Stati unitari e Stati federali
In antitesi agli Stati unitari, che si risolverebbero interamente nella
sintesi dei tre noti elementi costitutivi (dal momento che sul popolo e sul
territorio si organizzerebbe un unico governo sovrano), si sono infatti
configurati gli Stati composti, concepiti come risultanti di quattro elementi
(dal momento che al governo centrale si contrapporrebbero vari governi locali,
ciascuno dei quali avrebbe titolo per considerarsi statale).
Più precisamente, fino a qualche tempo fa si riteneva che la categoria
degli Stati composti dovesse venire bipartita fra quelli a fondamento paritario
e quelli "diseguali"; e mentre fra i primi s'inserivano gli Stati federali, nei
quali tutti gli Stati membri vengono dotati delle stesse competenze, fra i
secondi s'inquadravano quegli ordinamenti in cui un singolo Stato apparisse
provvisto di una qualche supremazia nei confronti delle altre componenti dello
Stato complessivo. [Di quest'ultimo tipo si credeva che fossero certi rapporti
istituzionali riscontrabili fra uno Stato dominante ed altri Stati vassalli,
tenuti a versargli tributi ed a concorrere nella difesa comune (come nel caso
dell'impero ottomano, dove la Turchia deteneva una posizione preminente
rispetto all'Egitto o alla Libia)].
Gli Stati federali hanno avuto grande diffusione nell'età
contemporanea: la circostanza che le stesse Costituzioni di questi Paesi
considerino federali i rispettivi ordinamenti, definendo i governi locali come
Stati membri, non basta per altro a risolvere il problema. Permane infatti la
necessità di fondo, consistente nel concepire un complesso di Stati, associati
non già da una mera alleanza o da una confederazione (che per definizione non
dà vita ad una autorità statale superiore), bensì da un comune ordinamento
caratterizzato dall'emergere di uno Stato centrale, titolare a sua volta di
poteri sovrani. La tesi più accreditata definisce lo Stato federali come uno
Stato di Stati.
Più pertinente è l'argomentazione di quanti contrappongono i poteri
sovrani rispettivamente riservati ai governi centrali ed a quelli locali:
sostenendo che i primi sarebbero dotati della sovranità c.d. esterna, dal
momento che il potere di stipulare trattati è comunemente riservato allo Stato
centrale; mentre i secondi manterrebbero la sovranità c.d. interna, vale a dire
la supremazia nel proprio ambito spaziale e personale. Sicuramente fondata
sotto il primo aspetto, la contrapposizione non è tuttavia sostenibile dall'altro
dei due punti di vista, poiché non si può dubitare che anche all'interno lo
Stato centrale eserciti funzioni legislative, amministrative e giurisdizionali
del più grande rilievo: così da stabilire un diretto rapporto con i sottoposti
e da far prevalere le sue scelte sulle concorrenti decisioni degli Stati
membri. Nell'impossibilità di affermare la sovranità degli Stati membri, in
concomitanza con quella dello Stato centrale, che sovrano sarebbe unicamente
l'ordinamento federale complessivo, da cui deriverebbero tanto gli ordinamenti
e gli apparati locali quanto il cosiddetto Stato centrale. In breve, perciò,
risulta assai difficile tracciare un taglio netto fra i molti Stati che si
autodefiniscono federali e gli ordinamenti statali che invece si considerano
unitari. Ma ciò comporta la necessità di concepire lo Stato federale come un
sottotipo dello Stato unitario, riconoscendo che la sovranità spetta per
definizione allo Stato centrale. E' questa, in effetti, la tesi condivisa dalla
maggior parte degli attuali costituzionalisti italiani. Lo Stato federale non
rappresenta dunque una distinta forma di Stato, ma si risolve piuttosto in una
formula atta a designare gli ordinamenti statali che attuano al loro interno il
più alto grado di decentramento compatibile con la loro unità.