta figlio naturale riconosciuto dalla madre, può essere proposto solo sei coniugi non hanno coabitato nel periodo in qui deve aver avuto luogo il concepimento, se durante questo periodo il marito era affetto da impotenza o la moglie in detto periodo ha commesso adulterio. In quest'ultimo caso è ammissibile provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche diverse da quelle del presunto padre. Legittimati ad agire sono il padre entro un anno dalla nascita del figlio o da quando ne venga a conoscenza, la madre entro sei mesi dalla nascita del figlio e quest'ultimo entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti. Antecedentemente ad una sentenza della Corte Costituzionale (N.) era necessario che il marito provasse l'adulterio della moglie prima di poter chiedere le prove genetiche necessarie al disconoscimento, ma con detto intervento è possibile procedere direttamente agli esami genetici. Sono previste due azioni di stato, quella di contestazione della legittimità e l'azione di reclamo della legittimità, con la prima, che può essere esperita da chiunque vi abbia interesse si vuole negare l'appartenenza del figlio dichiarato legittimo alla famiglia che risulta dall'atto di nascita. Con l'azione di reclamo della legittimità, invece, il figlio che si ritenga legittimo, ma che non abbia conseguito il corrispondente status, reclama la propria qualità di figlio legittimo. I figli naturali sono quelli i cui genitori non sono sposati tra loro, il riconoscimento del figlio naturale è un atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato fuori dal matrimonio, solo ultimamente la Corte Costituzionale ha operato a rendere ammissibile anche il riconoscimento dei figli incestuosi. Il riconoscimento del figlio naturale è l'atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato fuori dal matrimonio, tale atto può essere effettuato o alla nascita, o con apposita dichiarazione posteriore o al concepimento fatta davanti all'ufficiale di stato civile, o in atto pubblico, o in un testamento. La capacità di riconoscimento del figlio naturale richiede un età minima di sedici anni, può essere fatto sia da uno solo dei genitori che da entrambi anche se questi al momento del concepimento erano uniti in matrimonio con altra persona, il figlio che abbia compiuto il sedicesimo anno deve dare l'assenso, per i figli di età inferiore è invece, richiestoli consenso dell'altro genitore, che non può essere rifiutato qualora il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. La costituzione stabilisce che la legge debba tutelare giuridicamente e socialmente i figli nati fuori dal matrimonio comparandoli ai figli legittimi, esistono però alcuni aspetti di differenziazione causati dalla situazione oggettiva. Se i genitori non hanno riconosciuto il figlio naturale, egli stesso può agire in giudizio per ottenere la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità naturale, col relativo status, tale azione può essere sempre e liberamente esperita, tranne quando non sia ammesso neanche il riconoscimento. La prova della filiazione può essere data con qualsiasi mezzo, ma mentre è più agevole provare la maternità, per chiarire chi sia il padre è necessario che si facciano gli esami del sangue del figlio e del presunto padre. Il figlio naturale può altresì, acquistare lo status di figlio legittimo per effetto della legittimazione, che fa nascere un rapporto di parentela tra il legittimato ed i parenti del genitore. La legittimazione può avvenire o per successivo matrimonio, quando i genitori del figlio naturale si sposano tra loro, o per provvedimento del giudice.

L'ADOZIONE

L'adozione è il rapporto di filiazione giuridica costituita tra soggetti non legati da un rapporto di sangue, è un istituto antico che ha subito un evoluzione storica parallelamente alle vicende socio-culturali del nucleo famigliare. Oggi si ha riguardo al diritto del minore ad avere una famiglia, per permettere a quest'ultimo di avere ogni cura ed educazione, come dal dettato della legge del 2001 denominata appunto, "diritto del minore ad avere una famiglia", che vuole garantire all'adottato un nucleo familiare, quando quello d'origine manchi o sia inidoneo ai bisogni del figlio. Per i minori è consentita l'adozione solo se dichiarati in stato di adottabilità, quando siano cioè in stato di abbandono, ossia privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o di chi è tenuto a provvedervi. Lo stato di adottabilità viene dichiarato dal tribunale dei minori, che d'ufficio o su segnalazione dell'esistenza di tale situazione, deve interviene attuando una procedura che deve accertare che vi sia una situazione di abbandono irreversibile. La dichiarazione di adottabilità può essere dichiarata con sentenza, qualora i genitori non dovessero presentarsi senza motivo davanti al giudice che li ha convocati, ovvero questi sentiti in tribunale abbiano dimostrato l'esistenza di uno stato di abbandono, ultima ipotesi è che i genitori non abbiano rispettato le indicazioni impartite dal giudice. I genitori o chi ne abbia diritto possono impugnare tale sentenza. Se viene dichiarato lo stato di adottabilità il minore viene dato in affidamento preadottivo, che deve durare almeno un anno. Nel caso in cui l'esperienza risulti positiva, il tribunale può, sentite tutte le parti interessate dichiarare la sentenza di adozione. Le caratteristiche per poter chiedere l'adozione sono, un legame matrimoniale di almeno tre anni, che i coniugi non siano separati, che abbiano un età che superi di diciotto anni l'età dell'adottato ma non oltre i quarantacinque e che siano in grado di provvedervi. L'adozione è consentita per tutti i minori, non è rilevante la loro età, se hanno compiuto quattordici anni, devono prestare il proprio consenso, se invece il minore ha più di dodici anni deve essere sentito a riguardo. L'adozione crea due effetti, quello legittimante che permette all'adottato di acquistare lo stato di figlio legittimo della nuova famiglia assumendone il cognome ed un effetto risolutivo che fa cessare i rapporti tra il minore e il nucleo familiare originario. Esistono casi particolari d'adozione, che sussistono quando il minore non sia stato abbandonato o quando non sia realizzabile l'adozione piena, è il caso del minore orfano, del figlio del coniuge dell'adottante, il caso in cui risulti impossibile l'affidamento preadottivo o il minore sia diversamente abbile. In queste ipotesi l'adottato non acquista lo status di figlio legittimo ma gli derivano tutti i diritti del rapporto di filiazione . Per quanto concerne l'adozione internazionale è prevista una cooperazione che favorisce la permanenza dei minori nel paese d'origine secondo il principio di sussidiarietà, consentendo l'adozione solo quando non sia possibile una soluzione a livello locale, la dichiarazione di adottabilità deve essere emessa dall'autorità del paese d'origine, che deve tutelare l'interesse del minore. L'adozione per persone maggiorenni è diretta a tutelare le aspettative successorie ed è permessa alle persone che abbiano compiuto trentacinque anni e che superino di almeno diciotto anni l'età di coloro che vogliono adottare. Non possono essere adottati dai loro genitori i figli nati fuori dal matrimonio, presupposti dell'adozione sono il consenso dell'adottante e dell'adottato, l'assenso dei genitori dell'adottato e del coniuge dell'adottante. Il giudice verificate tutte le condizioni prescritte dalla legge e se tale adozione convenga all'adottato dichiara la sentenza di adozione, i cui effetti per quest'ultimo sono, l'assunzione del cognome dell'adottante, l'acquisto dei diritti successori spettanti ai figli legittimi, ma nonostante ciò, continua a conservare tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia d'origine. L'affidamento temporaneo dei minori può aver luogo quando non vi sia un ambiente familiare idoneo e quindi si tende a dare il bambino in custodia a qualcuno che possa provvedere ai suoi bisogni materiali e morali, di solito è una famiglia che abbia figli minori o anche una sola persona, quando questo non sia possibile viene inserito in una comunità di tipo familiare. L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale avuto il consenso dei genitori ed è reso esecutivo dal giudice tutelare con decreto, in assenza del consenso dei genitori è il tribunale per minorenni che vi provvede. Il provvedimento di affidamento deve indicare i motivi e la durata dello stesso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti agli affidatari, che devono accogliere il minore assicurandogli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, favorendo il suo reinserimento nella famiglia d'origine. La stessa autorità che ha disposto l'affidamento deve emettere un provvedimento per farlo cessare, quando vengono meno i presupposti che lo hanno determinato.


L'ADOZIONE

L'adozione è il rapporto di filiazione giuridica costituita tra soggetti non legati da un rapporto di sangue, è un istituto antico che ha subito un evoluzione storica parallelamente alle vicende socio-culturali del nucleo famigliare. Oggi si ha riguardo al diritto del minore ad avere una famiglia, per permettere a quest'ultimo di avere ogni cura ed educazione, come dal dettato della legge del 2001 denominata appunto, "diritto del minore ad avere una famiglia", che vuole garantire all'adottato un nucleo familiare, quando quello d'origine manchi o sia inidoneo ai bisogni del figlio. Per i minori è consentita l'adozione solo se dichiarati in stato di adottabilità, quando siano cioè in stato di abbandono, ossia privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o di chi è tenuto a provvedervi. Lo stato di adottabilità viene dichiarato dal tribunale dei minori, che d'ufficio o su segnalazione dell'esistenza di tale situazione, deve interviene attuando una procedura che deve accertare che vi sia una situazione di abbandono irreversibile. La dichiarazione di adottabilità può essere dichiarata con sentenza, qualora i genitori non dovessero presentarsi senza motivo davanti al giudice che li ha convocati, ovvero questi sentiti in tribunale abbiano dimostrato l'esistenza di uno stato di abbandono, ultima ipotesi è che i genitori non abbiano rispettato le indicazioni impartite dal giudice. I genitori o chi ne abbia diritto possono impugnare tale sentenza. Se viene dichiarato lo stato di adottabilità il minore viene dato in affidamento preadottivo, che deve durare almeno un anno. Nel caso in cui l'esperienza risulti positiva, il tribunale può, sentite tutte le parti interessate dichiarare la sentenza di adozione. Le caratteristiche per poter chiedere l'adozione sono, un legame matrimoniale di almeno tre anni, che i coniugi non siano separati, che abbiano un età che superi di diciotto anni l'età dell'adottato ma non oltre i quarantacinque e che siano in grado di provvedervi. L'adozione è consentita per tutti i minori, non è rilevante la loro età, se hanno compiuto quattordici anni, devono prestare il proprio consenso, se invece il minore ha più di dodici anni deve essere sentito a riguardo. L'adozione crea due effetti, quello legittimante che permette all'adottato di acquistare lo stato di figlio legittimo della nuova famiglia assumendone il cognome ed un effetto risolutivo che fa cessare i rapporti tra il minore e il nucleo familiare originario. Esistono casi particolari d'adozione, che sussistono quando il minore non sia stato abbandonato o quando non sia realizzabile l'adozione piena, è il caso del minore orfano, del figlio del coniuge dell'adottante, il caso in cui risulti impossibile l'affidamento preadottivo o il minore sia diversamente abbile. In queste ipotesi l'adottato non acquista lo status di figlio legittimo ma gli derivano tutti i diritti del rapporto di filiazione . Per quanto concerne l'adozione internazionale è prevista una cooperazione che favorisce la permanenza dei minori nel paese d'origine secondo il principio di sussidiarietà, consentendo l'adozione solo quando non sia possibile una soluzione a livello locale, la dichiarazione di adottabilità deve essere emessa dall'autorità del paese d'origine, che deve tutelare l'interesse del minore. L'adozione per persone maggiorenni è diretta a tutelare le aspettative successorie ed è permessa alle persone che abbiano compiuto trentacinque anni e che superino di almeno diciotto anni l'età di coloro che vogliono adottare. Non possono essere adottati dai loro genitori i figli nati fuori dal matrimonio, presupposti dell'adozione sono il consenso dell'adottante e dell'adottato, l'assenso dei genitori dell'adottato e del coniuge dell'adottante. Il giudice verificate tutte le condizioni prescritte dalla legge e se tale adozione convenga all'adottato dichiara la sentenza di adozione, i cui effetti per quest'ultimo sono, l'assunzione del cognome dell'adottante, l'acquisto dei diritti successori spettanti ai figli legittimi, ma nonostante ciò, continua a conservare tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia d'origine. L'affidamento temporaneo dei minori può aver luogo quando non vi sia un ambiente familiare idoneo e quindi si tende a dare il bambino in custodia a qualcuno che possa provvedere ai suoi bisogni materiali e morali, di solito è una famiglia che abbia figli minori o anche una sola persona, quando questo non sia possibile viene inserito in una comunità di tipo familiare. L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale avuto il consenso dei genitori ed è reso esecutivo dal giudice tutelare con decreto, in assenza del consenso dei genitori è il tribunale per minorenni che vi provvede. Il provvedimento di affidamento deve indicare i motivi e la durata dello stesso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti agli affidatari, che devono accogliere il minore assicurandogli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, favorendo il suo reinserimento nella famiglia d'origine. La stessa autorità che ha disposto l'affidamento deve emettere un provvedimento per farlo cessare, quando vengono meno i presupposti che lo hanno determinato.


LO SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO MATRIMONIALE E LA SEPARAZIONE DEI CONIUGI


Il nostro ordinamento fino al 1970 non prevedeva il divorzio, unica causa di scioglimento del vincolo matrimoniale era la morte di uno dei coniugi, la disciplina attuale prevede invece, oltre il caso già citato, la dichiarazione di morte presunta ed il divorzio. La morte è il tipico caso di scioglimento del vincolo matrimoniale, che però continua a produrre alcuni dei suoi effetti anche dopo il decesso del coniuge, la legge equipara la morte alla dichiarazione di morte presunta. Il divorzio è ammesso come rimedio qualora sia fallita l'unione coniugale, essendo venuta meno l'unione materiale e spirituale tra i coniugi, il giudice dopo aver tentato la conciliazione pronuncia lo scioglimento del matrimonio, che produce la cessazione degli effetti civili che derivavano da tale rapporto sia nel matrimonio civile che in quello concordatario, rimanendo però in questo fermi gli effetti religiosi. Le cause per ammettere il divorzio sono tassativamente indicate dalla legge, può trattarsi di separazione personale dei coniugi da almeno tre anni, di condanna penale passata in giudicato, l'annullamento o il divorzio ottenuti dal coniuge in un paese straniero o la mancata consumazione del matrimonio. Alle presenza di una di questo ipotesi, uno dei coniugi o entrambi possono chiedere al giudice di pronunciare lo scioglimento del matrimonio. Il divorzio produce effetti personali in capo ai coniugi, il mutamento dello stato civile con la possibilità di contrarre nuove nozze e la perdita della moglie dell'uso del cognome del marito ed effetti patrimoniali, come l'obbligo in capo ad uno dei due coniugi di corrispondere un assegno periodico all'altro purchè questo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive, tale obbligo cessa nel momento in cui il coniuge beneficiato dall'assegno contrae nuove nozze, altro effetto, è la perdita dei diritti successori, il diritto ad una percentuale sull'indennità di fine rapporto di lavoro dell'ex coniuge e lo scioglimento della comunione legale. Differente dal divorzio è la separazione, perché non determina lo scioglimento del matrimonio, per cui i coniugi non possono contrarre nuove nozze e ha carattere transitorio per cui i coniugi possono farla cessare in qualsiasi momento con la riconciliazione. La separazione può essere di tre tipi, la separazione giudiziale è pronunciata dal tribunale su istanza di uno o entrambi i coniugi per fatti che rendono difficile la convivenza o l'educazione dei figli, che sono affidati al coniuge che ne riesca a curare gli interessi morali e materiali, il coniuge affidatario ha la piena potestà sui figli secondo le disposizioni del giudice, con la stessa sentenza di separazione si stabilisce la misura in cui l'altro coniuge deve contribuire al mantenimento dei figli e del coniuge che non abbia redditi propri adeguati che gli consentano di conservare il precedente tenore di vita. La separazione consensuale invece è quella che avviene per accordo delle parti, tale accordo per produrre effetti giuridici deve essere omologato dal tribunale. La separazione di fatto invece, consiste nell'interruzione della convivenza dei coniugi, in base ad un accordo informale tra essi, senza che vi sia l'intervento del tribunale. La riconciliazione dei coniugi fa cessare gli effetti della separazione in modo espresso o tacito.

REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA


Il regime legale oggi vigente nel nostro ordinamento, dopo la profonda riforma del 1975, che ha toccato vari aspetti della vita familiare, è il regime patrimoniale della comunione dei beni. La comunione ha voluto equiparare i coniugi anche nel campo dei rapporti patrimoniali, con la con titolarità e la gestione congiunta dei beni acquistati anche separatamente in costanza di matrimonio. Benché il regime sia oggi quello della comunione, i coniugi possono mediante un'apposita convenzione, stabilire un regime patrimoniale differente, quale la separazione dei beni o la comunione convenzionale e anche possibile creare convenzionalmente un vincolo di destinazione su alcuni beni attraverso il fondo patrimoniale. La scelta di un regime diverso da quello legale può essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio. I coniugi però hanno dei limiti alla loro autonomia, come il divieto di derogare i diritti e doveri previsti dalla legge per il matrimonio, ossia il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia, il dovere di mantenere i figli, ecc. altro limite è il divieto di costituzione in dote e l'inderogabilità, nel caso in cui si modifichi il regime di comunione legale, delle norme riguardanti l'amministrazione dei beni della comunione e all'uguaglianza delle quote. La convenzione matrimoniale è il negozio giuridico con il quale le parti possono derogare al regime di comunione, deve essere stipulato per atto pubblico, a pena di nullità ed vi è l'esigenza della presenza di testimoni. La convenzione può essere stipulata in ogni momento non esistono limiti temporali ed è in qualsiasi tempo modificabile. In ogni caso deve essere trascritta a margine dell'atto del matrimonio un'annotazione che indichi il regime patrimoniale della famiglia. Se invece, i coniugi accettano il regime legale di comunione tutto quello che acquistano dopo il matrimonio da soli o congiuntamente cade nella titolarità di entrambi tranne i beni personali che appartengono a ciascun coniuge separatamente. Rientrano poi nella comunione, le aziende costituite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, se invece si tratta d'aziende costituite da uno dei coniugi anteriormente il matrimonio ma gestite da entrambi, rientrano in comunione solo gli utili e gli incrementi di tale azienda. I frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi se residuano al momento dello scioglimento della comunione, i proventi dell'attività separata di ciascun coniuge se dovessero residuare, sempre se residuano rientrano nella comunione, i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente il matrimonio. Gli ultimi casi, fanno riferimento alla comunione de residuo, formata dai beni che durante il matrimonio appartengono al coniuge che li ha percepiti e, solo se non sono stati consumati, al momento dello scioglimento della comunione sono divisi per la parte residua in parti uguali tra i coniugi. Sono invece esclusi dalla comunione e ricadono nella titolarità separata di ciascun coniuge i beni personali, ossia, i beni acquistati dal coniuge prima del matrimonio, i beni di uso personale di ciascun coniuge, i beni acquistati dopo il matrimonio per effetto di donazione o successione, a meno che non sia specificato in tale atto che i beni rientrano nella comunione, anche i beni che servono all'uso professionale di ciascun coniuge sono beni personali, come, i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, o la pensione attribuita per la perdita della capacità lavorativa ed in fine quei beni acquistati grazie il trasferimento dei beni personali. L'amministrazione del patrimonio in comunione spetta ad entrambi i coniugi, vi sono però due differenti ipotesi d'amministrazione, quella per gli atti di ordinaria amministrazione, che possono essere compiuti dai coniugi disgiuntamente e gli atti di straordinaria amministrazione, che spettano ai coniugi congiuntamente. Per gli atti che vengono compiuti senza il necessario consenso dell'altro coniuge, si deve distinguere riguardo il bene oggetto dell'atto, se è un bene immobile l'atto è annullabile entro un anno da cui il coniuge non consenziente ne venga a conoscenza, se invece si tratta di un bene mobile, l'atto resta valido, ma il coniuge che ha agito senza consenso ha l'obbligo di ricreare lo stato di comunione. Se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione, l'altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l'autorizzazione al compimento dell'atto, nel caso questo sia necessario nell'interesse della famiglia. Uno dei coniugi può anche farsi autorizzare, dal giudice per il compimento di atti di straordinaria amministrazione se l'altro coniuge è assente o impedito. I beni che rientrano nella comunione rispondono dei pesi e degli oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto, dei carichi dell'amministrazione, dei pesi per il mantenimento della famiglia, delle obbligazioni contratte dai coniugi anche separatamente nell'interesse della famiglia e di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. Se i beni della comunione non sono sufficiente a soddisfare i debiti su di esse gravanti, i creditori possono agire sui beni personali di ciascun dei coniugi, nella misura della metà del credito. Tuttavia i beni della comunione non devono rispondere dell'obbligazioni contratte da uno solo dei coniugi precedentemente il matrimonio. Il creditore personale di uno dei coniugi può soddisfarsi sui beni della comunione solo dopo aver escusso il patrimonio personale del coniuge debitore, può farlo solo fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Lo scioglimento della comunione può avvenire se, si verifica la morte di uno dei coniugi, come anche una dichiarazione di assenza o di morte presunta, oppure vi è sentenza di divorzio, annullamento o separazione personale, può anche aversi lo scioglimento della comunione con il mutamento convenzionale del regime patrimoniale i coniugi, o attuano un regime diverso dalla comunione, la separazione giudiziale dei beni invece può essere ottenuta per l'interdizione o l'inabilitazione di uno dei due coniugi, in caso di cattiva amministrazione o quando uno dei due coniugi non contribuisce ai bisogni della propria famiglia. Se si verifica una di queste cause, si determina anzitutto la cessazione della comunione legale, si attuano i trasferimenti che fanno capo alla comunione de residuo e alla divisione del patrimonio comune

USUCAPIONE


L'usucapione è un modo d'acquisto della proprietà o di altri diritti reali di godimento a titolo originario, per favorire chi si occupa di un bene o lo rende produttivo mantenendolo attivo, garantendo sia l'interesse personale di quest'ultimo, sia un interesse sociale, in contrapposizione al proprietario incurante del bene. Perché si verifichi l'usucapione è necessario che sussista il possesso del bene protratto nel tempo per un periodo determinato dal legislatore, e che tale possesso sia continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico. L'oggetto del possesso deve essere un bene suscettibile di usucapione, deve trattarsi di un bene in commercio e non demaniale. Si distinguono due diverse tipologie d'usucapione, quella ordinaria e quella abbreviata, per il diverso lasso di tempo necessario per acquistare la proprietà del bene. L'usucapione ordinaria dei beni immobili per verificarsi ha bisogno del solo requisito del possesso continuato per venti anni, l'usucapione in materia di beni mobili acquista rilievo solo se manchi il titolo o la buona fede, altrimenti ai sensi dell'articolo 1153 la proprietà si acquista istantaneamente, mentre per la forma abbreviata è richiesto che l'acquisto sia fatto in buona fede, che quindi vi sia l'ignoranza di ledere altrui diritto (1147 C.C.), un titolo idoneo ad operare il trasferimento, e la trascrizione di tale titolo; al sussistere di tale requisiti, il possesso a non domino è integrato dal decorso di un decennio. L'usucapione speciale che riguarda la piccola proprietà rurale, consente che il periodo per il possesso sia di soli quindi anni, per i fondi rustici con fabbricati ad essi annessi, situati nei comuni montani. L'articolo 1165 estende all'usucapione le disposizioni generali dettate in tema di prescrizione, quindi ne deriva che, la disciplina legale dell'usucapione è inderogabile e gli effetti dell'usucapione sono disponibili e rinunziabili.



LA SIMULAZIONE


La simulazione si ha quando uno o più soggetti stipulano un negozio giuridico realizzando ad un regolamento fittizio, con un accordo simulatorio, che deve essere anteriore o contemporaneo alla stipulazione del negozio simulato; le parti stabiliscono, quindi, di perseguire interessi differenti rispetto quelli che risultano da tale negozio. Un contratto si considera simulato quando le parti ne documentano la stipulazione, con l'intenzione di poterlo far valere di fronte a terzi, ma sono tra loro d'accordo che gli effetti previsti in tale atto non si devono verificare. Quando la divergenza che nasce, tra quanto dichiarato e la reale volontà delle parti è consapevole e concordata, le parti stipulano una controdichiarazione scritta differente dall'atto ufficiale. Lo scopo della simulazione è definito causa simulandi, di solito perseguita dalle parti per conseguire finalità vietate dalla legge, ma non è escluso che essa possa essere realizzata per consentirgli di attuare i propri interessi nel rispetto delle norme giuridiche. La simulazione può essere assoluta o relativa, la prima situazione si verifica quando le parti stipulano un negozio giuridico, ma in realtà non vogliono alcun tipo di negozio, escludendo la rilevanza, nei loro rapporti del contratto apparentemente stipulato. La simulazione relativa, si ha invece, qualora le parti pongano in essere un dato negozio, ma in realtà vogliono realizzare un negozio differente, tale tipo di simulazione si può distinguere a seconda, se si faccia apparire come parte del negozio un soggetto, mentre in realtà è un'altra la persona che compie l'atto giuridico, in questo caso la simulazione è soggettiva (INTERPOSIZIONE DI PERSONA), oppure si fa menzione ad un'altra fattispecie per quanto concerne la natura del negozio od un suo elemento, simulazione oggettiva. Gli effetti della simulazione sono differenti a seconda, che si consideri la situazione tra le parti o rispetto a terzi. Prendendo in esame la prima fattispecie, dobbiamo stare attenti a distinguere la natura della simulazione, se è assoluta e quindi esiste un accordo tra le parti, la legge da importanza all'intesa simulatoria e stabilisce che tale negozio non produca effetti tra le stesse, qualificando il contratto come nullo. Quando si tratta di simulazione relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra le parti, in quanto, esse stesse sono d'accordo a non volerne realmente gli effetti, ma che risulti come pura apparenza. il problema degli effetti della simulazione, nei confronti dei terzi va risolto in base al principio della tutela dell'affidamento, per cui i terzi pregiudicati dal contratto simulato sono, senz'altro interessati a dedurre la simulazione e possono farne dichiarare la nullità. I terzi subacquirenti in buona fede, invece, avendo fatto affidamento sulla dichiarazione hanno acquistato diritti dal titolare apparente fanno salvo il loro diritto, la simulazione infatti non può essere loro opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. Gli effetti che la simulazione fa valere nei confronti dei creditori, si sostanziano a seconda che il debitore sia il simulato alienante o il simulato acquirente, nel primo caso, i creditori possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti, nel secondo caso, nei confronti dei creditori garantiti da pegno o da ipoteca sui beni che hanno formato oggetto della simulata alienazione è in opponibile la simulazione perché vantano un diritto reale sui beni stessi, mentre è opponibile la simulazione nei confronti dei creditori chirografi, a meno che essi non abbiano compiuto in buona fede atti di esecuzione sui beni stessi. Ricorre conflitto tra i creditori se quelli del simulato alienante e del simulato acquirente vogliono, tutti, soddisfarsi sui beni oggetto del contratto simulato. La legge tutela i creditori del simulato alienante, quando il loro credito è anteriore all'atto simulato, invece tutela, i creditori del simulato acquirente, quando il credito dei creditori del simulato alienante è successivo all'atto simulato.

LE SERVITU' PREDIALI


La servitù prediale è un diritto reale di godimento, consistente nel peso imposto sopra un fondo, servente, per avvantaggiare un altro fondo, dominante, di diverso proprietario. Il principio alla base della servitù è la cooperazione fondiaria che fa sorgere una relazione tra i due fondi, per cui quello dominante beneficia delle limitazioni imposte a quello servente per un interesse generale. L'oggetto della servitù non sono solamente i fondi rustici ma anche gli immobili urbani, potendo costituire oggetto tutti gli immobili in genere, anche i beni futuri possono rientrare in tale categoria, diversa è la situazione per il vantaggio futuro, che ha rilevanza fin dalla sua costituzione ed è possibile farlo valere nei confronti di chiunque anche se è diretta ad assicurare al fondo un vantaggio solo per l'avvenire. I requisiti fondamentali di tale diritto reale di godimento sono, in primo luogo la tipicità che sottopone le servitù a requisiti dettati dalla legge, ma i privati possono accordare una serie di vincoli reali corrispondenti a diverse utilità, purchè rispettino gli ulteriori principi fondanti l'istituto individuati nella vicinanza tra i fondi, nella predialità e nell'utilità. Strettamente connessi a tali requisiti sono i caratteri generali che impongono l'appartenenza dei due fondi a proprietari differenti, l'unilateralità che impone che il medesimo fondo non possa essere dominante e servente allo stesso tempo rispetto ad una servitù, l'indivisibilità, l'inseparabilità, la servitù non può imporre al proprietario del fondo servente di fare, non fare o di sopportare qualcosa, il requisito della normale onerosità concessa al proprietario del fondo servente ed infine l'inipotecabilità. Le servitù si distinguono in apparenti e non apparenti, servitù affermative e negative, quelle affermative a loro volta si differenziano in continue e discontinue. La costituzione delle servitù può avvenire in due modi o per imposizione della legge e quindi si hanno le servitù coattive oppure per volontà dell'uomo, in questo caso si parla di servitù volontarie. La costituzione può anche avere effetto grazie l'usucapione o dalla destinazione del padre di famiglia.

PEGNO ED IPOTECA


Il pegno e l'ipoteca sono diritti reali di garanzia, con la funzione di assicurare al creditore la possibilità di sottoporre ad esecuzione forzata un bene del debitore o di un terzo, vincolato a tale scopo, con preferenza ad altri eventuali creditori, i chirografi. Requisiti di questi due diritti reali sono l'immediatezza, in quanto per il loro esercizio non occorre la cooperazione di nessun soggetto dato che la relazione tra creditore e bene sottoposo al vincolo è immediata, l'assulutezza in quanto sono opponibili verso chiunque ed infine il diritto di sequela, nel senso che il creditore ha il potere di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo acquirente. Pegno ed ipoteca presentano le seguenti caratteristiche comuni, l'accessorietà, se quindi, manca o si estingue l'obbligazione garantita viene meno o si estingue anche la garanzia, la specialità, in quanto è possibile costituire pegno od ipoteca soltanto su beni determinati, l'indivisibilità che consente che tali diritti si estendano sull'intero bene che ne è oggetto e sulle sue parti a garanzia dell'intero credito ed di ogni parte di esso ed infine la determinatezza, che impone che la garanzia costituita e svolga la sua funzione soltanto per determinati crediti. Pegno ed ipoteca si differenziano in quanto, il pegno ha ad oggetto beni mobili, l'ipoteca beni immobili, diritti reali immobiliari o beni mobili registrati e rendite dello Stato. Con il pegno si trasferisce materialmente il bene al creditore, sottraendolo al godimento del proprietario, invece il bene oggetto dell'ipoteca rimane nell'uso del proprietario, poiché il diritto di garanzia si costituisce mediante iscrizione in pubblici registri. La legge ha voluto garantire contro il rischio, il debitore che accetti di pattuire anteriormente, in caso di mancato adempimento il trasferimento automatico in capo al creditore della titolarità del bene oggetto della garanzia. È quindi nullo ogni patto commissorio, il legislatore ha disposto che il bene ipotecato o pignorato sia venduto e il creditore soddisfi il suo diritto sul ricavato in misura al suo credito.

SUCCESSIONE A TITOLO PARTICOLARE: IL LEGATO


Il legato rientra nella successione mortis causa sotto un profilo differente rispetto l'erede, essendo una disposizione e titolo particolare, non comprende l'universalità o una quota dei beni del de cuius ma uno o più rapporti determinati. In relazione alla fonte che li dispone, si distinguono diversi tipi di legato, quello testamentario che è la tipica figura di legato che scaturisce per mezzo del testamento, il legato ex legge deriva da una disposizione di legge, ivi comprende il figlio naturale per quel che riguarda l'assegno vitalizio e il coniuge ed il suo diritto di abitazione nella residenza familiare. Rispetto al contenuto dei legati si distingue, il legato di specie che ha per oggetto o il diritto di proprietà su un bene determinato o altro diritto appartenente al testatore, il legato di genere invece, riguarda un bene generico che non entra subito nella titolarità del legato, ma deve essere definito, facendo nascere in capo al legato un diritto di credito, nel legato obbligatorio il testamento da al legatario un diritto di credito da far valere nei confronti dell'onorato, che è tenuto alla prestazione ed infine una figura che libera il legato da un obbligazione è il legato liberatorio. Il rapporto di sublegato ricorre quando il soggetto che tenuto alla prestazione non è l'erede ma un altro legatario, il prelegato invece, scaturisce quando il beneficiario del legato sia uno dei coeredei. L'acquisto del legato non ha bisogno di accettazione, al legatario è data però la possibilità di rinunciarvi in modo espresso o tacito e quando questi non manifesti la sua volontà è data la facoltà a chiunque vi abbia interesse a chiedere al giudice di fissare un termine entro il quale il legatario dichiari se intende rinunciare, trascorso tale termine senza pronunzia da parte dell'interessato, egli perde il suo diritto a rinunziare.



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