DIAGNOSI PRE IMPIANTO
Alla luce della
possibilità di eseguire fecondazioni artificiali in vitro, quindi alla luce
della possibilità di poter osservare il concepito al di fuori dell'utero viene
posto il problema della DIAGNOSI pre impianto che consiste nel prelievo di due
cellule (blastomeri) che compongono l'embrione al primo sviluppo al fine di
eseguire sul patrimonio genetico di esso degli accertamenti diagnostici in
grado di identificare malattie congenite gravi come l'emofilia o la
betatalassemia. Come si è visto però l'art 13 e 14 della legge 40 consente solo
la diagnosi morfologica, ovvero una diagnosi basata sulla pura osservazione
dell'embrione al microscopio, una tecnica che permette di visualizzare solo la
natura morfologica dell'embrione e non (non potendo eseguire test genetici)
l'eventuale diagnosi di malattie congenite. La diagnosi pre impianto comporta
numerose problematiche che possono essere osservate a partire da alcuni casi
giudiziari come quello che vede coinvolti una coppia di portatori sani di
betatalassemia al tribunale di Catania. Prima dell'entrata in vigore della
legge 40 la coppia si era rivolta ad un centro per la fecondazione assistita
dove , al termine dell'impianto, era stata effettuata la diagnosi pre impianto
la quale aveva evidenziato la possibilità della coppia di generare un figlio
sano (un embrione su sei risultava sano e 5 portatori genetici della malattia).
LA legge non era ancora entrata in vigore pertanto i medici avevano impiantato
solo l'embrione sano. Sfortunatamente la donna ha conseguito un aborto
spontaneo e pertanto avevano deciso di tentare nuovamente, al secondo tentativo
la legge 40 entra in vigore e obbliga la donna all'impianto di almeno 3
embrioni tutti potenzialmente malati e obbliga il medico a non poterne
effettuare un'eventuale selezione. La coppia dunque si rivolge al tribunale di
Catania per far valere i propri diritti di autodeterminazione ed evidenziando
che la nuova norma contrastava con i principi costituzionali del diritto alla
salute della madre e del figlio. Il tribunale respinge però l'istanza
affermando che la volontà del legislatore con la legge 40 era quella di porre
sullo stesso piano la fecondazione naturale e quella assistita , impedendo la
selezione artificiale di embrioni malati (cosa che per vie naturali non si può
fare). La sentenza evidenzia però molte incongruenze nonché contrasti illogici
con la legge ad esempio sull'aborto che prevede l'eventuale aborto della madre
quando essa accusi delle circostanze che potrebbero mettere a rischio la sua
integrità psico-fisica ed in caso di patologie congenite o malformazioni
accertate dell'embrione stesso. Quindi la questione si pone sul fatto che sia o
meno opportuno impedire la selezione dell'embrione malato per poi permetterne
invece l'aborto regolarmente accettato!le incongruenze si fanno più forti nel
momento in cui, nela sentenza di ricorso, si afferma che l'iniziativa (a non
pretendere di farsi impiantare ovuli malati) è volta a tutelare sennonché la
salute della madre quantomeno il diritto del figlio " a nascere sano",
affermazione ritenuta illogica dal giudice in quanto per far valere un diritto
alla vita in realtà si nega la vita stessa tantopiù che la Costituzione
italiana non prevede il diritto ala salute assoluta di nessuno . i coniugi
cercano di difendersi ribadendo il rifiuto dell'impianto degli embrioni malati
sulla base dell art della costituzione secondo cui " non si può obbligare
nessuno a trattamenti sanitari non obbligatori" , rifiuto ritenuto illegittimo
poiché sulla base dell'art 6 della legge 40 la fecondazione assistita non è da
considerarsi un trattamento sanitario in quanto ci voglioni dei presupposti di
consenso libero. A seguito di questa sentenza sono state emanate le LINEE GUIDA
DEL MINISTERO DELLA SALUTE che cercano di chiarire alcuni punti della legge 40,
ribadendo ad esempio i criteri di accesso alla Pma (coppie sterili
eterosessuali ecc..) e in questo comprendendo anche la negazione dell'accesso a
coppie non sterili ma portatrici di malattie geneticamente trasmissibili. Le
linee guida sono importanti nell'ambito relativo alla diagnosi GENETICA PRE
IMPIANTO e alla possibilità di un non impianto dell'embrione se malato.
Innanzitutto si
ribadisce la proibizione di ogni diagnosi pre-impianto a scopo eugenetico
ovvero per evitare una selezione di embrioni : si poteva pensare di consentire
tale procedura elencando tutta una serie di malattie genetiche trasmissibili e
quindi indicando la dgp non connotabile come pratica eugenetica ma come pratica
per garantire il diritto alla salute del futuro nascituro. Onde evitare però di
introdurre un "modello stigmatizzato di normalità genetica" ed evitare di
discriminare socialmente i portatori di tali malattie si è preferito vietare
direttamente la dgp. Riguardo al problema dell'obbligo di impiantare gli embrioni
prodotti (che siano sani o malati) le linee guida affermano che l'impianto non
è obbligatorio quando, a seguito di diagnosi morfologiche osservazionali, si
notino anomalie irreversibili del feto. Quindi il concetto viene generalizzato,
la coppia può dunque (in caso di documentazione manifesta di pericolo per lo
stato di salute della donna ecc..) rifiutare l'impianto e se l'embrione è sano
esso verrà crioconservato fino al momento in cui sarà possibile impiantarlo se
malato ne verrà effettuata la coltura in vitro fino alla sua estinzione (si
preferisce dunque la morte dei malati a possibili usi in campo di ricerca!). le
linee guida affrontano anche il problema delle "banche embrionali" effettuando
una distinzione tra embrioni in stato di abbandono (quelli prodotti prima della
legge 40 che violano uno dei suoi articoli e che quindi non possono essere
impiantati) ed embrioni in attesa di un futuro impianto: il problema si pone
nel momento in cui la stessa legge 40 vieta qualsiasi tipo di sperimentazione e
uso degli embrioni ai fini di ricerca condannando questi embrioni congelati ad
un indefinito congelamento.
CONCLUSIONE: la
diagnosi pre-impianto non è da considerarsi di persè un intervento eugenetico,
il pericolo viene in seguito alla conoscenza da parte dei genitori dei
risultati di tale intervento che possono decidere di non accettare un embrione
malato ed effettuando di fatto una selezione eugenetica degli embrioni. Da una
parte il rifiuto della diagnosi pre-impianto può comportare in sé il pericolo di
una lesione alla salute e al diritto della madre che lo richiede, dall'altra
può andare a ledere i diritti del nascituro sottoposto a crioconservazione che
la legge si era preposta di tutelare.