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Repressione delle pulsioni e necessità sociali. Delitto e castigo.
Le tendenze che a livello istintivo sono state messe da parte per erigere la società continuano a manifestarsi indocilmente dentro ogni sua componente, a livello individuale infatti i conflitti interiori erodono le nostre coscienze che non riconoscono le proprie origini amorali e che non sono poi così sicure di avere abbandonato l'originario potere assoluto per una situazione migliore, in fondo ogni delitto o reato è tale solo perché culturalmente circoscritto e non per una sua intrinseca e originaria efferatezza . La dimensione del delitto è la società nel quale avviene.
Delitto e castigo, furore individuale e repressione sociale. La società è un crocevia di istanze dinamico- individualistiche che concilia spunti personali e regolamenti morali costituita da un minimo sostrato morale collettivo che permette la vita in comune sulla base di alcuni principi per lo più impliciti sui quali si basa l'architettura sociale.
Come l'uomo a livello personale nutre vergogna dei propri istinti e delle tensioni che caratterizzano la sua vita psichica, così la società costruita a sua immagine e somiglianza nutre dei pudori e imbarazzi rispetto alle sue origini, rispetto a meccanismi che le sono propri e necessari, così come l'uomo moderno prova imbarazzo nell'infliggere dolore come se questo non fosse che un naturale sfogo delle proprie forze interne " de faire le mal pour le plaisir de le faire", si deve dimostrare chiaramente che allora, quando l'umanità non si vergognava ancora della propria crudeltà la vita sulla terra era molto più serena [..] L'oscurarsi del cielo sugli uomini è sempre stato proporzionale all'aumento della vergogna dell'uomo di fronte all'uomo.[.] Forse è addirittura lecito ammettere la possibilità che anche quel piacere della crudeltà non debba proprio essersi spento: esso avrebbe solo bisogno di una certa sublimazione e di una certa depurazione[.]. Quello che indigna di fronte al dolore, non è il dolore in sé ,ma la mancanza di senso del dolore ; così la società stessa nella sua declinazione moderna e occidentale nega o ha remore ad affermare apertamente che le sia necessaria la deliberata inflizione di sofferenza e affida ad uno specifico sfogo istituzionale le necessità di violenza dei suoi singoli componenti.
Quando l'uomo non era sociale la violenza verso il suo prossimo non era mediata, ma diretta e si esauriva nell'atto collerico di rivalsa, seguendo appunto lo schema del danno ricevuto, dell'irritazione causata che diventa collera e che sfocia nell'inevitabile vendetta e successiva gratificazione; al giorno d'oggi la violenza è un'istanza che è detenuta necessariamente da un potere centrale che formalizzato nella condotta da un codice instilla la violenza tramite pratiche istituzionali altamente codificate, la violenza di Stato rimane solo in principio un elemento animale e irrazionale e si trasforma in un elemento calcolato e razionale che a mio parere può dimostrare meno giustificazione di un atto deliberatamente irrazionale, anche perché l'esistenza del concetto di giusto castigo implicitamente afferma l'esistenza del concetto di giusto delitto.
Vorrei comparare due tipi di violenze diverse e speculari, una è la violenza dell'animale, dell'inconscio e della volontà di potenza (inesauribile tensione volta al soddisfacimento delle esigenze primarie, cibo e sessualità in primis) che non è possibile sottovalutare per intendere l'operato di ciascuno di noi, che ha dunque base nelle tensioni interiori e negli equilibri psichici e fisiologici e l'altra è la violenza istituzionale come risposta alla prima: al delitto la corrispettiva pena formalizzata e inculcata con legale certezza, all'irrazionale la risposta del razionale e la violenza che da un lato è manifestazione di vitalità individuale e dall'altra e repressione sociale di tale vitalità.
Il castigo infatti, per come si è sviluppato durante l'evolversi delle società, non è che un delitto moralmente accettato e condiviso da chi lo commissiona al contrario del delitto stesso che è indice di un comportamento che ha preposto gli interessi o le emozioni individuali agli interessi della società scompaginando quel senso di ordine civile e morale su cui riposano le società.
Fra gli animali a delitto corrisponde delitto, nel consorzio umano a delitto segue un castigo che la società declina in base ai valori su cui si fonda e la cui forza repressiva si commissionerà perlopiù in base al grado di oltraggio che il delitto ha provocato ed in base al grado di possibile emulazione.
Sia che il delitto sia commesso per calcolo razionale o in seguito ad un agire istintivo, il diritto di punire è il diritto attraverso il quale l'intero corpo sociale condanna un suo membro[3], dunque non è possibile tracciare una distinzione fra chi commette un'infrazione e chi non la commette se non sulla base dell'infrazione commessa, entrambi sono uniti dal medesimo vettore di una morale condivisa in linea di principio, la punizione del singolo è la punizione di tutto il corpo sociale, la coscienza dei colpevoli è la coscienza di chi li condanna, il loro bisogno di gratifica istintuale è il nostro bisogno, è la morale che si vorrebbe educare ha la stessa base culturale.
Come afferma Nietzsche in un passo di " Genealogia della morale", pp. 77- 78: "Si marchia qualcosa col fuoco, per farla imprimere nella memoria: solo ciò che non cessa di far male, resta nella memoria" - questo è un principio fondamentale della più antica (e purtroppo anche più duratura) psicologia sulla terra, [.] tutto ha la sua origine in quell'istinto che vide nel dolore il più potente mezzo sussidiario della mnemonica. Quanto peggio stava l'umanità " in fatto di memoria", quanto più tremendo è stato sempre l'aspetto dei suoi usi; la durezza della legislazione penale in particolare dà una misura di quanta fatica le sia costata la vittoria contro l'oblio e il far restare presenti a questi schiavi attimali delle passioni e dei desideri un paio di primitive esigenze della convivenza sociale.[]. Con l'ausilio di queste immagini e di questi procedimenti si finisce per fissare finalmente nella memoria cinque o sei " non voglio", in rapporto ai quali si è promesso , per vivere nei vantaggi della società."
A differenza della vita nello Stato di natura quando l'uomo, l'individuo era ancora misura e ragione della propria condotta, nella vita in società la pacifica convivenza diventa la misura in base alla quale redigere il dipanarsi dell'agire umano. Quello che per gli animali si tratta della semplice differenza fra vivere e morire della declinazione concreta del principio del più forte nella vita senza certezze propria dello stato di natura, per noi uomini diventa diritto a essere protetti contro le prevaricazioni dei nostri simili.
Così la genesi delle società si basa sulla storia della repressione istintuale dei suoi consociati e questa repressione si compie su diversi livelli fin dalla primissima infanzia nella quale il bambino impara ad associare alle sue azioni le reazioni positive o negative della madre, del nucleo familiare e successivamente della comunità fino a che egli non ne introietta le posizioni sociali, i significati, i modelli di comportamento e diventa un promotore di tali valori. Approfondirò queste tendenze nel prossimo paragrafo dove affronto il tema dei meccanismi di controllo sociale.
" Gli atti non sono, accadono. Così avviene per il crimine. Il crimine non esiste. Il crimine accade, viene creato. Prima ci sono gli atti. Poi segue un lungo processo di attribuzione di significato a questi atti. La distanza sociale assume una particolare importanza. La distanza aumenta la tendenza a dare a certi atti la definizione di crimini e alle persone la definizione semplificata di criminali". N. Christie " Il business penitenziario. "La via occidentale al Gulag.", 1993 p. 19.
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