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INTRODUZIONE
I Diritto internazionale > Introduzione > Definizione del diritto internazionale
Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme che nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di ogni stato. Si dice anche che il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. 'internazionalismo', perché il diritto internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e non è più un semplice 'diritto per diplomatici', ma viene continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali. E' pertanto opportuno distinguere la definizione formale (nel senso che crea obblighi e diritti per gli Stati) da quella materiale (nel senso che regola i rapporti interindividuali, cioè interni alle singole comunità statali).
Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale privato. In realtà bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto privato straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge 218/95.
FUNZIONI DI PRODUZIONE, ACCERTAMENTO E ATTUAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
II Diritto internazionale > Introduzione > Produzione, accertamento e attuazione del diritto internazionale
Anche nell'ordinamento
internazionale troviamo tre funzioni: 1. la funzione normativa 2. la
funzione di accertamento del diritto 3. la funzione di attuazione coattiva
delle norme.
1. Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distinguere tra
diritto internazionale generale e diritto internazionale particolare, ossia tra
le norme che si indirizzano a tutti gli Stati e quelle che vincolano solo una
ristretta cerchia di soggetti. L'articolo 10 della Costituzione italiana fa
riferimento alle norme di diritto internazionali generalmente riconosciute.
Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formano nella
comunità internazionale attraverso l'uso. La caratteristica di questo tipo di
norme è che, a differenza degli ordinamenti interni, è la fonte primaria ed ha
dato luogo ad uno scarso numero di norme. Possiamo trovare comunque norme strumentali
(come quelle che regolano i requisiti di validità ed efficacia dei trattati) e
quelle materiali (che impongono direttamente obblighi e riconoscono
diritti).
Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sono invece i trattati (o patti, accordi, convenzioni) che vincolano solo gli Stati contraenti. Il trattato è subordinato alla consuetudine come il contratto è subordinato alla legge.
Al di sotto dei trattati
troviamo un'altra fonte: i procedimenti previsti da accordi:essi
traggono la loro forza dai trattati internazionali che li prevedono e vincolano
solo gli Stati aderenti ai trattati stessi. In questa categoria rientrano molti
atti delle organizzazioni internazionali, ossia delle varie associazioni fra
Stati, come l'ONU, le tre Comunità Europee etc.
In realtà le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi e lo
strumento di cui si servono è la raccomandazione, che non è vincolante,
ma ha valore di mera esortazione.
Per quanto concerne invece la funzione di accertamento giudiziario dl diritto internazionale, nell'ambito della comunità internazionale prevale una funzione arbitrale, che poggia sull'accordo tra le parti. Ciò che quindi è l'eccezione nel diritto interno, diventa la regola nell'ordinamento internazionale.
Per quanto attiene invece ai mezzi che vengono utilizzati per assicurare coattivamente l'osservanza delle norme e reprimerne le violazioni, entriamo nella categoria delle forme dell'autotutela (altra diversità dal diritto interno).
Il diritto internazionale
è vero diritto?
Ci si
chiede se il diritto internazionale sia in realtà un vero diritto e quali
argomenti si possano addurre per dimostrare la sua obbligatorietà.
Una soluzione proposta di tale problema riposa in tre strumenti:
1. il diritto internazionale deve passare attraverso i giudici interni che devono
applicarlo e quindi farlo rispettare;
2. l'articolo 10 della Costituzione italiana impegna al rispetto delle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute;
3. infine i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sono oggetto di
una legge ordinaria che ne ordina l'applicazione.
Quanto qui esposto è una formulazione in termini moderni della teoria
positivistica di Jellinek, che considerava il diritto internazionale come il
frutto di un'autolimitazione del singolo Stato, poiché non esistono veri
e propri mezzi giuridici per reagire efficacemente ed imparzialmente alle
violazioni delle norme internazionali. Ciò che bisogna superare è però l'idea
dell'arbitrio del singolo Stato, altrimenti si legittimerebbe la possibilità
dello Stato stesso di sciogliersi liberamente in qualsiasi momento da qualunque
impegno internazionale.
I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
III Diritto internazionale > Introduzione > I soggetti del diritto internazionale
Se definiamo il diritto
internazionale come il diritto della comunità degli Stati, bisogna specificare
cosa intendiamo per Stato, poiché, a livello di definizione, possiamo
distinguerlo in Stato-comunità o in Stato-organizzazione. La
prima accezione fa riferimento ad un insieme di individui che si stanzia su una
porzione di superficie terrestre ed è sottoposta a delle regole. La seconda,
invece, è costituita dall'insieme di governanti, cioè degli organi che
esercitano sui singoli associati il potere di imperio.
La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta allo
Stato-organizzazione, allo Stato-apparato. Sono infatti gli organi statali che
partecipano alla formazione delle norme internazionali, sono loro i destinatari
delle norme internazionali materiali e sono sempre loro che rispondono per
eventuali violazioni delle norme internazionali. Ovviamente, quando parliamo di
organi statali facciamo riferimento a tutti gli organi, sia quelli del potere
centrale che quelli del potere periferico.
Lo Stato-organizzazione
deve presentare però dei requisiti per poter essere considerato tale:
1. il primo è l'effettività del proprio potere su di una comunità
territoriale. Pertanto la qualifica di soggetto internazionale deve essere
negata ai Governi in esilio, le organizzazioni o fronti, o comitati di
liberazione internazionale che abbiano sede in un territorio straniero, dove
hanno costituito una sorta di organizzazione di governo.
2. il secondo requisito è l'indipendenza o sovranità esterna. In tal
senso non sono soggetti del diritto internazionale gli Stati federati di Stati
federali (perché, anche se talvolta possono essere autorizzati dalla
Costituzione federale a stipulare accordi con Stati terzi, devono normalmente
avere il consenso del Governo centrale), né le Confederazioni che è un'unione
fra Stati perfettamente indipendenti e sovrani, creata in genere per scopi di
difesa.
Il requisito dell'indipendenza deve essere inteso con cautela: non coincide con
la perfetta possibilità di determinarsi da sé, poiché l'interdipendenza è oggi
una delle caratteristiche sempre più marcate delle relazioni internazionali
(stati satelliti, stati deboli, stati con truppe straniere). Bisogna allora
intenderlo in senso formale: è indipendente uno stato il cui ordinamento è
originario, cioè tragga la sua forza giuridica dalla propria Costituzione e non
da quella di un altro Stato.
Quando ricorrono i due requisiti, l'organizzazione di governo acquista la
qualità di soggetto internazionale automaticamente: non è necessario il riconoscimento.
Il riconoscimento, come anche il non-riconoscimento, è un atto meramente lecito
che attengono alla sfera della politica ma non producono conseguenze
giuridiche. Generalmente infatti il riconoscimento da parte degli Stati preesistenti
serve per giudicare se il nuovo Stato 'meriti' o meno la soggettività
per stipulare alleanze o altri rapporti.
Quando si richiedono altri requisiti come quello che il nuovo Stato non debba
costituire una minaccia per la pace e la sicurezza per la pace, che il suo
Governo goda del consenso del popolo e che non violi i diritti umani, questi
non sono necessari ai fini dell'acquisto della soggettività internazionale, ma
servono soltanto per valutazioni politiche degli altri Stati per valutare se
stringere rapporti d'amicizia.
Sembra risolto anche il problema della soggettività del Governo insurrezionale:
gli insorti non sono soggetti del diritto internazionale e il Governo c.d.
legittimo potrà prendere i provvedimenti che reputa più opportuni (fatti salvi
però i movimenti di liberazione nazionale). Se tuttavia i ribelli nel corso
della guerra civile riescono a dare vita ad un'organizzazione di governo che
controlla effettivamente una parte del territorio, la personalità non può
negarsi.
Una parte della dottrina parla di una personalità limitata degli individui, perché ddestinatari di molte norme e convenzioni che riconoscono loro diritti e poteri di azione. In realtà si contesta anche la natura dei diritti e degli obblighi internazionali, perché destinatari delle norme sarebbero sempre e solo gli Stati.
Piena personalità bisogna poi riconoscere alle organizzazioni internazionali, ossia alle associazioni tra Stati. La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha affermato: 'L'organizzazione internazionale è un soggetto di diritto internazionale, vincolato, in quanto tale, da tutti gli obblighi che gli derivano da regole generali del diritto internazionale, dal suo atto costitutivo e dagli accordi di cui è parte'.
PARTE PRIMA
LA FORMAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI
LA CONSUETUDINE
IV Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > La consuetudine
Le norme generali del
diritto internazionale che vincolano tutti gli Stati, sono le consuetudini.
Innanzitutto bisogna vedere cosa si deve intendere per consuetudine: è un
comportamento costante e unifome tenuto dagli Stati, accompagnato dall
convinzione dell'obbligatorietà del comportamento stesso. Due sono quindi gli
elementi costitutivi: la diuturnitas (o meglio la 'prassi') e
l'opinio iuris sive necessitatis. Questa impostazione cosiddetta
'dualistica' non ha trovato unanimità di consensi, ma è stata criticata
per aver considerato il secondo elemento come necessario. In altre parole, per
potersi parlare di consuetudine basterebbe soltanto la prassi costante e
uniforme, perché altrimenti si ammetterebbe anche la consuetudine nata
dall'errore (opinio iuris). Tuttavia la prassi dei Tribunali internazionali e
la giurisprudenza interna sembrano orientati verso l'impostazione dualistica.
Inoltre gli Stati, per evitare che la sola prassi crei diritto, dichiarano che
un comportamento che stanno tenendo è determinato da mere ragioni di cortesia e
non può essere considerato come capace di creare una norma o addiritture una
desuetudine.
Quello che dobbiamo sottolineare è che, almeno al momento della formazione
della consuetudine, un comportamento non è sentito come giuridicamente
vincolante, bensì come socialmente dovuto. E se mancasse l'elemento della
opinio iuris sarebbe impossibile distinguere una consuetudine produttrice di
norme giuridiche da un atto di mera cortesia, di cerimoniale o da un mero
'uso'.
L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamento di uno Stato
sia diretto a modificare o abrogare una determinata consuetudine attraverso la
formazione di una desuetudine, dal comportamento che costituisce invece un
illecito internazionale.
Quali organi concorrono
alla formazione della norma consuetudinaria?
Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organi statali e non solo
i detentori del potere estero. Possono concorrere pertanto non solo atti
'esterni' degli Stati (trattati, note diplomatiche, comportamenti in
seno ad organi internazionali), ma anche atti 'interni' (leggi,
sentenze, atti amministrativi), senza alcun ordine di priorità. Sicuramente un
ruolo decisivo è svolto dalla giurisprudenza interna, con particolare rigurdo
alle corti supreme.
Problema degli Stati
nuovi
Poiché
le consuetudini creano diritto generale, vincolano tutti gli Stati,
indipendentemente dalla loro partecipazione alla sua formazione. Questo
problema si è posto con particolare riguardo per gli Stati nuovi che sono nati
dal processo di decolonizzazione: il diritto consuetudinario esistente si era
formato in epoca coloniale e rispondeva ad esigenze ed interessi del tutto
contrastanti da quelli emergenti (pensiamo ai settori del diritto
internazionale economico, al diritto internazionale marittimo).
La soluzione del problema viene posta nei seguenti termini:
se la contestazione proviene da un singolo Stato ('persistent objector'),
questa è da considerarsi irrilevante. Non occorrerebbe neanche la prova
dell'accettazione della norma consuetudinaria perché altrimenti si
configurerebbe come accordo tacito, negando la stessa idea di diritto
internazionale generale. Inoltre è stato dimostrato che generalmente il
persistent objector non rivendica l'inopponibilità nei suoi confronti della
norma, ma tenta di impedire la sua formazione o di negare che si sia formata.
Se la contestazione, invece, proviene da un gruppo di Stati non può essere
ignorata: in tal caso non solo non è opponibile ai Paesi che la contestano, ma
non si può neanche considerare come norma consuetudinaria esistente.
Le consuetudini
particolari
Oltre
alle norme consuetudinarie generali esistono anche le consuetudini particolari,
ossia quelle regionali o locali. La loro figura è certamente da ammettersi e la
sua applicazione più rilevante è fornita, più che dalle norme a carattere
regionale, dal diritto non scritto che può formarsi per modificare o abrogare
le regole poste da un determinato trattato: in altre parole, accade che le
parti che stipulano un accordo diano inizio ad una prassi che modifica le norme
a suo tempo pattuite.
Anche questo tipo di consuetudini devono considerarsi un fenomeno di gruppo.
Non costituiscono consuetudini particolari, invece, i casi di uniformità di
contegni tra un certo numero di Stati non legati da trattato o da vincoli
geografici o di altra natura.
Le norme consuetudinarie
sono suscettili di interpretazione analogica?
L'analogia
è una forma di interpretazione estensiva, che consiste nell'applicare una norma
ad un caso che essa non prevede, ma i cui caratteri essenziali siano analoghi a
quelli del caso previsto. Nell'ambito del diritto consuetudinario, il ricorso
all'analogia ha senso solo con riguardo alle fattispecie nuove.
I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI
V Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > I principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili
L'art. 38 dello Statuto
della Corte Internazionale di Giustizia anovera tra le fonti del diritto
internazionale i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni
civili. Secondo la comune interpretazione di quest'articolo, detti principi
si collocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e
sarebbero applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie
applicabili al caso concreto. Costituirebbero cos', secondo quest'impostazione,
una sorta di analogia iuris, esprimibile con principi come: ne bis in idem,
nemo iudex in re sua, in claris non fit interpretatio.
In realtà esiste una notevole varietà di opinioni in merito: alcuni dicono che
non si trattano affatto di norme giuridiche internazionali, altri affermano la
natura integratrice, altri ancora li collocano al vertice della gerarchia delle
fonti. Ma poi cosa bisogna intendere con principi delle 'Nazioni
civili'?
A nostro avviso, perché possano essere applicati questi principi devono
sussistere due condizioni:
1. devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli Stati
2. devono essere sentiti come obbligatori.
Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di norme
consuetudinarie internazionali. Secondo una simile impostazione allora non
sarebbero principi destinati a colmare soltanto le lacune del diritto
internazionale; il loro rapporto sarebbe invece il normale rapporto tra norme
di pari grado: la norma posteriore abroga quella anteriore e la norma speciale
deroga quella generale.
Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto internazionale generale comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa, per violazione dell'articolo 10: tale illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili.
ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE: I PRINCIPI
VI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Altre presunte norme generali non scritte: i principi
Una parte della dottrina
pone al di sopra delle norme consuetudinarie un'altra categorie di norme
generali non scritte: i principi. Si è così sostenuta l'esistenza di una
serie di principi 'costituzionali' dell'ordinamento internazionale.
Secondo il Quadri, vigoroso sostenitore di questa teoria, i principi
costituirebbero le norme primarie del diritto internazionale, in quanto
'espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale'.
Tra questi principi esisterebbero quelli formali, che si limitano a istituire
ulteriori fonti di norme internazionali, e quelli materiali, che
disciplinerebbero direttamente i rapporti tra gli Stati. I principi formali
sarebbero consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. I
principi materiali potrebbero avere qualsiasi contenuto a secondo della materia
che si disciplina.
Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruire principi
materiali indipendentemente dall'uso e ricostruirli fino alle estreme
conseguenze, perché si aprirebbe la strada all'abuso. Inoltre l'interprete
interno, dovendo stabilire quali norme internazionali generali siano da
applicare in Italia ex art.10 Cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se
non vi siano 'imposizioni' in una determinata materia da parte delle
forze dominanti nella comunità internazionale.
Può essere considerata
l'equità come fonte di norme internazionali?
L'equità
può essere considerata come il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto. Si
ritiene che a parte la c.d. equità secundum o infra legem, ossia
la possibilità di utilizzare l'equità soltanto come ausilio interpretativo e a
parte quando un tribunale internazionale sia espressamente autorizzato a
giudicare ex aequo et bono, la risposta deve essere negativa. Ovviamente
sarà da escludere l'equità contra legem, contraria cioè a norme
consuetudinarie o pattizie, oltre che quella praeter legem, diretta a
colmare le lacune del diritto internazionale.
IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE
VII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Il valore degli accordi di codificazione
Bisogna esminare il
problema se esistano o meno norme internazionali generali scritte. E questo
problema si pone innanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni
Unite.
L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella comunità
internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il Trattato è l'unico
strumento per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto.
L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che l'Assemblea generale
intraprenda degli studi e faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo
del diritto internazionale e la sua codificazione. A tali fini l'Assemblea ha
creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere alla preparazione di
testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a deterinate
materie, procedendo a studi, raccogliendo dati e predisponendo in tal modo
progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi adottati e
aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi.
Il primo problema che si
pone è se, vista la codificazione e la ratifica, vincolano soltanto gli Stati
contraenti o anche gli Stati terzi?
Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di codificazione come
corrispondenti al diritto consuetudinario generale e soprattutto
nell'estenderli ai Paesi non contraenti. Innanzitutto non si può riporre
un'illimitata fiducia nei lavori della Commissione di diritto internazionale
delle Nazioni Unite, perché spesso ci può essere l'influenza dell'interprete o
anche di chi è chiamato a far parte della Commissione stessa. Inoltre gli Stati
fanno quello che si fa sempre in sede di conclusione delle trattative per la
conclusione degli accordi internazionali: cercano di far prevalere i propri
interessi, le proprie convinzioni. Infine, l'art. 13 parla di 'sviluppo
progressivo' ma si rischia di far introdurre norme che erano abbastanza
incerte sul piano del diritto internazionale.
Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno considerati come normali accordi internazionali e quindi vincolano i soli Stati contraenti che li ratificano.
Un grosso problema si creerebbe al verificarsi del fenomeno del c.d. ricambio delle norme contenute dall'accordo. Ammesso che l'accordo di codificazione sia coincidente con il diritto internazionale consuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibile che in epoca successiva il diritto consuetudinario subisca dei cambiamenti per effetto della mutata pratica degli Stati. Si può anche verificare anche il fenomeno dell'invecchiamento dell'accordo di codificazione man mano che gli interessi mutano e i rapporti si evolvono, come anche dimostrato dal diritto dei trattati. Che succede allora? Innanzitutto questo fenomeno riconferma la tesi che a maggior ragione i principi non si possono applicare agli Stati non contraenti, mentre per gli Stati contraenti sarà necessario dimostrare che essi abbiano la volontà di derogare all'accordo nella prassi, altrimenti si applica il diritto consuetudinario contenuto nell'accordo.
LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL'ASSEMBLEA DELL'ONU
VIII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le dichiarazioni di principi dell'Assemblea dell'ONU
Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche il problema del valore delle Dichiarazioni di principi emanate dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di dichiarazioni contenenti una serie di regole che talvolta riguardano i rapporti tra Stati, ma spesso i rapporti interni alle varie comunità Statali, come i rapporti dello Stato con i propri sudditi o con gli stranieri.
Bisogna innanzitutto sottolineare
che le Dichiarazioni non costituiscono un'autonoma fonte di norme
internazionali generali, poiché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha
poteri legislativi mondiali (tanto che si esprime mediante raccomandazione, che
ha valore di esortazione, non vincolante).
Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante ai fini dello
sviluppo internazionale e al suo adeguamento alle esigenze di solidarietà e di
interdipendenza. Per quanto riguarda il diritto consuetudinario, le Dichiarazioni
vengono in rilievo, ai fini della sua formazione, in quanto prassi degli
Stati, in quanto somma degli atteggiamenti degli Stati che le adottano, e
non come atti dell'ONU.
Certe dichiarazioni o parti di Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordi internazionali: sono quelle che non solo enunciano un principio ma in modo espresso e inequivocabile ne equiparano l'inosservanza alla violazione della Carta. Tuttavia, poiché l'Assemblea non ha poteri interpretativi sovrani che vincolerebbero tutti gli Stati a quell'interpretazione, anche le Dichiarazioni restano delle mere raccomandazioni, dal punto di vista della Carta. Hanno però carattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che le abbiano approvate e vanno inquadrate come accordi in forma semplificata.
I TRATTATI
IX Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > I Trattati
Una volta esaurito l'esame del diritto internazionale generale, possiamo passare a quello del diritto internazionale particolare: i trattati. La terminologia usata per indicare questa materia è assai vasta: accordo, trattato, patto, convenzione etc. Si parla di Carta o Statuto per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, scambio di note per l'accordo risultante dallo scambio di note diplomatiche etc.
L'accordo internazionale può essere definito come l'unione o l'incontro della volontà di due o più stati, dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Anche i trattati possono dar vita sia a norme materiali, cioè a regole che direttamente disciplinano i rapporti tra destinatari, imponendo obblighi o attribuendo diritti, sia a norme formali o strumentali, che si limitano cioè ad istituire fonti per la creazione di ulteriori norme. A questa categoria appartengono i trattati costitutivi di organizzazioni internazionali, che oltre a disciplinare direttamente certi rapporti tra gli Stati membri, demandano agli organi sociali la produzione di norme ulteriori.
Come nel diritto interno
i contratti sono subordinati alla legge, così i trattati sottostanno alle
consuetudini (pacta sunt servanda). Le Nazioni Unite hanno promosso
l'elaborazione della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei
trattati, in vigore dal 27.01.1980 e ratificata anche dall'Italia con legge
112/74.
Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suo campo di
applicazione non tocca le regole meramente riproduttive delle norme
consuetudinarie generali, che, proprio perché generali, valgono per tutti gli
Stati e per tutti i trattati. La Convenzione, invece, si applica unicamente ai
trattati conclusi tra Stati dopo la sua entrata in vigore per tali Stati. Ma
occorre che gli Stati stipulanti un accordo siano gli stessi della Convenzione
o vale anche se alla conclusione del Trattato partecipano anche Stati terzi?
Generalmente si preferisce questa seconda interpretazione.
Come si arriva alla
conclusione di un accordo?
I modi
di incontro della volontà degli Stati sono molto liberi nel diritto
internazionale in materia di forma e procedura. L'accordo si può perfezionare
istantaneamente o al termine di complicate procedure. Generalmente il procedimento
formale o solenne vede la competenza assoluta del Capo di Stato. Il
trattato veniva negoziato degli emissari del Sovrano, definiti
'plenipotenziari', in quanto dotati di 'pieni poteri', per
la negoziazione. I plenipotenziari predisponevano il testo dell'accordo e lo
sottoscrivevano. Seguiva poi la ratifica da parte del Sovrano, con cui
accertava se i plenipotenziari si fossero effettivamente attenuti al mandato
ricevuto. Alla fine, per portare la volontà del Sovrano a conoscenza delle
controparti, avveniva lo scambio delle ratifiche. Abbiamo quindi 4 fasi:
negoziazione, firma, ratifica e scambio delle ratifiche.
La fase di negoziazione è tanto più complessa quanto più numerosi sono gli
Stati che partecipano alla negoziazione stessa.
Il negoziato si conclude con la 'firma' da parte dei
plenipotenziari, ma questa non comporta ancora nessun vincolo per gli Stati: ha
solo valore di autenticazione del testo predisposto.
La manifestazione della volontà dello Stato che si impegna si ha con la ratifica.
La competenza a ratificare è disciplinata dal diritto costituzionale di ogni
Stato. L'ordinamento italiano all'art. 87 dispone che il Presidente della
Repubblica ratifica i trattati internazionale, previa, quando occorre,
l'autorizzazione delle Camere. L'art. 80 specifica quali sono le materie per le
quali è prevista l'autorizzazione e deve essere data con legge: trattati che
hanno natura politica, o prevedono regolamenti giudiziari, o comportano
variazioni del teritorio nazionale o oneri alle finanze, o modificazioni di
leggi. Questi due articoli devono essere letti con l'art. 89 Cost., secondo cui
nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dal ministro
proponente che se ne assume la responsabilità.
Non sempre le Costituzioni moderne parlano di ratifica. Possiamo trovare anche
i termini come 'approvazione', 'conclusione' etc. Alla
ratifica inoltre si equipara l'adesione che si ha, nel caso di trattati
multilaterali, quando la manifestazione di volontà diretta a concludere
l'accordo proviene da uno Stato che non ha preso parte ai negoziati. Ovviamente
sarà necessario che il trattato sia 'aperto', ossia che contenga una
clausola di adesione.
Alla ratifica segue lo scambio delle ratifiche o il deposito delle ratifiche. Nel caso di scambio, l'accordo si perfeziona istantaneamente. Nel caso di deposito, che è la procedura normalmente seguita per i trattati multilaterali, l'accordo si forma tra gli Stati depositanti. A volte si può prevedere che il trattato non entri in vigore finché non si siano raggiunte un certo numero di ratifiche.
Questa, abbiamo detto, è
la procedura solenne. E' possibile però che gli Stati, godendo di ampia libertà
per la formazione degli accordi, scelgano un'altra forma. La più diffusa è la forma
semplificata, tanto che si parla anche di accordi informali. L'accordo che
si perfeziona con questa procedura entra in vigore per effetto della sola
sottoscrizione del testo da parte dei plenipotenziari, attribuendo alla firma
il valore di piena e definitiva manifestazione di volontà. Ovviamente lo Stato
dovrà attribuire questo potere ai plenipotenziari, si dovrà specificare questo
effetto della firma e si dovrà esprimere nel corso della negoziazione che si
intende attribuire questo valore alla firma.
Rientrano nella categoria degli accordi in forma semplificata anche gli scambi
di note diplomatiche. In questa categoria rientrano tutti gli accordi che,
in modo o in un altro, gli organi dello Stato preposti alle relazioni con gli
altri Stati, stipulano senza ricorrere alla procedura della ratifica,
impegnando definitivamente la responsabilità dello Stato. La competenza a
concludere gli accordi in forma semplificata, al pari della competenza a
ratificare, è regolata dal diritto costituzionale di ciascuno Stato.
Tendenzialmente l'organo è l'Esecutivo.
Cosa succede se l'organo
che stipula il trattato era incompetente?
Tendenzialmente
si escludono sia visioni prettamente internazionalistiche, sia visioni
prettamente interne: gli accordi non sono né sempre validi, né sempre invalidi.
Ripudiate tali situazioni estreme, la Convenzione di Vienna propone una
soluzione all'art. 46: il fatto che il consenso di uno Stato ad essere
vincolato da un trattato sia stato espresso in violazione di una regola di competenza
a stipulare del suo diritto interno non può essere invocato da tale Stato come
vizio del suo consenso, a meno che la violazione non sia manifesta e non
concerna una regola del suo diritto interno di importanza fondamentale; una
violazione è manifesta se è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si
comporti in materia secondo la prassi abituale e in buona fede. Noi riteniamo
che la violazione di norme interne di importanza fondamentale sia causa di
invalidità del trattato solo quando sull'accordo non si sia pronunciato uno
degli organi cui la Costituzione assegna un potere decisionale effettivo nel
procedimento di stipulazione. La parte in cui prevede la buona fede, invece,
non sembra da seguire perché risente di una conzione troppo 'diplomatica'
del diritto internazionale.
Accordi stipulati dalle
organizzazioni internazionali
Nella
prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degli accordi stipulati
dalle organizzazioni internazionali, sia fra loro, sia con Stati terzi.
Probabilmente il potere di concludere trattati è da considerare la
manifestazione più saliente della personalità giuridica internazionale delle
organizzazioni. Il Trattato istitutivo dell'organizzazione stessa deve
disciplinare quali sono gli organi competenti a stipulare e quale sia la
competenza per materie. Una violazione grave delle norme statutarie
sulla competenza a stipulare può comportare l'invalidità dell'accordo. Poiché,
però, le norme contenute nel Trattato istitutivo sono modificabili dalla
consuetudine, la competenza a stipulare può anche risultare da regole
consolidatesi nella prassi dell'organizzazione, purché si tratti di prassi
certa, ossia seguita dagli organi e accettata dagli Stati membri e sempre che
non ci sia un organo giudiziario incaricato di vegliare sul rispetto del
trattato.
INEFFICACIA DEI TRATTATI NEI CONFRONTI DEI TERZI E INCOMPATIBILITA'
X Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Inefficacia dei Trattati nei confronti di terzi e incompatibilità
Inefficacia dei Trattati nei confronti di Stati terzi
La caratteristica del
diritto pattizio è che fa legge tra le parti e solo tra le parti. Se il
trattato contiene una clausola di adesione, cioè è aperto, altri Stati, che non
hanno partecipato ai negoziati, vi possono comunque aderire a pieno titolo
mediante una loro dichiarazione di volontà. In tal modo la posizione degli
Stati aderenti non differirà giuridicamente da quella degli Stati originari, se
non per il esmplice fato che non hanno partecipato alla formazione
dell'accordo.
Può verificarsi, però, che la clausola di adesione manchi e che la convenzione
crei diritti in suo favore o obblighi a suo carico. Anche in questo caso sarà
necessario dimostrare che gli obblighi e i diritti siano in qualche modo
accettati dallo Stato: cioè che il trattato contenga in qualche modo un'offerta
e dallo Stato terzo provenga un'accettazione, il che determinerà quell'incontro
di volontà che è caratteristico dell'accordo. Fuori da questi casi non potrà
che applicarsi il principio di inefficacia dei trattati nei confronti degli
Stati terzi, non contraenti.
Le parti possono anche impegnarsi in un contratto a favore di Stati terzi, che quindi risulti vantaggioso per questi Stati non contraenti. Ma tali vantaggi, finché non si trasformano in diritti attraverso la partecipazione del terzo all'accordo in uno dei modi indicati, possono essere sempre revocati dalle parti contraenti. Le parti contraenti se vogliono negare al terzo i vantaggi pattuiti non hanno bisogno di stipulare un successivo trattato, ma possono negarli in determinati casi e riconoscerli in altri.
L'art. 34 della Convenzione di Vienna sancisce, come regola generale, che un trattato non crea obblighi o diritti per un terzo Stato senza il suo consenso. La stessa regola vale per un obbligo. Ma mentre il consenso nel primo caso si presume fino a prova contraria, nel secondo caso deve essere maniestato. Nel caso in cui i contraenti creino dei vantaggi per lo Stato terzo, possono revocare quando vogliono il 'diritto' accettato dal terzo, a meno che non ne abbiano previamente stabilita in qualche modo l'irrevocabilità.
Incompatibilità tra norme
internazionali
Ovviamente
un trattato può essere modificato o abrogato da un trattato successivo fra gli
stessi contraenti, cosa succede se i contraenti dell'uno e dell'altro trattato
coincidono solo in parte?
Si cerca di trovare la soluzione nei principi di successione dei trattati nel
tempo e quello dell'inefficacia dei trattati nei confronti di terzi: fra gli
stati contraenti di entrambi i trattati, prevale l'accordo successivo; nei
confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei trattati, restano invece
integri, nonostante l'incompatibilità, tutti gli obblighi che da ciascuno di
essi derivano. Lo Stato contraente di entrambi si troverà, in poche parole, a
dover scegliere a quali impegni tenere fede e rispondere di inadempimento per
degli altri. La Convenzione di Vienna è orientata in tal senso, ma all'art. 41
precisa che due o più parti di un trattato non possono concludere un accordo
mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti reciproci, quando la modifica
è vietata dal trattato multilaterale, oppure pregiudica la posizione delle
altre parti contraenti oppure è incompatibile con la realizzazione dell'oggetto
e dello scopo del trattato nel suo insieme. L'espressione 'non possono'
è molto ambigua, ma si ritiene che non figuri una causa di invalidità
dell'accordo (perché la disposizione non si colloca nell'ambito delle cause di
invalidità), ma illiceità e responsabilità internazionale.
V
E NEI TRATTATI
XI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le riserve nei trattati
La riserva indica la
volontà dello Stato di non accettare certe clausole del trattato o di
accettarle con alcune modifiche, oppure secondo una determinata interpretazione
(c.d. riserva interpretativa). Così facendo tra lo Stato autore della riserva e
gli altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la parte non investita
dalla riserva, mentre il trattato resta integralmente applicabile agli altri
Stati.
Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali, soprattutto
quello stipulati da un numero rilevante di Stati. Nei trattati bilaterali, lo
Stato che non vuole assumere certi impegni deve solo proporre alla controparte
di non includerli nel testo. L'istituto della riserva,allora, serve a
facilitare la larga partecipazione degli Stati ai trattati multilaterali.
Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità di apporre riserve doveva essere tassativamente concordata nella fase di negoziazione e quindi doveva figurare nel testo del trattato predisposto dai plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non aveva altra alternativa se non quella di ratificare il trattato. Due erano i modi per i quali era possibile apporre riserve: o i signoli Stati dichiaravano al momento della negoziazione di non voler accettare alcune clausole, oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà di apporre riserve al momento della ratifica o dell'adesione, e in tal sede ogni Stato valutava se avvalersi o meno di tale facoltà. In quest'ultimo caso era comunque necessario che il testo specificasse quali clausole potevano essere oggetto di riserva.
Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 della Corte Internazionale di Giustizia affermò che una riserva può essere anche formulata all'atto della ratifica, anche se la relativa facoltà non è espressamente prevista nel testo del trattato purché essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato; purché, in altre parole, essa non riguardi clausole fondamentali e caratterizzanti l'intero trattato, altrimenti non si configurerebbe neanche l'accordo.
Il parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della Convenzione di Vienna, nella quale è codificato il principio che una riserva può essere sempre formulata purché non sia espressamente esclusa dal testo del trattato e purché non sia incompatibile con lo scopo e l'oggetto del trattato medesimo. Se la riserva non è prevista dal testo del trattato e nessuno la contesta entro dodici mesi dalla notifica della riserva stessa alle altri parti contraenti, essa si intende accettata.
Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non solo confermato quanto disposto, ma ha anche portato innovazioni, riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno Stato formuli le riserve in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva ratificato il trattato, purché nessuna delle altre parti contraenti sollevi obiezioni contro il ritardo. La tendenza più innovatrice si ricava dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: se lo Stato formula una riserva inammissibile (perché espresamente esclusa dal testo o perché contraria all'oggetto o allo scopo del trattato), tale inammissibilità non comporta l'estraneità dello Stato stesso rispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva che si avrà per non apposta. Bisogna però osservare che la giurisprudenza della Corte europea riguarda solo la Convenzione europea dei diritti umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati è prematura.
Quando alla formazione
della volontà dello Stato concorrono più organi, può darsi che l'apposizione di
una riserva sia decisa da uno, ma non dagli altri. Cosa succede se il Governo
non tiene conto di una riserva decisa dal Parlamento o formula una riserva che
il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche verificati in Italia
e le opinioni dottrinali in merito sono svariate. Alcuni ritengono che il
Governo possa apporre riserve, in quanto gestore dei rapporti internazionali,
mentre la tesi opposta, muovendo da posizioni più garantiste e dalla necesstà
della collaborazione tra i due organi, sostiene che il governo non possa
apporre riserve non volute dal Parlamento.
A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto due principi
costituzionali cardine: la formazione e manifestazione della volontà dello
Stato e la responsabilità del Governo dall'altra. Sotto il primo profilo una
riserva è valida sia che venga formulata solo dal Parlamento, sia solo e
autonomamente dal Governo. Tuttavia se il Governo decide di discostarsi in tema
di riserve da quanto deliberato in Parlamento, rischierebbe il ricorso dell'organo
legislativo ai meccanismi della messa in gioco della responsabilità
governativa. Siccome per il diritto internazionale è irrilevante la
responsabilità del Governo, ma si preoccupa della formazione della volontà
dello Stato, la riserva resta comunque valida, tranne nel caso in cui la
riserva fosse contenuta nella legge di autorizzazione e di cui il Governo non
tenga conto in cui si verificherebbe una violazione grave del diritto interno e
dovrà ritenersi che lo Stato non resti impeganto per detta parte se e finché il
Parlamento non revochi espressamente o implicitamente la riserva.
L'INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI
XII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > L'interpretazione dei trattati
Oggi si tende ad
abbandonare il metodo c.d. subiettivistico, in base al quale si
renderebbe in ogni caso necessaria la ricerca della volontà effettiva delle
parti come contrapposta alla volontà dichiarata. Si deve attribuire al trattato
il senso che è fatto palese dal suo testo, che risulta dai rapporti di
connessione logica tra le varie parti del testo. In questo senso i lavori
preparatori assumono un ruolo importante di sussidio, potendosi ad essi
ricorrere in presenza di un testo ambiguo e lacunoso.
La Convenzione di Vienna si pronuncia a favore del
metodo obiettivistico, pronunciandosi sull'interpretazione agli artt.
31-33. Il trattato deve essere interpretato in buona fede, secondo il
significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro contesto
e alla luce dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso. I lavori preparatori
sono unn mezzo supplementare di integrazione, da usare quando il testo è
particolarmente oscuro o porta ad un risultato assurdo e irragionevole.
Valgono per l'interpretazione dei trattati anche le regole che la teoria
generale ha elaborato per l'interpretazione delle norme giuridiche. Ci
riferiamo alle regole sull'interpretazione restrittiva o estensiva, come quella
che tra i diversi significati occorre scegliere quello più favorevole alla
parte più onerata o al contraente più debole.
L'inteprete può ricorrere ad un'interpretazione estensiva o anche all'analogia.
La Convenzione di Vienna non avalla interpretazioni
unilateralistiche dei trattati. Si deve pertanto escludere che una norma contenuta
in un accordo internazionale, a meno che ovviamente non disponga essa stessa in
tal senso, possa assumere significati differenti a seconda dello Stato
contraente al quale, o all'interno del quale, debba applicarsi.
Due regole sono significative: una è quella dell'art. 33 che, nel caso di testi
non concordanti redatti in più lingue ufficiali, impone un'interpretazione che
comunque concili tutti i testi. L'altra è quella dell'art. 31 che è la regola
favorevole al metodo obiettivistico. Non si applicano però le norme
interpretative del diritto interno agli Stati.
LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI
XIII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > La successione degli Stati nei trattati
Il problema della
successione nei trattati si pone quando uno Stato si sostituisce ad un altro
nel governo di un territorio. E' o non è vincolato dai trattati stipulati dal
suo predecessore e in vigore in quel territorio?
La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati: per effetto
di cessione o conquista, sotto la sovranità dello Stato esistente oppure si
costituisce uno Stato nuovo e indipendente.
Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata una Convenzione di
codificazione, predisposta dalla Commissione di diritto internazionale delle
Nazioni Unite e firmata a Vienna nel 1978.
Un principio pacifico per
la dottrina e la prassi in materia di successione, enunciato anche dalla
Convenzione, è quello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad
un altro nel governo di una comunità territoriale è vincolato dai trattati o
dalle clausole di un trattato localizzabile, cioè che riguardano l'uso
di determinate parti di territorio, conclusi dal predecessore. In questa
categoria rientrano i trattati che istituiscono servitù attive o passive nei
confronti degli Stati vicini, la concessione in affitto di parti del
territorio, i trattati che prevedono la lebera navigazione dei fiumi e simili.
La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che è comune a
tutte le altre ipotesi in cui il diritto internazionale ammette la trasmissione
dei diritti e degli obblighi pattizi. Tale limite consiste nelle non
trasmissibilità degli accordi che abbiano un prevalente carattere politico, che
siano cioè strettamente legati al regime vigente prima del cambiamento di
sovranità.
Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior parte. Per questo tipo di accordi la prassi risulta assai confusa anche perché sempre più spesso la successione nei trattati del predecessore è regolata mediante accordi tra lo Stato subentrante e le altre parti contraenti dei precedenti trattati. La regola fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili è quella della c.d. tabula rasa: lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi dal suo predecessore. La prassi depone in tal senso.
La Convenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione dalla situazione di ogni altro Stato che subentri nel governo di un territorio. Mentre per la prima assume come regola fondamentale quella della tabula rasa, per la seconda sceglie la regola opposta della continuità dei trattati. Un simile trattamento differenziato non trova però corrispondenza nel diritto consuetudinario.
A questo punto possiamo
esaminare le singole ipotesi di mutamento di sovranità assumendo come punto di
partenza la regola della tabula rasa.
1. Il principio della tabula rasa si applica anzitutto nell'ipotesi del distacco
di una parte del territorio di uno Stato. Può darsi che la parte di
territorio distaccatasi si aggiunga al territorio di un altro Stato
preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il
distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio distaccatosi e si
estendono invece automaticamente gli accordi vigenti nello stato che acquista
il territorio.
2. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più
Stati nuovi (secessione). Anche in questo caso gli accordi vigenti nello
Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al
territorio che acquista l'indipendenza. La prassi relativa agli Stati sorti
dalla decolonizzazione ha suggellato tale tendenza. L'applicazione del
principio della tabula rasa agli Stati nuovi formatisi per distacco è integrale
per quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dal predecessore e vigenti
nel territorio distaccatosi. Tali trattati potranno continuare a vivere solo se
rinnovati attraverso un apposito accordo con la controparte. La stessa cosa
vale per i trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati che non prevedono
la partecipazione, mediante adesione, di Stati diversi da quelli originari:
anche in questa ipotesi sarà necessario un nuovo accordo con tutte le
controparti. Per i trattati multilaterali aperti, il principio della tabula
rasa subisce un temperamento. Lo Stato di nuova formazione può, anziché
aderire, procedere alla c.d. notificazione di successione: con tale atto
la sua partecipazione retroagisce al momento dell'acquisto dell'indipendenza.
In altre parole, mentre l'adesione ha effetto ex nunc, la notificazione di
successione ha carattere retroattivo.
3. Affine all'ipotesi della secessione è il caso dello smembramento.
Mentre la secessione non implica l'estinzione dello Stato che la subisce, la
caratteristica dello smembramento sta proprio nel fatto che uno Stato si
estingue e sul suo territorio si formano due o più Stati nuovi. L'unico
criterio idoneo a distinguere le due ipotesi è quello della continuità o meno
dell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dello smembramento è da
ammettere quando nessuno degli Stati residui abbia la stessa organizzazione di
governo, lo stesso regime. Ai fini della successione nei trattati, lo
smembramento deve essere assimilato al distacco. Si applica il principio della
tabula rasa, temperato però dalla regola che per i trattati multilaterali
aperti prevede la facoltà di procedere ad una notificazione di successione.
4. Oposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sono l'incorporazione
e la fusione. La prima si ha quando uno Stato, estinguendosi, passa a
far parte di un altro Stato; la seconda quando due o più Stati si estinguono
tutti e danno vita ad uno Stato nuovo. La distinzione è molto sottile e bisogna
pertanto riferirsi all'organizzazione di governo che risulta dall'unificazione.
All'incorporazione si applica la regola della mobilità delle frontiere dei
trattati. I trattati dello Stato che si estingue cessano di avere vigore,
mentre al territorio incorporato si estendono i trattati dello Stato
incorporante. Per i trattati dello Stato incorporato vale, ancora una volta, il
principio della tabula rasa. Lo stesso principio regola i casi di fusione: lo
Stato sorto dalla fusione, sempre che sia effettivamente stato nuovo e che non
presenti condizioni di continuità per quanto riguarda l'organizzazione di
governo, nasce libero da impegni pattizi.
5. Un'eccezione al principio della tabula rasa sia nell'ipotesi di
incorporazione che di fusione, deve ammettersi quando le comunità statali
incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti internazionali, conservino
un notevole grado di autonomia nell'ambito dello Stato incorporante o nuovo,
quando si instauri un vincolo di tipo federale. In tal caso la prassi si
è orientata nel senso della continuità degli accordi.
6. Un problema di successione nei trattati si pone anche nel caso si
verifichi un mutamento di governo nell'ambito di una comunità statale,
senza che il territorio subisca ampliamenti o diminuzioni. Quando il mutamento
avviene per vie extralegali e si instaura un regime radicalmente diverso, si
deve ritenere che muti la persona di diritto internazionale (proprio perché lo
Stato soggetto di diritto internazionale si identifica con l'apparato di
governo). Opera anche qui il principio della tabula rasa o si ha una
successione del nuovo Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore? La
prassi sembra orientata in questo secondo senso, eccezion fatta per i trattati
incompatibili con il nuovo regime.
Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale
Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti
localizzabili. Secondo la prassi più recente (smembramento dell'URSS e della
Cecoslovacchia) il debito deve essere equamente ripartito tra gli Stati sorti
dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori.
CAUSE DI INVALIDITA' E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI
XIV Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Cause di invalidità e di estinzione dei trattati
e cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono molto simili a quelle previste dal diritto dei contratti, ma la categoria è allargata dalle cause tipiche del diritto internazionale. La disciplina è contenuta da norme ad hoc e dalle consuetudini che costituiscono i principi generali di diritto.
Cause di invalidità
1. errore essenziale, previsto dall'art. 48 della Convenzione di Vienna, è un fatto, una
situazione che lo Stato supponeva esistente al momento in cui è stato concluso
il trattato e che costituiva una base essenziale del consenso di questo Stato.
2. dolo, previsto all'art. 49, comprende anche l'ipotesi della
corruzione dell'organo stipulante (art. 50).
3. violenza, che può essere fisica o morale, prevista all'art. 51.
Cause di estinzione
Il
trattato si estingue per una delle seguenti ipotesi:
1. condizione risolutiva
2. termine finale
3. denuncia
4. recesso
5. inadempimento di controparte
6. sopravvenuta impossibilità di esecuzione
7. abrogazione ( totale o parziale, espressa o per incompatibilità) mediante
accordo successivo tra le parti
Tra le cause di
invalidità rientra anche la violenza esercitata sullo Stato nel suo
complesso. L'art. 52 infatti dispone che è nullo qualsiasi trattato la cui
conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l'uso della forza in
violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Si evince facilmente
che viene bandito l'uso della forza, ma si ritiene che si tratti della forza
armata, perché nella prassi non ci sono elementi che facciano ricomprendere
pressioni di altro genere (come le pressioni politiche ed economiche ancorché
illecite che ci sono spesso).
La violenza sullo Stato è da configurare come causa d'invalidità dei trattati
entro limiti ristretti. Il problema dei trattati ineguali non si risolve sul
piano della validità. Si interpretano in modo equo i trattati in cui la parte
non ha un ampio margine di potere contrattuale, e in modo restrittivo le
clausole particolarmente favorevoli agli Stati più forti.
Clausolo rebus sic
stantibus
Il trattato si estingue in tutto o in parte se mutano le circostanze esistenti
al momento della stipulazione, purché si tratti di circostanze essenziali,
senza cui i contraenti non avrebbero trattato. Per l'antica dottrina è una condizione
risolutiva tacita, perché venivano meno le circostanze a cui si subordinava
l'efficacia del trattato. Se è espressa, non si creano problemi perché si
configura come condizione stabilita dalle parti. Se, invece, non è espressa, la
situazione è più delicata: si riconosce tuttavia che il trattato si estingua
solo se le circostanze mutate costituivano la 'base essenziale del
consenso dele parti' (art. 62 Convenzione di Vienna). Questo principio sembra
essere la negazione della consuetudine secondo cui pacta sunt servanda.
Guerra
Ci si chiede se la guerra sia causa di estinzione o sospensione dei trattati.
La regola classica era orientata nel primo senso. La prassi moderna, invece,
propone molte eccezioni e temperamenti: si nega l'effetto estintivo della
guerra per i trattati multilaterali, ma la giurisprudenza tende a considerare
estinte quelle convenzioni incompatibili con lo stato di guerra. tuttavia
bisogna verificare di volta in volta se la guerra abbia determinato un
mutamento radicale delle circostanze esistenti al momento del trattato (rebus
sic stantibus).
Mezzi per far valere
l'estinzione o invalidità
Una volta che si è verificata la causa di estinzione o di invalidità, questa
opera automaticamente o è necessario un atto formale di denuncia? Il problema è
molto controverso in dottrina:
1. certe cause (termine finale, abrogazione da parte di un accordo successivo
etc.) operano automaticamente.
2. altre cause di invalidità e di estinzione (che sono la maggior parte, come i
vizi della volontà o il mutamento sopravvenuto delle circostanze) operano in
modo automatico secondo alcuni, dopo un formale atto di denuncia notificato
agli Stati contraenti secondo altri, resta in vigore finché non si accerta in
modo imparziale la causa di invalidità o estinzione secondo altri ancora.
Tendenzialmente si esclude l'automaticità quando la causa invalidante o
estintiva consista in fatti difficili da provare o di dubbia interpretazione.
Denuncia
Lo scopo
della denuncia consiste nella manifestazione della volontà di uno Stato di
sciogliersi una volta per tutte dal vincolo contrattuale. La denuncia produce
la cessazione del vincolo? La denuncia vincola alla disapplicazione, ma deve
provenire dagli organi competenti a manifestare la volontà dello Stato sul
piano dei rapporti internazionali. A tali fini, bisognerà guardare la
Costituzione dei singoli Stati: in generale è l'Esecutivo, ma esistono anche
forme di collaborazioni tra Parlamento e Governo.
Gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla denuncia dello Stato. In
caso di disaccordo sull'effettiva insorgenza della causa di invalidità o
estinzione, il trattato entra in una fase di incertezza sul piano del diritto
internazionale.
Procedura prevista dalla Convenzione di Vienna per far valere
l'invalidità e l'estinzione (artt. 65-68)
1. Notifica
scritta della pretesa dello Stato agli altri paesi contraenti
2. Se, trascorso un periodo non inferiore a tre mesi salvi i casi di
urgenza, non vengono presentate obiezioni, lo Stato può definitivamente
dichiarare che il Trattato è invalido o estinto, con atto comunicato alle altre
parti, sottoscritto dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dal Ministro
degli Esteri, o comunque da una persona munita di pieni poteri in tal senso
3. se invece vengono presentate obiezioni, si cerca una soluzione della
controversia con mezzi pacifici. La soluzione deve pervenire entro 12 mesi
4. se passano i 12 mesi inutilmente, si mette in moto una procedura
conciliativa che fa capo ad una commissione formata nell'ambito delle Nazioni
Unite che sfocia in una decisione non obbligatoria, ma esortativa. La pretesa
all'invalidità o estinzione resta paralizzata in perpetuo. I giudici interni
non sono mai vincolati e costretti alla paralisi.
LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI: LE NAZIONI UNITE
XV Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le fonti previste da accordi: le Nazioni Unite
I Trattati non contengono
solo regole materiali, ma anche regole strumentali o formali, che istituiscono
cioè ulteriori procedimenti o fonti di produzione di norme. Generalmente il
compito delle organizzazioni internazionali non è quello di emanare norme, ma
di facilitare la collaborazione tra Stati membri, mediante raccomandazioni,
cioè atti che hanno scarso valore giuridico perché non sono vincolanti, ma
hanno solo valore di esortazione.
Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere, a seconda
dei loro Statuti, prese a maggioranza o maggioranza qualificata, ma spesso è
richiesta l'unanimità. Recentemente si è affermata la pratica del consensus,
che consente nell'approvare una risoluzione senza una votazione formale, ma con
una dichiarazione (non contestata, ma concertata) dal Presidente dell'organo
che attesta l'accordo tra i membri.
L'ORGANIZZAZIONE DELLE
NAZIONI UNITE
Fondata
dopo la seconda guerra mondiale al posto della Società delle Nazioni, la
Conferenza di San Francisco ne elaborò la carta nel 1945. La Svizzera non ne fa
parte. L'art. 7 della sua carta disciplina i suoi organi principali:
1. Assemblea generale: ha quasi tutte le competenze (tende a coincidere
con la stessa organizzazione), ma non ha alcun potere vincolante; sono
rappresentati tutti gli Stati e tutti hanno pari diritto di voto.
2. Consigli di sicurezza: composto da 15 membri, di cui 5 a titolo
permanente [USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina] che godono anche del
diritto di veto. Si occupa di questioni attinenti al mantenimento della pace e
della sicurezza internazionale.
3. Consiglio economico e sociale: i suoi membri vengono eletti
dall'Assemblea generale per tre anni ed insieme al
4. Consiglio di amministrazione fiduciaria è subordinato all'Assemblea
generale, di cui deve seguire le direttive.
5. Corte internazionale di giustizia: formata da 15 giudici, ha la
funzione di dirimere le controversie tra Stati, ma ha anche una funzione
consultiva (pur essendo i pareri dei giudici né obbligatori, né vinvolanti su
qualsiasi questione giuridica).
6. Segretariato nominato dall'Assemblea generale su proposta del
consiglio di sicurezza, è l'organo esecutivo.
Le materie di competenza
sono vastissime, tanto che è più facile sottolineare che esulano dalla sfera di
competenza dell'organizzazione le questioni interne di uno Stato. Le aree che
le spettano possono essere raggruppate in tre categorie:
1. mantenimento della pace
2. sviluppo delle relazioni amichevoli tra Stati fondatori sul principio di
eguaglianza dei diritti e autodeterminazione dei popoli
3. collaborazione in campo economico, sociale, culturale e umanitario.
La sua attività
principale consiste nell'emanazione di raccomandazioni e nella predisposizione
di progetti di convenzione (soprattutto per l'Assemblea generale che non è
organo legislativo, ma foro di discussione). L'organizzazione è dotata, in rari
casi, anche di poteri vincolanti nei confronti degli Stati membri. Secondo
l'art. 17 della Carta, l'Assemblea generale ha il potere di ripartire tra gli
Stati membri:
1. le spese dell'organizzazione (con una decisione presa a maggioranza di 2/3)
2. può esprimere una decisione vincolante sulle modalità e termini per la
conessione dell'indipendenza ai territori sotto dominio coloniale.
Decisioni vincolanti del
consiglio di sicurezza
Sono
prevista da talune disposizioni rispetto alla minaccia alla pace,alle
violazioni della pace e agli atti di aggressione. Gli artt. 41 e 42 distinguono
le misure implicanti e quelle non implicanti l'uso della forza. Il Consiglio
può intraprendere azioni di tipo bellico contro uno stato. L' art. 41 dispone
che il Consiglio di sicurezza decide quali misure non implicanti l'uso della
forza armata debbono essere adottate dagli Stati membri contro uno Stato che
minacci o abbia violato la pace e indica siffatte misure a titolo
esemplificativo, l'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e
delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio
e altre e la rottura delle relazioni diplomatiche.
ISTITUZIONI SPECIALIZZATE DELLE NAZIONI UNITE
XVI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le istituzioni specializzate delle Nazioni Unite
In campo economico e
sociale troviamo tutta una serie di organizzazioni internazionali sia a
carattere universale sia a carattere regionale. Alcune si chiamano istituti
specializzati (o istituzioni specializzate) delle Nazioni Unite perché ad
esse subordinate e da esse controllate.
Il collegamento tra le istituzioni specializzate e le Nazioni Unite nasce da un
accordo che, dal lato dell'ONU, è negoziato dal Consiglio economico e sociale e
approvato dall'Assemble generale. Il contenuto si ricollega ad uno schema
tipico che prevede:
1.scambio di rappresentanti
2.osservatori
3.documenti
4.consultazioni in caso di necessità
5.coordinamento dei rispettivi servizi tecnici
6.impegno dell'istituto specializzato a prendere almeno in esame le
raccomandazionidell'ONU.
Un'altra caratteristia è l'applicabilità delle norme della carta che si
occupano degli Istituti e che li sottopongono, entro certi limiti, al potere di
coordinamento e controllo dell'ONU, tanto che l'art. 58 abilita l'Assemblea e
il Consiglio economico e sociale ad emanare raccomandazioni al fine di
coordinare i programmi e le attività degli Istituti specializzati. Anche gli
Istituti specializzati emanano di solito raccomandazioni, oppure predispongono
Progetti di Convenzione. In alcuni casi emanano, a maggioranza, decisioni
vincolanti per gli Stati membri o decisioni che diventano vincolanti se entro
un certo periodo gli Stati non provvedono a ripudiarle.
Queste decisioni sono inquadrate tra le fonti previste da accordo, cioè
dall'accordo istitutivo della relativa organizzazione.
FAO ( Food and
Agricultural Organization)
Creata
nel 1945, tra i suoi organi: Conferenza (composta da un delegato di ogni Stato
membro) che si riunisce ogni due anni in sessione ordinaria, il Consiglio
(composto da 18 membri scelti dalla Conferenza) e il Direttore generale.
L'istituzione ha il compito di ricerca e informazione alla promozione ed
esecuzione di programmi di assistenza tecnica e aiuti nel campo agricolo e
alimentare.
ILO (International Labor
Organization)
Creata
dopo la prima guerra mondiale, è composta dalla Conferenza generale, formata da
4 delegati per ogni Stato, di cui 2 rappresentano il Governo e 2
rispettivamente i datori di lavoro e i lavoratori. Le funzioni consistono
nell'emanazione di raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di
convenzione multilaterale in materia di lavoro. I progetti di convenzione,
approvati con la maggioranza dei 2/3, vengono comunicati agli Stati membri che
restano liberi di approvarli o meno, ma hanno l'obbligo di sottoporli entro un
certo periodo agli organi competenti per la ratifica e di fornire notizie al
direttore generale sulla sorte da essi subita.
UNESCO (United Nations
Educational Scientific and Cultural Organization)
Si propone la diffusione della cultura, la promozione dello sviluppo dei mezzi
di educazione all'interno degli Stati membri e l'accesso all'istruzione. I suoi
organi sono: Conferenza generale, Comitato esecutivo e Segretario.
ICAO (International Civil
Aviation Organization)
Si
occupa del traffico aereo, dei servizi di comunicazione legati ai segnali di
terra, zone d'atterraggio etc. E' composta da un'Assemblea, in cui ogni Stato
possiede un solo voto e un Consiglio di 21 membri scelti dall'Assemblea. Le sue
disposizioni si chiamano standards internazionali o pratiche raccomandate.
WHO (World Health
Organization)
Organizzazione
mondiale della sanità che si preoccupa di adeguare tutti i popoli al livello
più alto possibile di salute.
IMO (International
Maritime Organization)
Si
occupa di garantire la sicurezza dei traffici marittimi.
ITU (International Telecomunication Union)
WMO (World Metereological Organization)
UPU (Universal Postal Union)
IMF (International Monetary Fund)
IBRD (International Bank for Reconstruction and Development)
IFC (International Finance Corporation)
IDA (Internationale Development Association)
Il fondo monetario internazionale e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo furono creati nel 1994 con gli accordi di Bretton Woods. E' presente un Consiglio di Governatori che è l'organo deliberante, ma le sue delibere non vengono prese in base al principio uno stato/un voto, ma secondo le quote di capitale sottoscritte e quindi con il peso determinante dei Paesi piuù ricchi e in particolare degli USA. Si propone la collaborazione monetaria internazionale, la stabilità dei cambi, l'equilibrio delle bilance dei pagamenti e della concessione di prestiti a breve termine. La Banca, invece, concede mutui agli Stati membri per investimenti produttivi a tasso di interesse variabile (a lungo termine).
IFAD (International Fund
for Agricultural Development)
Contribuisce allo sviluppo, sotto forma di aiuti, dell'agricoltura dei Paesi
più poveri con deficit alimentari notevoli.
WIPO (World Intellectual
Property Organization)
Si
occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale.
UNIDO (United Nations
Industrial Development Organization)
Dal 1979
è diventato un istituto specializzato a cui competono funzioni di tipo
operative e non normative.
IAEA (International
Atomic Energy Agency)
Sovrintende
lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell'energia atomica,
ma non è un istituto specializzato.
WTO (World Trade
Organization)
Del
tutto indipendente dalle Nazioni Unite, vi fanno parte 135 stati. E' composta
da una Conferenza ministeriale, dal Consiglio Generale e dal Segretariato con a
capo un direttore generale. Fornisce un forum per lo svolgimento dei negoziati
relativi alle relazioni commerciali multilaterali e tendenti alla
globalizzazione del mercato. Tra i più importanti negoziati, ricordiamo il GATT,
in tema di liberalizzazione dei commerci internazionali. In seno a questa
organizzazione vale il principio della clausola della nazione più favorita,
ossia dell'automatica estensione a tutte le parti contraenti delle concessioni
fatte a una di esse, sui dazi doganali e le tasse ed imposte su importazioni ed
esportazioni. Può emanare decisioni vincolanti a maggioranza di 3/4 della
Conferenza ministeriale o del Consiglio Generale sull'interpretazione delle
norme. Ha anche un ruolo fondamentale sulla risoluzione delle controversie
nascenti dagli accordi che ad essa fanno capo.
E COMUNITA' EUROPEE E L'UNIONE EUROPEA
XVII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le Comunità europee e l'Unione Europea
CEE, CECA ed EURATOM sono
le organizzazioni internazionali più dotate di poteri decisionali nei confronti
degli Stati che ne fanno parte. Possono emettere atti vincolanti.
Si tratta di tre organizzazioni distinte a cui appartengono 15 Stati. La CECA
fu creata a Parigi nel 1951, CE (CEE) ed EURATOM nel 1957 con i trattati di
Roma. Nonostanto siano separate, hanno organizzazioni comuni.
La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata in maniera
rilevante modificata da una serie di trattati: l'Atto Unico Europeo, firmato a
Lussemburgo nel 1986 e il Trattato sull'Unione Europea (Maastricht 1992) che
hanno introdotto una forte integrazione tra gli Stati membri, azioni comuni in
ambito di politica estera e cooperazione degli Stati nel settore della
giustizia e degli affari interni. Significative modifiche sono state inoltre
introdotte in materia di cittadinanza europea, nel rafforzamento del potere del
Parlamento e l'unione monetaria (specie con la creazione della BCE e della
moneta unica).
Delle tre organizzazione sicuramente la CEE è la più importante, poiché investe tutta la vita economica e sociale degli Stati membri. Così, mentre la CECA si occupa del mercato comune nel settore corbosiderurgico e l'EURATOM nel settore dell'energia atomica, la CEE sovrintende la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Queste rappresentano le 4 libertà fondamentali dell'Europa e servono per assicuare la libera concorrenza.
La maggior parte delle norme del trattato sono ELASTICHE, GENERICHE E PROGRAMMATICHE
Si discute sulla natura giuridca delle Comunità Europee: si tratta di vere e proprie organizzazioni internazionale (visto che ci sono organi con vari poteri) o embrioni di Stati federali (per la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno)?
Organi:
1. COMMISSIONE, composta da individui e non Stati che non ricevono istruzioni
dai governi nazionali di appartenenza. Nella CECA la Commissione è l'organo
decisionale effettivo, emana atti vincolanti che formano la legislazione
comunitaria. Il Consiglio ha solo poteri consultivi. Nella CEE ed EURATOM vale,
invece, il contrario: è il Consiglio l'organo deliberante, mentre la Commissione
ha solo poteri di iniziative ed esecutivi.
2. CONSIGLIO. E' l'organo che rappresenta i 15 Stati membri e presieduti a turno per 6 mesi. Di solito ne fanno parte i ministri. Nella CECA ha funzioni prettamente consultive, nella CEE emana gli atti più importanti della legislazione comunitaria decidendo, secondo i casi, a maggiornaza o all'unanimità.
3. PARLAMENTO EUROPEO. Dal 1979 è composto dai
rappresentanti dei popoli degli Stati membri eletti a suffragio universale
diretto. Non è l'organo legislativo della comunità, ma il Trattato di
Maastricht gli ha conferito certi poteri di partecipazioni alla funzioni
legislativa. Svolge una funzione di controllo politico sulle altre istituzioni,
mediante l'esame dei rapporti che gli altri organi sono tenuti a sottoporgli
(tranne la Corte di Giustizia).
Troviamo inoltre procedure di COOPERAZIONE e CODECISIONE. La prima si applica
in materia di trasporti, fondo sociale europeo, ricerca e sviluppo
professionale e l'ultima parola spetta al Consiglio (se il Consiglio è unanime
può anche andare contro il parere del Parlamento in seconda lettura). La
procedura di codecisione si applica nelle materie di corcolazione delle
persone, libertà di stabilimento e circolazione di sservizi. Il Parlamento può
bloccare l'azione del Consiglio con una decisione adottata a maggioranza
assoluta dai suoi membri.
4. CORTE DEI CONTI. Svolge funzioni di controllo delle entrate e uscite della Comunità.
5. CORTE DI GIUSTIZIA. Vegli asul rispetto dei Trattati e può essere anche adita dai cittadini europei.
Da questo quadro, si riesce a capire che in realtà l'organo legislativo è il Consiglio e che la legislazione comunitaria si caratterizza per essere generica e programmatica. Tra gli atti vincolanti possiamo trovare:
DECISIONI: non hanno portata
generale ed astratta, ma concreta. Può indirizzarsi sia ad uno Stato membro,
sia ad un individuo, sia ad un'impresa che opera nel territorio comunitario.
Acquistano efficacia non con la pubblicazione, ma con la notifica al
destinatario.
DIRETTIVE: vincolano lo Stato al risultato da raggiungere, lasciando la
scelta di forma e mezzi nella competenza degli organo nazionali. La direttiva
dovrebbe enunciare principi e criteri generali, ma oggi è sempre più
dettagliata, tanto che la scelta dello Stato si limita solo alla forma giuridca
interna della norma (cioè se scegliere una legge o un atto amministrativo).
REGOLAMENTI: hanno portata generale obbligatoria in tutti i suoi
elementi ed è direttamente applicabile. Si tratta di norme generali ed astratte
che gli Stati devono applicare.
Come tutte le
organizzazioni internazionali, le Comunità Europee hanno la capacità di
concludere accordi internazionali. La competenza è così ripartita: spetta alla
Commissione per i negoziati; al Consiglio, previa consultazione o, in certi
casi, previo parere conforme del Parlamento, per la manifestazione di volontà
diretta ad impegnarsi. La Corte di Giustizia può dare un parere sulla
compatibilità dell'accordo con le disposizioni del Trattato. Gli accordi
stipulati diventano una categoria di atti comunitari con efficacia vincolante.
Tra gli accordi troviamo:
1. Convenzioni di Associazione che istituiscono un'associazione caratterizzata
da diritti e obblighi reciproci, azioni in comune e procedure particolari
2. Accordi comerciali, cioè di politica commerciale comune.
In questi casi la competenza esclusiva è della Comunità e gli Stati membri non
possono stipulare da soli accordi nelle stesse materie. Negli accordi misti
possono partecipare sia la Comunità sia gli Stati membri. Se uno Stato stipula
da solo l'accordo senza autorizzazione del Consiglio l'accordo resta valido, ma
si ha violazione del diritto comunitario o causa l'invalidità? Il problema è
ancora aperto.
La Corte di Giustizia ritiene che esiste un parallelismo tra competenze interne
ed esterne comunitarie: in tutte le materie in cui la Comunità ha, in base al
Trattato, competenza ad emanare atti di legislazione comunitaria, ha anche
implicitamente competenza a concludere accordi con Stati terzi. Una volta che
la competenza sia stata esercitata all'interno delle Comunità in una
determinata materia, la competenza esterna diventa esclusiva rispetto a quella
degli Stati membri. Ne consegue che gli Stati restano liberi di stipulare
accordi internazionali finché la Comunità non abbia legiferato, ma poi perdono
tale libertà.
IL CONSIGLIO D'EUROPA
XVIII Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Il Consiglio d'Europa
Dopo la seconda guerra mondiale furono create due organizzazioni: l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) e l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), e il Consiglio d'Europa (comprendente 40 Stati). Lo scopo di quest'ultimo è quello di conseguire una più stretta unione fra i suoi membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro comune patrimonio e di favorire il loro progresso economico e sociale.
E' composto da:
1. COMITATO DEI MINISTRI, composto dai ministri degli Esteri
2. ASSEMBLEA CONSULTIVA, composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali
3. SEGRETARIATO (con a capo un segretario generale)
Predispongno testi di convenzione in materie giuridiche (diritto e procedura penale)
LA CONVENZIONE EUROPEA
PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI
Fu
firmata a Roma nel 1950. Contiene due generi di norme: uno a carattere
sostanziale (in cui è offerto il catalogo dei diritti e delle libertà
fondamentali) e una a carattere procedurale.
E' composta da tanti membri quanti sono gli Stati, con un mandato di 6 anni.
Fino al 1998 svolgeva
funzioni istruttorie e di conciliazione sui ricorsi che venivano presentati
sulla violazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente. I ricorsi
erano presentabili da Stati, individui e gruppi di individui.
Nel 1998 vi fu una riforma: il Comitato dei ministri decide a maggioranza dei
2/3 se c'è stata violazione e pone un termine entro cui è necessario
eliminarla. Questo sicuramente è un intervento di carattere politico più che
giuridico.
GLI ALTRI ORGANI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI
XIX Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Gli altri organi per la tutela dei diritti umani
CONVENZIONE AMERICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO,
firmata a San José de Costa Rica nel 1969
CARTA AFRICANA del 1986
2 PATTI INTERNAZIONALI: uno sui diritti economici, sociali e culturali, l'altro
sui diritti civili e politici. Il primo patto non ha organi ad hoc, ma stabilisce
che gli Stati contraenti sottopongono rapporti periodici sulle misure prese in
osservanza del patto al Consiglio Economico e sociale delle Nazioni che può a
sua volta trasmetterli alla Commissione dei diritti umani dell'ONU perché
formuli raccomandazioni di ordine generale o sottoporli all'Assemblea generale.
Il secondo prevede un comitato per i diritti dell'uomo (18 membri in carica per
4 anni) che può esminare i reclami presentati contro uno Stato contraente da
altri Stati o da individui. La procedura non sfocia in atti vincolanti. Riceve,
inoltre, anche i rapporti degli Stati sull'applicazione del Patto nei
rispettivi territori.
LE RACCOMANDAZIONI DEGLI ORGANI INTERNAZIONALI
XX Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > Le raccomandazioni degli organi internazionali
Le raccomandazioni sono
l'atto tipico delle Nazioni Unite. Non sono vincolanti e per questo non si
possono inserire tra le fonti del terzo tipo e ci si chiede se siano del tutto
improduttiva di effetti giuridici.
Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. EFFETTO LICEITA': non commette
illecito lo Stato che segue una raccomandazione, andando contro ad impegni già
assunti con accordo o contro il diritto consuetudinario. Tale effetto è da
ammettere solo nei rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle
raccomandazioni legittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degli organi
del trattato). Manca però un organo incaricato di giudicare la legittimità
della raccomandazioni o quelli che l'abbiano approvata senza riserva. Per gli
Stati che hanno votato contro o si siano astenuti, l'effetto liceità è da
escludersi.
Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattati istitutivi di
organizzazione internazionali fa sì che sia illecito il comportamento di uno
Stato che rifiuti di osservare tutta una serie di raccomandazioni. Questa
impostazione non è da condividere perché le raccomandazioni non sono vincolanti
e la caratteristica dell'atto consiste proprio nella funzione esortativa.
LA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI
XI Diritto internazionale > La formazione delle norme internazionali > La gerarchia delle fonti internazionali
1. Norme consuetudinarie
(compresi i principi generali di diritto comuni agli ordinamenti)
2. Trattati (obbligatorietà riposta nella consuetudine pacta sunt servanda)
3. Fonti previste da accordi (gli atti delle organizzazioni internazionali)
In che rapporto stanno?
La consuetudine è molto flessibile, poiché può essere derogata da una fonte
inferiore, nei limiti in cui la consuetudine lo consente. Oggi si parla sempre
più di un gruppo di norme cogenti (ius cogens).
L'art. 53 della Convenzione di Vienna sancisce la nullità di
qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in contrasto con
una norma imperativa del diritto internazionale generale. Con norma imperativa
del diritto internazionale generale si intende una norma accettata e
riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo insieme, come
norma a cui non si può apportare nessuna deroga e che non può essere modificata
se non da una norma di diritto inernazionale generale dello stesso carattere.
Il trattato quindi non può derogare le norme cogenti del diritto internazionale.
L'art. 64 stabilisce che se una norma imperativa di diritto internazionale
generale è in contrasto con un trattato, questo diventa nullo e si estingue.
Ma cos'è il diritto cogente? La Convenzione di Vienna non lo dice, né la
dottrina riesce a trovare un criterio di riferimento. Si fa leva sull'art. 103
della Carta dell'ONU: in caso di contrasti tra gli obblighi contratti dagli
Stati membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da esse
assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli
obblighi derivanti dal presente statuto. Oggi il rispetto della Carta è
considerato fondamentale.P
SPTATAJJLE AL DIRITTO INTERNAZIONALE
PARTE TERZA
L'APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL'INTERNO DELLO STATO
XXXVII Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale
Quali sono i mezzi di applicazione di una norma internazionale?
1. operatori giuridici e in particolare gli organi statali (per mezzo delle
norme giuridiche)
2. accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma da parte dei
giudici)
Non si può dire che il diritto internazionale debba essere applicato a tutti i
costi all'interno dello Stato perché il diritto interno deve poter difendere
certi valori costituzionali, sacrificando, se necessario, il diritto
internazionale. Tuttavia la difesa dei valori interni non deve avvenire ad ogni
costo, perché sono importanti anche valori internazionalistici (come la
collaborazione e la solidarietà internazionale).
Troviamo irrilevanti le teorie dei monisti (che ritengono che il diritto
statale trova fondamento nel diritto internazionale) e dei dualisti (che
sostengono che l'ordinamento statale è originario ed è netto e separato da
quello della comunità degli Stati) perché ci interessa sapere come si applicano
le norme internazionali e come queste si coordino con quelle interne.
Si fa tradizionalmente
una distinzione tra PROCEDIMENTI ORDINARI e PROCEDIMENTI SPECIALI di
adattamento dei due diritti. Il primoavviene mediante norme (costituzionali,
legislative, amministrative) che si distinguono da quelle statali solo per il
motivo per cui vengono emanate. Le norme internazionali vengono riformulate
all'interno dello Stato. Nei procedimenti speciali, la norma internazionale non
viene riformulata all'interno dello Stato: gli organi con funzioni normative
ordinano l'osservanza della norma internazionale. Il costituente, il
legislatore o l'organo amministrativo operano con rinvio alla norma
internazionale (come del resto obbliga l'art. 10 Cost.), dando diretta
applicazione nello Stato della norma internazionale. Di solito è infatti con
legge che si dà ordine di esecuzione di un trattato.
Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con il procedimento ordinario
ci si trova ad inteerpretare e riformulare con provvedimento interno la norma.
L'interprete si trova di fronte ad una norma identica a quella statale, tranne
che per il motivo che l'ha ispirata. Applicherà la norma interna e terrà conto
di quella internazionale ispiratrice solo in casi di interpretazione dubbia. Ma
se il diritto internazionale di evolve? Se interviene una desuetudine o una
norma abrogatrice? In casi del genere ci troviamo, quindi, di fronte a problemi
di applicazione ed è per questo che si preferisce il procedimento speciale. In
questi ultimi si ha un semplice rinvio e il centro dell'applicazione della
norma internazionale si sposta dall'interprete al legislatore. Il giudice potrà
commettere errori di interpretazione della norma internazionale, ma l'errore si
ircoscriverà al caso concreto e non a tutte le fattispecie. Il procedimento
ordinario è però necessario in altri casi: quando la norma internazionale non è
direttamente applicabile ('self-executing'), ma necessita di
un'attività integratrice da parte degli organi statali. In Gran Bretagna
generalmente si usa il procedimento ordinario e, una volta introdotta, la norma
internazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesi invece
preferiscono il procedimento speciale.
Norme self-executing e
non
La norma
non self-executing si può avere in due casi:
1. quando la norma attribuisce facoltà agli Stati
2. quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve esecuzione perché
mancano gli organi predisposti o le procedure indispensabili per la sua
applicazione.
Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing, ma noi
crediamo che si ha self-executing quando, in caso di sospensione o di mancata
obbligazione o difficoltà di applicazione della norma internazionale, si debba
ricorrere a procedure di conciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle
controversie. E' ancora self-executing quando la norma internazionale contiene
una 'clausola di esecuzione' che preveda che gli Stati adotteranno
tutte le misure di ordine legislativo o d'altro genere per dare effetto alle
sue disposizioni. Invece quando nonostante la clausola di esecuzione, ci sono
norme effettivamente non self-executing ed impegnano lo Stato a prendere i
provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati, si può parlare di non
self-executing.
L'adattamento con rinvio comporta difficoltà nell'individuare la sfera di
applicazione a causa della formulazione delle norme (soggetti, rapporti, enti).
Rango nella gerarchia delle fonti interne:
tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti, corrisponde al
procedimento (ordinario o speciale) di adattamento: se all'adattamento provvede
il legislatore costituzionale, la norma avrà rango costituzionale; se è il
legislatore ordinario (trattati) avrà rango di legge ordinaria.
DATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO
XXXVIII Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento al diritto internazionale consuetudinario
In Italia l'adattamento avviene a livello costituzionale ex art. 10. Questa
norma prevede un procedimento di adattamento speciale o con rinvio. Il
Costituente ha affermato la sua volontà di adattamento automatico, completo
e continuo. Le norme internazionali valgono all'interno dello Stato se e
finché vigono nell'ordinamento internazionale.
Il Perassi ha sostenuto la tesi della trasformazione permanente del diritto
internazionale in diritto nazionale. Una legge ordinaria che viola il diritto
internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell'art.
10 Cost.
Problema: posto che hanno rango costituzionale, che rapporto hanno le norme
internazionali con la Costituzione?
In concreto non ci sono molte possibilità di conflitto tra norme internazionali
generali e norme costituzionali perché si ha una differenza di competenze. La
Costituzione regola i rapporti tra lo Stato e i suoi organi; il diritto
consuetudinario internazionale regola i rapporti tra organi, stranieri e Stati
stranieri.
Tuttavia è possibile che si verifichino dei conflitti riguardo la Domestic
Jurisdiction: un esempio può essere fornito dalle immunità giurisdizionali
degli agenti diplomatici, degli Stati e delle organizzazioni internazionali
dalla giurisdizione civile. Queste immunità e la conseguente impossibilità di
convenire in giudizio gli individui o gli enti che ne beneficiano, paralizza o
no la tutela giudiziaria dei diritti ex art. 24 Cost.?
La soluzione al problema si ravvisa nella possibilità dei giudici di
disapplicazione la norma internazionale che violi i principi fondamentali
garantiti dalla Costituzione.
L'ADATTAMENTO DEI TRATTATI E DELLE FONTI DA ESSO DERIVATE
XXXIX Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento dei trattati e delle fonti da esso derivate
La Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamento dei Trattati. Il
Quadri, con un'interpretazione un po' forzata, ha tentanto di farli rientrare
nella previsione dell'art. 10, facendo leva sulla consuetudine 'pacta sunt
servanda'. Il Costituente però si è limitato a parlare di diritto
internazionale generale e non anche del diritto internazionale particolare:
oggi, inoltre, si stipulano fin troppi trattati e farli assurgere a rango
constituzionale significherebbe facilitare i raggiri e le revisioni delle norme
costituzionali senza le procedure previste dalla Carta fondamentale.
Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine di esecuzione.
Generalmente lo si dà con legge ordinaria, ma nulla vieta che possa essere
anche un atto amministrativo. La giurisprudenza ritiene che se è stato
stipulato un trattato, ma ancora non è interenuto il provvedimento che ne
ordini l'applicazione, non si può pretenderne l'osservanza e poco importa la
responsabilità degli organi nazionali sul piano internazionale per violazione
degli obblighi contratti. Da questa impostazione si capisce facilmente che
neanche la giurisprudenza avalla la tesi che un trattato abbia qualcosa in più
rispetto alla legge sul piano della gerarchia delle fonti. Se l'ordine di
esecuzione viene dato con legge, il trattato sarà parificato alla legge: si
applicheranno le normali regole di successione delle leggi nel tempo, seppure
con alcuni temperamenti:
1. PRESUNZIONE DI CONFORMITA'delle norme interne al diritto internazionale: se
la legge posteriore è ambigua, deve essere interpretata in modo da consentire
allo Stato il rispetto degli obblighi assunti in precedenza.
2.La legge posteriore prevale se vi è una chiara indicazione della volontà del
legislatore di contravvenire agli impegni internazionali assunti. Una volta che
il trattato abbia acquisito validità formale nello Stato, è sorretto da una
duplice volontà normativa: la volontà di rispettare gli impegni assunti e la
volontà di regolare quella materia, così come è disciplinata dal trattato. Non
sembra perciò ammissibile un'abrogazione o modifica da parte della norma
posteriore per una semplice ncompatibilità con il trattato. La volontà di
derogare con legge posteriore può essere esplicita o implicita. In quest'ultimo
caso si ritiene che l'oggetto dell'obbligazione e quello della norma interna debano
coincidere perfettamente: sia per materia, sia per i soggetti destinatari della
regolamentazione.
2. Il trattato si ritiene una norma speciale ratione materiae.
Una volta che la norma internazionale è stata immessa nell'ordinamento con
legge ordinaria, non si discosta da questa per quanto riguarda il controllo di
costituzionalità.
L'ADATTAMENTO AL DIRITTO COMUNITARIO
XL Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento al diritto comunitario
Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzione con legge
ordinaria. Pertanto non solo hanno acquistato forza giuridica le norme del
Trattato, ma automaticamente acquistano la stessa forza, via via che vengono
emanate, le norme dei regolamenti comunitari. L'art. 189 del Trattato
espressamente prevede che i regolamenti siano direttamente applicabili in
ciascuno degli Stati membri. Il regolamento è così una fonte normativa non
prevista dalla Costituzione, ma che non comporta una violazione della Carta
fondamentale, per effetto della previsione all'art.11 che ammette limitazioni
alla sovranità nazionale.
La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda la forza formale
dei regolamenti stessi: creano diritti ed obblighi, indipendentemente da un
provvedimento di adattamento ad hoc. Tuttavia, ocn ciò non si vuol dire che i
regolamenti siano self-executing anche per il loro contenuto, poiché possono
esserci regolamenti incompleti o che, per avere applicazione, hanno bisogno di
essere integrati. Per i regolamenti che lasciano ampi margini di
discrezionalità alle autorità statali è necessaria una legge di attuazione.
Le direttive e le decisioni comunitarie non sono, invece, direttamente
applicabili, ma hanno bisogno di una legge di adattamento ad hoc (che sia legge
ordinaria, decreto legislativo o decreto legge). In genere questo adattamento è
eseguito mediante procedimento ordinario: è senza rinvio e il provvedimento
interno ne riformula il contenuto. La direttiva pone un obbligo di risultato,
lasciando libertà di mezzi e di forma. Quali effetti costituiscono un
corollario dell''obbligo di risultato' e quindi si producono subito e
quali sono condizionati a 'forme e mezzi' e si producono solo dopo
l'atto ad hoc?
Le direttive creano tre effetti c.d. 'diretti'.
1. quando il giudice interpreta una norma interna su una materia disciplinata
da una direttiva, tale interpretazione deve avvenire alla luce della direttiva.
2. se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la sua interpretazione
è vincolante.
3. se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza un atto di esecuzione
necessario, gli individui possono farla valere davanti al giudice.
Quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato (c.d. effetti
verticali) e non anche nelle controversie tra individui (c.d. effetti
orizzontali): la direttiva fa nascere degli obblighi a carico dello Stato e lo
Stato risponde del ritardo o dell'inattuazione della direttiva. Questa tesi
viene per lo più accettata, ma è anche criticata perché frutto di
un'intepretazione troppo letterale: il fatto che a rispondere sia lo Stato, se
ad esempio una direttiva crea dei diritti nei confronti del lavoratore
dipendente, il dipendente della pubblica amministrazione potrà chiamare a
rispondere lo Stato per l'inattuazione, ma il lavoratore privato non potrà dir
nulla contro il suo datore privato. Il risarcimento dei danni può essere dovuto
nei casi di inattuazione di direttive che attribuiscono diritti.
In che rapporto stanno le norme comunitarie con le leggi ordinarie?
La Corte costituzionale ha assunto pareri contrastanti.
Nel 1964 riteneva che i trattati (ricevendo applicazione con legge ordinaria)
sono di pari grado con la legge e pertanto possono essere abrogati o modificati
da leggi successive. Nel 1975 ha ritenuto che la violazione del diritto
comunitario ad opera delle leggi ordinarie costituisca violazione dell'art. 11
Cost., che stabilirebbe una prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno. Nel 1984, invece, ha ribadito la prevalenza del diritto comunitario,
ma anche che questo e il diritto interno si devono coordinare secondo le
ripartizioni di competenza volute dal Trattato istitutivo della comunità. Oggi
vige il principio della automatica disapplicabilità della norma interna
difforme da parte del giudice ordinazio, senza bisogno di ricorrere agli altri
organi di giustizia costituzionale.
I Trattati e le norme della legislazione comunitaria possono essere sottoposte
al controllo di costituzionalità?
La prtecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principi costituzionali.
Se è vero che i trattati e le norme comunitarie possono essere sottoposte ad un
controllo di conformità con la Costituzione, è anche vero che tale controllo
debba essere condotto cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole norme
materiali della Costituzione, cioè quelle che tutelano i diritti fondamentali
dei cittadini e non di quelle strumentali (che disciplinano la formazione della
legge e l'organizzazione dei poteri dello Stato). L'ordine interno e quello
europeo costituiscono due sistemi separati e distinti, anche se fra loro
coordinati.
L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E LE COMPETENZE DELLE REGIONI
XLI Diritto internazionale > L'applicazione delle norme internazionali all'interno dello Stato > L'adattamento del diritto internazionale e le competenze delle regioni
Il problema delle regioni sorge quando il diritto internazionale tocca le
materie che la Costituzione riserva alla competenza regionale. Si ritiene che
ad immettere il diritto internazionale nel nostro ordinamento sia il potere
centrale. Tuttavia questo comporta dei problemi, visto che la Costituzione
riserva determinate materie alla competenza esclusiva delle regioni con
conseguente impossibilità di interferenza da parte dell'ordinamento centrale.
Innanzitutto si può dire che, in linea di principio, se la legge regionale è in
contrasto con una norma del diritto internazionale di qualsiasi tipo,
vincolante per il nostro ordinamento, è costituzionalmente illegittima. Le
regioni, pur essendo dotate di una sorta di autonomia, non sono soggetti del
diritto internazionale, perché è sempre lo Stato centrale (che ha poteri
sovrani) che decide se assumere o meno obblighi internazionali.
All'inizio, il legislatore e la Corte Costituzionale sostenevano che tutto ciò
che era del diritto internazionale rientrava nella materia degli 'affari
esteri' ed era di competenza esclusiva dello Stato centrale. Tuttavia
nelle materie riservate alla competenza delle regioni, in caso di inerzia di
queste ultime, lo Stato non poteva sostituirsi, rischiando quindi di essere
chiamato a rispondere per carenze od omissioni non sue. Succesivamente si mutò
orientamento: le regioni venivano 'delegate' dal potere centrale a
partecipare all'attuazione e specificazione dei diritto internazionale. Dopo
molteplici critiche, la tesi oggi sostenuta è che la Corte riconosce la
competenza autonoma ed originaria delle Regioni nelle loro materie di
competenza. Lo Stato centrale può sostituirsi non solo in caso di inerzia, ma
anche di urgenza o esigenze di uniformità sorrette dall'interesse nazionale,
oppure quando una sua disposizione risulti direttamente attuativa della norma
comunitaria e necessaria al proseguimento della finalità attuativa.
L'
LELEIMENTO SOGGETTIVO
PARTE QUARTA
LA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE SUE CONSEGUENZE
XLII Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze >Il fatto illecito e i suoi elementi costitutivi: l'elemento soggettivo
Il compimento di un fatto illecito internazionale comporta la responsabilità
degli Stati sul piano internazionale. Nel 1953 la Commisione di diritto
internazionale delle Nazioni Unite ha presentato un progetto di codificazione
che ha visto luce nel 1996. Nel 1980 fu approvato un Progetto di articoli sulla
responsabilità degli Stati, ma che si limitava a disciplinare l'origine della
responsabilità (ossia gli elementi dell'illecito). Nel 1996 il Progetto fu
completato con l'aggiunta delle conseguenze dell'illecito e con una parte
realativa alla risoluzione delle controversie.
La caratteristica è che si considerano i principi sulla responsabilità come
valevoli in linea di massima per la violazione di qualsiasi norma
internazionale, mentre prima venivano individuati soltanto alcuni tipi di
violazione (ad esempio delle norme sul trattamento degli stranieri) e i danni
arrecati venivano risarciti sulla base della responsabilità aquiliana.
L'elemento soggettivo è lo Stato come soggetto di diritto internazionale, ossia
lo Stato-organizzazione: il fatto illecito deve consistere in un comportamento
di uno o più organi (azione od omissione) attribuibile allo Stato e il
comportamento deve essere illecito, antigiuridico. Con Stato-organizzazione
intendiamo tutti coloro che partecipano all'esercizio del potere di governo
nell'ambito di uno Stato. Pertanto non solo l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario,
ma anche gli organi territoriali e le altre persone a cui è attribuibile la
potestà di governo. Non è ipotizzabile la violazione di norme internazionali
attraverso la semplice emanazione di leggi o altre norme di portata astratta.
In dottrina si discute
sulla responsabilità dello Stato quando l'organo commette un'azione
internazionalmente illecita avvalendosi della sua qualità, nell'esercizio delle
sue funzioni, ma in violazione di una norma del diritto interno. Ad esempio è
configurabile la responsabilità dello Stato nel caso di azioni illecite
commesse da organi di polizia che contravvengono agli ordini ricevuti?
Sarebbero attribuibili allo Stato, o risponderebbe il singolo poliziotto?
Qualcuno ritiene lo Stato responsabile, qualcun'altro configura la
responsabilità del singolo individuo che l'ha commessa, qualcun'altro ancora
ravvisa la responsabilità dello Stato nella misura in cui non ha predisposto i
mezzi idonei per evitare la violazione.
Viene concordemente esclusa la responsabilità dello Stato per atti dei privati
che danneggiano individui, organi o Stati stranieri. Non esiste la
responsabilità di gruppo, dell'orami antica dottrina germanica, ma lo Stato
risponderà solo quando non abbia disposto le misure per prevenire l'illecito
altrui.
L'ELEMENTO OGGETTIVO
XLIII Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > L'elemento oggettivo
Il secondo elemento del fatto illecito è l'antigiuridicità, cioè l'elemento
oggettivo. Si ha violazione di un obbligo internazionale quando un fatto di
tale Stato non è conforme a ciò che è imposto dal predetto obbligo.
Il Progetto distingue i crimini e i delitti internazionali e poi fa una
distinzione tra violazioni di obblighi di mezzi e violazioni di obblighi di
risultato. Le prime consistono in un comportamento determinato, le seconde,
lasciano libero lo Stato nella scelta dei mezzi per raggiungere il risultato
previsto. La differenza è importante per determinare il tempus commissi
delicti.
CAUSE CHE ESCLUDONO
L'ILLICEITA':
1. CONSENSO DELLO STATO LESO
Come nel diritto penale, non è illecito una violazione commessa con il consenso
dell'avente diritto. Questo non vale però nei casi di violazione di una norma
dello ius cogens. Il consenso dello Stato deve essere unilaterale, e varrà la
disciplina del consenso viziato.
2. AUTOTUTELA
Questa ipotesi è riferibile alla legittima difesa e consiste nel compimento di
azioni dirette a reprimere l'illecito altrui. Sono azioni in sé illecite, ma
che se vengono attivate in risposta ad un illecito altrui, perdono il carattere
dell'antigiuridicità. Tra le forme di autotutela abbiamo la rappresaglia e la
ritorsione, oltre che l'autotutela collettiva e individuale.
3. FORZA MAGGIORE E CASO FORTUITO
4. STATO DI NECESSITA'
Consiste nell'aver commesso il fatto per evitare un periocolo grave, imminente
e non volontariamente causato. La dottrina non ha molto da discutere quando lo
stato viene invocato nel caso in cui il pericolo riguardi la vita
dell'individuo-organo. Si ha invece qualche incertezza quando la necessità si
riferisce allo Stato nel suo complesso e quando c'è di mezzo un interesse
statale. La dottrina però è concorde nel ripudiare la tesi che prevede
l'invocabilità di questa scusante per un diritto di conservazione dello Stato.
Pertanto lo stato di necessità è invocabile solo quando:
-- il fatto era l'unico modo per proteggere un interesse essenziale contro un
pericolo grave e imminente non volontariamente causato, e
-- il fatto abbia leso gravemente un interesse essenziale dello Stato nei
confronti del quale esisteva l'obbligo.
In ogni caso non può essere invocato:
-- se l'obbligo non deriva da una norma imperativa del diritto internazionale
generale
-- se lo Stato ha contribuito a creare lo stato di necessità.
Il problema è che non è mai stato chiarito cosa debba intendersi con interesse
essenziale o vitale dello Stato.
5. RACCOMANDAZIONI DI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Queste, abbiamo visto, producono il c.d. effetto liceità e fanno sì che lo
Stato che segue la raccomandazione dell'organizzazione (ovviamente non viziata)
non commette illecito.
6. RISPETTO DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI DI UNO STATO
Ad esempio la pena di morte, prevista dalla Costituzione di uno Stato, non
produce illecità internazionale.
GLI ELEMENTI CONTROVERSI: COLPA E DOLO
XLIV Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > Gli elementi controversi: colpa e dolo
Sono tre i tipi di responsabilità che si possono configurare: per colpa, dolo e
responsabilità oggettiva. Per il dolo, nulla quaestio: si configura
l'intenzione di nuocere e di violare la norma. La responsabilità per colpa,
invece, si verifica quando l'autore dell'illecito ha commesso il fatto con
negligenza, trascurando di adottare le misure necessarie per prevenire il
danno. Ovviamente si distingue, come nel diritto penale, tra colpa lieve e
grave.
La responsabilità oggettiva può essere di due tipi:
1. relativa (strict liability): sorge per effetto del solo compimento
dell'atto illecito, ma l'autore può invocare una causa di giustificazione
consistente in un evento esterno che gli ha impedito il rispetto della norma.
La responsabilità è aggravata e produce uno spostamento dell'onere della prova
dalla vittima dell'illecito al suo autore.
2. assoluta: questo tipo di responsabilità non ammette cause di
giustificazione. E' prevista per attività particolari o socialmente dannose e
possono essere collegati a sistemi di assicurazione obbligatoria.
Il dibattito sulla responsabilità è sempre stato molto vario: Grozio
considerava la responsabilità dello Stato (violazione delle norme sul
trattamento degli stranieri e più in particolare sulle offese arrecate da
privati a individui, organi e Stati stranieri) per colpa. Nel XX secolo,
Anzilotti sostiene la natura oggettiva della responsabilità internazionale.
Oggi vige un sistema c.d. 'residuale': lo Stato risponde di qualsiasi
violazione del diritto internazionale da parte dei suoi organi, purché non
dimostri l'impossibilità assoluta (cioè non da lui provocata) di rispettare
l'obbligo.
Se esaminiamo la giurisprudenza delle Corti internazionali (Corte comunitaria e
Corte europea dei diritti umani) ci si rende conto che un'indagine sul dolo o
la colpa non è mai stata condotta.
LE CONSE
LLECITO: L'AUTOTUTELA
XLV Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > Le conseguenze dell'illecito: l'autotutela
Oggi si ritiene che le conseguenze dell'illecito consistono in una nuove
relazione giuridica tra lo Stato offeso e lo Stato offensore, discendente da
una norma secondaria (diversa da quella primaria, cioè quella violata). Vi sono
pareri discordi in dottrina:
ANZILOTTI ritiene che le conseguenze dell'illecito siano il diritto dello Stato
offeso a pretendere e l'obbligo dello Stato offensore a fornire un'adeguata
riparazione che dovrebbe ripristinare la situazione quo ante e risarcire il
danno subito.
AGO sostiene che nella norma secondaria rientrano le conseguenze giuridiche
autonome dell'illecito e quindi anche i mezzi di autotutela (rappresaglie e
contromisure). Dal fatto illecito nascerebbe per lo Stato offeso il diritto di
chiedere la riparazione e il diritto di ricorrere a contromisure coercitive
aventi il precipuo ed autonomo scopo di infliggere una punizione allo Stato
offensore.
KELSEN ribadisce l'inutilità di costruire le conseguenze dell'illecito in
termini di diritti/obblighi alla riparazione, ma l'unica conseguenza immediata
è il ricorso alle misure di autotutela e la riparazione sarebbe solo eventuale
e dipenderebbe dalla volontà dello Stato offeso e offensore di evitare l'uso
della coercizione e ricorrere ad un accordo o all'arbitrato [concezione fortemente
imperativistica del diritto].
Noi crediamo che l'illecito non produca rapporti giuridici. La fase patologica
del diritto internazionale è poco normativa. Le misure di autotutela sono
fondamentalmente dirette a reintegrare l'ordine giuridico, cioè a far cessare
l'illecito e a cancellarne gli effetti. Se lo Stato offensore ha l'obbligo di
porre fine all'illecito e cancellarne gli effetti, non lo deve fare in base ad
un nuovo rapporto o una nuova norma. L'altra forma di riparazione (risarcimento
del danno) è prevista da un'autonoma norma di diritto internazionale generale.
La normale reazione all'illecito è l'autotutela: farsi giustizia da sé.
Ne consegue una scarsa efficienza e credibilità dei mezzi internazionali di
attuazione del diritto. Il moderno diritto internazionale impone che
l'autotutela non consista nella minaccia o nell'uso della forza (art. 2 Carta
delle Nazioni Unite e previsto anche dalla consuetudine). L'unica eccezione è
la risposta ad un attacco armato già sferrato (art. 51 della Carta): il diritto
naturale di legittima difesa individuale e collettiva nel caso che abbia luogo
un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, rispettando il
principio di proporzionalità. Il divieto di uso della forza armata non ha altre
eccezioni: né per proteggere la vita dei propri cittadini all'estero, né per
grosse violazioni dei diritti umani nei confronti dei propri cittadini. Quando
si parla di uso della forza, non rientra la forza interna nella sovranità
territoriale e nella normale potestà di governo di uno Stato sovrano.
La fattispecie più
importante di autotutela è la rappresaglia o contromisura. Consiste in
un comportamento che in sé sarebbe illecito, ma che diventa lecito in risposta
ad un illecito altrui. Lo Stato viola, a sua volta, gli obblighi che gravano su
di lui.
Ovviamente esistono dei limiti alle contromisure:
1. PROPORZIONALITA' tra violazione e reazione. Non si deve trattare di perfetta
coincidenza tra le due violazioni, ma mancanza di sproporzione.
2. RISPETTO DEL DIRITTO COGENTE
Non si può violare il diritto cogente, neanche quando si tratti di reazione per
violazione dello stesso tipo. L'unica eccezione è l'uso della forza per
respingere un attacco armato.
3.RISPETTO DEI PRINCIPI UMANITARI
L'art. 50 del Progetto dispone anche che a titolo di contromisura non possa
essere compromessa in alcun caso l'inviolabilità degli agenti, locali, archivi
e documenti consolari e diplomatici.
4.PREVIO ESAURIMENTO DEI MEZZI PER UNA SOLUZIONE CONCORDATA DALLA CONTROVERSIA
(arbitrato, conciliazione, negoziato).
La contromisura tende a reintegrare l'ordine giuridico violato. Lo scopo
afflittivo è secondario.
La ritorsione si distingue dalla rappresaglia perché non consiste in una violazione di norma internazionale, ma in un comportamento inamichevole (come l'attenzione o la rottura dei rapporti diplomatici o della colloborazione economica). Non è una forma di autotutela perché uno Stato potrebbe tenere questo comportamento anche senza aver subito un illecito. Tuttavia, nella prassi dei rapporti tra gli Stati, la ritorsione reagisce ad azioni di rilievo puramente politico e a violazioni di diritto internazionale o ad entrambe contemporaneamente, perché in genere gli Stati collaborano tra loro. E' difficile, nella ritorsione, distinguere tra motivazioni politiche e giuridiche, ma non si può non considerarla una forma di autotutela quando le secondi sono presenti.
L'autotutela
collettiva consiste in un intervento degli Stati che non hanno subito
nessuna lesione in risposta ad una violazione dei diritti umani, obblighi erga
omnes, crimini internazionali per i quali tutti gli Stati possono considerarsi
lesi.
Non si può dire che ciascuno Stato abbia diritto di reagire con misure di
autotutela in caso di violazione in nome dell'interesse comune. Le norme consuetudinarie
prevedono forme di intervento per Stati terzi in ordine a specifici
obblighi internazionali. Si presuppone una richiesta da parte dello Stato
aggredito.
Per le norme consuetudinarie alll'autotutela collettiva si può ricorrere per
negare effetti extraterritoriali agli atti di governo emanati in un territorio
acquiostato con la forza (per il principio di autodeterminazione dei popoli) e
nei casi di aiuti militari ai movimenti di liberazione.
Il diritto pattizio tende a limitare piuttosto che estendere l'esercizio
dell'autotutela e prevede la creazione di meccanismi internazionali di
controllo che possono essere messi in moto da ciascuno Stato contraente ma che
comunque difettano di poteri sanzionatori.
Non esistono principi generali che consentano ad uno Stato di intervanire a
tutela di un interesse fondamentale della comunità internazionale o di un
interesse collettivo (solo singole norme consuetudinarie). E' auspicabile che
si consolidi una tendenza verso l'autotutela collettiva come iniziativa dei
singoli Stati che agiscono in nome della comunità internazionale nel suo
complesso, ma che non sono esenti da atteggiamenti arbitrari.
Uno Stato può obbligarsi con trattato a non ricorrere a misure di autotutela o
a ricorrervi solo a certe condizioni. E' importante comunque sottolineare che
deve essere intesa come extrema ratio.
La WTO subordina l'adozione di contromisure in caso di mancato rispetto delle
decisioni di carattere giurisprudenziale emesse in seno all'organizzazione,
all'autorizzazione dell'organo per la soluzione delle controversie. L'art. 51
del Progetto dispone che l'attacco armato come legittima difesa può essere
esercitato finché il Consiglio si sicurezza non abbia preso le misure
necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
LA RIPARAZIONE
XLVI Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > La riparazione
Essa integra innanzitutto l'obbligo della restituzione in forma specifica: far
cessare l'illecito e cancellarne, ove possibile, gli effetti. Anche la soddisfazione
è una forma di riparazione dei danni morali, dovuta per il solo fatto che
l'illecito sia stato commesso e a prescindere dalla richiesta di risarcimento
dei danni patrimoniali. Tra le diverse forme troviamo la presentazione di
scuse, l'omaggio della bandiera o altri simboli dello Stato leso, versamento di
una somma simbolica. Se questi vengono accettati dallo Stato leso, viene meno
qualsiasi ulteriore conseguenza del fatto illecito e il ricorso a misure di
autotutela.
L'unica forma di riparazione vera e propria è il risarcimento del danno
prodotto dall'illecito internazionale. Bisogna chiedersi se scaturisce da
qualsiasi violazione delle norme internazionali: per il danno agli stranieri,
l'azione è automatica per il solo fatto di produzione dell'illecito; per il
danno agli Stati, si fa riferimento ai danneggiamenti dovuti ad un'azione violenta
(tranne la guerra) contro beni, mezzi e organi dello Stato (distruzione di sedi
diplomatiche, aeree); per i danni alla funzione, si risarciscono i danni
prodotti con la lesione degli individui che ricoprono la qualifica di organo:
bisogna però distinguere tra danni subiti dall'individuo e danni subiti
dall'organizzazione statale (danni alla funzione). In ogni caso sono
risarcibili i danni materiali.
LA RESPONSABILITA' PER FATTI LECITI
XLVII Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > La responsabilità per fatti leciti
Esiste una responsabilità
per fatti leciti? Esiste nelle attività altamente pericolose ed inquinanti.
Qualcuno dice che si tratta di responsabilità oggettiva o senza illecito,
quando è chiamato a rispondere non solo delle attività dei suoi organi, ma
anche degli individui sottoposti al suo controllo.
Si ha responsabilità oggettiva assoluta, anche quando il danno non si verifica
(nel diritto spaziale).
La dottrina crede che sia meglio un sistema di responsabilità civile ed
esistono convenzioni in tal senso che però non riguardano la responsabilità
internazionale, ma di diritto interno.
LA SICUREZZA COLLETTIVA PREVISTA DALLE NAZIONI UNITE
XLVIII Diritto internazionale > La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze > La sicurezza collettiva prevista dalle Nazioni Unite
Nei rapporti
internazionali è vietato l'uso della forza. Il Consiglio di sicurezza ha il
compito di mantenere la pace e l'ordine tra gli Stati e può utilizzare la forza
ai fini di polizia internazionale. Esso, una volta che aha accertato la
violenza o la minaccia, può decidere le sanzioni da applicare contro lo Stato
(senza però usare la forza), come l'interruzione delle comunicazioni o delle
relazioni internazionali ed economiche. Prima però deve invitare lo Stato a
prendere le misure provvisorie necessarie a non aggravare la situazione. Il
Consiglio gode di un larghissimo potere discrezionale nell'accertare una
minaccia o una violazione della pace, anche perché non è necessario l'uso della
violenza bellica per violare la pace. Nel diritto internazionale esiste una
dichiarazione che elenca le diverse ipotesi di aggressione, ma non incide sulle
competenze del Consiglio. Dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati
istituiti altri organi di carattere giurisdizionale ed è aumentata la
discrezionalità del Consiglio.
Misure provvisorie
L'art. 40 prevede che il Consiglio può invitare le parti interessate ad
ottemperare alle misure provvisorie necessarie, ma esse non devono pregiudicare
i diritti o la posizione delle parti interessate. Le misure hanno natura
preventiva (per non aggravare la situazione) e non vincolante (si tratta pur
sempre di un invito).
Le misure non implicanti
l'uso della forza
L'art.
41 prevede che il Consiglio può vincolare gli Stati membri dell'ONU a prendere
una serie di misure più blande (l'embargo, ad esempio) per lo Stato che abbia,
secondo il giudizio insindacabile dell'organo, violato o minacciato la pace.
Le misure implicanti
l'uso della forza
L'art.
42 prevede le ipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato colpevole di
aggressione, minaccia o violazione della pace internazionale oppure anche
all'interno di uno Stato (guerra civile). Il Consiglio, infatti, può eseguire
azioni di polizia internazionale, mediante delibere operative, con le quali non
esorta, ma agisce direttamente. Le modalità dell'azione del Consiglio di
sicurezza si formano sulla base di accordi. Gli artt. 43 ss. non hanno mai
ricevuto applicazione dal 1945. Il Consiglio è di solito intervenuto in crisi
internazionali o interne con misure militari. Ha creato le Forze delle Nazioni
Uniti (caschi blu), ma con compiti assai limitati per il mantenimento della
pace, ha aumentato l'uso della forza degli Stati membri, sia singolarmente, sia
nell'ambito delle organizzazioni regionali.
In ultimo esistono le c.d. pace-keeping operations, la cui
caratteristica è la delega del Consiglio in ordine sia al reperimento,
attraverso accordi con gli Stati, sia al comando delle Forze internazionali,
che hanno compiti molto limitati. E' necessario il consenso.
LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE INTERNAZIONALE
PARTE QUINTA
L'ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSE TRA STATI
XLIX Diritto internazionale > L'accertamento delle norme internazionali e la soluzione delle controversie tra Stati > La funzione giurisdizionale internazionale
La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi natura arbitrale,
essendo ancorata al principio per cui un giudice internazionale, comunque
costituito, non può mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata
preventivamente accettata da tutti gli Stati parti di una controversia. Ed è
proprio questo fatto che fa sì che si privilegi il momento interno
dell'applicazione del diritto internazionale.
Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionale una qualsiasi
controversia che riguardi i loro rapporti: ciò che importa è che siano
d'accordo sulla scelta e accettino come vincolante la sua decisione.
Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente carattere arbitrale,
poiché riposa sulla volontà degli Stati.
Il punto di partenza dell'evoluzione dell'istituto è l'arbitrato isolato.
Esso si svolgeva solitamente in questo modo: sorta una controversia tra due o
più Stati, si stipulava un accordo (il c.d. compromesso arbitrale) con il quale
si nominava un arbitro (ad esempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale,
si stabiliva eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a
rispettarne la sentenza così emessa. L'istituto si è evoluto: per facilitare
l'accordo, alla fine del secolo scorso, si è cominciato a ricorrere a degli
accorgimenti per l'instaurazione del processo: sono comparsi i c.d. trattati
generali di arbitrato (chiamati anche 'non completi' per distinguerli
da quelli successivi 'completi') e le clausole compromissorie. Questi
obbligavano gli Stati a ricorrere all'arbitrato per tutte le controversie che
sarebbero sorte in futuro in ordine all'applicazione e all'interpretazione
della convenzione tra gli Stati stessi. Questi, quindi, creano soltanto un
obbligo de contrahendo, cioè l'obbligo di stipulare il compromesso
arbitrale. Nella seconda fase, con la fine della prima guerra mondiale, è stata
creata la Corte Permanente di Giustizia Internazionale all'epoca delle Società
delle Nazioni, e poi, nel 1945, la Corte Internazionale di Giustizia. Si tratta
di un corpo permanente di giudici, eletti dall'Assemblea generale e dal
Consiglio di Sicurezza. Resta comunque un tribunale arbitrale. In questa fase,
compare la figura della clausola compromissoria 'completa' e del
'trattato generale di arbitrato' completo. Questi non si limitano a
creare l'obbligo di stipulare il compromesso, ma prevedono direttamente
l'obbligo di sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale già
predisposto.
Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionale internazionale va
sempre cedendo il passo ai mezzi diplomatici. Inoltre è necessario distinguere
i tribunali internazionali (destinati a risolvere le controversie tra Stati)
dai tribunali istituiti all'interno delle organizzazioni internazionali (che
risolvono le controversie di lavoro tra funzionari e l'organizzazione).
Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settoriali che presentano
caratteristiche proprie: spicca, tra essi, la Corte di Giustizia delle Comunità
Europee (con sede a Lussemburgo), che però si occupa a) dei ricorsi per
violazione del Trattato da parte di uno Stato membro, b) del controllo di
legittimità sugli atti degli organi comunitari e c) delle questioni c.d.
pregiudiziali (esempio, quando un giudice interno deve chiedere l'interpretazione
del Trattato CE, ha il dovere di sospendere il processo e di chiedere una
pronuncia della Corte al riguardo).
Nel 1988 è stato inoltre istituito il Tribunale di primo grado delle Comunità
europee.
La Corte europea dei diritti dell'uomo controlla il rispetto della convenzione
europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali da parte degli Stati
contraenti.
I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI
L Diritto internazionale > L'accertamento delle norme internazionali e la soluzione delle controversie tra Stati > I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali
Questi mezzi si distinguono dai mezzi giurisdizionale di soluzione delle
controversie in quanto tendono soltanto a facilitare l'accordo delle parti: di
conseguenza non hanno carattere vincolante per le parti.
L'accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati diretti tra le
parti medesime, e in genere sono il mezzo più utilizzato.
Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifica
l'internvento di uno Stato terzo, o di un organo supremo di uno Stato o di
un'organizzazione internazionale a titolo personale. La differenza tra buoni
uffici e mediazione è più teorica che pratica: di solito con i primi ci si
limita a indurre le parti della controversia a megoziare; nella mediazione c'è
invece una partecipazione più attiva del terzo alle trattative.
Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di più
all'arbitrato. Le commissioni di conciliazione sono di solito composte da
individui e da Stati ed hanno il compito di esaminare tutti gli aspetti della
controversia e formulare una proposta di soluzione che le parti sono libere di
accettare o meno. Le Commissioni di inchiesta, invece, hanno il compito
di accertare il fatto. Il ricorso alla conciliazione è sempre succedaneo del
ricorso all'arbitrato, soprattutto nei trattati multilaterali. Sempre più
spesso è previsto come obbligatorio il ricorso alla conciliazione, con la
conseguente possibilità per uno degli Stati contraenti di dare unilateralmente
avvio alla procedura conciliativa.Ai mezzi diplomatici vanno riportate anche le
procedure di soluzione non vincolanti che si svolgono in seno alle
organizzazioni internazionali.
La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Stati membri hanno l'obbligo di
risolvere le loro controversie con mezzi pacifici.
Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio di Sicurezza, che dispone
di un potere di inchiesta, da eserctare sia personalmente, sia per mezzo di un
organo ad hoc, come ad esempio un'apposita Commissione. Il Consiglio può anche
sollecitare le parti di una controversia a ricorrere ai mezzi e procedimenti
pacifici. Il Consiglio può rivolgere un invito generico o indicare uno
specifico procedimento.
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