Cenni introduttivi sulla forma di governo
Tutto lo schieramento dei partiti presenti in Assemblea, da quello
liberale a quello comunista si dichiarò propenso all'adozione di un regime
tendenzialmente parlamentare. In primo luogo, alla generica sfiducia verso la
forma presidenziale, che l'esperienza comparatistica dimostrava incline a
degenerare nella dittatura, si sommava la diffidenza vigorosamente alimentata
dal ricordo recente del ventennio fascista. In secondo luogo, pesavano
precedenti storici antichi recenti, che in forza della tradizione consigliavano
di riallacciarsi all'esperienza parlamentare statutaria anteriore al fascismo.
Inoltre la costituente non fu insensibile alla suggestione delle forme
parlamentari di governo allora vigenti non solo in Inghilterra ma anche in
Francia, che da tempo si ponevano come esempi da imitare in Italia.
A confronto del bipartitismo che caratterizzava e caratterizza tuttora
la scena politica nordamericana, si contavano allora in Italia all'incirca una
diecina di formazioni politiche miranti a contendersi il consenso
dell'elettorato, essendosi aggiunti all'esarchia i partiti repubblicano e
socialdemocratico, nonché il movimento qualunquista, per citare solo i gruppi
più consistenti. In un tal quadro di minima omogeneità politica e sociale, che
nel 1946-47 risultava alquanto più accentuata di oggi, la forma parlamentare
consentiva che il Parlamento funzionasse come elemento di intermediazione fra
il popolo e l'esecutivo, determinando inoltre la possibilità che si formassero
governi rappresentativi di varie forze politiche coalizzate. Si spiega perciò
che già nella ripartizioni della carta costituzionale si rispecchi l'opzione
parlamentare della costituente. I primi tre titoli della parte seconda della
costituente sono rispettivamente dedicati al Parlamento, al Presidente della
Repubblica e al Governo, vale a dire ai tre organo essenziali della forma
prescelta. Così la funzione legislativa è riservata alle camere, mentre quella
esecutiva è attribuita al governo; e fra i due organi deve intercorrere un formale
rapporto di fiducia sulla base del quale entrambi definiscono la politica
generale del Paese. Inoltre si ricava che il Presidente della Repubblica non
partecipa alla determinazione dell'indirizzo politico, in quanto organo
politicamente e giuridicamente irresponsabile, tranne che per alto tradimento o
per attentato alla costituzione. Nella sfera delle attribuzioni sostanzialmente
presidenziali continuano invece a ricadere la nomina del presidente del
consiglio ed entro certi limiti lo scioglimento delle camere. La nostra
costituzione contiene, nondimeno, una serie di altre disposizioni recanti
correttivi che hanno l'effetto di alterare il modello parlamentare "puro": sia
nel senso di riequilibrarlo con l'inserimento, accanto ai tre essenziali, di
almeno un quarto organo fondamentale, quale è la corte costituzionale; sia nel
senso di riequilibrarlo con l'inserimento, accanto ai tre essenziali, di almeno
un quarto organo fondamentale, qual è la corte costituzionale; sia nel senso
d'introdurre l'istituto del referendum, che consente al corpo elettorale di
opporsi alle decisioni del parlamento in quanto organo legislativo; sia nel
senso di istituire le regioni e di garantire anche agli enti territoriali
minori una qualche autonomia politica. Ma non basta esaminare la carta
costituzionale e ricostruire in tal modo un modello legale della forma di
governo. Al contrario ciò che si richiede anche al giurista è soprattutto
un'attenta considerazione della realtà. Altro è il diritto costituzionale
scritto ed altro è il diritto costituzionale vivente, nel quale si impongono
anche regole non scritte.